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ARCHIVUM SCHOLARUM PIARUM ANNUS XLIV - N. 87 2020 RERUM INDEX MONUMENTA HISTORICA SCHOLARUM PIARUM GIANCARLO CAPUTI, Notizie Historiche (continuazione) ..... Pag. 3 STUDIA JOSÉ P. BURGUÉS, P. Mauro Ricci, Vicario General (1884-86) y 30° Prepósito General de las Escuelas Pías (1886-1900) (continuación) ......................... » 87 ENRIC FERRER, San Vicente Ferrer y el memorial al cardenal Michelangelo Tonti (1621) ................. » 193 NOVA DOCUMENTA PIETRO FRANCESCO ZANONI, La bóveda de la iglesia de San Pantaleo en Roma ..................... » 207 BIBLIOGRAPHIA ALESSIA LIROSI, Una Confraternita femminile a Roma. La Compagnia di Sant’Anna nella Chiesa di S. Pantaleo tra XVII e XVIII secolo .................... » 223 Directio : P. JOSÉ P. BURGUÉS (Piazza de’ Massimi, 4 - 00186 Roma) Direttore Responsabile: P. LUIGI CAPOZZI Autorizzazione Tribunale di Roma n. 16.736 del 22 marzo 1977 Finito di stampare nel Gennaio 2020 dalla S.T.I. (Stampa Tipolitografica Italiana) Viale Charles Lenormant 112 /114 - 00119 Roma

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A R C H I V U M S C H O L A R UM P I A R U MANNUS XLIV - N. 87 2020

R E R U M I N D E X

MONUMENTA HISTORICA SCHOLARUM PIARUM

GIANCARLO CAPUTI, Notizie Historiche (continuazione) . . . . . Pag. 3

STUDIA

JOSÉ P. BURGUÉS, P. Mauro Ricci, Vicario General (1884-86) y 30° Prepósito General de las Escuelas Pías (1886-1900) (continuación) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 87

ENRIC FERRER, San Vicente Ferrer y el memorial al cardenal Michelangelo Tonti (1621) . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193

NOVA DOCUMENTA

PIETRO FRANCESCO ZANONI, La bóveda de la iglesia de San Pantaleo en Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207

BIBLIOGRAPHIA

ALESSIA LIROSI, Una Confraternita femminile a Roma. La Compagnia di Sant’Anna nella Chiesa di S. Pantaleo tra XVII e XVIII secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 223

Directio : P. JOSÉ P. BURGUÉS (Piazza de’ Massimi, 4 - 00186 Roma)

Direttore Responsabile: P. LUIGI CAPOZZI

Autorizzazione Tribunale di Roma n. 16.736 del 22 marzo 1977Finito di stampare nel Gennaio 2020 dalla S.T.I. (Stampa Tipolitografica Italiana)

Viale Charles Lenormant 112/114 - 00119 Roma

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• La Direzione della Rivista accoglie studi e contributi, riservandosila facoltà di pubblicazione e non assumendo, nel caso, la respon-sabilità delle opinioni espresse dagli autori dei rispettivi articoli.

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LE «NOTIZIE STORICHE»DEL P. GIANCARLO CAPUTI DI S. BARBARA

GIANCARLO CAPUTI

Parte Undecima

§ 1(Continuazione)

Stava attento il P. Mario a questo discorso, e non parlava, percheerano soli con la porta serrata et haveva paura di questo fratello,perche era stato huomo del mondo e nel secolo n’haveva fatta piùd’una, altro non disse che lui haveva buona intenzione d’aiutar la Reli-gione perche nel passato era una Confusione, e lo ringratiava dell’av-vertimenti et aperta la porta lo licenziò senza per allhora far altro, macovava il suo mall’animo, perche suspettava che non l’havesse man-dato il P. Generale a darli questi avvertimenti.Ne fece un Congresso con li suoi aderenti e li risposero che saria

meglio per hora tacere et aspettar l’occas.ne e poi castigarlo perchequesto tanto mette a dar in capo a qualche d’uno di noi, quanto a dirun Ave Maria che non credevano che l’havesse mandato il vecchio.Non sapeva il P. Mario trovar più inventioni di dare disgusti al P.

Generale, che come diceva lui lo voleva far crepare di dolori. Eraviuna pergola vecchia al cortile di S. Pantaleo attaccata alla fontana etandava sopra la logia scoverta dell’astrigo che sporge alla nostraChiesa. Questa era accomodata con travicelli che faceva ombra ad unaparte della loggia, et era si fruttifera che non solo faceva l’uva, màcontinuava l’agresta sino a Novembre. Quivi il P. Generale andava allevolte al fresco non essendo in Casa altre delizie, e perciò la chiama-vano la pergola del P. Generale, ne nessuno osava di toccar un uajo(sic: gajo in spagnolo = grappolo) d’agresta senza sua licenza.Venne da fuora un giorno il P. Mario s’assettò in Cortile e doman-

dato uno de suoi parteggiani che cosa faceva il vecchio, e se vi erastato nessuno a visitarlo.Li fu risposto che stava al fresco sotto la pergola, e non vi è stato

nessuno forastiero, ma qualcheduno de nostri, che poco s’erano trat-tenuti.

Archivum Scholarum Piarum, a. XLIV, n. 87 (2020), pp. 3-86

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Venne in tanta rabbia che chiamò il Portinaro, e li diede ordine chetrovasse una accetta, e tagliasse quella pergola, perche era molto vec-chia, e con la radice guastava la fontana, e non voleva, che un giorno sifacesse una spesa grossa per far un condotto di piombo, e la casa n’ha-veria patito e che lo facesse presto, che lui la voleva vedere tagliata.Dispiaceva al Portinaro a tagliarla, et andava dando tempo al

tempo con non trovar l’accetta, trovando occasione che i Cercantidella legna erano fuora, e portavano seco la chiave dove la teneva.Li diede ordine, che rompesse la porta, e la prendesse.Fu rotta la porta, e presa l’accetta, con tutto ciò pareva al Porti-

naro esser peccato a tagliarla. Li disse, P. mi pare un gran peccato atagliar una cosa, che è di gran sollievo alla casa, sta carica d’Agresta, eli Padri si lamentaranno di me d’haverla tagliata, e da questo nasceràqualche bisbiglio.Mentre che stavano contrastando giunse da fuora il P. Honofrio

del S.mo Sacramento, il quale era stato mandato a Roma per le cosedella Religione da Vladislao quarto Re di Polonia con lettera al Cardi-nal Savelli acciò come Protettore del suo Regno, s’adoperasse con ilPapa, e con la Cong.ne che fusse liberata la Religione delle Scuole Pieet il P. Fundatore delle Calunnie e persecutioni che li faceva il P.Mario, solo per ambitione di governare.Domandò il P. Honofrio, che contrasto haveva con il P. Mario.Li rispose che in ogni modo voleva che tagliasse la pergola del P.

Generale, ma li pareva peccato.Li disse il P. Honofrio che non si pigliasse fastidio et lasciasse far

a lui, che haveria parlato al P. Mario et haveria fatto rivocar l’ordinepche non era bene.Giunto il P. Honofrio prese la bened.ne, e lo pregò che in gratia

sua non facesse tagliar quella pergola, che darebbe disgusto al P.Generale e la Casa ne veniva a patire.Se li voltò come un Aspide dicendoli come entrava lui ad intri-

garsi con le cose di Casa essendo forastiero, e quanto pª se ne tornassein Polonia sua Residenza.Li rispose il P. Honofrio, che lui non poteva far tagliare quella

pergola perche non era Padrone, mà amministratore, e vi voleva nonsolo il consenso delli altri PP. Assistenti, mà anco di tutta la Casa, checossì comandano le Bolle Pontificie e Decreti Apostolici, e quanto chelui se ne torni quanto p.ma in Polonia, quando sarà tempo l’haveriafatto con ogni sua satisfattione, et era per ubidire, che ne parlasse conil Cardinal Savelli e da lui sentiria la risposta.Li cominciò a dire che era venuto in Roma senza sua licenza per

4 GIANCARLO CAPUTI

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inquietar quella Casa e tutta la Religione, che n’haveria parlato aSuperiori Maggiori acciò lo facessero partire.Li replicò, che facesse pure quel che li piaceva, e quando biso-

gnava haveria fatte quelle parti che fece S. Antonio di Padova controfrate Elia, che pretendeva disturbare la Religione di S. Francescocontro la voluntà del S.to, e strapazzarlo, mà non li riuscirà comepensa perche la verità è una sola.Il medesimo spero che permetterà Dio a V.R., che scoprendo il

Papa e questi Sig.ri della Cong.ne la verità, restarà castigato peggioche frate Elia, quando meno vi pensate per esempio dell’altri acciònon habbino queste aeree pretensioni contro il nostro Padre, ed Iosarò quello che lo devo difendere come n’ho havute le Comissioni dalRe di Polonia, e dalla mia Provincia, che già ha havuto il Papa, erimesso alla Cong.ne, ne pensi di far tagliar la pergola per forza senzail consenso delli PP. Assistenti e di tutta la Casa, altrimente se nefaranno quei giusti risentimenti che si devono.Restò attonito il P. Mario a queste propositioni, e non sapeva

dove voltarsi perche haveva paura, solo li rispose che molto li dispia-ceva haverlo comparato con frate Elia, che lui non haveva questaintentione, ma solo di rimediare al governo della Religione perche ilPadre è vecchio, non si raccorda, e lascia far al Secretario quel lipiace, il quale strapazzava tutti, e lui è stato cagione di quanto sinhora s’è fatto. Non si tagli pure la pergola se pª non viene ordine delP. Pietra Santa Visitatore Apostolico.Fece chiamar il Portinaro e li diede ordine che non tagliasse la

pergola sino a nuovo ordine, giacché il P. Honofrio ne l’haveva pre-gato, e lui li voleva dar qualche satisfattione.Fù detto questo al P. Generale, il quale li rispose, che fastidio li dà

quella povera pergola che è la ricreatione de Padri, patienza, percheDio ci vuol provare, fate pure quel che vi dice il P. Mario, che havevafede al Sig.re e darà il suo rimedio quando meno vi pensiamo, e sileveranno questi disturbi suscitati dal Demonio per più inquietarci, equesti vanno cercando apposta per succedere qualche disordine.Il P. Generale fece chiamar il P. Honofrio e li disse che havesse

patienza, et attendesse a suoi negotii, perche il P. Mario con li suoiaderenti si servono di questi disturbi per farsi più largo, che in unasola parola vi attaccano mille inventioni, lasciamo far a Dio, che luiprovvederà, che di tutto caverà la sua maggior Gloria, e se non silevano i peccati e scandali sempre cresceranno i disturbi, facciamo chenon venga l’occasione da noi e preghiamo il Sig.re, che li illumini,acciò si ravvedano da loro errori, che cossì guadagneremo qualchemerito appresso lui. Siche non fate altro motivo, e lasciamo fare a Dio.

NOTIZIE HISTORICHE 5

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Non passarono molti giorni che venne la lepra al P. Mario allebraccia, tutta la Casa andava mormorando che Dio cominciava a casti-gar il P. Mario per le persecutioni che faceva al P. Generale in diversimodi, solo per l’ambit.ne di governare, che è madre della superbia etil med.mo succederà all’altri che lo perseguitano. Questo fu detto al P.Gio:Anto Secretario del P. Mario da fratel Gio:Battista Moro chesempre andavano cercando occasione di mortificarlo.Fù detto questo al P. Mario, e perche vedeva che la lepra andava

crescendo ne la poteva più nascondere per non esser rinfacciato, preseper espediente d’andarsene a curare al Novitiato che in quel tempostava in Borgo vicino all’ospitale di S. Spirito in Sassia. Onde unamatina all’impensata si pose in carrozza con il fratel Antonio dellaFarina, et il P. Giuseppe di S. Francesco di Paula Calabrese, il qualenel secolo questo era stato Medico, e della sua professione era statoeccellente, assicurandolo benche il suo male esser molto grave contutto ciò l’haveria sanato, ma che non applicasse in nessuna cosa delgoverno della Religione perche li cagionava tedio e malinconia.Il P. Stefano dell’Angeli et il P. Gio:Antonio Bolognese suo Secre-

tario non fidandosi affatto del P. Giuseppe furono di parere di chia-mare un altro medico valent’huomo escludendo il Sig. Gio:MariaCastellani, il quale in questa profess.ne era il migliore, perche eramedico ordinario di Casa, e fratello di Mons. Castellani molto confi-dente del P. Fundatore.Informatisi molto bene chi potevano chiamare li fu detto che

pochi mesi p.ma era venuto in Roma un medico Piamontese, chehaveva fatto molte esperienze, e voleva concorrere alla disputa perentrare per medico ordinario all’ospedale di S. Spirito e questo lo por-tavano due Cardinali.Subito andarono i due Confidenti del P. Mario a trovar questo

medico chiamato Odoardo N. et invitatolo ad andar a visitare un P.Ammalato promettendoli che se lo sanava l’haveriano ben pagato.Visitato l’infermo li disse che stasse pure allegramente benche il

male fusse grave, et il P. haveva cominciato bene la cura, che già il P.Giuseppe l’haveva appieno informato. Fu concluso se desse a mangiarcose callide come carne di vipera cotta con spirito di sale, e li desseroda bere vino inviperito acciò con quel calore uscisse fuora il male cheguadagnato questo saria infallibilmente sano.Lo pregarono che questo non lo palesasse a nessuno, e se voleva

dimorare lui frattanto lo sanasse l’haveriano dato qto si poteva guada-gnar, che lo mettevano in mano di loro due, ma che non ammettesseronessuno che venisse a visitarlo. Tutto questo fu fatto con arte, accionessuno potesse penetrare il male che haveva.

6 GIANCARLO CAPUTI

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Hebbe di ciò aviso il P. Generale, il quale fece chiamare il Sig.Gio:Maria Castellani nostro medico, e lo pregò, che li facesse gratiaquando andava all’ospedale di S. Spirito che andasse a visitare il P.Mario, che stava ammalato al Novitiato, e li fosse raccomandato comese fosse la persona sua medesima, non guardasse a spesa, che lui have-ria pagato quanto bisognava.La matina seguente andò il Sig. Gio:Maria per visitare l’infermo,

li fu risposto che riposava e non occorreva che s’incomodasse percheivi erano due Medici che curavano il P. Mario, e non era male, cherichiedeva tante consulte, che occorrendo saria chiamato.S’accorse il Sig. Gio:Maria che l’havevano per suspetto, tornò dal

P. Generale, e li disse quant’era passato.Il buon vecchio non disse altro, lasciamo far a Dio, e l’aiuteremo

con l’orationi, e non passava giorno, che lo mandava a visitare perqualche Padre, ma non fu mai possibile che lo potesse veder nessuno.Un giorno il P. Generale andò a S. Pietro con intentione d’andar

a visitar il P. Mario, e giunto al Novitiato, fu bussato, calò subitoAntonio della Farina, e prima che entrasse al Portone, li disse, chenon si poteva parlar al P. Mario perche stava nel bagno dell’oglio enon voleva fastidii, et haveva ordine, che non li facesse imbasciata dinessuno perche cossì havevano determinato i Medici.Siche il Povero Vecchio tampoco fu fatto entrare in Casa sua e

stringendo le spalle disse che haveria continuata l’ora.ne acciò il Sig.reli conceda la salute, e che lo salutasse da sua parte.La sera doppo l’oratione mentale il P. Generale disse a tutti Padri

e fratelli che applicassero la disciplina per la salute del P. Mario edoppo dicessero l’oratione pro Infirmo nelle Messe et i Chierici e fra-telli applicassero la Comunione per il medesimo effetto, che lui nonmancava di raccomandarlo al Sre acciò presto li restituisca la salute.Passarono poche settimane, che li crescè il male e la lepra più si

scopriva feroce, onde il P. Giorgio di S. Fra.co Piemontese Maestro deNovitii considerando che nel Novitiato non vi era quiete stando tuttala Casa sempre sottosopra, et i Novitii andavano perdendo lo spirito,perche non si poteva far l’esercitii dell’oratione, cominciò a pensare aqualche rimedio per levarsi quel peso dalle spalle, et un giorno nonhavesse da dar conto a Dio, che li Novitii non facevano profitto, peril che implorava il suo Divino aiuto acciò trovasse il rimedio.Una matina il P. Giuseppe Medico s’andò a riconciliare dal P.

Giorgio e li disse che il male del P. Mario andava a lungo et eraimpossibile a sanarsi, perche quanto più rimedii vi s’applicavano, piùcresceva la lepra, che già haveva preso possesso a tutta la vita, et have-

NOTIZIE HISTORICHE 7

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vano provato di farli un bagno d’Acqua Santa, la quale li giova a net-tarlo, e li faceva cascare quelle croste, che era giusto come squame dipesce, et uscito dal bagno postosi in letto, di nuovo l’uscivano lecroste peggio che prima. S’erano spesi molti danari, e lui haveva qual-che scrupolo, che tutto era buttato al vento.Li rispose il P. Giorgio, che vedesse d’indurlo con il Sig. Odoardo

a farli mutar l’aria, che potrebbe andarsene al Collegio Nazareno, cheera l’aria squisita, et haveria maggior comodità, perché qui l’aria diBorgo è grossa e facilm.te con questa mutatione il male pigliarebbealtra piega.Parve approposito il pensiero del P. Giorgio al P. Giuseppe e li

disse che lasciasse far a lui, che n’haveria parlato con il Sig. Odoardo.Subito il P. Giuseppe andò a trovar l’altro medico, e li disse che

era di parere, che quell’aria era molto grossa, la casa stretta, e lastanza dove stava l’Infermo angusta e però i medicamenti non pote-vano far l’effetto all’Infermo, che si poteva trasferire al Collegio Naza-reno, che sta vicino alla Villa del Principe Ludovisio, aria elevata, e visono stanze approposito, vi si potria mantenere allegro per l’abbon-danza delle fontane, e delitie che sono in quella villa, e noi staressimopiù allegram.te.Piacque il pensiero al Sig. Odoardo, e fù concluso, che insieme

esortassero il P. Mario a contentarsi di mutar l’aria con le suddetteragioni, ma vi voleva anco il consenso del P. Stefano e del P.Gio:Anto, altrim.te non saria riuscito.Andarono tutti due dal P. Mario, e trovatolo tutto pieno di croste

li dissero che il bagno d’Acqua santa l’era giovevole a nettarlo, madubitavano il farlo cossi spesso come desidera, dubitiamo che non sidebilita il stomaco, e poi habbiamo da combattere con due mali. Hab-biamo studiata la materia et il più rimedio opportuno è vi mettiamodentro una vitella annicola quasi viva, che quel sangue attrae il sanguedella scabia lo rinfrescarà et rinvigorirà lo stomaco; mà habbiamo con-siderato, che quest’aria li sia nociva per esser troppo grossa, et ilmutarla li saria di gran giovamento.L’aria del Duca Muti dove sta il Collegio Nazareno è pfetta, starà

più allegro, et il mormorio di quell’acque lo faranno riposare, che diquesto ha di g.mo bisogno per digerire più presto, e del sicuro staràmeglio, et haverà maggior satisfatione, e noi non lasciaremo di dili-genza per curarlo senza tanti fastidii.Li ripose che stava alle mani loro, et haveria fatto quanto li

comandavano, che trovassero rimedio di levar quelle costre da sopraperche lo cruciavano, e di gratia non parlassero a nessuno del suo

8 GIANCARLO CAPUTI

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male, che non voleva che si sapesse da nessuno, aspettiamo il P. Ste-fano e poi vediamo il suo parere acciò facci preparare al Collegio, etavvisare il P. Francesco della Purificatione acciò facci vuotare quelledue stanze della logia, che sono più approposito, che dal letto si vedala Campagna et il bosco, et almeno starò più allegro quando mi ven-gono quelli ardori nelle viscere, che mi cruciano. Fate chiamar il P.Stefano e Gio: Anto, accordatevi con loro, che lui era contento d’an-darsene al Collegio.Vennero il P. Stefano e Gio:Antonio, e dettali la resolutione l’ap-

provarono, se n’andarono subito al Collegio, et accomodate le stanze,fù trovata una loggia tutta invetriata; la sera med.ma fu trasferito ivicon g.ma sua satisf.ne.Cominciarono i medici ad adoprare nuovi medicamenti, fecero

prender un vitello d’un anno, e fattolo scannare fu spaccato, e caldocaldo vi fu posto dentro il P. Mario, e li pareva esser sano per havernesentito un g.mo Refrigerio.Fù portata secretamente la magior parte della carne del vitello a

S. Pantaleo acciò la sera ne fusse fatta una recreat.ne ai Padri conordine del P. Stefano che ne dessero una buona pietanza per uno atutti di Casa, perche era stato regalato da un suo Amico, e n’havevafatto parte a loro.Ne mandò anche al Novitiato, et un altra parte restò alli Colle-

gianti acciò facessero recreatione pche il P. Mario haveva ricuperata lasalute e li voleva regalare.Venne accaso dal P. Generale il P. Pietro della Nuntiata Bresciano

per alcuni suoi negotii; li domandò il P. come stava il P. Mario, e lirispose che le cose andavano tanto secrete che non vi facevano entraraltro che quelli che lo servivano, e li medici, e dicevano che la passavameglio, ma sempre si sentiva lamentare che brugiava.Disse il P. che il S.re sia quello, che li conceda presto la salute

come lui ne faceva sempre oratione perche la Relig.ne non camminavabene havendo rinunciato gli altri Assistenti perche il P. Mario volevafar il tutto e cossì le cose non camminano bene, e si fa quel tanto chedice il P. Gio:Anto.Nel partire che fece il P. Pietro dal P. Generale s’incontrò con il

fratel Paulo di S. Gio:Battista spetiale, e discorrendo del P. Mario, chenon mandavano più a pigliar i medicamenti dalla Spetiaria di S. Pan-taleo, li disse il P. Pietro, che non sapeva che si facessero, haveva vistouna vitella portata da un macellaro nella propria stanza dove stava ilP. Mario, che s’havessero fatto non sapeva e si licenziò.La sera mentre erano i PP. a tavola serviva il P. Francesco della

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Nuntiata, e visto un gran schieramento di carne in cucina contro ilsolito, domandò il Cuoco, dove haveva havuta tanta carne perchepareva di vitella.Li rispose haverla mandata il P. Stefano dal Collegio perche era

stato regalato da non so chi, e l’haveva mandata acciò i Padre nefacessero una recreatione, e però l’haveva cotta in due maniere stufataet arrostita che ne toccavano due buone pietanza p uno.Il P. Fra.co tutto allegro passò la pª tavola de sacerdoti, poi a

Chierici, e venuto alla tavola de fratelli toccò il pº al fratel Paulo spe-tiale, il quale disse al P. Fran.co che lui non voleva mangiar di quellacarne in nessuna maniera. L’altri che l’erano vicino, vollero saper lacausa perche non haveva presa la pietanza.Li rispose che dubitava che quella carne non fusse quella dove

havevano posto dentro il P. Mario p cavarli la lepra, e dove era venutaquella devotione al P. Stefano a mandar tanta carne di vitella ai Padri,al sicuro sarà quella.Passò parola per tutta la tavola delli fratelli e nessuno prese le

pietanze, siche quasi tutti mangiarono pane assoluto senza dir altro.Al meglio della cena s’accorsero tutti che nessuno de fratelli have-

vano prese le pietanze, lasciarono al meglio di mangiare e non volleropiù sapere della carne, onde il P. Francesco della Nuntiata come piùantico della Religione disse al P. Ferdinando Ministro della Casa, chefacesse dar un poco di cascio attorno, perche nessuno voleva di quellacarne, dove era stato curato il P. Mario della lepra, e che si maravi-gliava di lui, che haveva permesso, che si cocesse e si dasse a mangiarai Padri con pericolo che tutti diventassero leprosi.Si scusò il P. Ferdinando di non saper altro, che il P. Stefano

haveva mandata quella carne di vitella, e diede ordine che si desse delcascio, che non credeva mai che quella carne havesse servita all’infer-mità del P. Mario, e lui l’haveva mangiata, et era buona, che avertis-sero che non facessero errore.Finita la Cena andarono alla Recreatione dove quei fratelli ne dis-

sero tante alli fautori del P. Mario e P. Stefano, che volevano far venirela lepra a tutti quelli di S. Pantaleo perche non aderivano al P. Marioet al P. Stefano, ma Dio l’haveria castigati come meritavano. Vi fu delbuono a quietarli, che ne volevano far altre demostrationi, ma perchenon si sapeva ancora di certo si quietarono sino alla matina seguente.Quando poi seppero che era vero non mancarono sbuffi al P. Ste-

fano et al P. Gio:Antonio, che l’havevano mandata, e se non era che ilP. Generale li quietò, al sicuro saria successo qualche grave disordine.Non fù giovevole al P. Mario l’aria del Collegio, anzi più presto

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l’andava aumentando, e di già li cominciava a venire su la faccia, delche più si prendeva malinconia, e dava in qualche delirio per la col-lera, perche non poteva riposare se non quando lo lavavano d’AcquaSanta senza però metterlo al bagno, e quando lo lavavano che casca-vano le croste come squami di pesce, l’acqua che cascava era puzzo-lente, in tal maniera che era di bisogno tener la porta e le finestreaperte per la puzza che non vi si poteva stare, ne giovavano acqueodorose, e profumi.Si faceva dare alle volte il specchio per vedersi, e lui medesimo si

vergognava vedendosi la faccia piena di croste, e perciò sempre dicevache s’ammettesse nessuno, che l’andasse a vedere, tampoco i suoiamici.Per tenerlo allegro l’andavano confortando con cose lenitive e fre-

sche, già che vedevano, che l’altre l’erano dannose.Si vedeva che sempre andava peggiorando perche la lepra l’andò

nell’occhi, e coverta tutta la faccia non sapevano che più rimedio darliopportuno perche nessuno non solo non li giovava, ma più presto l’e-rano contrarii.Vedendo il P. Stefano il caso disperato cominciò con il P.

Gio:Anto a pensare che quando fosse morto il P. Mario facilmentesaria stato reintegrato il P. Generale, e loro restavano da fuora, eperciò se n’andarono tutti due dal P. Mario dicendoli, che li parevabene avvisare Mons. Assessore del stato in che si trovava, e che pª dimorire haveria a caro di parlarli e ringratiarlo di tutti i favori fattili equando viene li puol dire, che lasciasse suo successore il P. Stefano, eche lo raccomandava alla sua Prot.ne.Si contentò il P. Mario, che andassero da sua parte e li facesse

questa gratia d’andarlo a vedere, che li voleva parlare.Andarono i due da Mons. Albici Assessore, e li diedero ad inten-

dere molte cose, che il P. Mario per l’applicatione del Governo dellaReligione, che notte e giorno haveva faticato con haver osservato isoliti digiuni e penitenze della Religione s’era ammalato d’una Rogna,e fattolo curare da due medici l’havevan dati medicamenti contrarii, el’havevano ridotto quasi alla morte. Pregava sua Sig.ria Ill.ma p.ma dimorire d’andar a vederlo, consolarlo, sapendo quanto ha fatto et hapatito per esser stato fedele al Tribunale del S.to Ufficio, come anchenoi due per sostenerlo habbiamo passati di molti disgusti, e passeremomassime se fosse reintegrato il P. Generale.Li promise che la matina seguente con l’occasione, che andava a

Palazzo di venirlo a vedere, e di tutto questo ne facessero avvisato il P.Pietra Santa, che sariano caminati d’accordo.

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Se n’andarono al Giesù e trovarono che il P. Silvestro Pietra Santaera andato a Tivoli con alcuni Cardinali e Prelati in recreatione.Tornati al Collegio diedero la risposta al P. Mario, che Mons.

Assesore saria venuto la matina a vederlo e l’haveva detto che avvi-sasse il P. Pietra Santa di quanto occorreva, che poi haverianodiscorso assieme del modo che si doveva tenere per informare i Car-dinali della Cong.ne per rimediare al governo.La matina a buon hora il P. Gio:Antonio si pose a cavallo, se

n’andò a Tivoli, trovò il P. Pietra Santa, e li disse haverlo mandato aposta Mons. Assessore, che se ne tornasse in Roma pche il P. Mariostava male et haveva accaro pª di morire che l’andasse a consolare, chepoi haveriano discorso assiemi del modo che si doveva tenere peragiustare il governo della Religione acciò non succeda qualche cosa,che poi non si possa rimediare.Sentendo ciò il P. Pietra Santa prese licenza da quei Sig.ri, e con

una Carrozza uscì, se ne venne in Roma per strada discorsero come sidoveva ordir la tela acciò il P. Stefano restasse successore del P. Mario.La matina andò Mons. Albici al Collegio, et entrato nella stanza

dove giaceva il P. Mario sentì una puzza intollerabile con tutto chehavessero bagnato d’aceto et acque odorifere tutto il pavimento.Quando lo vidde in quel misero stato li domandò come si sentiva, eche cosa li bisognava perche era venuto a consolarlo.Li rispose in poche parole sentirsi vicino alla morte, li raccoman-

dava il P. Stefano e Gio:Anto, che l’erano stati fedeli e che morto luili succedesse il P. Stefano, altrimenti saria strapazzato massime sefosse reintegrato il vecchio, e si raccordasse di lui, che l’era stato buone fedele servidore.Li promise farlo e n’haveria parlato al P. Pietra Santa, che stasse

pur allegramente, e pigliasse tutto dalla mano di Dio.Li pareva mill’anni ad uscir da quella puzza, e partì via.La sera poi venne da Tivoli il P. Pietra Santa et andò a smontare

al Collegio Nazareno dove trovò il P. Stefano, che l’introdusse al P.Mario e vedendolo tutto pieno di lepra li domandò se lo conosceva ecome si sentiva, e se havesse bisogno di qualche cosa glie lo dicesse.Li rispose, che lo conosceva benissimo, lui si sentiva bene, ma si

sentiva alle volte rodere le viscere in tal maniera che pensava morire,li davano gran fastidio quelle croste che l’uscivano nella faccia, et inparticolare quelle dell’occhi. Solo lo pregava esserli raccomandati il P.Stefano che succeda nel luogo suo, et il P. Gio:Antonio, che li sonostati sempre fedeli, altrimenti essendo reintegrato il vecchio sarannosempre strapazzati per amor suo per haver tenuto le sue parti.

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Li promise di farlo e la matina seguente haveria parlato a Mons.Assessore, et haveria operato di consolarlo.La matina a buon hora andò il P. Pietra Santa a trovare Mons.

Assessore con il P. Stefano; li raccontò il stato miserabile, in che stavail P. Mario, come già sapeva perche l’haveva veduto, e l’haveva pre-gato che passando all’altra vita li raccomandava il P. Stefano, che suc-cedesse al governo della Relig.ne in luogo suo acciò non fosse strapaz-zato dall’altri.Conclusero che andasse pensando il modo che si poteva tenere

che si sariano informati questi Sig.ri della Cong.ne, e preso il loro ora-colo senza farne altra Cong.ne, per non allungare il tempo, e senzastrepito haveriano fatto cader il governo in mano del P. Stefano e fra-tanto ancora il P. Pietra Santa facesse le sue parti.Licenziato il P. Pietra Santa da Mr. Assessore uscì fuora, trovò il

P. Stefano che lo stava aspettando per sapere la risposta, li disse chestasse allegramente, che solo si doveva trovare il modo come si dovevafare, che il tutto si facci con quiete e pace.Fù detto al P. Fundatore che erano stati a visitar il P. Mario

Monsig. Assessore, et il P. Pietra Santa, li parve conveniente ancor luid’andarlo a visitare, disse al f. Lorenzo suo compagno che la matina abuon hora preparasse per dir la Messa, che poi voleva andar al Colle-gio a visitar il P. Mario, che dicono che sta male.Pregò poi tutti i Padri che facessero oratione per il P. Mario che

haveva inteso che la passa male.La matina detta la Messa il P. Generale a piedi, che da S. Pantaleo

sino alla Villa de Sig.ri Muti vi sono più di due miglia, e giunto al Col-legio tutto stanco, si pose a sedere in sala con il P. Francesco dellaPurificatione, che haveva cura del Collegio, e fatta far l’imbasciata alP. Mario, che era venuto il P. Generale a visitarlo e se stava impeditohaveria aspettato quanto bisognava.Doppo haverlo fatto aspettar un pezzo uscì fuora Antonio della

Farina, e li disse che il P. Mario non voleva fastidii e ammetteva nes-suno perche stava con li suoi guai e non voleva esser visto, che stavaalla stufa e li medici l’havevano prohibito che non parla con chi si sia,li voltò le spalle e se ne tornò dentro senza dirli altro.Voleva il P. Francesco trattenere il P. Generale acciò qlla matina

restasse ivi a pranzo, lo ringratiò e disse voler tornarsene via a Casa; giàDio non l’haveva data questa consolatione di poter visitar il P. Mario,lasciamolo stare, e faremo oratione per lui acciò il S.re lo consoli.Saputo ciò dal P. Pietro della Nuntiata, uscì fuora della scuola

con tutti i Collegianti e fattili mettere in genochioni pregò il Padre che

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li benedicesse e li dasse qualche documento che studiano e faccinoprofitto nelle cose spirituali, perché son tante le distrationi che hannohavuto questi giorni, che non si può attendere.Li benedisse il Padre, e fattoli levare in piedi, domandò uno per

uno chi erano e che cosa studiavano, et esaminateli di quel che sape-vano, li fece una Conferenza Spirituale insegnandoli come dovevanofar l’oratione mentale, l’esame della coscienza, e quando entravanoalla scuola dicessero assiemi l’oratione che soleva dire S. Tomaso d’A-quino ante studium, che si raccordassero sempre di portar il rispettodovuto alli Padri del Collegio, et in particolare al loro maestro, et unavolta il mese legessero a tavola le Regole che haveva fatte per Colle-gianti quando fu fundato, che sono cose salutifere per tutto il tempodella vita loro, li benedisse di nuovo, dicendoli che studiassero, chel’haveria mandati de premii e li licenziò pregandoli che ogni giornodicessero le litanie della Madonna tutti assiemi alla loro Congrega-tione per la salute del P. Mario. Diceva questo con tanto fervore dispirito, che quei figlioli restarono consolati.Se ne tornò a casa il P. Generale con un sembiante allegro senza

mostrare a nessuno d’haver havuto disgusto di non havere havuta l’u-dienza del P. Mario ne della mala risposta fattali.Non si quietò per questo il P. Fundatore, mà pregò il P. Pietro

della Natività della Vergine, suo pº Assistente che si trasferisse al Col-legio, e vedesse con la sua destrezza ridurre il P. Mario al ben moriree darli quei buoni documenti acciò si ravveda delli suoi errori, già chelui non haveva havuto questo merito appresso Dio, che per questofine l’era andato a visitare.Fece l’obedienza il P. Pietro, andò dal moribondo et entrato senza

tanta imbasciata, e trovatolo che la lepra l’haveva coverta tutta la faccia,e non vedeva, che pareva un porchetto arrostito, che solo si vedeva unapiccola fessura della bocca da dove lo cibavano e poteva parlare.Lo chiamò il P. Pietro, e con suo piacevol modo li domandò se lo

conosceva perche era venuto a visitarlo e li dicesse qualche cosa, chel’haveria aiutato a quanto desiderava con ogni sua satisfatione, e sevoleva che li racordasse qualche cosa della Passione di nostro Sig.reGiesù Christo che patì tanto per noi nella sua Agonia.Li rispose al meglio che poteva di sì, per il che fece chiamar il P.

Pietro della Nuntiata e li disse che da quando in quando li racordassequalche punto della passione senza tediarlo, con ricordarli il fineperché Dio l’haveva creato, le pene del purgatorio, la gloria del Para-diso, l’orribili pene e fuoco dell’Inferno e la misericordia di Dio a per-donare ogni peccator pentito, che lui tra tanto voleva far orationeacciò il S.re li facci rivedere.

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Fece l’ufficio suo il P. Pietro della Nuntiata con quella magiordiligenza come doveva, e qualche volta li diceva anco qualche esempiode santi Martiri, che pareva che l’havesse a caro, e faceva segno, cheseguitasse, e sempre faceva segno, che non facessero entrar nessuno.Li soprabondò tanto la lepra che li coprì affatto l’occhi e quanto

più andava più crescevano le costre, si lamentava e non poteva parlarein tal maniera che chi lo vedeva non poteva far altro che piangere p.comp.ne.Fù chiamato il P. Pietro il vecchio che il P. Mario pareva che

allhora volesse passar all’altra vita.Venne il P. Pietro, li fece la raccomandatione dell’Anima, e fatti

chiamar i Collegianti li fece andare alla Cong.ne acciò facessero ora-tione che il S.re le dia passagio facile per il Paradiso.Morto il P. Mario fu sparato da medici, e trovarono tutte le

viscere abrugiate.Fu portato il cadavere con una barrella alla Chiesa di S. Pantaleo

e postolo dentro il cataletto fù da suoi fautori coverto con un pannonero acciò nessuno lo potesse vedere, perche non si scorgeva altro,che un pezzo di carne abbrostolita piena di croste e squami grosse dipesce. Andarono alcuni Padri a vederlo et ognuno diceva la sua cheDio l’haveva castigato per il poco rispetto che haveva portato al P.Generale.Vennero alcuni secolari nostri vicini, e vedendo ch’era coperto

domandarono la cagione perche non l’esponevano come è solito dafarsi a tutti gli altri Padri delle Scuole Pie.Li fù risposto da uno de suoi Amici che il P. Mario era morto

martire per le fatiche grandi che haveva fatto p la Religione.A questo fù risposto dal fratel Gio:Battista Moro, che quanto pª

si saria fatto il Processo sopra non cultu per poi dichiararlo Martire, eperò non vogliono che si veda il castigo divino.Per levare qualche inconveniente li fù data sepoltura, non a quella

ordinaria de Padri, ma in una altra separata incontro la Cappella deiS.ti Giusto e Pastore dove è oggi la Cappella di S. Anna.Venne la matina il P. Silvestro Pietra Santa, et in presenza di tutti,

disse che già era morto il P. Mario, e la magior consolatione che luihaveva havuta era che l’haveva confessato il P. Pietro et era morto inmano sua con tanti buoni raccordi e documenti.Li rispose il P. Pietro, che lui non l’haveva confessato altrimente

perche quando andò a visitarlo cossì comandato dal P. Gnale non erain stato di potersi confessare, ma bensì al meglio che haveva potutol’haveva fatto fare qualche (atto) di contri.ne come anco haveva fatto

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il P. Pietro della Nuntiata con raccordarli i punti della Passione diChristo Sig. Nostro, e questo di rado per non infastidirlo, e parevasentiva voluntieri.Pensavano i nostri Padri che fosse finita la persecutione doppo la

morte di questo 2º Saullo, che tal nome merita, che perseguiva iGiusti come s’è visto in questi fogli di sopra; perche se Saulle perse-guitava Davide per uccidere il suo corpo; Davide lo seguitava per gua-dagnarne l’anima a Dio.Il med.mo fece il P. Giuseppe della Madre di Dio con il P. Mario,

che quanto più lo perseguitava, tanto più lui mandava sospiri, e prie-ghi a Dio per la salute dell’anima sua.Vediamo hora di nuovo perseguitato Davide da Absalone suo

figliolo, che per l’ambitione, capo della Superbia, per Regnare quanteimboscate li fece per ucciderlo. Mà come che Dio vedeva il mansuetoPadre, che haveva l’intentione retta, come il suo cuore, sempre loliberò e lo difese, perche non haveva altro fine che la sua Gloria e diguadagnar anime per il Cielo, havendolo eletto il Sig.re a guidar il suopopolo, e nettarlo dalle trappole de filistei, che volevano debbellare ilsuo Popolo eletto.Absalone per i suoi gravi misfatti fù da Davide per tre anni esi-

liato, per non darli la morte che meritava.Impatiente Absalone per lunghezza del tempo della mortific.ne

che non poteva tornar a Gierusalemme per goder della Regia delPadre et haver quell’applausi naturali, che sogliono havere i figli delRe, pensò di trovare qual mezzo opportuno acciò lo riconciliasse conil Padre e lo rimettesse in gratia sua come era p.ma.Scrisse una lettera a Gioab Capitan Generale di Davide e suo

Cugino, che li facesse gratia riconciliarlo con il Padre, che credevaesser stato abbastanza tre anni d’esilio, dove haveva molto patito enon voleva altra gratia che venire alla Corte e chieder perdono de suoimisfatti al P. del che li restarebbe sempre obligato &.Gioab, che era huomo di gran giuditio per allhora non li rispose

mà a bocca disse al messo, che li dicesse questa sola parola che have-ria pensato e con questo li diede licenza.Cominciò a pensare Gioab di trovar quel inventione d’introdurre

qualche discorso con Davide per terza persona a domandarli questagratia acciò il Re non la negasse e lui restasse impegnato di parolapche il Re era sdegnato e l’haveva negata a due tribù.Lo combattevano ancora molti pensieri che chi si mette tra Padri

e Figli, che alla fine chi si poneva a mezzo ne restava da sotto.Alla fine Gioab per non restare Inimico d’Absalone si risolvé di

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tentare la sua fortuna, chiamò una Donna sagace e oratrice, e li disseche se li bastava l’animo d’andare a parlare al Re, et impetrar unagratia, l’haveria arrichita per sempre mai havesse bisogno di nessuno, edoppo d’haverli fatto un esordio della sua benignità li dicesse tuttequelle parole che l’haveria dette lui acciò s’ottenga la gratia desiderata.Li rispose la Donna, che voluntieri saria andata, li dicesse pure

che cosa haveva da trattare, che non mancava materia di movereDavide a concederli quel che voleva.Diteli li disse queste proprie parole: Sacra Maestà ricordatevi del

vostro sangue, che lo tenete mortificato e lontano da voi, sono già pas-sati già tre anni, che non vi vede, la moglie e figli piangono, e le vostrecose stanno in mano aliena, è vero che Absalone ha fatto male, ma lamisericordia e perdonare è di Prencipi grandi, e mentre si sottomettesotto i suoi piedi, fateli questa gratia acciò possa venire acciò non diain qualche disperatione, ne mai nominate la mia persona, se nonquando non forzasse a dir chi l’haveva mandata, che ottenendo lagratia voi sarete ricca, et Io libero da miei pericoli e pensieri.Andò la donna dal Re tutta pomposa, cercò l’udienza, e subito

l’ottenne, et adoratolo li fece un esordio delle sue grandezze et elettoa governar il Populo di Dio, in tal maniera, che non finiva mai. Allafine li disse quanto l’haveva insegnato Gioab pregandolo quantopoteva di questa gratia.Davide che era illuminato da Dio li disse: Dimmi Donna la verità

chi vi ha insegnata questa fina rettorica, e chi v’ha mandata da noi, ese non dite la verità pagarete la pena meritata.La povera Donna si trovò in un mare di confusione, e li disse:

Sig.re Gioab vostro Capitan Generale m’ha insegnato quanto dovevodire, et Io che amo la pace voluntieri son venuta a chiederli questagratia.Dite a Gioab li rispose, che me ne parla lui, che fratanto farò ora-

tione a Dio per saper la sua voluntà, se è espediente.Usciva la Donna dall’udienza, appunto venne Gioab e li narrò

quanto haveva operato col Re, e che andasse lui, che li voleva parlaredi questo negotio, e dalle sue parole haveva cavato buone speranzed’ottener la gratia, che l’havesse perdonata se haveva scoverto haverlamandata lui perche se non lo diceva l’haveva minacciata della vita.Entrato Gioab da Davide li disse con bella maniera che era tempo

di far la gratia ad Absalone suo figlio, che instantemente ne l’havevapregato, giura di volersi emendare e solo desidera adorarlo prima dimorire; non haveva voluto romper lui questo ghiaccio a drittura pernon haver un no come haveva fatto a tanti grandi, ma s’haveva servito

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di qlla Donna che col suo ben parlare non credeva che le negasse lagratia.Li rispose a Gioab non se li puol negare nessuna gratia, che lo

facesse venire a Gierusalemme e piaccia a Dio che si sia emendato,perche alle volte sotto il manto di pecora divengono lupi arrabbiati,ma che staria a vedere i suoi portamenti.Spedì subito Gioab un suo messo ad Absalone, che se ne venisse

volando a Gierusalemme solo e senza compagnia, che già il Re l’ha-veva agratiato, e l’haveria introdotto a chiedergli perdono, ma si por-tasse in maniera tale, acciò il Re non si possi lamentare di lui e fussedisgratiato per amor suo, che saria peggio di p.ma.Giunto l’imbasciatore ad Assalone li fece l’imbasciata, si pose a

cavallo per le poste, et arrivato alla porta della Città trovò Gioab chelo stava aspettando, era anco lui solo per non dar occasione ad altri dicorteggio con ordine che nessuno di quelli che lo vedessero non faces-sero nessuna dimostratione.Giunti alla Regia entrò Gioab dal Re, e li disse, che già era venuto

Assalone suo figlio ai suoi piedi, se comandava che fosse entrato achiederli perdono.Li rispose che li dicesse che se n’andasse a Casa, si riposasse e

non fosse venuto all’udienza, se non quando l’havesse mandato a chia-mare perche hora non era tempo.Restò tanto afflitto Assalone di questa risposta di non haver

potuto parlare al Padre, se n’andò alla sua casa con ordine, che nonfosse introdotto nessuno a visitarlo.Si ritirò Davide a far oratione a Dio acciò li mostrasse quel che

doveva fare di Assalone suo figlio per non esser satisfatta la giustiziadelle sue gravi colpe per il che diede ordine, che nessuno (vada) d’As-salone, ne voleva che si facesse dimostratione nessuna p lui.Erano passati più mesi e mai si vedeva chiamare Assalone dal

Padre; fece intendere a Gioab, che credeva che bastasse la secondamortificatione che ancora durava, che s’adoprasse col Re che li com-pisca la gratia, perche stava già contento all’esilio, che poteva pratti-care qualche Cavaliero, hora si vede solo et abbandonato da tutti.Li fece rispondere che havesse più patienza perche ancora non

era tempo di parlarne, havendoli detto il Re lui l’haveria fatto chia-mare, ma prima voleva farne oratione a Dio.Li trafisse il cuore questa risposta non sapendo come si fare, e

sempre andava pensando, che Gioab era quello che lo teneva lontanodal Padre, che pensava di vendicarsene a suo tempo.Erano già passati ventidue mesi e mai si vedeva resolutione

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nesuna, vinto dalla passione fece abruggiare quanto possedeva Gioabsenza che si sapesse l’autore di questo fatto.Gioab che pensa di star bene, che aspettava il tempo, pensò di far

ogni sforzo di parlar al Re acciò chiamasse il figlio, perche dubitavache con qualche tradimento non lo facesse uccidere, alla fine li vennel’occasione pronta per haver havuti alcuni avvisi dal Campo, che li fili-stei s’andavano ingrossando, e facevan gran danni alli Israeliti.Se n’andò prestamente dal Re, e raccontandoli il caso, li chiedeva

licenza d’andar al campo per raffrenar l’Inimico, ma prima di partireli voleva domandar una gratia acciò compisse l’opera già cominciata, ecredeva che l’haveria concessa.Disse il Re, forse volete che venga da noi Assalone?Questa è la gratia, che voleva domandarli, perche sono vicino a

due anni, che sta ritirato in Casa e tre d’esilio che fanno cinque anni,lui è tutto humiliato, e sta impatiente, in tanto tempo non haverlipotuto chiederli perdono, e benche non meritasse, usa pure l’amorPaterno verso suo figliolo acciò non moia di malinconia, e poi da tuttifosse pianto.Li disse il Re, che a lui non si deve negar qualsivoglia cosa, che da

sua parte parlasse al Tesoriero e provvedesse di quanto bisognava,acciò Assalone venga da me con la maggior pompa, che si deve. E voil’introdurrete nel mio trono doppo il ritorno dal Campo, fra tantoavvisatelo, che si metta all’ordine, e veda quel che li bisogna, che alvostro ritorno faremo questa funtione, e piaccia a Dio che riescasecondo sta alla mente perche si sentiva nel cuore una contrarietà diqualche accidente, va pur felice.Preso congedo Gioab dal Re, se n’andò a trovar Absalone, e nar-

ratoli quanto haveva operato per lui, che stasse pur lieto e si mettesseall’ordine che già s’era ordinato al Tesoriere che spenda quanto biso-gnava, e facesse l’invito del Corteggio che fra poche settimane lui sariatornato dal campo a Gierusalemme.Restò tanto appagato Absalone di questa nuova, che non finiva

mai di ringratiarlo mostrandosi tutto humile ma allegro.Partito Gioab stiede da quindici al Campo, raffrenò i Filistei e

dati gli ordini opportuni se ne tornò a Gierusalemme, diede relationeal Re delli buoni successi della Vittoria che haveva havuta contro i fili-stei, e si vedeva che Dio li secondava, et in rendimento di gratie fac-ciamo la sollennità del ricevimento d’Absalone conforme V.M. l’ha-veva promesso.Li risposse che elegesse la giornata acciò il Popolo ne facci alle-

grezza, che voluntieri l’haveria ricevuto.

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Uscito Gioab dalla Reggia fece toccar le Trombe in segno d’alle-grezza senza palesare che cosa fosse; se n’andò da Absalone con unacomitiva di cavalieri a darli parte della stabilita pace con il Padre, etappuntato il giorno che doveva andar all’udienza, si pose all’ordinecon una grand.ma magnificenza di ricchezze e corteggio.Non mancò Gioab ancor lui di far una grossa spesa per esser con-

dottiere del Prencipe Absalone.Venuto il giorno della funzione, andò Gioab seguitato da una

gran comitiva di Prencipi e Signori e fattolo mettere a cavallo lo con-dusse con le trombe passando quasi per tutta la Città in segno d’alle-grezza.Giunti al Palazzo Regio, smontato tutto il Corteggio, che Davide

godeva di vederlo da una finestrina, si pose in trono et entrato Gioabconduceva per la mano Absalone, e giunto al trono fatte le debite alRe, Absalone con volto mesto, se l’ingenocchiò davanti, li bagio ipiedi, e li chiese (perdono) delli errori che haveva fatti, lo ringratiavadella gratia che l’haveva fatta per mezzo di Gioab, che lo giurava perfratello, che scusasse l’attioni giovanili, che per l’avvenire li saria statofiglio obediente e servo fedele.Si commosse tutto Davide a queste parole in tal maniera, che li

grondavano le lacrime dall’occhi, e solo li rispose: figlio piaccia a Dio,che sia cossì, e fattolo levar in piedi l’abbracció caramente, ricordan-doli, che si portasse da suo figlio se voleva la bened.ne da Dio, comel’abbracciava e li dava lui, li fece sedere, e doppo molti buoni raccordifu licenziato il Corteggio, si venne al pranzo reale publico dovemangiò il Re, Absalone e Gioab e per ter giorni durarono le festepubliche per la Città con allegrezze straordinarie et ognuno cercava dimettersi in gratia d’Assalone, e lui con una humiltà profondissima atutti rendeva mercede come se fosse stato un semplice cortigiano.Godeva il Re di questa sua humiltà pensando che fosse vera.Passati alcuni giorni prese licenza dal Re per andarsene la sera a

Casa sua con la Moglie e figli, con questo però che la matina sariavenuto a servirlo come doveva senza fasto e corteggio, perche nondesiderava altro che servire il Re suo Signore, non come figlio macome Servidore.La matina buon hora si vedeva Absalone passegiare solo in sala e

quando veniva qualcheduno per qualche gratia o negotio che doman-dava al Re, subito Absalone lo chiamava, li domandava che cosavoleva e narratali i loro bisogni, in un momento li faceva spedire dalliministri dicendoli che la mente del Re suo Sig.re era che qualsivogliacausa si facesse subito con farli gratia di quanto domandavano.

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Precorse questa voce per tutte le Tribù, et imperio, et ognuno cer-cava a Absalone, che li facesse la gratia e lui voluntieri tutti abbrac-ciava, e facendoli carezze li spediva con tanta clemenza, che tutti l’a-doravano e benedicevano Dio che l’haveva dato un Prencipe cossìbenigno, non guardando ad interesse ne regali.Il fisco Regio non potendo sopportare tanta liberalità perche il

governo politico e la giustizia non caminava come si doveva, stiede avedere un pezzo; ma per succedevano delle cose che meritavanocastigo p esempio dell’altri, si risolvé un giorno dirne una parola aDavide per sapere la sua intentione acciò non fosse imputato a suomancamento.Benche Davide fosse avvisato dal fisco l’andava supportando per

l’amore paterno, che non sapeva quel che il figlio covava dentro ilcuore per la causa che si faceva tanti Amici, per tutti l’ossequiavanonon più come Prencipe, ma come la persona del proprio Re.Un giorno Absalone andò a trovar Gioab e li disse che haveva

fatto voto a Dio, che havuta la gratia dal Padre del suo esilio, li volevafar un sacrificio solenne in Hebron e come si tratta di voto è necessa-rio adempirlo, perche cossì ho sentito più volte cantar mio Padre perrender lodi a Dio, che di gratia n’ottenesse la licenza acciò lo possacompire.Li rispose Gioab che questo non si deva fare per terza persona

trattandosi di voto, che vada da per se, che il Re l’haverà accaro, e lifara dare quanto bisognasse.Andò Absalone dal Padre li raccontò il voto che haveva fatto a Dio

per la sua liberatione, e desiderava farlo con la maggior magnificenza,che si poteva, che li facesse gratia darli licenza, e la sua bened.ne, e darl’ordine che possi venire a veder questo sacrificio in Hebron.Li diede licenza Davide, et ordinò che si preparassero le vittime

in una gran quantia. Avvertendole che andasse con il suo cuore con-trito et humiliato, e netto d’immondezza acciò Iddio accetti l’olocau-sto con ben.ne.Havuta questa licenza mandò i suoi Ambasciadori alle Tribù, che

doveva esser in Hebron fra quindici giorni ad assisterli e menasseroloro tutti i magistrati acciò magiormente s’eseguisse la volontà del Resuo Signore, queste erano parole equivoche che non disse solo chedoveva andar a far il sacrificio.Quando le Tribù sentirono questi messi cominciarono a lodar

Iddio che il Re loro Sig.re li mandava un Prencipe cossì liberale, chea tutti haveva fatte gratie e n’aspettavano dell’altre, e perciò fu datoordine, che ognuno si preparasse con la magior pompa che si dovevaa riceverlo.

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Sparse poi per Gierusalemme, che doveva andar a far il sacrificio,e desiderava che andasse la Nobiltà.Venuta la giornata, presa la bend.ne dal Padre, partì da Gierusa-

lemme con un stuolo di Prencipi e Cavalieri.Anco le tribù si mossero subito l’andarono all’incontro, lo con-

dussero in Hebron, dove giunto se n’andò all’Altari preparati, fece unatto d’oratione, e fatte venir le vittime cominciò a scannare l’animalilui medesimo.Mentre che haveva cominciato il sacrificio d’alcuni suoi partigiani

fù gridato viva il Re Absalone p mille Anni.A queste voci acconsentirono alcune Tribù, che ancor loro grida-

rono dell’istessa maniera per i beneficii havuti da Absalone, forsi chepensassero che fusse questa la voluntà di Davide, e perciò ne fecerol’allegrezze.Saputa Davide la Ribeglione del figlio, chiamò la sua Guardia con

i suoi Corteggiani, che prestamente lo seguitassero e fugissero seco, esi salvassero, acciò Absalone non li cogliesse dentro le mura dellaCittà, perche finalmente il Popolo s’opporrebbe a questo suo p.mofurore e mandarebbe tutti a fil di spada, che era meglio hora a cedereet aspettar l’aiuto Divino, che opportesse prender l’armi, piche sitrova con uno esercito poderoso e noi sapremo come ha ordito questotradimento.Prese questo flagello Davide dalla mano di Dio che per i suoi

peccati lo castigava, come l’haveva annunciato il Profeta, e benche sipoteva difendere benissimo con ritirarsi alla fortezza di Sion, benmunita e fortificata con un presidio d’huomini valerosi che havevanofatta tante imprese, come si vedono nella sacra Scrittura, conside-rando che opporsi al furore del figlio, s’opponeva contro l’istesso Dio,e stava solo aspettando il suo aiuto, che stava aspettando quest’altrocastigo per adempirsi quel che l’haveva detto il Profeta e con questocompose quel salmo che comincia Domine quid multiplicati sunt quitribulant me, mentre che fuggiva quella persecutione.Partì dunque Davide da Gierusalemme, a piedi e scalzo, con tutta

la sua famiglia. Non lasciando altro al suo Real Palazzo per guardiache dodici sue concubine e questa fù providenza divina come li pre-disse il Profeta Natan, alle quali Absalone fece un vilis.mo oltraggio,senza portar rispetto al Padre.Passò Davide il Torrente Cedron con la sua gente, che tutti pian-

gevano, che abbandonavano quella Città e Regno, e lui confortavatutti a conformarsi col volere divino senza opporsoli a niente, maseguissero il viaggio con allegrezza.

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Erano in compagnia di Davide due Sacerdoti l’uno chiamatoSadhoc, e l’altro Abbiataro, alli quali commisse, che in ogni modoprendessero l’Arca del Signore, e la portassero alla Rocca di Sion,acciò con il furore d’Absalone suo figlio non la strapazzasse, comesogliono far i soldati che non guardano ne tampoco alle cose sacre pfar dispetto al perseguitato e che loro non partissero dalla Città perqualsivoglia accidente perche quella era la voluntà di Dio.Promisero i due sacerdoti di farlo con ogni prestezza; ma solo li

dispiaceva di lasciarlo, e che seguisse pure il suo camino mentre cheDio comandava cossì, perche loro l’averiano avisato di quanto occor-reva per mezzo di due leviti loro figlioli, mentre che lui haveva pen-siero di portarsi per quella alpestre campagna con la sua gente.Giunti i due sacerdoti alla Città, chiamarono i due leviti loro

figlioli e li dissero che se n’andassero dentro una grotta poco distantedall’habitato, et ivi facessero oratione e Dio e che quel che l’haverianomandato a dire per una Donna subito andassero a trovar Davide e lidicessero quanto li diceva la Donna perche quel che si pretendeva eraper salvare il Populo eletto e la vita di Davide nostro santo Re.Fra l’altre prime cose che i due leviti avisarono Davide, che il

motore della Ribeglione et haveva il pmo luogo appresso Absalone eraAchitofele, che era stato il suo privato, e sapeva dove stavano i suoitesori e quanto Davide haveva nella sua mente e perciò Absalone nonmoveva passo senza la consulta di Achitofele.Dispiacque molto a Davide che Achitofele era quello che guidava

Absalone, perche lui era quello che sapeva tutti i suoi secreti, e perciòfaceva oratione a Dio che l’illuminasse e li mostrasse il vero sentieroper levar l’offesa che si faceva a Dio, e perciò compose quel salmo checomincia In te Domine speravi non confundar in aeternum, in Justitiatua libera me.Giunto Davide sopra una collina dove era un gran sasso che si

poteva vedere la Città ivi sagli p dar l’ultimo vale alla Città, et adorarel’Arca del Signore, pensando che non l’havesse più veduta con tuttoche haveva ferma speranza che Dio l’havesse d’aiutare come havevafatto in tante tribulationi.Non si trovò alla Città Cusai vecchio Consigliero di Davide, il

quale saputa la Ribeglione d’Absalone e vista tutta la Città piena diseditioni, si pose in viaggio et andò a trovar Davide mentre che stavasu quel sasso adorando l’Arca del Signore, si strascio le vesti e siasperse il capo di cenere e cominciò a piangere l’infortunio del Re suoSig.re, e lui come fedeli.mo servo lo voleva seguitare sino alla morte lasua fortuna e finire quei pochi anni che li restavano in sua Compa-

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gnia, molto li dispiaceva che Achitofele fusse stato causa di tanto malefacendosi capo il pº consigliero contro Vª Maestà.Li rispose Davide che sapeva molto bene la sua fede e costanza et

haveva molto caro la sua compagnia e consiglio, ma per la sua grandeetà non l’haveria potuto seguitare. Meglio saria che se ne tornasse allaCittà, ad Absalone, et offerirseli suo Amico e servo, che come erastato fedele al Padre, saria anco fedele al figlio e con questa occasionehavrebbe rintuzzato le male consulte che dava Achitofele al figlio e diquel che si trattava nel Consiglio secreto proferisse tutto alli dueSacerdoti Sadoch et Abbiataro che loro per mezzo delli figli leviti cheandavano per quei monti alpestri convertendo Anime a Dio, l’have-riano fedelmente avisato di quanto trattano fra di loro, tutto questodiceva con un animo generoso et intrepido che confidava solo a Dio,et a lui.Giurò Cusai per la sua Corona, che haveria operato quanto have-

ria saputo et avisatolo come li comandava, che stasse pur allegro efacesse oratione a Dio, che questo lo liberasse da queste tribolationi, epiangendo si partì con chiederli la bend.ne.Giunto Cusai a Gierusalemme, se n’andò subito alla regia, e fin-

gendo di non saper le cose come erano passate l’espose che si ralle-grava molto d’essere stato eletto Re, e che lui era stato uno de princi-pali Consiglieri del Padre, e sicome l’era stato fedele, cossì saria statofedele a lui come suo figliolo in tutte l’occasioni che voleva.Molto si rallegrò Absalone d’haver guadagnato Cusai 2º Consi-

gliero di suo Padre, li disse, che si voleva servir di lui in tutte le con-sulte secrete che si dovevano fare, sapendo quanto importava un buonconsiglio d’un vecchio versato in tutte le cose del governo del Regno;haverà ancora in sua Compagnia Achitofele, che spero da loro ognibuon Conseglio, ne farò cosa senza lor saputa.Non s’attentò Achitofele contradire ad Absalone che haveva

accettato Cusai, perche stava aspettando l’occasione di farlo cascare inqualche sua contrarietà, perche sapeva molto bene che mai haveriaabbandonato il partito di Davide, perche facil.te haveria dato in qual-che scoglio et all’hora haveria fatto il fatto suo, acciò rimanga Padronedi Absalone.Stava tutto arrabiato Absalone contro il Padre, fece chiamare

Conseglio di Stato e di guerra per vedere quel che più fusse espe-diente che voleva in ogni modo haver nelle mani Davide et ucciderlo.Domandò prima Achitofele che li dicesse il suo parere.Li rispose che si doveva mettere all’ordine con l’esercito et andar

a trovar Davide prima, che ingrossi l’esercito, che altrimente dandolitempo, haveria dell’aiuti et hora è sprovisto e si coglie a mano salva.

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Rispose Cusai che non li pareva conveniente cossì presto, percheera bene preparar l’attrezzi e furaggi per l’esercito essendo che si deveandar a luoghi alpestri che non si trovano foraggi, e li soldati quandoli manca la provisione facilmente si ribellano e passano dalla parte del-l’Inimico, pure faccino come meglio li pare.Piacque ad Absalone questo conseglio e determinò che secreta-

mente si dasse ordine alle Tribù e che ognuno venisse provisto d’armie foraggi fra il termine di quattro giorni sotto pena della vita.Finita la conferenza il vecchio Cusai, se n’andò al tempio a fare

oratione, e trovati i due sacerdoti Sadhoc et Abbiataro, e li disse chela sera andassero al suo Palazzo, che in ogni maniera li voleva parlarecome fecero.Chiamati Cusai i due sacerdoti dentro al suo Gabinetto li disse,

che prestamente mandassero i leviti ad avisare Davide che in ognimaniera quanto più presto poteva passasse il Giordano, altrimenteveniva Absalone et Achitofele con l’esercito e l’haveriano ucciso, equesta era tutta machina d’Achitofele, ma che questo non si scopraperche tutti sariano uccisi; e perche questa era causa di Dio e delPopulo eletto toccava a loro rimediare a tanto danno come sacerdoti,e Davide l’haveva ordinato.La med.ma notte Sadhoc et Abbiataro mandarono una Donna

che subito andasse alla grotta dove stavano i due leviti, e li dicesse,che prestamente corressero a trovar Davide e li dicessero che si sal-vasse e passasse il Giordano; altrimente veniva Absalone et Achitofelecon l’esercito et haveria preso a mano salva, che andasse pure, e nonhavesse paura.Andò la Donna con un suo Garzoncello e trovati i due leviti Gio-

nata et Achime l’espose l’imbasciata, i quali subito cominciarono acorrere per una strada incognita et alpestre.Fu vista la Donna con il Garzone in quell’hora cossì incognita e

domandatala che haveva fatto a quella grotta, e chi erano quelli checorrevano, e dove andavano.Li rispose che haveva perso quel suo garzone, e l’haveva trovato

in quella grotta solo, e non haveva visto nessuno.Andò la spia d’Absalone, li disse quanto passava, e dubitava di

qualche inganno e tradimento contro di lui.Subito Absalone diede ordine che montassero due soldati a

cavallo, et arrivassero quei due che correvano e li portassero a lui ovivi o morti, e dove arrivano chiedessero aiuto e favor sotto pena dellavita, che cossì ordinava il Re Absalone.Si posero a cavallo i due arcieri e correndo per quei alpestri

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monti viddero i due leviti che correvano, e mai li poterono giungereperche Iddio era con loro e li guidava.Accortosi i due leviti che erano seguitati da due a cavallo entra-

rono nella Città di Baurim e passando le Guardie entrarono in unaCasa d’una devota Donna, che conoscevano, e li dissero per amor diDio a chi lei serviva che li salvasse e mettesse in sicuro perche anda-vano per servitio di Dio e del Populo eletto.La buona Donna li calò dentro un cisterna e sopra la bocca vi

pose un lenzuolo con un poco d’orzo come per seccarlo al sole, e lidisse che non havessero paura, che Iddio al quale servivano l’haveriaaiutati e lei mai haveria palesato, che loro stiano in Casa sua.Giunti i due arcieri alla porta della Città di Baurim domandarono

alla Guardia dove erano andati quei due Traditori del Re, che sottopena della sua disgratia li dovessero rivelare altrimente haverebbonoposto a sangue e fuoco tutta la Città per loro l’haveva visti entrare enon sapevano chi erano.Li fu risposto che era vero che erano entrati due correndo dentro

la Città, ma non sapevano dove fussero andati.Prese tal paura ai circostanti che tutti si spaventarono. Un giovane

li disse che l’haveva visti entrare in Casa di una Donna e non sapeva chifussero ma havevano l’habiti alzati e parevano che fussero leviti.Da questo furono accompagnati i due Arcieri in Casa della

Donna, la trovarono che stava filando e cantava cose dell’allegrezza edava laudi al Sig.re.Entrati gli arcieri con una grand.ma bravura li domandarono

dove erano quei due leviti traditori del Re, che li dicesse la verità,altrimente l’haveriano posto fuoco alla casa e lei castigata di lesaMaestà per haver ammessi in Casa sua due leviti traditori del Re.No si mosse la Donna, seguitò il suo lavoro, ma con una bocca

ridente, li disse esser vero che i due leviti erano entrati in casa sua,l’havevano chiesta un poco d’Acqua per essere scalmati dalla sete, esenza dirli altro si posero a correre per quella strada, dove s’andasserolei non lo sapeva ne poteva mai credere che huomini cossì santi fus-sero traditori al Re, che facessero pur la diligenza, che volevano, chehaveriano trovato, che quanto l’haveva detto era vero.Fecero qualche diligenza e non trovando altro dissero tra di loro,

noi perdiamo il tempo e quei Traditori avanzano camino andiamopure dall’altra porta per sapere che strada havevano presa e li segui-remo sino alla morte.Giunsero alla 2ª porta, e domandata la guardia s’erano passati

due leviti, li fu risposto, che mancavano genti che passavano, che loro

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stavano in pace e la Città godeva quiete e non cercavano chi entrava echi usciva.Disperati i due arcieri di poterne haver più nuova rifocillarono e

se ne tornarono per la med.ma strada da dove erano venuti. Andavanofacendo i conti tra di loro come havevano da dir ad Absalone per sgra-varsi di non haver fatto le diligenze per arrivarli. Conclusero di direche non havevano trovato nessuno essendo stati sino alla città diBaunim, ne mai n’havevano potuta haver nuova da nessuno, che forsiquello era stato invenzione della spia per guadagnarsi qualche cosa.Tanto riferirono ad Absalone, li credé e non li fece nessuna imp.neAssicurati i due leviti dalla Donna, che i due Arcieri erano partiti

che uscissero pur fuora dalla cisterna, e senza nessuna paura potevanoseguire il loro viaggio. Li fece mangiare, e cercandoli la bened.ne par-tirono.Giunti i due leviti da Davide, l’esposero da parte di Cusai, che

prestamente si mettesse in camino, e passasse il Giordano acciò l’Ini-mico non lo cogliesse all’improviso, che questo pretendeva Absalonecongiunto con Achitofele suo Consegliero.Inteso ciò Davide subito chiamò Gioab e li disse che in silenzio lo

seguitasse con l’esercito perche veniva l’Inimico e Cusai era fedele el’haveva avisato, perche cantando quel salmo Laetatus sum in his quaedicta sunt mihi si posero in camino caminarono tutta la notte, e lui apiedi scalzo al far del giorno valicarono il Giordano. Tutti piangevanoe Davide cominciò a cantare quel salmo Ad Dominum cum tribularer,et exaudivit me.Passato il Giordano senza provisione alcuna, chiedeva l’aiuto

divino acciò lo soccorresse, e li mostrasse dove dovesse andare, erapoco distante la Città di Manachim molto forte e ricca, ivi prese ilcamino, dove fù ricevuto voluntieri dal Magistrato, e fu refogillato.Saputo da Absalone, che il P. haveva passato il Giordano e s’era

salvato a Manachim, tosto ancor lui passò di là del Giordano con l’e-sercito, e piantollo all’incontro della Città di Gualad luogo eminente eforte.Mossi a compassione i Cittadini di Manachim, vedendo l’esercito

d’Assalone che perseguitava il Padre era ben provisto et altre tantosprovisto Davide, cominciarono a trovar modo di sovvenirlo, etognuno faceva quel tanto che poteva perche compativa il Re persegui-tato dall’indegno figlio.Pregarono un Cavaliero molto ricco chiamato Sob, fratello del Re

degli Ammoniti, che volesse ancor lui aiutare l’innocenza di Davide,che come Principe valoroso e liberale doveva in ogni modo soccorreril Re e la Città ancora acciò non fusse destrutta da Absalone.

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Voluntieri accettò questo cavaliero l’impresa, e furono di parere,che tutti assiemi andassero a consolare Davide et offerirli la vita equanto havevano.Andarono tutti assiemi da Davide e consolandolo, le dissero che

non temesse perche saria provisto di quanto haveva bisogno per lui eper l’esercito, offerendoli la propria vita quando bisognava.Li ringratiò con una humiltà grande dicendoli, che haveriano

molto guadagnato per liberar il Populo eletto di Dio e salvato lui dauna persecutione, che benche la mandasse Dio per i suoi peccati,haveva fede che l’havesse d’aiutare pche lui haveva retta e buonaintenzione.Diede ordine Davide al suo Capitan Generale Gioab, che spar-

tisse l’esercito in due squadroni perche voleva venire a giornata con ilRibelle figlio, e voleva esser il primo a combattere ancorche vecchio edi poche forze per i patimenti havuti.Haveva eletto Absalone Amasa per capitan Generale figlio d’Abi-

gail sorella di Davide per contraporlo a Gioab Capitan General di suoPadre pari di Nobiltà e sangue, e Generale quanto Gioab essendoquesti due valorosi Guerrieri fratelli cugini, et anco d’Absalone, chestava al fronte dell’esercito del padre aspettando di moverli la battaglia.Gioab non volle in nessuna maniera che il Re uscisse in Campa-

gna portandoli raggioni tali che lo fece contentare, ma questa fu poli-tica, perche dubitando che Davide vedendo il figlio in qualche peri-colo non s’intenerisse, et in cambio della vittoria, n’havesse la perdita,mà solo le pregava che continuasse a far oratione a Dio acciò liberi elui et il suo Popolo da un tiranno.Si fece vincere Davide di ritirarsi, fece chiamar a se tutti i Capi-

tani animandoli alla battaglia, havendo pª l’occhio all’honor di Dio,alla giustitia et alla riput.ne, mà solo l’imponeva che salvassero la vitaad Absalone e nessuno havesse ardire di toccarlo che ancorche fusseRibello, l’haveva permesso Dio p i suoi peccati.Si ritirò Davide alla Rocca, si diede alla continua oratione, et ivi

compose li sette salmi penitenziali.Prese congedo Gioab et andando con un animo generoso si pose

all’ordine, perche vedeva che l’inimico lo stava aspettando e l’havevamandata l’imbasciata.Diede ordine Gioab, che li due squadroni non si movessero se

non quando veniva l’Inimico perche lui l’andava a provocare dal sini-stro corno, e quando vedevano che già era mosso lo cingesse il drittocorno e lo ponesssero in mezzo che facilmente l’esercito si dissunirà etil pº che saria fuggito saria Absalone, che come inesperto di guerra si

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saria confuso, e lui lo saria andato ad incontrare. Fratanto si racco-mandassero tutti a Dio acciò levi il castigo al suo Populo, che speravaper mezzo dell’orationi di Davide arrivassero al cospetto divino, ethaveriano havuta la vittoria senza tanti contrasti e spargimento disangue. Su Guerrieri del Popuilo eletto andiamo con fiducia percheoggi otterremo la palma della vittoria contro il Ribelle Patricida.Animati tutti da questo glorioso Guerriero si posero in camino et

incontrato Gioab l’Inimico fù tale l’assalto che cominciò subito Absa-lone ad haver paura e visto che li due squadroni lo ponevano inmezzo si pose a cavallo sopra una mula, fuggì dentro una folta selvadove mai era stato e correndo dentro quei folti alberi s’incontrò inuna quercia frondosa, e nel passare sbattendo i suoi rami vi restòattaccato per i suoi biondi e lunghi capelli, che haveva nutriti conambre et odori da quando era Giovanetto, che quasi toccavano laterra e lui si dilettava.L’esercito d’Absalone vedendo fuggire il Capo, si disordinò in tal

maniera che cominciò a fuggire parte per i monti e parte per la selva,e quivi ne fu fatto un gran macello senza perdonare a nessuno.Andava per bosco un gran soldato dell’esercito di Davide per

trovar qualche soldato inimico, e vidde la mula d’Absalone, che stavapascendo, e pensando che quivi fusse smontato, li vidde pendere dallaquercia, che si sbatteva et aiutava con le mani, ma quanto più simoveva, tanto più s’andava involuppando con i capelli, non volle toc-carlo per (non) trasgredir al comand.to del Re, che haveva espressa-mente ordinato, che salvasero la vita ad Absalone.S’incontrò il soldato con Gioab Capitan Generale, li raccontò

d’haver visto Absalone pendere per i capelli dalla quercia, che ancoraviveva e la mula che cavalcava l’era fuggita, e stava pascolando pocovicino.Rimproverò Gioab il soldato per non haverlo ucciso, che oltre

d’haverlo fatto Capitano, l’haveria arricchito, e come soliamo tutte lespoglie che come ribelle li toccavano.Li replicò che si raccordasse che il Re haveva ordinato a lui et a

tutti i Capitani, che si guardasse ognuno di mettere le mani sopraAbsalone suo figlio, e se l’havesse fatto suo Locutenente Generale edonatoli una Tribù non haveria trasgredito l’ordine Reggio.Non fece conto Gioab dell’avertimento del soldato, ma più presto

parve di far poco conto dell’ordine del Re.Si pose in camino, e trovato Absalone pendente in quella maniera

che sbatteva, con una lancia lo percosse nel petto.Giunta la guardia di Gioab lo finì d’uccidere e poi strascinato il

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corpo dentro un vallone del bosco ivi lo sepelirono e lo coversero dipietre permetendo cossì Iddio che come Patricida fusse uccisso conuna stravagante morte come successe a Giuda Traditore, che per Ava-ritia e superbia tradì il suo Maestro, che l’haveva fatti tanti beneficiiper darli il Paradiso, mà egli riconoscendosene indegno s’appiccò conle proprie mani, e come Patricida miseram.te finì la vita con mandarl’interiora fuora. Siche ognuno si guardi di pigliarsela contro il Padreperche Iddio sa trovar quei mezzi opportuni mentre stà nell’augi difortuna per castigarlo.Morto Absalone Gioab fece toccar le trombe per radunar l’eser-

cito, che andava tutto smarrito e fugato, li concesse il perdono gene-rale, purche rendessero l’hubidienza dovuta al Re Davide, riserban-dosi solo due persone conforme l’intentione del Re, che lui solo lipoteva perdonare e farli la gratia.Per questo fatto cossì generoso tutti cominciarono a far festa et

allegrezza gridando viva il nostro Re Davide per mille secoli liberatoredel Popolo eletto da mano d’un Ribelle Patricida.Povero Achistofele conduttiero dell’esercito e pº Consigliere

d’Absalone, restò tanto affrontato, che non sapeva dove volgere ilpasso, facendo i conti suoi, che uno di quei riserbati da Gioab dal per-dono generale per esser stato lui il fomentatore d’ogni male.Tutto tremante si fece animo, si prostrò a Gioab chiedendoli per-

dono e la vita, che sforzato da Absalone haveva aderito ai suoi pen-sieri, che li facesse gratia dichiarare se lui fusse uno di quelli, che nonentrava al perdono generale, che rivocasse la sentenza, e l’ammettessecon gli altri che erano stati perdonati, altrimente si saria data la mortecon le sue proprie mani.Achima (Cusai!) l’altro Consigliere suo competitore tutto lieto e

ridente supplicò ancor egli a Gioab, che volesse perdonare ad Achito-fele ancor che fusse stato Traditore al re, che era giorno d’allegrezza esi dovevano multiplicare le gratie.Si voltò Gioab ad Achitofele e li disse, che si ritirasse a suoi

poderi, che con il tempo haveria lui ottenuto il perdono.Comparve davanti Gioab Achima levita figlio del Sacerdote

Sadhoc e li chiese in gratia che li dasse licenza d’andar a dar la nuovadella vittoria a Davide, e della morte d’Absalone, perche lui era statoquello, che haveva avisato Davide che subito dovesse partire e passaril Giordano perche veniva Absalone a coglierlo a mano salva.Li rispose che sapeva molto bene le fatiche che haveva fatto come

sacro levita a salvar la vita del Re; ma non voleva in nessuna manierache v’andasse perche in cambio d’allegrezza l’haveria più presto con-

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tristato per la morte d’Absalone, e questo non è bene, che lo sappiaper bocca d’un levita, per lui l’haveria dato l’aviso.Chiamò subito un soldato sagace e li diede ordine che presta-

mente andasse a dar aviso al Re della vittoria havuta contro l’esercitod’Absalone, ma che non dica mai cosa nessuna della morte di lui, masolo che era fugito.Spedito il soldato, doppo un pezzo tornò il levita Achima e di

nuovo li supplicò che li dasse licenza d’andar a trovar il Re, giache erapartito il suo messaggiero a portali la nuova della vittoria, che lui maihaveria detta la morte d’Absalone per non contristarlo.Si contentò Gioab e postoci in camino per vie più corte e sempre

correndo, giunse pª del soldato a vista della città, e visto da una senti-nella, che stava sui merli della Rocca, tosto ne diede aviso a Davide,che stava in corpo di Guardia aspettando qualche nuova.Le disse, Signore viene uno correndo a gran passo ne per anco si

puol conoscere chi sia.Li rispose che mentre veniva correndo era buon augurio et era

segno haver havuta la vittoria, con questo si ritirò a Palazzo e diedeordine che subito giunto il messo di Gioab fusse introdotto all’u-dienza al suo secreto gabinetto.Fra un poco la sentinella scoverse che veniva un altro a gran

passo, ne fu data parte al Re del che più si rallegrò.Giunto il levita alla porta fu dimandato che nuova portava.Li rispose, che doveva prima parlar al Re di cose importanti che

per hora non poteva dir altro, che poi l’haveria saputo.Introdotto il levita dal Re si pose ingenocchioni, e li disse sappiate

Signore, che già Gioab ha ottenuta la vittoria contro l’esercito inimicoe sicome Io fui quello che li diedi l’aviso che passi il Giordano percheveniva l’esercito Inimico cossì permesso da Dio, Io son il medesimoche li dò nuova della gloriosa vittoria.Li domandò subito il Re se Absalone s’era salvato.Non rispose il levita, mà seguitò a raccontarli le prodezze del suo

esercito, che risolutamente l’haveva havuta la vittoria senza molto con-trasto. Mentre che raggionava giunse il soldato, che haveva mandato

Gioab come suo Nuntio, fu fatto subito entrare, e fatto ritirare illevita per che s’era accorto che quando li domandò d’Absalone nonl’haveva risposto.Espose il soldato la sua imbasciata da parte di Gioab, e subito li

domandò se Absalone era salvo.Li rispose che non sapeva altro che havuta la rotta si pose a

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cavallo ad una mula con altri capi, e fuggì dentro al Bosco, e perchel’esercito non era anco raccolto non poteva dir altro, che quello chel’haveva detto Gioab suo Capitan Generale, e l’haveva spedito appo-sta pª del levita, che tampoco lui poteva saper altro.S’accorse il Re che Absalone era morto, cominciò a piangere ama-

ramente e dire figliol mio, figliol mio, Absalone, che si contentava diperder la battaglia e non il suo caro Absalone.Il giorno seguente giunsero alcuni Capitani e narrarono al Re la

vittoria della Battaglia e la morte d’Absalone.Sentendo ciò il Re, si squarciò le vesti, si prostrò in terra, e pian-

gendo la morte d’Absalone suo figlio, dicendo Absalone mio figlio,dove sei, e perche Sig.re me lo desti, e poi le l’hai tolto in questamaniera col anima.Onde alcuni esplicano che Davide non piangeva tanto il figlio,

quanto piangeva la salute dell’anima sua per la quale disse quellemisteriose parole Quis dabit capiti meo aquam et fontes lacrimarumet plorabo die ac nocte?Non ho havuta intentione di scrivere la vita di Davide, mà solo

far vedere la patienza del P. Giuseppe della Madre di Dio che erasomigliante a quella in molte cose.Habbiamo vista la patienza che hebbe con il P. Mario di S.

Fran.co, primo suo persecutore, et in cambio di risentirsi cercò tantimodi di ridurlo alla via dritta del Paradiso non solo con visitarlo tantevolte e lui non lo volle mai vedere e vedendolo indurito nel Cuorefece e fece far molte orationi al meno per aiutar l’anima sua con lecose spirituali, giache le temporali non havevano giovato.Il simile fece Davide a Saulle, come s’è visto.Vedremo hora la patienza del P. Giuseppe con il P. Stefano degli

Angeli secondo suo persecutore, che fu peggio di Absalone controDavide suo Padre, e lo sopportò con tanta patienza, che più volte loliberò della vita di mano de nostri fratelli, che in ogni modo lo vole-vano uccidere per il danno che haveva fatto non solo al P. Giuseppeet a loro mà anche a tutta la Religione.Morto che fu il P. Mario di S. Francesco, seppe tanto far si il P.

Stefano con il P. Silvestro Pietra Santa Gesuita che ingannaronoMons. Albici Assessore allhora del S. Ufficio, che l’estorsero da manoun biglietto che il P. Stefano con il P. Pietra Santa per ordine di N.S.e della S. Cong.ne della quale lui era Secretario, che governasserotutta la Religione, quando tutti i Padri aspettavano la Reintegrationedel P. Generale loro Fundatore e non il P. Stefano, che non solo nonera osservante della Regola, mà haveva altri fini come poi si vidde.

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Venne una matina a S. Pantaleo il P. Silvestro Pietra Santa e fattosonare il Campanello comune, vennero tutti i Padri e fratelli all’Ora-torio comune per vedere che novità era quella. Cavatosi dal petto ilbiglietto senza farlo vedere a nessuno, lo lesse egli medesimo, chediceva che essendo morto il P. Mario di S. Francesco, la S. Cong.nehaveva sostituito il P. Stefano degli Angeli Procuratore Generale sin-tanto che s’aggiustava la Religione.Saltò fuora il fratel Gio:Battista di S. Andrea, chiamato il Moro,

et un altro Chierico chiamato fratel Luca di S. Bernardo, che lo chia-mavano Luca Cecato, corsero adosso al P. Stefano, che lo volevanouccidere chiamandolo ambitioso, superbo e traditore, che con il P.Mario haveva rovinata la Religione, et hora con inganni si voleva farPadrone assoluto di tutti noi.Fuggì il P. Stefano alla stanza del P. Generale tutto tremante,

serrò la porta, s’ingenochiò avanti del P. piangendo per amor di Dioche l’aiutasse perche lo volevano uccidere senza saper perche.Vedendo il P. Pietra Santa un bisbiglio di tutta la Comunità che

nessuno lo voleva accettare per superiore l’andava dicendo che face-vano assai peggio perche la Sede Apostolica vuol essere ubidita, e luicome Visitatore Apostolico faceva l’ufficio suo, che di gratia si quie-tassero, che non era gran cosa haver patienza due mesi fratanto s’agiu-stano alcune cose della Religione.Fù risposto dal P. Pietro della Natività della Vergine, che N.Sig.re

haveva fatto il Breve alli Padri Assistenti, che per l’importunità del P.Mario s’erano esentati, et il Breve non era stato ricusato, siche toccavaa loro a governar la Religione sintanto s’agiusta, tanto più che questiSig.ri Cardinali non erano informati del successo.Ripigliò Pietra Santa dicendo che i Padri Assistenti havevano

rinunciato e la Sacra Cong.ne haveva accettata la rinuncia siche diquesto non occorre parlare, e lui come più vecchio si doveva quietare.Disse il P. Generale al P. Stefano che non dubitasse, e non havesse

paura, che lui haveria quietati tutti purche lui s’emendasse e si por-tasse bene, et agiutasse la Religione sua Madre come era obligato,perche quel tempo che ha governato il P. Mario ha fatta rilasciar laRelig.ne con tanto danno, che Dio sa quando si potrà rihavere perches’è servito di persone pochi osservanti et i Superiori conforme cami-nano loro fanno gli altri.Gli promise piangendo che per amor di Dio l’aiutasse perche lui

solo voleva dipendere della sua consulta.Finalmente aprì la porta il P. Generale uscì fuora serrando di

dentro il P. Stefano, subito l’andò ad incontrare il P. Pietra Santa et

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assentatisi assiemi il Padre Pietra Santa con la sua Rettorica, pregò ilP. che vedesse di far ubidire agli ordini della Cong.ne del S. Ufficioper non incorrere nella sua indignatione perche questo negotio li davalui parola, che al più fra due mesi sariano agiustate le cose della Reli-gione con ogni quiete e pace. Prese licenza il P. Generale che si contentasse dir quattro parole

ai Padri acciò restassero capaci e satisfatti.Si levò in piedi et invocato lo Spirito Santo fece un bellissimo

discorso sopra l’hubidienza della quale tutti havevano fatto il voto eche mentre la S. Cong.ne haveva determinato che fratanto s’agiustanole cose della Relig.ne governi il P. Stefano, che l’accettassero pure perquesto poco tempo, che non era gran cosa, che si saria portato bene,che con la patienza unita con la voluntà di Dio da tutto si cava fruttoe merito per l’Anime nostre.Saltò fuora il P. Carlo di S. Maria greco unito con il fratel Filippo

di S. Francesco Lucchese, e replicarono che era vero che havevanofatto il voto d’ubidienza, mà non per haver per Superiore il P. Stefano,per il che il P. Generale troncò il discorso per non venire a qualchecimento maggiore. Li disse che tacessero, e quando toccava a loro par-lassero senza passione e conforme la Professione rispondessero chepensassero bene esser religiosi et humili più dell’altri.Per la veneratione e rispetto che portavano al P. Fundatore

ognuno si quietò e stavano a sentire.Propose il P. Generale come più vecchio e pº Professo, che lui si

protestava voler ubbidire agli ordini della S. Congregatione, et accet-tava per suo Superiore il P. Stefano degli Angel e l’haveria ubidito,come comandava la S. Sede Apostolica alla quale intendeva ubbidireconforme era obligato.Fù dimandato il P. Pietro della Natività della Vergine 2º Professo

che era stato Assistente e pº Compagno del P. Generale che dicesse ilsuo parere.Rispose, che si rimetteva a quanto haveva detto il P. Fundatore

che come era prudente et Institutore della Religione tutti dovevanoseguitarlo.Disse il P. Francesco della Purificatione 2º Assistente, il quale

approvò quanto haveva detto il P. Generale.Fù poi dimandato il P. Gio: di Giesù Mª 3º Assistente alias il P.

Castiglia, e disse che voleva ubidire non solo al P. Stefano, ma anchea chi si sia mentre che Dio cossì comandava per bocca de suoi Supe-riori alli quali sempre haveva ubidito come locutenenti di Dio.Finalmente furono domandati tutti, de quali ancorche havessero

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grand.ma ripugnanza che mentre il loro Padre con i suoi Compagni lovolevano ancor loro l’accettavano, ma che stasse in cervello che nonfacesse cose nuove contro il P. Generale et alla Religione perche have-riano sparso il proprio sangue per la Religione loro Madre, poiche intanto tempo non s’era determinato la dichiaratione della reintegra-tione del P. Generale, perche credevano che questa fusse una machinacontro tutta la Relig.ne.Non parlò mai il P. Gio:Antonio Bolognese, ne il P. Nicolò Maria

Gavotti, ne i loro eguali, perche havevano paura che non si voltasserocontro di loro, che fomentavano il tutto.Fù chiamato il P. Stefano, che stava serrato dentro la Camera del

P. Generale, e venuto fuora tutto sbigottito e tremante, che fingevahaver paura, lo chiamò a sé il P. Pietra Santa, e li disse che già i Padril’havevano accettato per loro Superiore, et havevano fatta l’hubidienzadella S. Cong.ne, che si portasse in maniera tale che non habbia nes-suno richiamo, che lui saria il p.mo ad esserli contrario e presto sariasgravato da questo peso, e sperava prima di due mesi s’aggiustasserole cose della Relig.ne poiche le cose stavano in buon termine, cheavertisse di far portar quel rispetto dovuto al P. Generale perche que-st’era la mente di N.Sre e della S. Cong.ne.Il volpone s’ingenocchiò e ringratiò tutti et quanto al P. Generale

saria sempre dipenduto dal suo volere e l’haveria servito in quello chel’haveria comandato com’era di dovere, et a tutti haveria portato quel-l’ossequio che doveva, et haveriano esperimentato non con le parolema con le opere.Rispose frel Luca Cecato Amen e piaccia a Dio che sia cossì.Era già l’ora tardi, si licenziò il P. Pietra Santa dicendo, che

almeno una volta la settimana li saria venuto a vedere e se qualche-duno havesse qualsivoglia bisogno in qualsivoglia ora, sempre l’an-dasse a trovare, che l’haveria data ogni satisfatione e si licenziò.Fù accompagnato sino alla portaria e con allegrezza grande della

fattione del P. Stefano e mestitia di quelli che era due parti che non lovolevano, et interiormente dicevano lodaremo il fine di quel che s’èfatto, ma alla forza non è cosa che possa resistere nessuno, patienza,che cossì ha voluto il P. Generale e se n’accorgerà.Non poterono contenersi i seguaci del P. Stefano per l’allegrezza

d’haver ottenuto il loro intento, davano mille risate, et hora minaccia-vano uno et hora un altro che volevano far pentire chi haveva contra-riato il P. Stefano con strapazzarlo in quella maniera, non portandorispetto al meno alla presenza del P. Visitatore Apostolico che havevaportato un ordine della Cong.ne del S. Ufficio, e non l’havevanovoluto ubidire, che però saranno castigati.

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Fu il tutto con prestezza riportato al P. Generale acciò rimediasseper non succedere qualche disordine.Non volse in nessuna maniera che se ne parlasse, e non guardasse

alle passioni particolari, ch’era il Demonio che andava suggerendoquelle cose p inquietarci.Fu conferito al P. Generale che due erano risoluti fare qualche

gran male al P. Stefano et alli suoi, che l’andavano minacciando ethavevano giurato.Subito li fece chiamare, et accarezzandoli li seppe dire le

machine, che andavano urdendo, e li pregò per amor di Dio, che nonsi lasciassero vincere dalle passioni e dal Demonio e di queste cosenon ne parlassero più, se havevano a caro prima la Religione, la Gloriadi Dio et anco la loro libertà e quello che pensavano far al P. Stefanoet alli suoi Aderenti, lo facessero più presto a lui, che l’haveria suppor-tato voluntieri, perche se mettevano le mani ad’osso (sic) al Superioreè metterle al med.mo Dio, che l’haveva creati per il Paradiso.Li seppe tanto dissuadere, che non solo li dissuasse a non far quel

male, ma raccomandandosi a Dio deposero ogni rancore e mai più siparlò di questo fatto, e non fu nemmeno dal P. Stefano ne dalli suoiaderenti.Si vede chiaro quella propositione, che sempre soleva dire il P.

Giuseppe Reddite bonum pro malo et Dominus exaudiet vos e contutto che sempre il P. Stefano con i suoi andavano cercando di disgu-stare il povero vecchio, per farlo morire, lui per il contrario andavacercando di farli beneficio, e liberarli dell’imminenti pericoli che sitrovavano come è vero Padre.Andavano alcuni zelanti della Religione a querelarsi dal P. Gene-

rale che l’osservanza delle Costitutioni andava per terra, perche il P.Stefano et i suoi Aderenti non caminavano da Religiosi, e che lui eraobligato a parlare ai Cardinali, acciò li correggano, perche non solonon sono osservanti, ma anco vi sono de peccati gravi che son degnidi gran castigo, e per loro Dio castiga tutti.Li rispondeva, che non credeva tanto, ma che fanno tanto danno

le relassationi; ma che l’aiutassero con l’orationi acciò essendovi qual-che cosa s’emendano, perche le cose che escono fuor di Casa nonfanno buon effetto massime al publico perche quando le cose s’esami-nano nelle Congregationi non dicono il tal Padre, o il tal fratello, mali Padri delle Scuole Pie, et in cambio di rimediare si rovina la Reli-gione con scapito anco dell’altre Religioni.Andarono una volta il P. Carlo di S. Mª Greco di natione con il fr.

Filippo di S. Fra.co Lucchese dal Cardinal Roma Capo della Cong.ne

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et accusarono il P. Stefano d’un peccato grave pensando forse checastigasse, et il Cardinale li disse, che lo ponessero in scritto, che l’ha-veria castigato come meritava, e non credeva mai che tra Religiosi suc-cedesse mai tal caso perche nelle Cong.ni non haveva mai sentito chenelle Scuole Pie succedano questi casi.Li rispose il P. Carlo che il metterlo in carta non pareva conve-

niente perche era poi di bisogno venir alla prove.Li replicò il Cardinale, che non si castiga nessuno con parole, che

possino essere passioni, et agravar la parte senza esser intesa non eragiustitia, e cossì li diede licenza.La sera raccontarono questo al P. Generale, il quale li disse che

erano due disgratiati, che in cambio d’aiutare la Religione la vitupera-vano e massime quando si tratta del Capo, per amor di Dio, che nondiano in questi eccesi, mà facessero più oratione che parole.Di queste cose ne successero molte, e mai ne volle parlare, anzi

più presto l’andava scusando, esortandoli che non ne parlassero, epensassero che loro erano huomini e potevano far peggio, e solo lipregava, che l’aiutassero con l’orationi e di queste cose non ne parlas-sero come lui del continuo pregava il Signore, che l’illuminasse, e conla patienza si vince ogni cosa.Non fu mai visto il P. Stefano entrar più nella stanza del P. Gene-

rale per dirli qualche cosa, ma se ne stava con la sua grandezza. Ne lochiamava più P. Gnale, mà vecchio balordo, che non si racorda diniente.I Padri quando sentivano queste cose n’havevano grand.ma affli-

tione. Conferivano con lui e li rispondeva che il P. Stefano diceva ilvero, che pregassero per lui, acciò il Signore l’assista e li facci far coseche siano prima di Gloria di Dio, e poi per beneficio della Religionech’era quello che importava, perche l’altre cose erano bagatelle e nonservivano ad altro, che seminar zizania p inquietarci.Uscito il Breve di Papa Innocentio Decimo dell’Anno 1646 della

distruttione della Religione viveva il P. Stefano nel Collegio Nazareno,mà perche non haveva compagno a modo suo cercava in ogni manierad’andar a stare a S. Pantaleo per far meglio i fatti suoi perche il Col-legio a quel tempo stava in Borgo dietro le muraglie di S. Pietro, equando voleva andar a negotiare o vero in casa sua era molto lontano,et il passar ponte quattro volte il giorno non li metteva conto.Un giorno mandò un P. del Collegio Nazareno con una imba-

sciata al P. Generale, che in ogni maniera s’adoprasse a farlo venire estare a S. Pantaleo, altrimente fra due giorni saria andato Mons. AlbiciAss.re dal Papa e l’haveria fatto dar il sfratto da Roma non solo a lui,

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mà anco al P. Pietro, Castiglia, Francesco della Nuntiata, Giuseppedella Visitatione, e Gabriele della Nuntiata, fratel Luca di S. Bernardoil Cecato e Gio:Battista il Moro, che questi erano quelli che l’eranocontrarii, acciò non venisse a star a S. Pantaleo, mà che solo li bastavail consenso e volontà del Gnale, che dell’altri non si curava se non delP. Pietro, e P. Castiglia che sapeva, che questi due si sariano contentati,altrimente che si preparassero d’uscir fuor di Roma, e li portasse subitola risposta, perche poi domani Mons. Assessore ne parlarà al Papa.Fù portata questa imbasciata al P. Generale, e quel P. la fece in

presenza del P. Pietro e P. Castiglia con qlla efficacia che poteva,agiungendo, che per (non) haver questo disgusto aderisse alla volontàdel P. Stefano, e considerasse esser vecchio cadente e non era beneper dar satisfatione all’altri morir fuora di Roma per i capricci d’alcunisuoi malevoli.Il P. Generale congiunse le mani et alzò gli occhi al Cielo, e disse

Signore difendete voi la Causa nostra per Io sono un verme, ne possofar altro se non la vostra santis.ma volontà. Dette queste parole stiedeun pezzo immobile che tutti restarono stupiti. Venuto in se li disse,che tutti i Padri erano Padroni di Casa, e che lui haveva solo un votocome l’altri e forsi meno che qui mi tengono per carità.Dica pure al P. Stefano, che se fusse per la parte sua, del P. Pietro

e del P. Castiglia non saria mai partito da S. Panatleo, mà che questiPadri di Casa non vi lo vogliono in nessuna maniera e se per mala for-tuna venisse qui alcuni sono risoluti buttarlo per una finestra, che Dioe lui sà quante volte l’haveva scampato dalla morte e succedendoqualche strano accidente, si protestava avanti Dio et avanti il mondoche non sapeva altro.Quanto poi che noi Poveri vecchi che per ordine di N.S. hab-

biamo d’havere il sfratto da Roma, ci confermaremo con la voluntà diDio, che questo nessuno ci lo potrà togliere, e lasciamo far a lui, cheprovederà.Quanto stava allegro il P. Generale et il P. Pietro, tanto piangeva il

P. Castiglia, che diceva Poveri Vecchi dove andaremo se viene l’ordinedel Papa, senza nessuno ricapito e sarà più la vergogna che il resto.Non disse altro il P. Generale, che per i suoi peccati meritava una

galera, e se N.S. ve lo mandasse, li faria un gran servitio perche forsihaveria campato al più due Anni, et haveria acquistato qualche pocodi merito. Ma Iddio, che non abbandona mai nesuno, massime chi loserve con vero cuore, sà disfare le tenebre, e le converte in luce.Dunque lasciamo far a Dio e non pensiamo ad altro, e facciamo comefaceva Davide, che ricorreva nelle afflitioni a Dio, e deia con affetto

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quelle misteriose parole paratus sum et non sum turbatus ut custo-diam mandata tua, e poi quel salmo In te Domine speravi non confun-dar in aeternum e poi lasciamo far a lui, che provvederà al tutto.Pregò il P. Generale, che per amor di Dio con quelli che erano

presenti, che questa imbasciata non si sappia per casa perche ne suc-cederia qualche grave disordine e saria l’ultima rovina della poveraReligione, ma Dio e la Beatissima Vergine che l’hanno creata trova-ranno ben il modo per sustentarla. Non basta al P. nel termine chel’ha ridotta, ma pensa di finir di distrugerla, lasciamo far a Dio, e nonpensiamo ad altro.Li promisero quei PP. di non parlare a nessuno come veram.te

fecero, e giurarono tacto pectore che non l’haveriano detto se non asuo tempo. S’accorsero molto bene esser inventione del Demonio, chetentava il P. Stefano per finir anche il nome delle Scuole Pie, poichequesto havevano a caro con il P. Silvestro Pietra Santa per far vedere,che quel che havevano fatto e detto era più che vero, che i nostriPadri erano inquieti e non volevano ubidire a Superiori ne tampocoalla Sede Apostolica e davano la colpa al P. Gnale.La notte seguente successe un Caso al Collegio Nazareno il qle fù

scritto da un Collegiante ad una monaca sua zia, che vedesse in ognimaniera di farlo dar ricapito perche non voleva star più al Collegiodicendoli minutamente quanto era successo.Capitò questa lettera in mano del P. Gabriele della Nuntiata

Genovese, il quale subito l’aperse e lettala senza far altro motivo neparlar a nessuno si chiamò il fratel Luca di S. Bernardo, che andasseseco, che voleva parlar a Monsig. Ghislieri sotto Decano della Rotaper i conti che havevano visti del P. Stefano.Entrato il P. Gabriele al studio del Prelato, si serrarono dentro, li

fece leggere la lettera acciò rimediasse.Il Prelato, che era persona di gran sapere e giuditio li disse che li

lasciasse la lettera e non parlasse a nessuno perche saria peso suo dirimediare senza disturbo per che non era cosa che la potesse far daper se solo.Licenziò il P. Gabriele Monsignore, si pose in carrozza e se n’andò

in Casa di Monsig. Dunazet francese Decano della S. Rota, e conferi-tali la lettera, appuntarono che si scriva un Biglietto a tutti i Prelatidella Rota, che a 20 hore si trovassero tutti al Collegio Nazareno senzacomunicar a nessuno dove andavano perche quivi si doveva far unaCausa d’importanza, e questo per ordine di Mons. Decano.Furono fatti i biglietti di mano di Mons. Ghislieri e consegnati al

Bidello della Rota, li disse, che si sollecitasse perche haveva molto da

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caminare e non bastandoli l’animo d’andar da tutti si facesse aiutareda qualche Cursore acciò l’aiutasse che saria stato pagato da Mons.Tesoriero della Rota.Anticipò Monsignor Ghislieri, passò da Mons. Corrado e Melzio

si posero in Carrozza e se n’andarono al Collegio Nazareno, che aquel tempo stava al Palazzo di Rusticucci vicino alla piazza di S.Pietro, e giunti impensatamente in sala furono incontrati dal P. Vin-cenzo Maria della Passione Savonese, perche il P. Stefano che stava inluogo di Rettore perche ancora non era provisto e l’altri Padri stavanocon i Collegianti facendo la scuola. Li dissero i Prelati, che nessuno dePadri si incomodassero, che seguitassero a far i loro esercitii per dove-vano far una Cong.ne secreta, e non volevano fastidii e che lui si riti-rasse sintanto che finivano.Venne Mons. Donazet Decano con l’altri Prelati, entrati in una

stanza si serrarono di dentro, lessero il Biglietto per veder s’era verofecero chiamare il Collegiante che l’haveva scritto, il quale disse essersua mano e l’haveva scrito lui, e quanto v’era scritto era veri.mo.Fu interrogato il Collegiante da Mons. Ottoboni Venetiano, che in

quel tempo era Tesoriero della Rotta, e disse quant’era successo la notteprecedente, e per testimonio chiamò il fratel Oratio Greco di natione,che dormiva al dormitorio dell’Alunni per guardia loro, che comequesto vecchio stava per guardia loro la notte precedente havendo sen-tito il rumore si levò in piedi cominciò a gridare con fracassi grandi, intal maniera che tutti i Collegianti si svegliarono e tutti sanno quel chesuccesse, e perciò lui haveva scritta quella lettera alla zia acciò li troviqualche comodità perche non voleva più star al Collegio, dove non sifaceva più oratione e le cose non andavano come pª, et erano strapaz-zati in tutte le cose, cagione di tutto il p. Stefano, che non viene mai amangiare con loro come si faceva p.ma, che tutti i Padri mangiavanocon loro, si leggeva a Tavola, et hora il tutto è dismesso.Havuta questa informatione quei Signori dissero al Collegiante

che non partisse dal Collegio, se pª non havesse finito i suoi studii,perche loro a tutto haveriano dato rimedio, che stasse pure allegra-mente, che si saria rimesso il tutto meglio che prima, e loro l’have-riano provisti di quanto bisognava.Li dissero che avertisse a non parlar con nessuno di quel che l’ha-

vevano demandato, ne di quel che lui haveva detto sotto pena di sco-munica riserbata al Papa e lo licenziarono.Stiedero un pezzo discorrendo, fecero poi chiamar il fratel Oratio

e visto un vecchio venerando fù dimandato che cosa era successa lanotte passata al Dormitorio delli Collegianti, che lui haveva gridato,

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dandoli il giuramento sotto pena di scomunica che dicesse la verità senon voleva esser castigato, che già sapevano qualche cosa, ma vole-vano saper da lui come custode del Dormitorio.Ill.mi Sig.ri li rispose senza farmi giurare ne mettermi scrupolo di

scomunica, li dico la verità come è passato il tutto, e raccontatoli ilcaso con ogni schiettezza e semplicità, li fu detto, che avertisse a nondir niente, perche al tutto si saria dato rimedio, e lui non havessepaura perche l’haveriano tenuto secreto, che havesse cura delli figlioliperche restavano edificati della sua diligenza.Furono poi chiamati due altri Collegianti i più grandi, li doman-

darono e dissero il medesimo, e trovatoli tutti uniformi li comanda-rono che non dicessero niente a nessuno sotto penna d’esser licenziatidal Collegio.Licenziati i Giovani i Prelati si serrarono di nuovo, e stiedero un

pezzo discorrendo per rimediare affatto, e procurare che si licenziasseil P. Stefano e far pregare il P. Fondatore che elegesse uno lui, chi liparesse più approposito e che sia di spirito, acciò havesse cura deGiovani acciò facessero profitto nelle lettere e nel spirito per eseguirela buona mente e voluntà del Cardinal Tonti.Di tutto fu data l’incumbenza a Mons. Ghrislieri sotto Decano

che operasse con la sua solita prudenza, ma che in nessuna maniera ilP. Stefano stia più al Collegio e fusse licenziato in nome della Rota.Mentre che i Prelati si mettevano in Carrozza giunse il P. Stefano,

vidde tutta la Rota, salutò quei Sig.ri, ed resoli il saluto domandò l’Au-ditore Aragonese s’era quello il P. Stefano; li fu risposto di sì, al chedisse che li pareva che havesse una fisonomia cogitabonda et huomo digran machine, ma che presto li passaranno perche haveva rovinata lasua Relig.ne e perseguitato il Fundatore e non poteva far bene.Fù l’ultimo a partire Mons. Ghrislieri, il quale chiamò da parte il

P. Stefano, e li disse che havendo considerata la Rota la gravezza espesa del Collegio non voleva che vi stassero tanti Padri; ma basta-vano sei e due laici e che haveva ordinato, che lui partisse dal Colle-gio, e saria bene che s’appartasse da Roma sintanto si finissero divedere i suoi Conti, che poi saria chiamato per sentir la determina-tione, che cossì haveva ordinato N.S. a Mons. Donazet Decano esenza sentir la risposta li voltò le spalle e se n’andò via.Restò molto confuso il P. Stefano, e saglito di sopra trovò il P.

Vincenzo Mª, li domandò come era passata la cosa.Li rispose che lui non sapeva altro, che era venuta tutta la Rota e

l’haveva ordinato che si ritirasse e non l’hanno voluto sentire; altro diquesto non li poteva dire per le cose sono andare tanto secrete, e solo

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il fratello Oratio poteva saper il tutto, che lo chiamarono, e lo tenneroun pezzo, e non l’haveva voluto dir niente rispondendoli che nonvoleva incorrere alla scomunica e lui non voleva star sugetto alla Rota,ma staria a vedere, e poi se ne voleva andar a Savona sua Patria,giache le cose caminano in questa maniera.Li disse il P. Stefano, che lui ancora era stato licenziato dal Col-

leggio, et era di bisogno ubidire perche alla forza della Rota non puolnessuno resistere, mà aspettar il tempo per chiarire la verità, e lui peramor di Dio non partisse, perche li farebbe gran danno perche par-tendo lui non haveria saputo a chi confidare per saper qualche cosa.Andò a trovar il fratel Oratio, li domandò che novità era quella

delli Prelati della Rota, e che cosa l’havevano domandato, che lui eraobbligato a dirli il tutto per honore dell’habito della Religione, acciòsi possa rimediare a quel che può succedere.Solo li disse lui non voleva incorrere a qualche pena, che d’ordine

del Papa e di scomunica latae sententiae l’havevano ordinato che nonparlasse con nessuno di quel che l’havevano detto.Li cominciò a dire, che era un traditore della Religione, e che un

giorno ne lo voleva far pentire.Il fratel Oratio, che era Greco, li disse che altrimente lui non era

traditore della Religione, ma fedele, e non l’haveva rovinata comehaveva fatto lui et Iddio permetteva questo perche voleva scacciar il P.Generale da Roma, et era stato licenziato lui, e per il rumore andavapiù ingrossando vennero i Collegianti, chiamarono il fratel Oratio chevolevano cenare perche era passata l’ora.Se n’andò via il fratel Oratio et il P. Stefano restò mortificato, si

prese alcune cose, serrò la sua stanza e se n’andò a Casa della madre,dal Sig. D. Flavio Cherubini Canonico di S. Maria in Via Lata suo fra-tello. La matina seguente se n’andò a Frascati alla villa del dº Cano-nico suo fratello.Andava bensì la matina a dir messa alla nostra Chiesa di Frascati

e diceva ai Padri che i Medici l’havevano ordinato che mutasse l’aria,perche quella di Borgo non li conferiva.Il giorno seguente i Padri stavano aspettando qualche ordine da

Palazzo e non vedevano comparire nessuno, tampoco qual d’uno dalCollegio per saper qualche cosa perche ancora non havevano saputol’accidente successo al P. Stefano, che già era partito per Frascati.Verso le 22 hore andò Monsig. Ghislieri a S. Pantaleo, e fatta far

l’imbasciata al P. Generale, che se li fusse comodo li voleva parlare, ese fusse impedito saria tornato.Li fù risposto che era Padrone, e li dispiaceva che non l’havesse

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mandato a chiamare, che voluntieri saria andato a servirlo sino al suoPalazzo.Trovò il P. Generale che stava aspettando all’Oratorio, li disse che

si contentasse entrar in Camera, perche li voleva conferire un negotiosecreto.Entrati in Camera, Mons. Ghislieri disse al P. Generale che la

Rota l’haveva mandato acciò S.P. vedesse chi li pareva più appropo-sito, che fusse Rettore del Collegio Nazareno, che fusse un P. dotto, digoverno, di spirito, perche haveva licenziato il P. Stefano per sgravarla spesa, e le cose non caminavano con quell’ordine di prima, ne sifaceva quel profitto antico, et i giovani perdevano più presto che gua-dagnavano, causa di tutto questo i disturbi successi nella Religione, etutta la Rota lo pregava a volerli assegnar un Padre.Restò il P. Generale a questa domanda confuso, e semplicemente

li disse, che saria il meglior il P. Camillo di S. Gerolamo al presenteMinistro delle Scuole Pie di Borgo, huomo dotto, prudente, digoverno, e spirituale, che non solo puol far il Rettore, ma anco laprima scuola, che a lui non li sarà di peso nessuno.Pregò il P. Generale il Prelato che compatisse la povera Relig.ne

mortificata, e li dispiaceva non potere con la propria vita aiutar il Col-legio havendo fundato con tanti sudori per superare tante difficultà perstabilirlo e lo raccomandava alla loro protettione sapendo qto vale.Prese il nome Mons.re del P. Camillo, ne parlò la matina alli Pre-

lati della Rota, e fu approvata l’elettione del P. Generale, per il cheMons. Donazet Decano mandò il medesimo Ghislieri a trattare con ilP. Camillo da parte del P. Generale acciò accettasse il governo delCollegio, che mentre il P. Generale lo voleva lo doveva pigliar volen-tieri come fece.Parevano mill’anni al P. Castiglia per sapere che cosa fusse venuto

a fare quel Prelato, perche haveva paura che non havesse portato l’or-dine del Papa, che uscissero da Roma con il P. Generale e l’altri, chehaveva minacciati il P. Stefano, ma certificato che non era questo siquietò.La sera sul tardi andò dal P. Generale il P. Giorgio di S. France-

sco Piemontese e raccontò al P. Generale quant’era successo nel Col-legio, e che il P. Stefano haveva havuto il sfratto et era andato a star aFrascati alla villa del fratello.Quando il P. Generale intese questa nuova, si pose a piangere

dirottissimamente l’honore del nostro habito, et il poco credito acqui-stato appresso la Rota Romana, uno che era stato Superiore, e Procura-tore Generale della Religione, era stato scacciato cossì vituperosamente.

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Per concludere questo caso chi voleva cacciar da Roma il P. Fun-datore et i suoi Compagni, nel med.mo giorno che pensava farlo fuscacciato lui con tanto vituperio senza valerli l’invenzioni e solitebugie come era solito, e favori.Quando i Padri di S. Pantaleo seppero questo caso, si lamenta-

rono malamente del P. Generale, che havendo havuta quest’imbasciatada parte del P. Stefano, che il P. Generale con l’altri uscissero daRoma se non lo facevano venire a star a S. Pantaleo, e lui non l’havevacomunicato a nessuno, tutti sariano corsi dal Papa acciò.Li rispose che lui meritava peggio di questo, e li dispiaceva non

poco l’accidente venuto al P. Stefano.Diede ordine al P. Gabriele che scriva una lettera a Frascati al P.

Antonio Maria Ministro di qlla Casa che pregasse il P. Stefano che siritiri in Casa con i nostri Padri, e lo trattasse bene come se fusse la suapropria persona; come quel buon P. puntualmente fece con moltiossequi e carezze.Li rispose che lui non voleva più fastidii perche voleva goder

quell’Aria sin tanto si mutano i tempi, che poi haveria aggiustate lesue cose, che li bastava che li dasse la comodità di dir la messa. Morto Mons. Donazet Decano della Rota, e fatto Vescovo di Ter-

racina Mons. Ghislieri, come anco Mons. Melzio Vescovo di Novara,che erano i primi Prelati della Rota, il P. Stefano supplicò p memorialeal Cardinal Panziroli Secretario di Stato di Papa Innocenzio Decimo,che li facesse gratia raccomandarlo al Decano della Rota acciò potessevenir a Roma al Collegio Nazareno già che lui era perfettamente sanatocon l’aria di Frascati, che poi a bocca l’haveria supplicato il resto.Era in quel tempo Tesoriero della Rota Mons. Cerri hora Cardi-

nale e per conseguenza li toccava l’amministrazione del CollegioNazareno. A questo parlò Panzirolla che li facesse questo favore a farricevere il P. Stefano al Collegio perche haveva obligo a suo Padre peresser stato suo Aiutante di Studio, e quando studiava sempre stavanoassiemi, l’haveva cercato questo favore et haveva a caro di servirlo.Si scusò Mons. Cerri dicendoli che vi era un Decreto della Rota

che non stiano più Padri al Collegio se non servissero per i Collegiantiper le scuole perche vi sono molti debiti fatti dal P. Stefano, et havevaimpegnati tutti gli Argenti della Capella del Cardinal Tonti con tantodiscapito di questi Signori della Rota, et era stato di bisogno spegnarlidel suo proprio danaro, come anco delli Conti dell’Amministrationedel Collegio si trovano molte somme, che non si sa in che cosa si sianospesi, e sono somme grosse. Siche lui non poteva far altro che dir al P.Rettore che venendo il P. Stefano lo traslocchi mentre che si tratta di

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pochi giorni, che doppo doveva andarsene a S. Pantaleo come l’ha-veva promesso Mons. Vittrice Vice Gerente.Restarono che il Cardinale scrivesse al P. Stefano, che venga a

Roma e se ne vadi addittrura al Collegio Nazareno, che Mons. l’have-ria detto al P. Rettore che lo riceva secretamente sinche fusse ricevutoa S. Pantaleo, che già stava trattato e l’era stato promesso da Mons.Vittrice Vice Gerente.Scrisse il Cardinal Panzirolla, venne il P. Stefano, e nel passare

dalla casa Professa della Compagnia di Giesù volle visitar il P. Silve-stro Pietra Santa tanto suo fautore, che haveva saputo che s’eratagliata la pietra e sonata la Campanella della porta domandò il Porti-naro che faceva il P. Pietra Santa, che lo voleva visitare.Li rispose che stava in Chiesa, forsi che l’uno non sentisse l’altro,

o vero che sentise male; pensò che fusse al Confessionario comesoleva fare quando non era occupato.Entrò il P. Stefano in Chiesa e lo trovò morto. Permettendo Dio,

che noi sapessimo la morte del P. Silvestro Pietra Santa per bocca delP. Stefano tanto suo caro amico, che fù in questa maniera.Mentre che il P. Stefano passava per la strada di S. Andrea della

Valle, che se n’andava al Collegio, s’incontrò con il Sig. Stefano Palla-vicino Genovese, oggi Prencipe di Gallicano, e fratello del CardinalPallavicino. Domandò questo Sig.re il P. Stefano donde venisse cossìsolo e che nuova portava.Li rispose, che veniva da Frascati e la nuova, che portava era che

era morto il P. Silvestro Pietra Santa, e lui medesimo l’haveva vistomorto alla Chiesa del Giesù, con questo si licenziò con dirli che nonsi maravigliasse che era solo.In quell’instante il Sig. Stefano Pallavicino passò per il Palazzo

delli Sig.ri Massimi, entrò a S. Pantaleo, et andò a trovar il P. Pietrodella Natività della Vergine per riconciliarsi come era solito far ognimatina, e li raccontò la morte del P. Pietra Santa conforme l’havevadetto il P. Stefano come sopra s’è detto.Scendeva il P. Gio:Carlo di S. Barbara dalla scala del dormitorio

di sopra e passando d’avanti la cella del Padre Pietro lo domandòs’era vero ch’era morto il P. Pietra Santa, e questo l’haveva detto il P.Stefano al Signor Stefano Pallavicino qui presente.Li rispose il P. Gio:Carlo non saper cosa nessuna perche hora

usciva dalla cella per andar a dir la messa, che si saria informato.Subito se n’andò dal Generale e li disse quanto haveva detto il P.Pietro in presenza di Stefano Pallavicino che ancora stavano assiemialla Cella.

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Il buon Vecchio li disse s’è vero, il Sig.re habbia in Cielo l’Animae tutti noi siamo obligati a pregar per lui.Mentre che stavano discorrendo capitò il P. Gabriele della Nun-

tiata Secretario del P. Generale, e lui ancora domandò s’haveva intesos’era morto il P. Pietra Santa.Li disse non haver saputo niente, ma haveria mandato due scolari

grandi al Giesù per sapere s’era vero.Tornati i Giovani dal Giesù diedero la risposta al P.Gabriele che

l’havevano visto morto, e lo conoscevano ben.mo et havevano doman-dato quando era morto, e l’era stato risposto haverlo trovato mortoquella matina, altro di questo non havevano potuto sapere.Havuta la certezza della morte, il P. Generale diede ordine al P.

Gio:Carlo che sonasse la Campanella comune acciò venissero tutti iPadri e fralli all’oratorio come fù fatto senza dir a nessuno quel ch’era.Radunati tutti all’oratorio stavano ansiosi di sapere quella novità a

quell’hora cossì insolita, perche li Maestri stavano alle squole. Furonochiamati ancor loro che li voleva il P. Generale come fecero.Uscì fuora il P. Generale e fattasi mettere la sedia sopra la

pedrella dell’altare, fece un bell.mo discorso sopra la morte, il tema fùche quando l’uomo meno si pensa Iddio lo chiama all’altra vita et è dibisogno star sempre preparati perche non si sa quando, come, nedove habbia a morire, ne giovano favori, ricchezze, ne chieder altrotempo per allungar la vita perche quando è stabilita nella mentedivina in questa vita è finito il tutto.Tale è successo al P. Silvestro Pietra Santa nostro Visitatore Apo-

stolico che questa notte è morto, e lui desiderava farli i funerali e cele-brar la Messa come se fusse morto uno de Padri nostri e cantar laMessa, acciò il Sig.re li dia la remissione de suoi peccati.Stavano tutti con gran.ma attentione a sentire. Si levò in piedi il P.

Giuseppe della Visitatione e disse che non li pareva conveniente di farqueste demostrationi publiche perche tutti haveriano stimato chehavesse fatto qualche beneficio alla nostra Religione, farli qualchecosa privata, e dirli qualche Messa mentre che la Paternità Sua locomandava lui l’haveria fatto.Sogiunse il P. Vincenzo della Concettione che lui voleva dir la

messa più presto per l’Anima di suo Padre e Madre, che l’havevanogenerato, e non per uno che ha distrutta la nostra Religione senzariguardo della nostra riputatione, che mai ha voluto far la giustitia anessuno; ma favoriti chi doveva castigare et abbassati gli osservanti.Fù dimandato il P. Bonaventura di S. Mª Madalena, il quale

rispose che già haveva detta la messa che come Procuratore della Casa

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non se li facesse questa spesa che li bastavano dirli la messa il P.Ste-fano e Nicolò Mª Gavotti, suoi confidenti.Fù dimandato il parere del P. Gio:Carlo, rispose che haveria detta

la Messa per suo Padre e Madre, perche il P. Pietra Santa non lo cono-sceva e non era de Padri nostri, e li bastavano le messe de Gesuiti.Non disse altro il P. Generale: figlioli Reddite bonum pro malo,

che quest’è il vincolo della Carità, e chi li vuol dir la messa la dica etalli chierici e fratelli facessero la comunione per l’Anima sua e dices-sero il Rosario.Quelli che li dissero la Messa furono il P. Generale, il P. Pietro et

il P. Castiglia suoi Assistenti.Fù ordinato dal P. Generale che nella Ricreatione non si discorra

di nessuna cosa del P. Pietra Santa accio non si ravvivano le passionidi quelli, che n’havevano havuto qualche disgusto.Si puol considerare la patienza grande che haveva il P. Generale

con il P. Silvestro Pietra Santa, il qle sempre l’haveva promesso divoler aiutar la Religione e far osservar le sue Constitutioni e semprehaveva esperimentato il contrario perche in cambio d’aiutarla s’eraoperato a distrugerla per aderire prima alli capricci del padre Mario,Stefano, Gio:Antonio, Gavotti, e l’altri suoi Amici, e poi la sua pas-sione, che non poteva sentir un Instituto che come diceva lui esseremulatore della Sua Compagnia, e li voleva far lasciare. Con tutto ciòil nostro V.P. Fundatore volle renderli il controcambio, che se fussestato per lui, l’haveria fatti gli honori, che tampoco si fanno quandomoiono i nostri PP.Mentre che quel med.mo giorno i Padri stavano alla Recreatione,

disse il P. Gio:Carlo sotto voce al P. Vincenzo della Concettione chesaria bene in qualche maniera procurar le scritture della Visita fattadal P. Pietra Santa perche non vadano per mani de Gesuiti, che facil-mente il P. Nichel Tedesco Gnale della Compagnia l’haveria fatterestituire, che vedesse, che modo si poteva tenere p haverle.Approvò il P. Vincenzo il pensiero, e mentre discorrevano passò il

P. Gavotti, che forsi sentì qualche parola, subito uscì fuora, andò atrovar il P. Stefano e li disse, che non perdesse tempo, se n’andasse aricuperar le scritture del P. Pietra Santa p.ma che vi vada qualchealtro, perche già n’haveva intesi i preludii fatti perciò dal P. Vincenzoe dal P. Gio:Carlo.Subito il P. Stefano se n’andò al Giesù, parlò al Gnale, che li

facesse gratia ordinare al P. Rettore della Casa Professa, che li facesserestituire le scritture sue che teneva la b.mem. del P. Silvestro PietraSanta, perche erano cose sue proprie et alla Compagnia non li servi-vano per niente.

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Il P. Generale, che poco fa era stato eletto, senza pensar ad altrofece chiamare il P. Rettore e li disse che andasse nella camera del P.Pietra Santa e dasse quelle scritture a questo Padre delle Scuole Pie.Andarono tutti assiemi senza veder che scritture si fossero, li

posero dentro una saccoccia del med.mo Pietra Santa, li diede al P.Stefano con una quiete grande e le portò al Collegio Nazareno. Tuttaquesta machina fù fatta acciò non si scoprissero le cose che havevanofatte assieme. Ma Dio permesse che morto il P. Stefano, tutte le scrit-ture tanto del P. Pietra Santa quanto del P. Mario, e quelle del P. Ste-fano venissero tutte alle mani del P. Gio:Carlo che li diede al P. Gene-rale per custodirle acciò non vadino male come fece. Fra l’altre cose vierano le relationi originali fatte alla Cong.ne de Cardinali di sua pro-pria mano, e due fra gli altre si contrariavano una con l’altra, percheuna diceva bene della Relig.ne delle Scuole Pie, come il P. Fundatoreera membro sano e li suoi Assistenti, che considerato il corpo dellaRelig.ne era sano, mà alcuni membri havevano bisogno d’emend.ne,l’altra poi era il contrario, ma non però mai disse nessuna.Volle il Cardinal Panzirola attendere la parola al P. Stefano, che li

facesse venire a stare a S. Pantaleo per il che ne pregò Mons. D. Vet-trice, Vice gerente, che li facesse questa gratia per quanto l’era servi-dore perche l’haveva promesso.Monsig.re che già era appieno informato che li Padri in nessuna

maniera non lo volevano acciò non succedesse qualche scandalovoleva dar satisf.ne al Cardinale non sapeva come si far. Li disse chene voleva pª dire una parola a Papa Innocenzio acciò serrasse la portaai Padri acciò non ricorressero a lui et havesse qualche rescritto con-trario, e poi lui ne saria restato di sotto e S. Eminenza non haveriahavuto l’intento come desiderava servirlo.Parve conveniente al Cardinale del che si contentò.La sera a due hore di notte Mons. Vice Gerente mandò a chia-

mare il P. Gio:Carlo e li disse che veniva forzato dal Cardinal Panzi-rola che fusse ricevuto il P. Stefano e l’haveva detto che n’haveria par-lato al Papa per non sapeva, che altro ripiego pigliare; che stasseattento se venisse qualche citatione vedesse di portar un Avocato all’u-dienza perche l’haveria risposto che il Papa l’haveva risposto che pªsentisse la parte e chi haveva raggione li facesse la giustitia.La matina seguente andò il P. Stefano per haver la risposta da

parte del Cardinale, se n’haveva parlato al Papa.Li rispose che per servire il Sig. Cardinale subito ne l’haveva par-

lato e l’haveva risposto che facesse citar i Padri acciò dicano le lororaggioni come conviene, siche li facci citare, che li prometteva che se

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non havevano cose rilevanti il suo arbitrio l’haveria dato a lui, mentreche cossì comandava il Sig. Cardinale.Havuta questa risposta subito il P. Stefano andò a trovar un Avo-

cato chiamato Carlo Cianconi di Norcia, li fece far una citatione, cheil P. Castiglia come superiore di S. Pantaleo comparisca alle venti oreavanti Mr. Vice Gerente per ordine di N.S. a dir la Causa, perche il P.Stefano dell’Angeli non poteva stare a S. Pantaleo, il quale era statoSuperiore e Procuratore Generale della Relig.ne delle Scuole Pie.Fatta questa citatione la diede ad un corsore del Cardinal Vicario

del Papa, che andasse a S. Pantaleo, facesse chiamar il P. Castiglia e locitasse di persona, che fatto il servitio come va l’haveria dato untestone.Il cursore sentendo un testone, li disse che l’aspettasse, che subito

l’haveria citato et haveria fatta la relatione.Andò il cursore a S. Pantaleo, trovò il P. Castiglia in cortile che

stava esaminando alcuni scolari, li diede la Cita.ne e li disse a bocca,che sotto pena di scomunica et altre pene riserbate al Papa domanialle 20 hore comparisse all’udienza di Mr. Vice Gerente, ad instanzadel P. Stefano degli Angeli.Quando il P. Castiglia si sentì quest’ordine se ne saglì dal P.

Generale tutto melinconico, li disse quanto passava.Li rispose il Padre, che non havesse paura per Iddio haveria rime-

diato anche a questo perche le cita.ni caminano in questa forma, chenon parlasse a nessuno, si quietasse, che tornato da fuora il P.Gio:Carlo l’haveria mandato a parlare a Mr. Vice Gerente per saperecome ci doviamo governare.La sera tornò in Casa il P. Gio:Carlo con il P. Bonaventura anda-

rono dal Padre per la beneditione e subito il P. li disse che andasse atrovar il P. Castiglia, e si facesse dare una Citatione, che haveva man-data il P. Stefano, la facesse veder al Vice Gerente per sapere quel chesi doveva rispondere, e levar d’impiccio il P. Castiglia perche li pareuna gran cosa.Voltò tutta la Casa il P. Gio:Carlo, e non poté mai trovar il P.

Castiglia, domandato il Portinaro s’era andato fuora li disse che nonl’haveva visto, e di sicuro era in Casa.Sentendo ciò l’Infermiero li disse che il P. Castiglia stava in letto

all’Infermaria perche si sentiva poco bene.Andò subito il P. Gio:Carlo, li domandò da parte del P. Generale

la Citatione per vedere quel che domandava il P. Stefano.Povero P. Castiglia, che tremava di paura perche non era avezzo a

queste cose, li disse che non voleva incorrere alla scomunica, e per

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amor di Dio vedesse come si poteva fare per arrimediare perche nonli bastava l’animo di comparire avanti il Vice Gerente e se questa cosasi scopriva et il P. Stefano veniva a Casa questi l’haveriano ammazato,e la Relig.ne saria finita.Li diede animo il P. Gio:Carlo dicendoli che non havesse paura,

si levasse dal letto, e lasciasse far a lui, che era d’accordo con il ViceGerente, et il P. Stefano non saria venuto a S. Pantaleo e non sariasuccesso altro.Alla fine il P. Castiglia li diede la Citatione, e visto che cosa era li

disse, che si levasse pur dal letto, e non havesse nessuna paura, perchecossì caminavano le Citationi e bastava che comparisse all’udienzauno da parte sua, che il tutto si saria sopito con ogni satisfatione.Si rallegrò alquanto il P. Castiglia, si levò dal letto perche non

haveva mal nessuno, se n’andò all’oratione con l’altri.Se n’andò il P. Gio:Carlo dal Vice Gerente, li mostrò la Citatione

e lo pregò, che quando veniva all’udienza il P. Stefano li dasse buoneparole, e pigliasse tempo a decretare perche haveria sentita la sua peti-tione, e da quella si saria regolato, che cosa haveva da rispondere.Restarono d’accordo, che venisse all’udienza e lasciasse fare a lui.Venuta l’ora dell’udienza se n’andò il P. Gio:Carlo con il P. Bona-

ventura, trovarono il P. Stefano con un giovane che stava passeg-giando, e visti questi Padri entrò al Palazzo del Cardinal Lanti e nonsi vidde più.Fù letta la citatione dal Notaro, e pensando il P. Gio:Carlo che

non vi fusse nessuno a proporre la Causa, che teneva di sicuro haverlavinta.Si vide subito proporre l’Avocato Carlo Cianconi di Norcia, che il

P. Stefano era Romano haveva havuti tutti li officii della Religione, etoggi si godono l’entrata del Convento di S. Pantaleo i forastieri, escacciano i Cittadini, acciò non vedano dove et in che modo si spendail danaro, e quest’era la causa, che non volevano il P. Stefano a S. Pan-taleo perche lui è pratico e sà il tutto e faceva instanza, che fusse rice-vuto non come forastiero come gli altri ma come Romano, e devonoesser licenziati i forastieri.Piano disse il Vice gerente la pª propositione camina, ma la

seconda non se ne parla perche Roma è Patria comune e nessuno Reli-gioso è forastiero.E voltandosi al P. Gio:Carlo li disse, che rispondesse.Era tutto impicciato il P. Gio:Carlo perche haveva per competi-

tore un Avocato primario, con tutto ciò fattosi animo li rispose, che liproponeva tre dubii, e come l’haveria sciolti all’hora haveria rispostoalle sue chimeriche propositioni.

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Il Prelato si pose a ridere dicendo questa causa è dubiosa, e visarà di bisogno d’una lunga scrittura in Jure et in fatto, dica pure P.Gio:Carlo i suoi dubii.Ripigliò il P. Gio:Carlo, e domandò l’Avocato, qual’era la sua pro-

fessione, e da chi haveva imparato le prime lettere, e di che Paese eranato, mi risponda a questo, e poi verremo alle raggioni perche causanon vogliono in Casa il Padre Stefano li Padri di S. Pantaleo.Rispose ridendo, che la sua Professsione era d’Avocato, le prime

lettere l’haveva imparate dalli Padri delle Scuole Pie, e la sua Patriaera Norcia, che p questo.Replicò che lodava esser Avocato di Professione, e per il suo bel-

l’ingegno haveva fatta buoni.ma riuscita, ma non lodava haver impa-rato le lettere da PP. delle Scuole Pie per esserli contrario in unaCausa di tanta importanza che si trattava di finir di distruggere tuttala Religione mentre che venisse il P. Stefano a S. Pantaleo, che se con-siderava quanto passava et era fastidiosa questa Causa di sicuro nonl’haveria pigliata, mà per scioglier l’ultimo dubbio bastava, che eraNorciano e si preparasse a scrivere in Jure perche già haveva dato dascrivere all’Avocato Carlo Orilia Napolitano.Sentendosi scioglier questi dubii si cominciò a scusar l’Avocato

dicendo a Mre che non sapeva tanto e che lui altrimente non volevascrivere a questa causa, che solo l’haveva pregato il P. Stefano che lifacesse la citatione e venisse con lui a quell’udienza, mà quando havisto i Padri si è appartato che intendeva altrim.te far contro i Padri aquali ha tante obligationi, e se suo Padre sapesse che fusse comparsoin questa Causa, l’haveria havuto a male, e si saria fatta Inimica tuttala Città, faccino pur i Padri i fatti loro che lui non s’intrigaria più conil P. Stefano.Li disse Mr. Vice Gerente che dicesse al P. Stefano, che si quieti e

non si metta in qualche pericolo, perche se questo negotio si mette incarta, è di bisogno far la giustitia, et il negotio andarebbe a lungo, et iPadri li farebbe sempre viver inquieti e lui non haverebbe pace, che lidica pure che lasci quest’impresa ne dii più fastidio al Sr. CardinalPanzirola et habbi patienza che con il tempo tutto s’agiustarà e conqueste buone parole fu finita l’udienza, e perche l’ora era tardi, dissealli Notari che tenessero il pro servato per il p.mo giorno che luidoveva andar a Palazzo.Non passò poco tempo che morì il Cardinal Panzirola, il quale un

giorno discorrendo con un Prelato delle cose del P. Stefano e del P.Generale, dise che il P. Giuseppe era il più cattivo Religioso che fussein tutte le Scuole Pie, che perseguita i sudditi a capriccio e non per-

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dona mai, et che il P. Stefano l’haveva informato molto bene et ungiorno lo farà pentire perche quanto patisce il P. Stefano di tutto ècausa lui.Restò quel Prelato molto maravigliato, che dalla bocca d’un

Card.le Secretario di Stato del Papa eschino quelle parole mentre chelui benissimo conosceva chi era il P. Giuseppe della Madre di Dio echi era il P. Stefano.Dispiacque tanto a questo Prelato quest’impressione del Card.

Panzirola che subito andò a trovar il P. Fundatore e li disse quel chel’haveva detto il Cardinal Panzirola.Il buon vecchio li rispose, che Dio giudicarà come è Padre l’attioni

di tutti, e se lui sia mai stato causa che il P. Stefano fusse perseguitato,questo mai se l’era sognato. Dica pure da sua parte al Cardinal Panzi-rola che s’era acquistato un amico, che sempre haveria pregato Dio perlui, mà che non sia cossì facile a credere senza sentir la parte.Morì pª il P. Fundatore del Cardinal Panzirola, e quando il mede-

simo Prelato li disse che era morto il P. Giuseppe Fundatore delleScuole Pie, vi era concorsa quasi tutta Roma per i miracoli che havevafatti.Li disse che il Papa Innocenzio Xº ne l’haveva raccontati alcuni

ma lui poco vi credeva, perche era huomo scaltro et impratticabile.Del che il Prelato ne restò più scandalizato che mai, questo si chia-mava Mons. Gio:Francesco Fiorebelli, Prelato dell’una e l’altra Signa-tura et Auditor Generale del Cardinal Antonio Barbarino comeCamerlengo Generale di S. Chiesa.Quando poi Mons. Rinaldi per ordine del Cardinal Ginetti Vica-

rio del Papa, che come Vice Gerente facci il Processo Autoritate ordi-naria per la Beatificatione del nostro V.P. Fundatore non vi vollemetter mano, se pª non ne disse una parola a Papa Innocenzio, ilquale li rispose che facesse quel che li diceva il Cardinal Vicario.È solito ancora che quando è qualche cosa straordinaria se ne

facci parola con il Segretario di Stato, li disse che si doveva far il Pro-cesso del Fundatore delle Scuole Pie per la Beatif.ne, li rispose chenon era bene farlo cossì presto, che con quest’esempio ogni Religiosoche subito si tratta di farne Processo e pciò si soprasedé sino alla suamorte.S’ammalò questo Cardinale al Palazzo di Monte Cavallo dove

morì, il quale spirato restò con la lingua da fuora della bocca, che maifù possibile, che potessero far entrar dentro e chi vedeva tal spettacolosi spaventava, onde fù di bisogno tagliarli la lingua e serrarli per forzala bocca. Si sparse questa voce per Roma, e nessuno lo credeva per il

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che il P. Vincenzo della Concetione chiamò il P. Gio:Carlo per andara vedere se fusse vero. Andarono al Convento di S. Silvestro di MonteCavallo Novitiato de Padri Teatini, furono introdotti all’oratoriosecreto dove era esposto il Corpo del Cardinale privatamente vestitoda semplice Prete et haveva un straccio di tela bianca, che lo stringevada sotto il mento e ligato sopra il capo. Cossì finì la vita questo Car-dinale, che fece un danno notabile alle Scuole Pie quando vennero aRoma la sorella e nepote di Papa Urbano Ottavo Monache in Fio-renza che ci fecero levar il Novitiato che stava vicino a Monte Cavalloet il Papa diede ordine che ci fuse fatto un altro Novitiato dove ecome voleva il P. Fundatore con tutte le comodità et officine come eraquello che ci fù levato, con ogni satisfattione de Padri.Ne fù data l’incumbenza a Mons. Panzirola a quel tempo Auditor

di Rota, furono osservati molti luoghi e nessuno li piacque, sempreandava trovando questo mal aria, quello non era approposito, e mai sivedeva risolutione nessuna, finalmente si trovò un luogo appropositoalla lungara alli beni del Duca Salviati con ogni comodità, e si potevafare una fabrica da Papa, fatte le misure et accordato il prezzo, et ilmedesimo Duca Salviati per la sua pietà voleva lasciar la mietà delprezzo per elemosina ai Padri delle Scuole Pie che l’havevano allevatii suoi figli a Fiorenza.Questo Prelato per avanzar mezzo grosso per canna non volle

acconsentire alla Compra, restò il tutto sospeso e perche si raffredò lacompra non si fece altro, e li poveri Padri restarono senza Novitiato esenza studio, che fù causa della prima rovina della Religione perche alloro Novitiato di Monte Cavallo vi era il Novitiato studio e collegio,che in tutti erano da sessantacinque.Siche levatali la casa, si dismesse il Novitiato et il Studio et il Col-

legio andò altrove, e smembrati questi corpi restarono esinaniti ne maipiù si poterono rinvenire, e per ciò fù il principio della rovina dellaReligione, causa questo Prelato, che per far avanzare i mezzi grossi alliSr. Barbarini non fù comprato il luogo del Duca Salviati, perche i suoifini politici machiavelisti erano per arrivare d’esser fatto Cardinalecome doppo poco tempo li successe.Seguitiamo hora le trapole del P. Stefano per ingannare il P.

Generale, et il fine che hebbero, per non haver retta intenz.ne.Un giorno mandò il P. Stefano un P. del Collegio Nazareno con

un Chirografo al P. Generale per gabarlo, per arrivare alli suoi fini evenire a star a S. Pantaleo, et acquistar il credito che già haveva per-duto con la Corte, che nessuno lo voleva più sentire per haver perse-guitato il P. Generale et haver fatta distruggere la Relig.ne.

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Giunto il messo dal P. Generale, li cominciò a persuadere conuna fine rettorica a rappresentarli, che il P. Stefano haveva in granscrupolo esser la Religione ridotta a questo termine e se il P. Generaleli dava il suo beneplacito haveria procurato di ridurla al suo primierostato, e meglio che prima, e perciò l’haveva portato a sottoscrivere disua mano un Chrirografo, acciò facesse vedere, che quanto negotiavatutto era di suo ordine e di sua voluntà.Li rispose il P. Generale che li lasciasse il chirografo e tornasse

dimani, che quando saria più l’aria luminosa, perche non vi vedeva,l’haveria sottoscritto.Partito quel P. dal P. Generale entrò il P. Gio:Carlo per prender

la bened.ne, trovò il P. che teneva una carta in mano che la voleva leg-gere e non vi vedeva.Li domandò il P. Gio:Carlo che cosa era quella.Li disse, che l’haveva mandato quel chirografo il P. Stefano acciò

lo sottoscrivesse per beneficio della Religione, l’haveva fatto lasciareper non far errore, perche pª vi voleva pensare, ma l’haveva detto chetornasse la matina a pigliarlo che l’haveria trovato sottoscritto, che lolegesse pure che lui non vi vedeva e sibene l’haveva pregato che nonlo facesse veder a nessuno, si fidava di lui, che lo legesse, ma nondicesse niente a chi si sia per non cagionare qualche disgusto.Letto il Chirografo il P. Gio:Carlo li disse, che in nessuna maniera

lo doveva sottoscrivere, perche poi se ne saria servito all’occasioni edetto, che qto haveva fatto, tutto l’haveva fatto di suo ordine. Comefece un altra volta quando stava in Napoli che per mezzo del CardinalAldobrandini fece sottoscrivere un simile chirografo, che poi se neservì in più occasioni et anco contro Vostra Pat.tà et hora vuol aiutarla Relig.ne, che l’ha fatta distrugere, lui ha perso il credito per tutto epensa di riacquistarlo sotto l’ombra di V.P. Il voler che non si sappiada maggior inditio della sua malitia.Dispiacque al Buon Vecchio haver data parola a quel P. che tor-

nasse, che l’haveria trovato sottoscritto la matina seguente; mà aquesto riparò con dirli, che quando il P. Stefano voleva negotiare conchi si sia, lo facesse avisare, che in voce haveria attestato che quel chenegotiava il P. Stefano era di suo consenso, perche essendo lui vecchionon poteva tutto il giorno andar negotiando per i Cardinali a Palazzoe Prelati.Questa fù la risposta che diede il P. al messo del P. Stefano e mai

più s’attentò a parlar più di queste facende.Era avezzo il P. Stefano ad haver danaro e spenderlo a modo suo

ne poteva trovar modo d’haverne, cominciò a pensare di gabar in

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qualche modo il P. Generale per farli dare qualche somma della Casadi S. Pantaleo.Se n’andò a trovar D. Guido Baldi Parrocchiano della Chiesa di

S. Maria in Trastevere, sottoelemosiniero del Papa, e lo pregò, che lifacesse un favore singolare senza suo interesse ma non voleva che sisapesse.S’offerse dirli quel che voleva che l’haveria fatto più che volun-

tieri sapendo quant’era obligato al P. Cherubini suo fratello monacoCassinense per esser stato suo antico servidore.Li disse haver fatti alcuni debiti per la Casa di S. Pantaleo

quand’era Superiore e Procurator Generale e non sapeva comepagarli, haveva pensato di farli una Ricevuta con una antidata, chesolo li bastava mandarla da sua parte al P. Generale, che subito l’ha-veria fatto dare il danaro, e quando vi fusse qualche ripugnanza, sariapeso suo farli pagare senza che lui si pigli altro fastidio.Li rispose D. Guido Baldo che facesse pure la ricevuta, che l’ha-

veria fatto il servitio e n’haveria subito mandato il suo Prete.Li fece la ricevuta in questa maniera: Io Stefano dell’Angeli Supe-

riore e Procurator Generale delle Scuole Pie dico con la presentehaver ricevuto in prestito dal M.R. Sig.r Guido Baldo Parroco dellaCollegiata di S. Maria in Trastevere, scudi venti due e baiocchi ses-santa per i bisogni della Casa di S. Pantaleo e prometto restituirli adogni sua richiesta e per esser la verità l’ho fatta la presente di mia pro-pria mano in Roma li 25 di magio 1645. Io Stefano dell’Angeli Supe-riore e Procurator Generale come sopra.Disse poi a D. Guido Baldo che non la mandasse al P. Generale,

ma al P. Castiglia, come Ministro della Casa, che quando vi fusse qual-che difficoltà, allora si parlaria al P. Generale, che subito l’haveria fattipagare.Mandò D. Guido Baldi il suo Prete dal P. Castiglia con questa

imbasciata, che haveva prestato al P. Stefano mentre che era Superioree Procurator Generale 22.60 p servitio della Casa di S. Pantaleo, chegià erano passati due anni, che li facesse gratia farli restituire, che lifacesse vedere la ricevuta, ma non la lasciasse e la tornasse.Fra due giorni andò il Prete dal P. Castiglia, li fece questa imba-

sciata, il quale con la sua solita semplicità, li diede buone parole senzainformarsi di questo fatto tampoco dal Prete, dicendoli che havesseun poco di patienza perche la Casa stava aggravata e n’haveria parlatoal P. Procuratore acciò li dia satisfatione.Si scordò il P. Castiglia di dirlo al P. Bonaventura Procuratore ne

mai si parlò più di quest materia.

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Passate alcune settimane tornò il Prete dal P. Castiglia, e li disseche D. Guido Baldo stava aspettando il danaro, che l’haveva pro-messo, e che glielo facesse dare perche non poteva più aspettare altri-mente l’haveria fatto citare.Li dise che haveria parlato al P. Bonaventura che era Procuratore

e lui maneggiava il danaro, o vero l’havesse parlato lui medesimo, chel’haveria satisfatto.Andò il Prete parlò al P. Bonaventura dicendoli che D. Guido

Baldo haveva prestato alcuni danari al P. Stefano sin dall’anno 1645per beneficio della Casa di S. Pantaleo, che li facesse favore di resti-tuirli come l’haveva data anco parola il P. Castiglia.Li rispose il P. Bonaventura che lui non conosceva D. Guido

Baldi, et a chi haveva dato il danaro si facci pagare perche la Casa diS. Pantaleo non era obligata a pagar i debiti del P. Stefano, che faccipure, che l’haveria risposto a qualsivoglia Tribunale.Portò la risposta il Prete a D. Guido Baldo, il quale disse al P.

Stefano le difficultà che havesse trovato il suo Prete con il P. Procura-tore di S. Pantaleo, che sarà cosa difficile ad haver questo danaro, e lidispiaceva molto essersi ingerito a questo negotio perche se il Papasapesse che lui va prestando i danari della Camera Apostolica cheserve da dare elemosine a Poveri, saria la sua rovina e non havevaquesto tempo d’andar negotiando.Prese a carico suo il P. Stefano a far le Citationi, che li bastava

solo esser ordine suo, del che si contentò.Fece far le citationi il P. Stefano al P. Bonaventura avanti Mons.

Baranzoni locutenente del Auditor della Camera acciò pagasse.Si rideva il P. Bonaventura delle Citationi, e mai vi volle compa-

rire, per il che fù fatta l’intimatione e fù rilasciato il mandato che sifacci l’esecutione.Il Notaro che haveva la Causa in mano, fu richiesto dal P. Ste-

fano, che li dasse il mandato perche voleva far sequestrare il somaroche faceva la cerca della legna.Parve al Notaro, che questa fusse inhumanità, li disse che non

voleva altrimente darli il mandato perche era fatto in contumacia, eforsi i Padri non havevano havute le citationi, che facilmente sarianoandati in Segnatura, e lui non voleva far questo danno ai Padri di S.Pantaleo, perche erano Poveri, e che bastava il danno e mortificatione,che per amor suo havevano havuto.Se n’andò il P. Stefano dal Capo Notaro, e li rappresentò che il

sostituto di Mons. Baranzoni non li voleva dare un mandato che livoleva pagar il Diritto per la spesa che v’andava che l’ordinasse glielodia come fu eseguito.

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Vedendo il Notaro tanta premura del P. Stefano in questo nego-tio, come che era stato scolaro, se n’andò dal P. Generale, e li rac-contò quanto passava, che stasse avertito, perche il P. Stefano haveriafatto sequestrar il somaro e fattolo vendere per un pezzo di pane inconto delli ventidue scudi e 60.Sentì molto disgusto il P. di questo fatto, che oltre l’interesse saria

stato di grand.ma vergogna con qualche pericolo anco del P. Stefano,perche come si sapesse questa cosa per casa saria successo qualchedisordine poiche nessuno poteva sentire il P. Stefano.Il P. Generale fece chiamar il P. Gio:Carlo, li comunicò quel che

passava, li disse che andasse da Mr. Baranzoni e vedesse di far rivo-care il mandato perche fu fatto in contumacia et in casa nessunohaveva havuta le Citationi non sapendo che il P. Bonaventura se n’eraburlato e non haveva voluto comparire.Haveva qualche confidenza il P. Gio:Carlo con Mr. Baranzoni,

perche ogni matina veniva a dir la messa nella nostra Chiesa, et erabenefattore della Casa, lo pregò che li facesse questa gratia a rivocarquel mandato, perche sapevano di sicuro, che questo debito era suppo-sto et aprendo questa strada ogni giorno si sariano fatte ricevute conantedata e la casa saria andata in rovina, che Dio sà in che stato si trova.Li rispose che il mandato non si poteva rivocare perche la petitione

era giusta, perche il danaro era servito per i bisogni della casa di S. Pan-taleo, e quello la poteva obligare mentre che era Superiore e Procura-tore Generale, che se fusse stato un P. semplice non l’haveria potutaobligare e cossì caminava la giustitia e lui non poteva far il contrario.Parve così stravagante al P. Gio:Carlo, che havesse potuto obligar

la Casa di S. Pantaleo, li replicò che non era obligata perche s’havessefatto un debito di migliara di scudi tanto saria obligata a pagarli;dunque costui ogni giorno farà una ricevuta con una antidata e laCasa la deve pagare, questa non li pareva giustitia, siche V.S.Ill.ma aquesto deve rimediare per serrar questa porta che vinca questa Causa,ne verranno dell’altre peggiori perche questa è una prova.Parve a Mons.re la proposta adequata, li disse, che facesse una

Citatione al P. Stefano medesimo, che verificasse questo credito, chedalle risposte subito saria conosciuto, e lui ci haveria aiutato, perchementre compariva il med.mo P. e non il creditore facilmente era cre-dito supposto.Fu fatta la Citatione al P. Stefano in signatura piena ad videndum

revocari mandatum alias & Instantibus &.Fù fatta intimare questa Citatione personale al P. Stefano da un

Cursore Apostolico mentre che passava per la Piazza di Monti, dovestava con alcuni suoi amici.

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Fù dimandato che cosa era, li disse che i Padri di S. Pantaleo nonvolevano pagare i debiti et andavano trovando sutterfugii, ma non gio-vavano perche chi ha da dare è di bisogno che paghi. Si voltò al cur-sore, li domandò chi l’haveva data quella Citatione e se s’havesse fattopagare.Li disse che l’haveva data il P. Gio:Carlo e l’haveva pagato.Li disse come entra questo Diavolo venuto da Napoli a farmi que-

st’affronto in mezzo ai Banchi, sarà ancor chiarito lui quando meno lopensa.Fece la relatione il Cursore e subito la portò al P. Gio:Carlo che

lo stava aspettando all’ufficio de Cursori, e li raccontò quanto s’eraarrabiato p la citatione il P. Stefano.Il giorno seguente, che fù alli 15 di decembre 1647, il P. Stefano

mandò un P. del Collegio Nazareno dal P. Generale, che il P.Gio:Carlo l’haveva fatto citare in piena Signatura, dove vanno tutti iPrelati di Roma, Capo della quale il Cardinal Sacchetti, e che questanon era altro che una mera passione, per svergognarlo e farli perdereaffatto il credito, che contentava farli dare quelli 22 scudi 60 baiocchiun poco alla volta, che cossì la Casa non se ne sentirebbe e lui haveriadata la satisfattione a D. Guido Baldo che l’haveva prestati per i biso-gni della Casa, che hora si contentava li facesse dar sei scudi, e fra unmese ne li facesse dare altretanti e cossì si rimediava a molti inconve-nienti che potevano succedere, e non saria vilipeso il nostro habitoper tutta la Corte.Parve al P. Generale, che questa petitione fusse giusta, li disse che

si lasciasse il mandato con le citationi, e tornasse da lui fra due giorniche l’haveria fatti trovare i sei scudi e l’haveria dati il P. Bonaventura,che quando tornarà da fuora l’haveria detto, che li pagara.La sera tornò da fuora il P. Bonaventura con il P. Gio:Carlo anda-

rono a prender la bened.ne dal P. Gnale e subito disse al P. Bonaven-tura che mettesse all’ordine sei scudi per darli a D. Guido Baldi perlevar una volta questo debito che l’altri poi s’andavano dando pochiper volta.Si cominciò ad alterare il P. Bonaventura dicendo che non era

conveniente, perche con questo esempio ogni giorno il P. Stefanofarebbe ricevute con antedate e saria di bisogno pagarli come paghiora questo.Replicò il P. che havese patienza e li pagasse perche lui l’haveva

promesso, ne si sgomentasse che Dio haveria provisto per altra banda,e lasciamo far a Dio, che da tutto sa cavare la sua gloria, habiamotempo due giorni a pagarli, portateli a me, che mi farò far la ricevuta,

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che già m’ho fatto restituire il mandato con le citationi, e li diede aconservar al P. Gio:Carlo acciò non si smarrissero, dicendoli che n’ha-vesse Cura.Si strinse le spalle il P. Bonaventura et uscì fuora, disse al P.

Gio:Carlo che li pareva, et il P. in ogni maniera vuole che si paghiquesto danaro, piaccia a Dio, che sia bene.Li rispose che ci vuol fare, cossì vuole, cossì si faccia perche cossì

ha promesso e non vuol venire meno della parola, habbiamo patienza,e rimettiamola poiche il P. Stefano sempre ha saputo gabbar il Padre,ma tanto và il gatto al lardo sinche vi lascia le zampe, chi vol sapere isecreti divini.Alli 20 di Decembre il P. Bonaventura portò li sei scudi al P.

Generale, il quale li rispose, che li dia al P. Gio:Carlo acciò li con-serva, che poi a suo tempo l’haveria chiamato per consignarli.Alli 22 di Decembre venne il messo del P. Stefano, parlò con il P.

Generale per il danaro, fece chiamare il P. Gio:Carlo che portasse i seiscudi per consegnarli.Giunto il P. Gio:Carlo li disse il P. che consegnasse i sei scudi a

quel P. e si facesse far la ricevuta d’essere in conto delli 22 scudi e 60baiocchi che il P. Stefano s’haveva fatti prestare da D. Guido BaldoParroco di S.Mª in Trastevere.Disse il P. Gio:Carlo che voleva la ricevuta di mano del P. Stefano

con la dichiaratione che cessava qualsivoglia citatione e mandato,acciò poi non dicesse haver ricevuti i danari lui proprio e pagarli dinuovo.Si pose la mano al petto, cavò un foglio scritto di mano del P. Ste-

fano con la ricevuta come voleva il P. Gio:Carlo, li contò li sei scudi etutto allegro se ne tornò al Collegio.Trovato il P. Stefano, li consegnò il danaro, lo prese con una

bocca ridente disse, è pur vero che l’ho havuti.Alli 23 di Decembre il P. Stefano chiamò il fratel Franco Maria di

S.Mª Madalena Cucinaro del Collegio, e li disse che prendesse quellisei scudi perche voleva fare una Recreatione il Giorno di S. Stefano, evi voleva invitare alcuni suoi Amici, che erano il Sig. Paulo de Barbe-riis, Bernardo Mauro, e Francesco Mª Panicola sollecitatore dellecause del Collegio. Vi poteva mettere la solita minestra, antipasto epietanza che da il Collegio con i frutti e delli sei scudi ne poteva com-prare pollami, pasticci, e qualche altra galanteria, acciò stiamo allegra-mente alla barba del vecchio che ha pur fatto pagare il danaro.Prese il cuoco i sei scudi, preparato il pranzo conforme l’ordine

datoli li diede conto di quanto haveva fatto.

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Il giorno di Natale andò il P. Stefano ad invitare i tre suoi Amici,che li favorissero domani venir a pranzo al Collegio con lui per esserla festa del suo Santo voleva far un poco di recreatione e voleva, chestassero tutto quel giorno allegramente.Accettarono l’invito, mà il Sig. Paulo disse che non voleva sug-

getto de Collegianti, ma che solo era bene mangiar con i Padri. Cossìfù stabilito.La matina di S. Stefano fu sollecitato il pranzo de Collegianti e

mandateli con il loro Prefetto in Recreatione, a caminare per non sog-getto alli invitati.Venuti i tre, cioè Paulo de Barberiis Avocato, Bernardo Mauro

gentilhuomo, e Francesco Mª Panicola Dottor in legge, e ricevutili il P.Stefano con una grand.ma allegrezza, li portò a lavarsi le mani perchevolevano andar a pranzo. Lavatisi i tre secolari si cominciò a lavare ilP. Stefano e nell’asciugarsi le mani li venne tal accidente, che cascò aterra tramortito che fu di bisogno pigliarlo in braccia e portarlo aletto, li fecero molti panni caldi acciò rinvenisse, stiede un pezzo inquella maniera, e tornato in se disse, che andassero a pranzo perchelui voleva mangiar la sera sentendosi tutto lo stomaco conturbato.Andarono a pranzo, stiedero mediocramente allegri, perche man-

cava chi l’haveva invitati con tutto ciò fecero un belli.mo pasto, e luipoverello non fù degno d’assaggiare nessuna vivanda di quel danaro,che haveva havuto dal P. Generale, e chi pensava di burlar il vecchioresto burlato un Giovane gagliardo e robusto e castigato dalla manodi Dio, perche la sera tampoco, volle passar leggiero e non prese altroun paro d’uova fresche, siche non assagiò una minima cosa delli seiscudi dateli dal Vecchio che cossì lo chiamava per disprezzarlo.Finito il pranzo andarono a visitar il P. Stefano, e ringratiarlo che

l’haveva fatta una buona ricreatione e li dispiaceva molto che li siavenuto quell’accidente cossì repentino, e però n’havevano havutocompita allegrezza, ma speravano rivederlo e goderlo levato la matinaseguente.Li rispose che lui stava male e si sentiva occupare il Cuore, e si

voleva riposare e non voleva fastidii.Si licenziarono restando tutti ammirati d’una cosa cossì improvisa

perche nessuno sapeva la Causa.La matina dell’Innocenti che fu alli 28 di Decembre il Sig. Fran-

cesco Maria Panicola venne ad invitare il P. Fundatore perche quellamatina si faceva Religioso monaco Casssinenze un suo fratello che eraAlunno del Collegio Nazareno e Nipote di Mons. Bernardino Pani-cola Vescovo di Scala e Ravello, e suo antico Amico, e Confessore denostri Padri alli principii della fund.ne della Cong.ne.

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Li disse il P. scusandosi che il viaggio era molto lungo, e che luiera vecchio, e non poteva star cossì tardi, che lo scusasse mà che insuo luogo vi haveria mandati il P. Vincenzo della Concettione et il P.Gio:Carlo havendo voluto sempre bene a questo figliolo perche luimed.mo l’haveva imparati li primi rudimenti della fede e leggere escrivere, e sperava che hauria fatta buona riuscita. Fece chiamar il P.Vincenzo et il P. Gio:Carlo, e li disse che andassero a S. Paulo ad assi-stere da sua parte a quella funzione.Andarono i due Padri e per strada s’incontrarono con P. Camillo

Rettore del Collegio con tutti i Collegianti che accompagna quel lorocompagno per vestirsi et altri secolari suoi parenti.S’accompagnò con i due Padri il P. Pietro da Leonessa Maestro

della pª scuola del Collegio Nazareno, e li raccontò quanto havevasuccesso al P. Stefano e che stava molto agravato con pericolo dellamorte et a S. Pantaleo non se ne sapeva cosa nessuna.Finita la funzione i Padri se ne tornarono a Casa, et il P. Gio:Carlo

raccontò il tutto al P. Generale, il quale restò molto maravigliato nonesser stato avisato, che il P. Stefano stasse ammalato.Passati due giorni venne a S. Pantaleo il P. Camillo di S. Giro-

lamo Rettore del Collegio Nazareno in carrozza con il Sig. D. FlavioCherubini fratello del P. Stefano in carrozza e smontato il Padre Ret-tore andò andò dal P. Generale, e li diede nuova come il P. Stefanostava gravemente ammalato e l’haveva pregato il Sig. Flavio Cheru-bini, che lo venisse a visitare, perche l’haveva portata la carrozza.Si maravigliò il P. Generale del P. Rettore non haverlo fatto sapere

l’infermità del P. Stefano, che senza che fusse chiamato saria venuto avisitarlo, fece chiamar il P. Angelo di S. Domenico che andasse in suaCompagnia e calati alla portaria trovò ivi D. Flavio, il qle piangendo lidisse: P. Generale non mi sono attentato di venire a pregarla acciòvenisse a visitar il P. Stefano, che sta molto male per i disgusti che l’hadati, sibene contro la sua intenzione.Il P. Generale, che haveva il cuore candido, li rispose che poteva

venir liberamente da lui sapendo qto l’haveva voluto bene, da quandoera vivo la buona memoria del Sig. Laerzio Cherubini suo Padre, chepoi venghi a visitar il P. Stefano, se pª l’havessi saputo che stava male,lo sarei andato a visitare senza esser chiamato, sapendo molto benequanto l’ho amato e promosso a tutti l’ufficii et honori della Reli-gione, e se lui non se ne (ha) saputo servire come diceva per nonhaver voluto sentir i miei consegli che li dovevo dare come Padre, lacolpa è stata la sua. Andiamo pure a visitarlo.Si posero tutti quattro in Carrozza, se n’andarono al Collegio,

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entrarono alla stanza dove stava il P. Stefano ammalato, e sentendoch’era venuto il P. Generale si voltò all’altra banda dicendo che nessunoli dasse fastidio perche si voleva riposare perche non haveva dormito.Entrato il P. nella stanza si pose a sedere in una sediola bassa

cominciò a discorrere con il Sr. Flavio, il P. Rettore et il P. Angelo dicose spirituali e durò più di due ore e mai si vedeva che il P. Stefanosi voltasse ne domandasse qualche cosa come sogliono far l’ammalati.Alla fine si faceva tardi et il P. Generale come vecchio decrepito

non poteva star di notte fuor di Casa, si levò in piedi andò davanti illetto, e con la sua voce sonora lo chiamò due volte dicendo P. Stefano,P. Stefano.Attonito l’infermo a quella voce, si voltò tutto spaventato et atto-

nito, e disse Padre.Lo dimandò come si sentiva, e che male era il suo perche era

venuto a visitarlo non havendolo saputo prima.Li rispose che si sentiva bene, che haveva un poco d’alteratione,

che non era cosa di momento perche mangiava e beveva mediocre-mente con appetito, e dormiva molto quieto le sue sette hore.L’osservò il P. il polso e li disse che s’havesse cura, si raccoman-

dasse al Sig.re, alla Beati.ma Vergine nostra Madre et ai santi suoidevoti, acciò lo liberassero da quella Infermità, e se occorresse qualsi-voglia cosa, se la mandasse ripigliare, che voluntieri l’haveria fattadare, e si licenziò.Se ne tornò a Casa in Carrozza con il Sig. Flavio, il P. Rettore et

il P. Angelo, che lo vollero accompagnare benche lui più volte loricussasse.Domandò per strada il Sig. Flavio il P. Generale come li pareva

che stasse il P. Stefano e che speranze li dava della sua salute.Li disse, che li pareva, che stasse male perche l’Inimico era nasco-

sto, e quanto alle speranze e di bisogno conformarsi col volere Divino,facciamo tutti oratione acciò il Sig.re disponga quel ch’è meglio per lasua magior Gloria e salute dell’Anima sua. Dio sà quanta afflittionesentiva del suo male, mà altro non poteva fare che pregare per la suasalute come haveria fatto fare a tutti i Padri e frelli di Casa con leMesse, Comunioni, digiuni, discipline.Giunti a S. Pantaleo il P. non volle in nessuna maniera che smon-

tassero da carrozza, e li pregò che tornassero presto dall’Infermo, e seoccorresse qualche cosa lo mandassero subito a chiamare, che sariavenuto voluntieri.Smontato il P. da carrozza l’accompagnò di sopra il P. Gio:Carlo,

lo dimandò come stava il P. Stefano, e se moriva di qlla infermità.

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Li rispose che stava male e quanto al morire Dio solo lo sà, fac-ciamo noi oratione, che dispinga quello che è meglio per la salutedell’Anima sua e della sua magior Gloria.Non mancò mai il P. Generale mandar a visitar il P. Stefano e

voleva sapere come haveva dormito e mangiato d’appetito.Passati due giorni tornò di nuovo il Sig. Flavio con il P. Rettore e

pregò il P. Generale, che andasse a vedere il P. Stefano, che già erastato disperato dai medici, lo consolasse come suo figlio, e li dasse lasua bened.ne, giache non havevano giovate tante orationi, e voti chehaveva fatti perche di tanti fratelli non haveva altro che lui, e restavasenza nessun’altro Parente, che pochi giorni prima haveva havutanuova della morte del P.D. Angelo Maria Monaco Cassinenze suo fra-tello, morto a Messina, mentre che stava componendo l’ultimo Tomodelli Bollarii Romani cominciati dalla buon: mem: di Laerzio Cheru-bini suo Padre, che Iddio non ha voluto che si perpetui il suo nomecon quest’opera tanta bisognosa alla Chiesa sua.Dispiacque molto al P. questa nuova della morte del P.D. Angelo

Mª, per esser mancato un huomo, che haveva bevuto il suo latte, el’haveva insegnato da fanciullo per esserli stato tanto caro AmicoLaerzio suo Padre.Si posero in carrozza, andarono al Collegio e visitato il Padre il lan-

guente infermo, l’osservò molto bene, li disse molte cose spirituali conesempii per indurlo ad una buona dispositione per prepararsi al benmorire, e visto che già era disposto, li cominciò a dire, che come Reli-gioso si dovesse rimettere alla volontà di Dio e prepararsi a quel chehaveva determinato per era vicino alla morte, che si preparasse a farsiuna buona Confess.ne e domani alli 13 hore prendesse il Smo. Sacar-mento per Viatico, che tutti fratanto haveriano fatta oratione e datali labened.ne in Articulo mortis lo sciolse da tutte le censure della Relig.nein che poteva essere incorso, si licenziò con le lacrime all’occhii.Prima di partire il P. dal Collegio raccomandò al P. Rettore che

subito facesse confessare il P. Stefano e che non preterisse puntol’hora delle 13 a comunicarlo per viatico acciò non li venisse qualcheaccidente e poi non fusse più a tempo, perche queste Infermitàsogliono ingannare, li comandò anco che non l’accompagnasse con ilSig. Flavio a S. Pantaleo, perche non era bene a lasciar la Casa, edasse ordine al Prefetto delli Collegianti che nessuno dica alli Gio-vani, che il P. Stefano stasse in quello (stato) acciò non si sgomentino,ma si mantengano allegri in cose spirituali che faccino oratione.Fu subito mandato a chiamare da S. Pantaleo il P. Nicolò Mª

Gavotti, che vada presto al Collegio per confessare il P. Stefano, e livoleva comunicare alcune cose sue, ma che andasse quella med.ma sera.

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Non era in Casa il P. Nicolò Mª, tornò la sera tardi ad un hora dinotte, e fattali l’imbasciata non pareva che v’andasse voluntieri sottocolore, che non haveria havuto compagno per tornar a Casa, che Diosa quando si saria spicciato.Li disse il P. Castiglia che andasse con quel fratello del Collegio e

se ne stasse ivi la notte, mentre che il P. Stefano l’haveva mandato achiamare con tanta pre.ra.Andò il P. Nicolò Mª lo confessò generalmente, e prima delle 13

hore li fù dato il Viatico con grandi.ma devotione.Preso il Viatico (mirabil cosa) non stiede un quarto d’ora li venne

un delirio tale che diceva mille cose fuor di proposito, si bene daquando in quando veniva in se, questo fù di sabato la matina.Non mancò mai il P. Generale di raccomandarlo all’orationi di

tutti, fece fare molte comunioni non solo ai nostri fratelli, ma anco alliscolari, acciò l’aiutassero a prepararsi al ben morire.La Domenica matina venne dal Collegio dal P. Generale il P.

Camillo di S. Girolamo Rettore, e li disse che si contentasse sentirlidue parole in presenza d’alcuni Padri Sacerdoti, che cossì l’havevapregato il P. Stefano per sua satisfattione per levarsi alcuni scrupoliche haveva acciò mora contento e satisfatto.Li disse il P. che facesse pure, per(che) lui voleva, che havesse tute

le satisfationi che voleva.Furono chiamati il P. Castiglia, il P. Francesco della Nuntiata, P.

Giuseppe della Visitatione, Vincenzo della Con.ne, Angelo di S.Do.,Bonaventura di S. Maria Madalena e Gio:Carlo di S. Barbara.Radunati questi Padri alla stanza del P. Generale il P. Camillo Ret-

tore si pose ingenocchioni, dicendo, che l’haveva mandato il P. Stefano,che da parte sua domandasse perdono al P. Generale dell’ingiurie etagravii fatteli, e del danno, che haveva fatto a tutta la Religione, che pamor di Giesù Christo lo perdonasse, dispiacendoli non poco nonpoterlo far lui medesimo perche si trovava in termine della morte, econ questo intendeva discolparsi di tutto quello che haveva fatto tantocontro il P. Gnale, il publico della Religione et all’altri particolari.Rispose il P. con un volto allegro, che per la parte sua lo perdo-

nava con tutto il cuore, e voltatosi all’altri li domandò se loro ancorali perdonavano, e risposto tutti di sì, e che lui ancora lo perdonava daparte di tutta la Religione, che li dicesse, che faci un atto di vero pen-timento a Dio benedetto acciò lo perdoni come l’haveva perdonato elui e quei Padri a nome di tutti.Propose il P. Gio:Carlo di questa attione si chiamasse un Notaro

publico e se ne stipulasse un Instrumento che serviria per indennitàdel P. Generale e della Religione.

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Fu contrastato del P. Giuseppe della Visitatione, dicendoli nonesser bene a mettere quelle cose in publico, che paiono mendicate, ecossì non vi si fece altro, et il P. Rettore se n’andò satisfatto, ma più ilP. Stefano quando intese, che tutti l’havevano perdonato sino a quelliche l’erano Inimici.Doppo pranzo il P. Generale fece radunare tutti i PP. e frelli all’o-

ratorio e fece una bell.ma Conferenza sopra la Morte facendo vederel’incertezza, che non si va fidarsi della Gioventù, e prosperità delmondo, come oggi si vede al P. Stefano, che nel fine della sua vita sitrova disperato da medici, ha chiesto perdono a tutti delli danni cheha fatti alla Religione, e perciò per farli vedere che tutti li perdoniamodi cuore, pregava tutti che a due a due l’andassero a visitare comehaveva fatto lui due volte, e consolarlo con poche parole avvertendo,che il perdonare è cosa da buon christiano e quel che si fà al suo fra-tello sara fatto a loro.Tutti i Padri e fratelli l’andarono a visitare, e poi andarono a S.

Pietro a prender l’indulgenza da parte dell’Infermo. Due soli manca-rono, l’uno fù il fratel Fra.co dell’Angelo Custode, che per le suefacende non poté andare, l’altro fù il fratel Filippo di S. Fra.co Luc-chese, che non volle andare per i torti che l’haveva fatti il P. Stefano,il che saputo dal P. Generale, li fece chiamare e li fece un’asprariprensione come dice l’evangelio, e di questo mancamento cossìgrande d’haver scandalizzato tutti ne facese un atto di pentimento.Haveva fatta una ricevuta il P. Stefano al P. Gio:Carlo d’alcuni

libri e scritture della Casa di S. Pantaleo quando fu fatto Revisore dellisuoi conti da Mons. Vittrice Vice Gerente, cominciò a pensare, che seil P. Stefano moriva i libri sarian persi. Sonata l’oratione della matinadue hore avanti giorno se n’andò dal P. Generale, e li disse se li parevabene, che andasse dal P. Stefano a farsi dire dove stavano i libri e lescritture acciò morendo non si perdano.Li rispose che andase pure, vedesse come stà, e lo salutasse da sua

parte, che faceva oratione per lui.Andò il P. Gio:Carlo a Collegio e trovò il Sig. Flavio con altri suoi

Amici et i Padri che stavano discorrendo in sala, che pareva che il P.Stefano fusse assai migliorato.Espose il P. Gio:Carlo al Sig. D. Flavio haverlo mandato il P.

Generale a salutare il P. Stefano e voleva sapere come la passava periersera li fu detto che stava meglio.Li rispose che pareva essersi assai megliorato, e di gratia V.R. non

li dica cosa, che lo possi contristare perche subito li viene il delirio enon sa che si dica.

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Entrò il P. Gio:Carlo dal languente infermo, e salutatolo da partedel P. Generale, che l’haveva mandato a vedere come la passava, e sehaveva bisogno di qualche cosa.Li rispose che stava assai bene, e questa matina voleva venir a

render la visita al P. Generale, che era stato da lui a visitarlo due volte,che ringratiasse da sua parte che li restava molto obligato, e che inogni maniera saria venuto perche cossì conveniva.Sentendo gli astanti questa propositione uscirono fuora et il P.

Gio:Carlo restò solo, li diceva molte cose spirituali, lui stava conattenzione, li domandò dove stavano i libri che l’haveva fatta la rice-vuta et il P. Generale lo pregava dirli dove lasciava le scritture, acciòfacendo Dio altro di lui non si perdessero et andassero male.Quanto ai libri li disse che l’haveva in potere il Sig. Flavio suo fra-

tello e tutte le scritture stavanno in potere di D. Carlo Secretario diMons. Albici Ass.re del Sto Ufficio, che stavano dentro un saccolegato, e dº D. Carlo lo pose sotto il suo letto. Quando sarò morto fatepigliare e li darete questo segno, che il P. Stefano l’haveva ordinatoche non dasse quel sacco a nessuno se non veniva lui med.mo e soprala bocca del sacco oltre le legatura di corda vi era una fettuccia dallaparte di dentro, che legava un Breve pendente dentro detto sacco.Fu lungo il discorso, e perciò entrò D. Carlo di S. Cecilia per

vedere s’havesse bisogno di qualche cosa e che non parlasse tanto cheli cagionava noia e fastidio.Li rispose che non voleva altro che l’apparecchiasse la veste

perche questa matina voleva andare a S. Pantaleo e render la visita alP. Generale, perche cossì conveniva.Restò maravigliato D. Carlo, le disse che tutto stava all’ordine.Li sogiunse il P. Gio:Carlo se fusse disposto a pigliar l’estrema

untione.Rispose che voluntieri haveria presa l’estrema untione, mà non

haveva altro pensiero di venir a S. Pantaleo a visitar il P. Generale, eche l’apparecchiasse la veste.Fu subito chiamato il P. Rettore acciò li dasse l’oglio santo.Entrati tutti e posti in genocchio per cominciar la funzione, il P.

Gio:Carlo destramente se ne uscì fuora perche già haveva havuto ilsuo intento, se ne tornò a S. Pantaleo, e secretam.te diede la relationeal P. Generale di quanto haveva fatto et in che stato haveva lasciato ilP. Stefano.Subito il P. Generale fece chiamar il P. Vicenzo della Concettione

e li disse, che preparasse, che voleva dir la messa per un Agonizante,che facesse presto.

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Detta la messa si ritirò in Camera a render le gratie e far orationeper il P. Stefano con fiumi di lacrime lo piangeva.Finite le scuole i Padri andarono ad accompagnare li scolari e

quella mattina toccò la squadra della Scrofa al P. Gio:Carlo e nel ritor-nar a Casa incontrò in Piazza Navona D. Giuseppe Palamolla Secreta-rio del Cardinal Ginetti, Vicario del Papa nelle cose spirituali, e lidomandò se sapeva che era morto il P. Stefano e rispostoli di no.Li disse che veniva da S. Pietro, era passato dal Collegio Naza-

reno per vedere il P. Stefano e lo trovò che già era morto et il medicoGio:Maria Castellani l’haveva sparato per vedere et ossevar il male, ethaveva testificato che era morto di mal di lepra, e cossì il P. Generaleha visti morti quattro suoi persecutori giovani e robusti, benche lui siavecchio di 92 anni, si crede che questo sia stato castigo di Dio perse-guitar un huomo giusto e con tutto ciò l’ha sempre difesi e compatiti,et il tutto haveva detto al Cardinal Ginetti Vicario del Papa.I quattro che disse D. Giuseppe Palamolla che havevano perse-

guitato il P. Generale erano stati pº il P. Mario di S. Francesco daMontepulciano del stato del Gran Duca di Fiorenza. Il 2º il P. Muc-ciarelli Inquisitor di Fiorenza dell’Ordine de Minori, nato a Fananonel stato del Duca di Modena, il quale lui med.mo testificò a due denostri che per haver favorito troppo il P. Mario contro il P. FundatoreIddio lo castigava e morì con un cancro alla gola miseramente. Il 3º fùil P. Silvestro Pietra Santa della Compagnia di Giesù, che fu fatto visi-tatore Apostolico da Papa Urbano Ottavo per agiustare le cose dellaRelig.ne, questo perseguitò il P. Giuseppe della Madre di Dio artifi-ciosamente et in cambio d’agiustar le cose della Relig.ne la destrussecon favorir il P. Mario, Stefano e Gio:Ant Bolognese, Iddio lo castigòcon levarli la vita e morì all’improviso, che Dio sà come si trovassedisposto. Il 4º fu il P. Stefano dell’Angeli nato in Roma, mà discen-deva da Norcia, figlio di quel Grand’huomo Laertio Cherubini noto atutto il mondo, già la sua morte è detta poco pª di sopra. Sicché si èvisto il castigo divino a che perseguita gli huomini giusti e mansuetisecondo il cuore di Dio. Tornato in Casa il P. Gio:Carlo non volle dir niente al P. Generale

della morte del P. Stefano per non contristarlo, mà mentre che stavamangiando venne il P. Giorgio di S. Francesco e li disse esser morto ilP. Stefano, s’haveva sparato et il medico Gio:Maria Castellani havevadetto publicam.te che era morto di lepra, che l’haveva mangiato ilcuore e le viscere, e che l’haveriano portato a sepellire a S. Pantaleo.Sentito ciò il buon Vecchio si levò subito da Tavola, si pose inge-

nocchioni e con abbondanza di lacrime disse il De profundis con l’o-

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ratione, non volle più mangiare, ma si serrò dentro la stanza a far ora-tione per l’Anima sua.Uscito il P. Giorgio dal P. Generale si sparse la voce per casa esser

morto il P. Stefano di lepra, et ognuno diceva la sua che Dio l’havevacastigato per i strapazzi fatti al P. Generale et haveva destrutta la Reli-gione con tanto vilipendio di tutta la Religione e che tutti havevamoperso il credito per i suoi capricci et ambitione di governar la Reli-gione con tanta superbia.Il P. Castiglia come Superiore per levar questa publica mormora-

tione, disse che non se ne parlasse, che già era morto, che era mortocontrito, e s’era pentito, et haveva cercato perdono al P. Generale dellitorti et aggravii fattili e delli danni che haveva fatti alla Religione, et ilP. l’haveva perdonato, anche otto Padri Sacerdoti, che erano presenti,siche non parlassero più di questa materia, che sapendolo il P. Gene-rale n’haveria sentito disgusto grande, e non è bene a contristarlo.Mentre che stavano discorrendo vennero due facchini con una

bara coverta di S. Spirito e portarono il cadavero del P. Stefano senzalumi, e portatolo in Chiesa senza avisar nessuno, posero il Corpo alnostro cataletto de morti, e partirono siche fù portato come fù fatto alP. Mario suo Compagno.Giunto il morto in Chiesa trattarono di darli sepoltura senza farli

i soliti funerali da farsi a tutti i morti.Il P. Bonaventura di S.Mª Madalena fece aprire la sepoltura dove

stava sepellito il P. Mario per congiungerli assiemi morti come eranostati tanti cari amici in vita et anco doppo la morte.S’oppose in questo il P. Nicolò Mª Gavotti dicendo che non era

bene sepellirlo ivi, ma nella sepoltura comune de Padri o vero met-terlo in deposito separato dall’altri.Successe qualche disturbo perche la magior parte seguitava il P.

Bonaventura, che già era aperta la sepoltura del P. Mario, ivi si dovevasepellire.In questo mentre venne il P. Francesco della Purificatione Assi-

stente, et il P. Camillo di S. Gerolamo Rettore del Collegio Nazareno,e sentita questa differenza pregarono il P. Castiglia Ministro di Casa,che si contentasse, che si facesse un fosso sotto il suo Confess.rio e vifusse sepellito per sedare quel tumulto, altrimente sariano andati dalP. Generale.Si contentò il P. Castiglia, et il P. Nicolò Mª Gavotti prese una

zappa, fece il fosso, et ivi fu sepellito senza nessuno disturbo, senzadirli al meno un De Profundis, e questo credo che fù più per trascu-ragine del rumore che altro.

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Finita questa funzione il P. Francesco et il P. Camillo andarono avisitare il P. Generale, che ancora stava serrato facendo oratione.Fù bussata la porta, aprì il buon Vecchio, li raccontarono la morte

del P. Stefano che già era stato sepellito sotto il Confessionario del P.Castiglia per levare qualche differenza di sepoltura.Come sepellito [disse il P.] senza farli i funerali, cantarli l’ufficio e

la messa? E che prescia è stata questa cossì ripentina, e non farli isoliti suffragii, che pure era stato nostro Superiore, che lo dovevanoportare di sopra l’oratorio, che lo voleva vedere, e farli i suffragiidovuti, che in ogni modo voleva che se li faccino i suffragii come sefusse morto alla Casa di S. Pantaleo, e che lui haveria scrito a tutte leCase della Religione, che li dicano l’ufficio e le messe perche cossìvuole la Carità fraterna.Restarono mortificati quei due Padri e non fecero poco a quie-

tarlo, sapendo che loro non dovevano aconsentire a farlo sepellire inquella maniera, con tutto che v’erano quelle dissensioni.Si lamentò il P. Generale con il P. Castiglia di non haverlo fatto

avisare, che non sarebbono successi tanti inconvenienti, e si sareb-bono fatte le cose come vogliono le nostre Constitutioni e Riti Eccle-siastichi, e lui haveva trascurato che di questo ne doveva far unabuona penitenza.Il povero P. Castiglia non sapeva come scusarsi, se non con la

solita patienza, disse Ja, Ja, cossì ha permesso Dio e siamo sempre atempo a cantarli l’ufficio e celebrarli le messe, che tutti l’haverian fattovoluntieri.La sera il P. fece una bell.ma Conferenza sopra la carità fraterna

avvertendo a tutti che quel che facciamo all’altri sarà fatto a noi etognuno facci i soliti suffragii per l’Anima del P. Stefano, e domatina atempo dell’oratione se li canti l’ufficio de morti, et inmediatamente laMessa cantata. Cossì fu fatto con la sua assistenza con una divotionegrande, che sempre pareva che per dolore sempre piangesse.Habbiamo visto in questi fogli questo secondo Davide tanto per-

seguitato, e lui con tanta patienza sopportar il tutto e poi piangere isuoi persecutori, e far oratione per loro, et Iddio permise vederli tuttimorti benche loro havessero speranza per la Vecchiezza veder luiprima morto di loro, che erano tutti giovani robusti come disse il P.Stefano quando sentì la morte del P. Pietro della Natività della Ver-gine, e disse et uno, e vada il resto, significando la morte del P. Gene-rale, e non sapeva, che la sua era più vicina e stava alla porta.Habbiamo vista la patienza del nostro V.P. Giuseppe della Madre

di Dio Fundatore della nostra Religione, e morti pª di lui i principali

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suoi persecutori. Hora vedremo altre persecutioni contro il medesimoe quel che Dio permisse per raffinarlo meglio non solo nella patienza,mà anco in tutte le altre virtù per darli la gloria in terra et il Paradisoin Cielo come piamente si crede per le meraviglie operate da Dio perl’intercessione del suo servo.Mentre che ancor viveva il P. Mario di S. Fran.co per stabilirsi

meglio nel governo della Religione haveva gran paura delli Padri diNapoli, che vi erano huomini di gran talento e sapere, ne mai havevaquelle risposte conforme il suo genio, perche quei Padri volevano l’os-servanza delle Constitutioni della Religione e che fusse reintegrato nelsuo ufficio il P. Generale perche da lontano vedevano l’intentione delPadre Mario, che non era retta, e cercava più tosto di destrugerla, chepropagarla. Diceva lui che haveva due potenti Inimici, che erano iPadri di Napoli e quelli della Provincia di Fiorenza, che cercava diridurli al suo genio, o vero tenerli bassi e rovinarli massime, chehaveva il braccio di Mons. Assessore che lo favoriva e ne cavava leprovisioni che voleva.Chiese consulta il P. Mario al P. Stefano, che l’haveva fatto Procu-

rator Generale, et al P. Gio:Anto suo Secretario, come poteva fare perchiarir queste due Provincie, che non pareva volessero ubidirli acenno, e non l’erano avisate le cose che facevano, se non per sotto-mano da qualche fratello mal satisfatto del P. Generale.Fù consigliato che mandasse a Napoli il P. Mattia di S. Giuseppe

che faceva la prima scuola al Collegio Nazareno e non dava quellasatisfattione che doveva.Darli ad intendere che andasse allegramente in Napoli sua patria,

che saria fatto Provinciale purche li dasse aviso di quanto si trattavada quei Padri.Quanto alla Provincia di Fiorenza saria bene mandarvi il P. Ber-

nardino Piemontese per levarlo da Roma, che per seguitare la partedel P. Generale facilmente essendo Provinciale haveria ridotta la Casadi Pisa all’ubidienza, e farli una patente ampla, che con la sua dolcemaniera s’haveria accattivata la voluntà del Padre Francesco Matema-tico e cossì s’haveria introdotto dal Gran Duca et appoco appoco tuttisariano chiariti.Quanto alla Provincia di Genova non da fastidio per ivi è il P.

Nicolò Maria Gavotti, che avisa il tutto, è tutto nostro et Inimico delP. Generale, a questo si puol fare una Patente di Visitatore Generalecon la potestà che vada a visitare le Case di Caglieri, per rafrenare ilP. Pierfrancesco fundatore che tampoco si degna di rispondere alliordini che li sono stati mandati, ne si fà quel che si faccia essendo

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fatto Padrone assoluto perche sono tutti Giovani i suoi sudditi, equesto come che ha la mano con tutta la Città un giorno puol dargran fastidio, e disturbare la nostra quiete, tanto più, che ha gran con-fidenza col P. Gio:Stefano Spinola, che lo porta e esalta sopra i Cieli.Parve adequato questo consiglio al genio del P. Mario, e senza

considerare quel che ne poteva avvenire, cominciò ad operare coninventioni e bugie come il suo solito.Fece chiamare il P. Mattia di S. Giuseppe, li fece leggere una lista

delli nuovi Provinciali, che già erano stabiliti dalla Congregatione, ilp.mo era il P. Bernardino per la Provincia di Fiorenza, et il 2º lui perla Provincia di Napoli, che l’accettasse pur voluntieri che come eraPatriotto haveria fatto bene e l’haveria dati quelli sugetti che voleva, elevati quelli che non si portavano conforme il suo volere.Parve al P. Mattia, che fusse troppo a farlo Provinciale perche

non haveva havuto mai ufficio nessuno della Religione, li rispose chevoluntieri andava a Napoli, ma si contentava d’esser Ministro dellaDuchesca, che non li pareva bene levar il P. Gio:Luca della Beata Ver-gine, che era poco che era fatto Provinciale, e levandoli il luogo have-ria havuto de disgusti per esser huomo di gran seguito della Provincia,con tutto ciò haveria fatta l’ubidienza come li comandava con ogniesattezza e fedeltà.Li disse che si mettesse all’ordine e non parlasse con nessuno di

quanto l’haveva detto, che fratanto l’haveria fatte l’instruttioni come sidoveva portare per far un buon governo et aiutare la sua Provincia,che la stimava più dell’altre per haver presso l’habito in Napoli dimano del P. Pietro.Se ne tornò tutto allegro il P. Mattia al Collegio, si pose in postura

e stava contemplando come si doveva portare con tanti Padri di qua-lità per farseli amorevoli.Fu avisato il P. Mario, che il P. Mattia non attendeva alli Colle-

gianti e li diceva qualche motto, che presto l’haveria lasciati et have-riano havuto meglio maestro.Si portò il P. Mario al Collegio con il suo Secretario, dove fecero

una solenne recreatione, massime di vini squisiti di più sorte, chequesto piaceva assai al P. Mattia, finito il pranzo discesse il P. Mariocon questo P. e fra l’altre cose che li disse, che l’haveva trovata lafiluca per imbarcarsi per Napoli e fra due giorni saria partito, chevedesse, chi voleva per Compagno che l’haveria dato.Dimandò un Padre piemontese suo Amico, del quale si fidava,

che l’haveria avisato di quanto si faceva acciò fedelmente lo potesseavisare, perche non era bene che un Provinciale andasse osservando

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quel che si faceva in Casa et havesse havuto qualche affronto, massimeche in Napoli non mancavano rompicolli et impertinenti che li faces-sero qualche aggravio come tante volte era successo.Li rispose che quel P. non era bene, che uscisse da Roma perche se

ne voleva servir lui in questa materia d’avisarlo di quel che si faceva a S.Pantaleo, che se ne poteva andar solo, che poi l’haveria mandato con lapatente di Provinciale; l’instruttioni, che l’haveva di dare erano sole, cheli dasse aviso come si portavano i Padri e fratelli, e che cosa si diceva dilui per arrimediare a quel che poteva succedere, perche lo mandavaapposta acciò l’avisasse fedelmente di quanto si faceva e parlava perchevi era il P. Giacomo di S. Maria Madalena Secretario del P. Generaleche non si quietava a sparlare contro di lui e questo era di bisogno mor-tificarlo, e tenerlo basso acciò non pigli favori, che sia reintegrato il P.Generale sintanto che s’agiustano le cose della Relig.ne.S’imbarcò il P. Mattia per Napoli senza compagno e giunto diede

nuova, che lui veniva per Provinciale, che quanto p.ma aspettava lapatente con il suo compagno.Hebbero molto male i Padri di Napoli, che un huomo tale che si

faceva portar dal vino fusse Provinciale, del che ne fecero grand.mirisentimenti, stante, che v’erano Padri consumati nella Relig.ne e negoverni, e che se veniva a leggere la patente non l’haveriano accettatoper Provinciale sotto qualsivoglia pene perche beveva troppo e poil’havevano per un confidente perche sempre anda attorno e doman-dava che cosa si diceva del P. Mario, e che opinione n’havevano e seil suo governo era accetto a tutti i Padri della Provincia.Si scoverse questo suo modo di negotiare, et ognuno lo fuggiva

per non haverne da trattare perché tutto scriveva al P. Mario.Non poté star saldo il P. Mattia che stava aspettando la patente di

Provinciale, cominciò un giorno a minacciare il frel Teodoro di S.Cecilia Norcino dicendoli che troppo parlava contro il P. Mario, chestasse in cervello, che lui fra pochi giorni l’haveria chiarito e castigatala sua temerità.Li rispose il fratel Teodoro che non haveva paura ne di lui ne del

P. Mario, ch’era un altro frate Elia, che pretendeva allargare la Reli-gione di S. Fra.co, e lui l’haveva mandato a Napoli a far la spia, e nonper Provinciale come s’andava vantando.Si fece testimonii il P. Mattia, andò dal P. Gio:Luca Provinciale, li

disse che castigasse quel temerario del fratel Teodoro, che haveva stra-pazzato il P. Mario chiamandolo Fra Elia, e lui suo spione, e di questochiamava in testimonio il fratel Gio: del Cairo et il fratel FrancescoPortinaro, che se non lo castigava l’haveria scritto non solo al P. Mario,

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mà anco al P. Pietra Santa Visitator Apostolico, che lui l’haveva man-dato a Napoli e non voleva esser strapazzato.Subito il P. Provinciale fece chiamare i due testimonii in presenza

sua e domandatoli che cosa haveva detto il fratel Teodoro al P. Mattia,che dicessero la verità perche lo voleva castigare.Fù risposto che il P. Mattia andava scavando da tutti qualche cosa

per poi servirsene come lui sa. Il fratel Teodoro stava esaminando isuoi scolari, li venne l’impatienza e quel che li dicesse nessuno dellidue l’haveva inteso, mà perche questo P. stava otioso andava semprecercando i fatti d’altri, e saria bene che il P. Provinciale l’impiegasse aqualche cosa che cossì faria i fatti suoi.Per queste risposte il P. Provinciale disse al P. Mattia che mortifi-

catione doveva dare al fratel Teodoro mentre i Testimonii adotti da luipiù presto dicevano haverli dato causa e non havevano inteso quel chel’haveva risposto con tutto ciò haveria chiamato il fratel Teodoro, chedica la sua colpa della sua impatienza.Partiti dal P. Provinciale fratel Gio: del Cairo andò a trovar il P.

Mattia, e li disse che stasse in cervello a non andar un altra volta ariferire al P. Provinciale quel che si discorreva ne scriverlo a Roma,che li faria vedere quanto pesano le parole, massime haver chiamatolui per testimone, e se non bastava quell’aviso che li dava l’haveriafatto provare qualche altra cosa.Restò da tutte le parti il P. Mattia mortificato, et haveva paura del

fratel Gio: del Cairo, che l’havesse bastonato.Fù scritto questo fatto alli Padri tre Assistenti che il P. Mario

haveva mandato in Napoli il P. Mattia di S. Giuseppe e l’haveva dataparola mandarli la patente di Pro.le, e si maravigliavano di loro, checoncorrevano in questa elettione ad un huomo simile che inquietava liPadri di Napoli con la spalla del P. Mario.Havuta questa lettera i tre Padri Assistenti stavano anco distor-

bati delli strapazzi che haveva fatto il P. Mario al P. Generale, comin-ciarono a dire tra di loro, come il P. Mario fà i Provinciali a modo suosenza dirne una parola; alla fine è tanto il voto suo quanto il nostro, lecose non caminano con quella rettitudine che si deve, costui vuol rovi-nare la Religione per far a modo suo, e non vogliamo che un giornosia data la Causa a noi, saria meglio che lasciamo far a lui solo e noi ciritiriamo e rinunciamo d’essere Assistenti, perche quando vuol farqualche cosa se ne viene, che cossì vi vuole Mons. Assessore et il P.Pietra Santa per ordine della S. Cong.ne.Non porta il dovuto rispetto al P. Generale, che l’ha strapazzato e

che cosa habbiamo da fare, è meglio che rinunciamo e lasciamo fare alui, al P. Stefano et al P. Gio:Antonio suoi Consultori secreti.

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Andavano temporegiando i tre Assistenti forsi si saria emendato ilP. Mario, ma vedendo, che faceva peggio che prima si risolverono dirinunciare in mano del P. Silvestro Pietra Santa Visitator Apostolicoaducendo le Cause che li movevano a far questa rinuncia.Non volle il P. Pietra Santa accettarla dicendo, che non era bene

e lui non haveva questa autorità, che havessero patienza, che lui have-ria agiustato il tutto con piacevolezza e senz alcuno disturbo.Fece il P. Mario una patente al P. Nicolò Maria del Rosario

Gavotti conforme la consulta datali de P. Stefano e Gio:Antonio, chefusse Visitatore della Provincia di Genova acciò l’avisasse quantofaceva e diceva il P. Gio: Chrisostomo di S. Caterina de Siena Provin-ciale, et il P. Luiggi delle Carchere, che haveva in mano tutta la Repu-blica, delli quali il P. Mario haveva gran paura, perche seguitavano laparte del P. Generale, e volevano l’osservanza delle Constitutioni dellaReligione.Havuta la patente il P. Gavotti fece la visita alla casa di Savona

dove stava di famiglia et in quel tempo era Ministro di quella Casa ilP. Gabriele della Nuntiata da Genova, il quale era uno di quelli chevolevano l’osservanza, e che fusse rimesso al suo governo il P. Gene-rale perche le cose non andavano bene et il P. Gavotti per la sua solitalibertà era stato mortificato dal P. Gabriele.Havevano i Padri di Savona havuta una eredità da una Signora D.

Maria Bardolla per la fabrica della Chiesa, la quale maneggiava il P.Gabriele Ministro con il Procuratore della Casa.Fatti i conti della Casa nella visita mancava no so che stoppa

dell’eredità, che non era inventariata e perciò il P. Nicolò Mª fece unprocesso contro il P. Gabriele e lo condannò a pagar la stoppa e fra-tanto lo sospese dall’esser Ministro della Casa.Appellò il P. Gabriele di questo Decreto alli Padri Assistenti et al

P. Visitatore Apostolico per farli vedere, che quanto haveva decretatoera nullo per i conti andavano giusti e quanto haveva fatto era tuttapassione et a Roma haveriano visto se haveva fatta la giustitia, e dettala verità nella relatione, che già haveva mandata a Roma, per questaCausa tutta la Provincia di Genova si pose sotto sopra con i disturbie minacce che faceva del S. Ufficio.Finita la visita di Savona se n’andò a Cagliari in Sardegna [illegi-

bile, rotto. – N.d.R.] con molte cose di zucchero, e provisto d’altro[illegibile, rotto. – N.d.R.] haveva un vestito di scarlato, tutto strabi-liante e giunto al Porto di Caglieri mandò ad avisare il P. Pier Fra.codella Madre di Dio Napolitano, che era stato fundatore, in quel Regnoche era venuto il P. Visitatore, e che lo mandasse a pigliare per accom-pagnarlo a Casa due fratelli.

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Intesa questa novità il P. Pier Francesco calò lui med.mo allaMarina con due altri, e saglito sopra la Nave trovò il P. Nicolò Mariavestito in quella maniera, calzato con le calzette e scarpe da secolarecome anco il suo Compagno anche calzato.Restò attonito il P. Pier Fra.co vedendolo calzato, li disse che si

scalzasse perche non li pareva bene, che un Visitatore andasse inquella maniera, che la Città non haveria havuto bon concetto di lui eche tutti i Padri e Fratelli erano Giovani, e dall’esempio suo comeVisitatore n’haveriano fatto peggio.Si piccò di questo aviso e li rispose che l’haveria fatto a Casa, che

lui era Visitatore mandato da Mons. Assessore del S. Ufficio, quantodoveva fare tutto era d’ordine suo come poteva veder dalla patente. Il povero P. Pier Fra.co sentendo il S. Ufficio non seppe che

rispondere, strinse le spalle, e se n’andarono a Casa.Fece la Visita e trovò che il P. Pier Fran.co era molto rigoroso nel-

l’osservanza della Regola, e come, che a tutti piace la libertà comincia-rono a dir al Visitatore che erano tenuti non come Religiosi, ma comeschiavi, massime uno Italiano Calabrese di cui si tace il nome perchequesto era secondo il genio del medesimo Visitatore, e pretendevaesser lui Ministro della Casa di Caglieri, andava sempre serpendocome sogliono fare le lacerte con due code, che hora diceva male delVisitatore al P. Pier Fra.co che in cambio [illegibile, rotto. – N.d.R.]osservar la Regola [illegibile, rotto. – N.d.R.] al Visitatore diceva che ilP. Pier Fra.co s’era fatto padrone assoluto e faceva tutto da per sestesso, perche tutti gli altri eran giovani, e li guidava come li piaceva,e non faceva altro che vestir Novitii e l’educava secondo il suo genio,siché era di bisogno farlo stare un poco da suddito, che cossì comin-ciarà ad imparare a comandare con più piacevolezza.Li promise che quando saria andato a Roma a dar la Relatione

haveria fatto di modo che fusse levato.Tra l’altri Decreti che fece, fù che non vestisse più Novitii sino a

nuovo ordine della Cong.ne del S. Ufficio. Avertendo che quel Decretono lo faceva lui mà l’haveva fatto la Cong.ne quattro mesi sono e chida quel tempo haveva vestito era incorso alle pene che contenevano indetto Decreto. Dichiarò anche che il Ministro non fusse cossì rigo-roso, che non faceva uscir da Casa se non una volta la settimana, fuorche quelli che accompagnavano li scolari et il Procuratore della Casaet i Confessori per confessare.Quando il P. Pier Fra.co vidde il Decreto del vestire esser fatto

quattro mesi pª dalla Cong.ne del S. Ufficio, li disse che lui non havevahavute lettere sopra questo fatto, e non lo sapeva, e che haveva vestiti

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alcuni due mesi sono, che per l’avvenire si saria astenuto e non hauriapiù vestiti sotto qualsivoglia pretesto.Fù ammessa questa scusa dal Visitatore, li disse che mentre non

lo sapeva non era incorso, mà questa cosa se la serbò all’occasioni, chepotevano succedere perche haveva pieno lo stomaco di malhumori eta suo tempo vomitò il veleno come appresso si dirà.Morto il P. Mario pensavano i nostri Padri, che dovessero suben-

trare al governo della Religione, mà riuscì il contrario come si disse disopra, mà subbentrò il P. Stefano assoluto con il P. Silvestro PietraSanta, e dichiarata valida la renuncia delli tre Padri Assistenti.Onde tutti tre uscirono da Roma, il P. Santino di S. Leonardo

Lucchese se n’andò a Moricone a zappar l’orto, quando non andava lefeste a confessare per quei Castelli per trovar qualche elemosina permangiare.Il P. Gio:Stefano della Madre di Dio come che amava la solitu-

dine si ritirò alla Casa di Poli a far oratione.Il P. Gio:Francesco se ne andò a Genova, dove fù chiamato da

quei Padri perche non solo era huomo di lettere ma di gran spirito etil P. Honofrio del S.mo Sacramento Provinciale di Germania, e Polo-nia con il P. [in bianco nell’originale – N.d.R.] se n’andarono perdisperati perche volevano far forza che questi due seguitassero il par-tito del P. Stefano e si fecero Cappucini dove stiedero da quindicigiorni e datosi all’oratione per vedere quel che Dio voleva da loroambidue se ne tornarono perche cossì furono spirati da Dio che l’ha-veva levato il sonno e non potevano dormire.Se n’andò a Poli il P. Honofrio dal P. Gio:Stefano, da dove scrisse

al P. Generale, che scusasse la sua leggerezza e che Dio lo voleva farmorire nella Religione delle Scuole Pie, e vi voleva metter la vita sebisognava, e questo non era stato altro che vedeva l’ultima rovina eprecipicio della Religione, mà il Signore l’haveva inspirato tornare afar penitenza de suoi peccati col tenere qualsivoglia mortificatione.Scrisse anco un altra lettera al P. Silvestro Pietra Santa come Visi-

tatore dandoli aviso come si trovava a Poli e li domandava perdono dinon haverli domandata licenza nel partire che haveva fatto della suaReligione e che si rimetteva sotto la sua ubidienza e vedesse dovevoleva che andasse di stanza.Era restato franco il campo al P. Stefano, perche il P. Generale

non haveva huomini di petto che lo potessero aiutare, ma egli solohaveva fede in Dio, et alla Beat.ma Vergine che l’haveria difeso e libe-rati i suoi figlioli da tanti affanni.Ricevuta la lettera del P. Honofrio il P. Pietra Santa, la diede al P.

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Stefano acciò vedesse con bel modo guadagnarsi il Padre che lui sololi bastava a stabilirlo nel governo promettendoli qualsivoglia ufficiodove li piace.Subito il P. Stefano chiamò i suoi due Consiglieri cioè Gio:Anto-

nio e Nicolò Maria, li lesse la lettera scritta dal P. Honofrio al P. PietraSanta e li disse il Consiglio che l’haveva dato che guadagnato il P.Honofrio di sicuro non haveriano più paura, che fusse reintegrato il P.Generale, stavano pensando chi doveva tender questa trapola per far-velo cascare.S’offerì il P. Nicolò Maria d’andar a Poli e trovar il P. Honofrio

che saria peso suo farlo venire alla voluntà del P. Pietra Santa, diMons. Assessore, e del P. Stefano, e quando stasse ostinato li dasserol’ubidienza che se ne vada relegato a Norcia perche se resta a Poliquesto è huomo di machine e con il P. Gio:Stefano ci daranno moltoche fare perche sono conosciuti.Fù concluso che vada a Poli il P. Nicolò Mª e prometta al P.

Honofrio tutto quel che voleva, purche solamente aderisse al P. Ste-fano, che l’haveria fatto dare, e spacciasse la parola della Cong.ne delS. Ufficio, di Mons. Assessore, del P. Pietra Santa e di tutta la Reli-gione, che anche haveria dato gran gusto al P. Generale.Si pose a cavallo il P. Nicolò Mª se n’andò a Poli, parlò al P.

Honofrio rallegrandosi del suo ritorno, come anche tutti si rallegra-vano et in particolare il P. Generale, et il P. Stefano che sapeva quantoli volevano bene per le fatiche, che haveva fatte per la Religione, et erastato mandato da Mons. Assessore e dal P. Pietra Santa, che vedesseche satisf.ne voleva, e che ufficio desiderava alla Religione, che l’have-riano dato purche acconsentisse ad aderire al governo del P. Stefano,che per farlo bene voleva la sua consulta, e cossì la Religione si quie-taria e sariano un Cuore et un’Anima, e darebbe gusto al P. Generale,che questo è anco suo motivo, mà questo negotio non era bene perhora comunicarlo a nessuno per non sconcertare questo trattato,perche cossì haveva ordine de Superiori Maggiori.Li rispose il P. Honofrio sentendo le parole artificiose, che lo rin-

gratiava molto dell’offerta che li faceva da parte delli Superiori Mag-giori e non pensasse che lui era partito dalla Religione per capriccio opassione, che havesse havuta con nessuno, mà solo era stato per mag-gior perfettione e salvare l’Anima, vedendo di lontano la rovina dellaReligione, che in cambio d’aiutarla la vogliono distruggere sotto variipretesti, artifici et inventioni, e se vuol sapere la Causa perche eranoandati a farsi Cappucini la dirò in breve parole, mà perche n’havevafatte ferventi orationi acciò il Sig.re li mostrasse la strada dove e como

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l’haveva da servire, l’haveva inspirato che tornasse alla sua Religione,e l’aiutasse il quel che poteva, e cossì fece determinatione di venir aPoli a piangere i suoi Peccati, e star sotto l’ubidienza di chi li potevacomandare, che però n’haveva scritto al P. Pietra Santa Visitatore Apo-stolico, che se ne metteva in tutto e per tutto sotto la sua Ubidienza,et ancora non haveva havuta la risposta della quale l’haveva pregato,che l’honorasse.Quanto che lui aderisse al governo del P. Stefano, che l’offeriva

qualsivoglia ufficio di sua satisfatione, e che voleva la sua consulta perfar un buon governo, sappia che questo fù il primo motivo datomi dalP. Generale e dal P. Pietro, che quando dovesse governar la Religioneil P. Stefano era meglio che fusse destrutta, et Io sentendo questa pro-positione dal P. Fundatore e dal suo p.mo Compagno essendo duegran servi di Dio, per non trovarmi in questi infrangenti, mi risolvei difarmi Capuccino.Ho scritto anche al P. Generale che son tornato, e mi ritrovo a

Poli, e m’ha risposto che haveva fatta oratione per me acciò il Sig.rem’illuminasse, e mi facesse conoscere la verità del mio errore d’haverlasciata la Religione mentre che si trova in tanti travagli, e che il buonsoldato si conosce mentre si dà la battaglia, se resiste alle botte dibombarde.Dunque mi sono dichiarato abastanza, ne mi voglio ingerire dove

non mi tocca governi pur la Religione chi si sia, che voleva viverequieto quei pochi giorni che li restavano voleva far penitenza e pian-ger i suoi peccati, che stava aspettando la risposta del P. Pietra SantaVisitatore per sentir da lui quel che haveva da fare.Sentendo il P. Nicolò Mª l’ostinatione del P. Honofrio lo comin-

ciò a pregare che vi pensasse un poco, e questa sera li dasse la rispostaper non caminare cossì precipitosamente.Li rispose che già l’haveva data la risposta et haveva stabilita la

sua intenzione, e non occorreva che li mettesse inanzi i Superiori Mag-giori, perche il Visitatore era quello che comandava e da lui aspettavagli ordini di quello che haveva da fare.Non conosceva altri Superiori Maggiori perche quello l’haveva

dato la Sede Apostolica, non occorreva che s’affaticasse a persuaderlo,che non era per accettar nessuna cosa perche non vi voleva far altro.Vedendo il P. Nicolò Mª l’ostinatione del P. Honofrio si pose la

mano in petto e cavò l’ubidienza, che il P. Honofrio partisse da Polifra il termine di tre giorni, e s’andasse a Norcia sino a nuovo ordine invirtù di s. ubidienza, scomunica lata sentenzia et altre pene riserbatealla Cong.ne del S. Ufficio, senz valer l’appellatione e non partisse

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dalla Casa di Norcia sotto le pene d’Apostasia et altre pene riserbatealla Sede Apostolica.Prese l’ubidienza il P. Honofrio e li disse che non haveria aspettato

li tre giorni, mà che haveria fatta l’ubidienza, se ne saria andato aNorcia voluntieri, e saria stato sotto il comandamento di quel P. Mini-stro, e domatina pª che lui partisse per Roma si saria partito per Norcia.Intese D. Appio Conti Duca di Poli esser venuto da Roma a S.

Stefano il P. Nicolò Mª, l’andò subito a trovare per sapere qualchecosa della Religione, come che era affettionato, et haveva a sue spesefabricata da fundamenti quella haveva a caro saper nel stato in che sitrovava, se n’andò a S. Stefano, parlò al P. Nicolò Maria, dal qualeintese che era venuto a pregar il P. Honofrio che volesse aderire algoverno della Religione al P. Stefano, l’haveva ricusato, e perciò l’ha-veva data l’ubidienza che se ne vadi a Norcia e lui l’haveva presavoluntieri, che vedesse se lo poteva rimuovere dalla sua ostinatione,che l’offeriva qualsivoglia ufficio della Religione dove e come volevalui, mà s’era posto in capo d’andar a Norcia.Perché a Norcia, li rispose il Duca, perche non puol star a Poli?

Li promise di parlarli, che forsi haveria mutato di parere.Se n’andò il Duca a trovar il P. Honofrio, li domandò la Causa

perche voleva andar a Norcia, e non star a Poli, mentre che l’eraofferto l’ufficio che voleva lui, e poteva stare dove piu li piaceva, chenon facesse questa ressolutione e si lasciasse piegare, sintanto s’agiu-stano le cose della Religione, perche non puol essere cosa lunga.Li rispose che ringratia S.E. dell’affetto, che si contentava di

mantenerli, che già era risoluto di partire domani per Norcia, evoleva far l’ubidienza perche cossì conveniva per sua quiete e salutedell’Anima sua.Il Duca si strinse le spalle, e diede la risposta al Padre Gavotti,

che quei di Casa Conti basta che dicano di no, che non mutano maidi parere, li dispiaceva di questi tempi che andasse a Norcia dove sontanti freddi.La matina a buon’ora il P. Honofrio prese il suo Breviario, e se

n’andò a dir messa a Tivoli, e poi pian piano se n’andò a Norcia, dovetrovò per Ministro il P. Gio:Battista di S. Tecla, che pª era ProcuratorGenerale che (per) mortificarlo l’havevano fatto Ministro della Casa diNorcia.Scrisse il P. Honofrio al P. Generale, che si contentava voleva

andarsene in Polonia, che con il favore del Re Ladislao quarto haveriaaccaparrato qualche cosa pche quando era in Polonia saria peso suo.Li rispose il Padre, che non li pareva tempo opportuno far questo

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viaggio, e non vorria che li fusse fatto qualche affronto, che se nestasse pure a Norcia allegramente con il P. Gio:Battista, e facesserocontinua oratione acciò il Signore si plachi del suo giusto sdegno, edia qualche quiete alla Religione per tutte le Case esclamano e stannoinquiete perche non vogliono il P. Stefano, che li governi, e benche luil’animasse ad haver patienza a supportare; n’era data a loro la colpa,che si fomentasse, siche è di bisogno ad haver patienza e supportareper amor di Dio.Scrisse una lettera a Caglieri il P. Nicolò Mª al P. Pier Francesco

dandoli aviso che il P. Stefano era successo in luogo del P. Mario, e chelui se ne rallegrasse, et subito scrivesse offerendosi alla sua devotione.Scrisse anco al P. Antonio di S. Michele, che stasse allegramente

perche il P. Stefano era fatto Superiore Generale, e n’haveria havutoquanto voleva, che bastava che scrivesse a lui, che l’haveria servito.Capitarono queste lettere in mano del P. Pier Fra.co, il quale lesse

tutte due, e considerando molto bene il contenuto non volle mai pale-sare d’haver havute lettere da Roma, ma stava contemplando comepoteva fare per far imbarcare il Calabrese, e mandarlo in Italia perchehaveva scoverto che haveva intelligenza secreta con il P. Stefano et allevolte parlava contro il P. Generale.Venne l’occasione che quattro Giovani cercavano di vestirsi del

nostro Abito; l’andava dando buone speranze, che stassero pure ferminella vocatione, che n’haveria scritto a Roma per haver la licenza, el’haveria consolato.Passate alcune settimane mandò il P. Stefano a Caglieri la lettera

circolare, che era stato deputato dalla S. Cong.ne Superiore Generalee se occorreva qualche cosa li scrivesse che lui con il P. Silvestro PietraSanta governava tutta la Religione doppo la morte del P. Mario di S.Francesco.Ricevuta questa lettera il P. Pier Francesco la lesse pª al P. Anto-

nio Calabrese per farli vedere che confidava con lui e li cominciò ainsinuare che saria bene procurare d’haver la licenza di vestire, perchesi potevano fare de buoni sogetti e li perdiamo per non haver questalicenza. Giache è mutato governo facilmente andando qualched’unoin persona a Roma, s’otteneria, mà perche questi son tutti giovani etinesperti non se ne poteva fidare; se havesse voluto fare quel viaggio,l’haveria dato danaro e fatteli rimesse per regalare a chi bisognava. Li disse che era pronto e lasciasse far a lui, che saria andato

voluntieri, perche era negotio di grad.ma importanza.Lo pregò il P. Pier Francesco che non comunicasse questo nego-

tio a nesuno tampoco alli nostri Padri di Napoli, mà che andava inRoma per negotii della Casa.

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Restarono d’accordo, che con la p.ma occasione d’imbarco perNapoli si saria imbarcato e fratanto si saria fatta la provisione.Fra pochi giorni capitò a Caglieri un filuca da Napoli, e pochi

giorni doppo se ne tornò. Se ne imbarcò il P. Antonio con tutte quellecomodità che voleva con danaro bastante et una poliza di Cambio alP. Antonio Migliaccio, che havendo bisogno il P. Anto si facci pagar inRoma cinquanta pezze da otto.Giunto a Napoli stiede pochi giorni e s’imbarcò per Roma, portò

le lettere al P. Stefano e lo raccomandò in particolare la licenza, chepossa vestire perche molti desideravano il nostro habito et eranosugetti buoni come il med.mo P. Anto ne poteva dar ragguaglio,perche li conosceva et erano psone buone.Non furono gradite molto queste lettere, tanto più che il P. Pier

Fra.co scrisse a lungo al P. Generale, del che ne fu preso suspetto chenon havesse qualche intelligenza secreta con lui.Fù fatto il memoriale per la licenza di poter vestire, pensando il P.

Anto che l’havesse subito per potersene tornare con qualche carica,come già l’era stato promesso di farlo Ministro della Casa di Caglieri,e lui si dichiarò che non vi voleva ritornare mentre vi era il P. Pier-francesco, che voleva far il Padrone e strapazzava tutti alla peggiocome ne poteva far fede il P. Nicolò Mª che era stato Visitatore,questo fece impressione, e non si vedeva spedire ne la licenza divestire ne la patente.Cominciò a machinare il P. Anto con il P. Nicolò, come potevano

per far levare il P. Pier Fra.co da Caglieri, che poi per forza era dibisogno mandarvi lui come più prattico et antico di tutti, e sebene viera il P. Pier Luca di S. Michele Romano non era huomo di machine,che attendeva alli studii.Trovò subito l’occasione il P. Nicolò Mª, l’accusò d’haver contra-

venuto all’ordine del S. Ufficio, che haveva vestito i Novitii et eraincorso alle pene e censure. Trovano mille invenzioni e componendomille bugie che quest’era un huomo, che non stimava nessuno, ethaveva intelligenza secreta con il P. Generale con il parere del quale siregolava.Fù fatto un Decreto della Cong.ne del S. Ufficio, che il P. Pier F.co

si conferisse in Roma a dar raggioni perche Causa non era incorso alleCensure fatte nel Decreto del S. Ufficio, che non si vestano Novitii elui l’haveva vestiti contro il Decreto.Il P. Anto come accusatore, che non parta di Roma se non arriva

l’Inquisito.Fù mandato il Decreto all’Arcivescovo di Caglieri, che lo facesse

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intimare personalmente al P. Pier Francesco che fino il termine si con-ferisse a Roma sotto pena di scomunica et altre pene riserbate alla S.Cong.ne del Tribunale del S. Ufficio dove doveva comparire a dir lesue raggioni.Capitato il Decreto in mano dell’Arcivescovo mandò a chiamare il

P. Pier Francesco amichevolmente e li lesse il Decreto dicendoli chevedesse come doveva fare perche a lui dispiaceva molto questo suotravaglio, perche manifestamente si vedeva essere persecutione diqualche altro religioso.Ringratiò Mons. Arcivescovo della confidenza, li disse che lo

facesse pur intimare perche lui voluntieri saria andato a Roma perchehaveva la coscienza netta, ne haveva fatto mal nessuno e sperava chia-rir la verità e tornarsene quanto prima.Fù intimato giudicialm.te, e presa al copia la fece vedere all’A-

mici, e saputo questo fatto dalli Deputati della Città dissero al P. PierFrancesco che non partisse senza loro licenza perche di questo fatto vivolevano scrivere alla Corte acciò si mantengano i loro privilegii,perche il Regno di Sardegna era unito con il Regno d’Aragona, ethaveva il Tribunale da per se.Li diede buone parole il P. Pier Francesco di voler fare quanto

comandavano, ma havuta l’occasione d’imbarco per Sassari e da Sas-sari se n’andò a Livorno e se n’andò a Roma.Giunto a S. Pantaleo con i primi che s’incontrò furono il P.

Nicolò Mª, et il P. Antonio, i quali fingendo di non saper cosa nessunalo dimandarono come era venuto a Roma senza licenza del P. Stefano,che oggi governa la Religione.Li rispose esser stato chiamato da chi loro potevano sapere, e

sapeva molto bene che senza licenza non poteva venire in Roma, chesperava haver la giustitia unita con la verità, e trionfare della bugia,che ha le gambe corte.Fù accompagnato dal P. Stefano e subito li disse che haveva fatto

errore a venir cossì presto, che pª si doveva avisare, che senza venir inRoma haveria rimediato e l’haveria aiutato appresso Mons. Assessore,pensando forsi, che con queste buone parole tirarlo dalla parte suaperche n’haveva paura per esser huomo di gran talento, e per il benepublico si saria fatto amazzar p la Religione.Li rispose che non haveva fatto errore nessuno quanto haver

vestiti i Novitii, perche non haveva havuto tal ordine ne lo sapeva, senon quello che l’haveva detto il P. Nicolò Mª, che lo ringratiava del-l’offerta, et occorrendo se ne haveria avvaluto.Subito Nicolò Mª andò ad avisare Mons. Assessore, che era

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venuto da Sardegna quel P. che non haveva voluto ubidire, che nonvestisse Novitii, e stà ostinato che non ha fatto errore, questo è unsuperbo, non stima nessuno e s’appogia sempre con il P. Generale, nesi cura del P. Stefano.Li rispose Mons.re che si sentiranno le sue raggioni, e la Cong.ne

determinarà la giustitia che non corre con furia.La matina seguente andò il P. Pier Fra.co al S. Ufficio, parlò con

Monsig.re, disse le sue raggioni con ogni schiettezza, che era vero chelui haveva vestiti alcuni Novitii da molti mesi sono, mà non havevasaputo esser un Decreto, che si possa vestire, che non haveva maihavuto tal aviso, sapendo che a cenni si deve ubidire alla Sede Apo-stolica non che alli suoi santi Decreti, mi facci gratia di scrivere all’In-quisitore di Sardegna, che piglia informatione di questo fatto, e tro-vandomi colpevole mi castighi, che voluntieri accettarò la mortifica-tione di qualsivoglia maniera, perche mai ho saputa tal cosa.Li disse che ne parlasse al P. Comissario e l’informasse acciò lo

proponghi alla prima Congregatione.Pensavano i suoi avversari che il P. Pier Francesco restasse pri-

gione al S. Ufficio, che per due Anni al meno non partisse come di giàs’andavano milantando.Parlò il P. Pier Francesco al P. Comissario e subito conobbe che

questa non poteva esser altro, che qualche passione, li disse, che tor-nasse il giorno seguente, che l’haveria fatto esaminare e poi l’haveriadetto quel che haveva da fare, mà che stasse avertito a non parlarnecon nessuno perche altrimente guastaria il tutto.Non tornò a pranzo la matina il P. Pier Fra.co perche era tardi, e

quelli dissero al Cuoco et al Refettoriero che non l’aspettassero chehaveva di negotiar a lungo, volendo significare, che stava prigione ethaveva da rodere un osso per un pezzo.La sera tornò il P. Pier Fra.co, presa la bened.ne dal P. Stefano lo

fece seder seco, lo dimandò che cosa haveva fatto.Li rispose haveva discorso con Mons. Assessore e l’haveva detto

che parlasse con il P. Comissario, ma perche non era in Casa l’havevaaspetatto e non era venuto, pensava di tornarvi la matina.Il P. Stefano con i suoi ragiri l’andava dando buone parole per

che sapeva chi era il P. Comissario, li disse, che l’haveria anco parlatolui e raccomandatoli la Causa.La matina a buon hora se n’andò il P. Pier Francesco al S. Ufficio,

parlò di nuovo al P. Comissario, il quale lo fece esaminare dal suoCompagno, e lo tenne per spatio di tre ore, fu licenziato con dirli chesi facesse vedere Mercordì matina alla Minerva, che n’haveria parlato

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in Cong.ne acciò quanto prima fusse spedito, perche si vedeva, chenon vi era colpa nessuna e fratanto facesse il memoriale acciò silegesse in Cong.ne.Fù fatto il memoriale e mostratolo al P. Comissario ne fece

aggiungere alcune cose essenziali e li disse, che lo portasse a Mons.Assessore acciò lo legesse per farvi il Decreto.Fù dato il memoriale, erano passate più Congregationi e mai si

vedeva resolutione nessuna trovando sempre occasione che s’eranofatte cause di magior importanza et hora non vi è stato tempo che iCardinali erano stanchi, siche il negotio andava a lungo, e non venivamai a fine.Era in quel tempo in Roma Mons. Fra Bonaventura d’Avalos

Vescovo di Nocera et il P. Pier Francesco era allevato con lui e v’ha-vevano gran confidenza, lo pregò che li facesse gratia dir una parola aMons. Assessore acciò facesse fare la sua Causa perche erano passatialcuni mesi, e mai si vedeva finire, che dubitava che non fusse ritar-data da alcuni suoi emuli mal affetti.Volle Mons. saper minutamente la Causa, li disse che facesse

un’altra copia del memoriale, la dasse a lui, che n’haveria parlato alPapa perche altrimente sempre saria da capo.Li diede la copia del memoriale, se n’andò dal Papa, e li disse che

un Padre delle Scuole Pie che stava in Sardegna haveva vestiti alcuniNovitii senza sapere che v’era la prohibitione, che si vestisse, è statochiamato in Roma dal Tribunale del S. Ufficio ad instanza d’alcunisuoi emuli, che per invidia lo perseguitano, è stato esaminato dal Tri-bunale del S. Ufficio e non vede mai la sped.ne, si supplica la SantitàVostra che vogli comandare, che si veda la verità avanti Vostra Santità.Papa Innocenzio che la sapeva tutta, e senza parlare voleva esser

sentito, li rispose che l’haveria fatto spedire di giustitia, che si maravi-gliava, che una Causa cossì leggera si sia trattenuta tanto, e l’haveriafatta spedire.Fece fare il rescritto al memoriale al P. Comissario del Sto. Uffi-

cio, che facci proporre questa Causa alla p.ma Cong.ne e ne parli conNostro Sig.re pª della Congregatione.Ricevuto il Rescritto il P. Comissario lo fece vedere a Mons.

Assessore, il quale restò mortificato, perche il rescritto doveva andar alui, che legeva i Memoriali, ma perche con Papa Innocenzio non sipoteva scherzare, fece finta di non saper niente.Andò all’Udienza il P. Comissario con il memoriale, disse al Papa

che per quanto haveva potuto conoscere l’accusa fatta al P. PierFra.co delle Scuole Pie era una mera passione p che non haveva

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saputo il Decreto fatto che non si potesse vestire, perche si va permare et alle volte si perdono le lettere che non arrivano a tempo, eperche ivi fù un Visitatore e visto che non era stato fatto maliziosa-mente non li disse altro che non era nessun male, ma che s’astinesseper l’avvenire come ha fatto. Il S. Ufficio è Tribunale che non guardamai alle passioni, mà alla pertinazia, tanto più che subito chiamato èvenuto da Sardegna con un semplice ordine, et ha ubidito, quest’è lacausa di questo Padre, che doveva esser licenziato subito e mandato afar i fatti suoi, perche non consta, che habbia disprezzato il Decreto,ne vi è cosa grave contro il Tribunale. Fù tale quest’informatione, cheil Papa li disse, che alla p.ma Congregatione inanzi a lui legesse ilMemoriale per sentire che cosa pareva alla Cong.ne de Cardinali, chepotesse replicar il fiscale acciò le cose caminano conforme si deve, chepoi si saria preso il termine dovuto.Fù fatta la Cong.ne del S. Ufficio avanti Papa Innocenzio Xº e

fatte la cause principali, lesse Mons. Assessore alcuni Memoriali chesupplicavano le gratie, che furono tutte concesse per esser cose ordi-narie, e non richiedavano discuss.ne.L’ultimo memoriale lo lesse il P. Comissario, che fù qllo del P.

Pier Fra.co, che constava bene, ch’era stato molti mesi in Roma, e nonpoteva esser inteso, et esplicata la Causa, supplicava essere assoluto,perche non haveva fatto nessuno errore di dissubidienza, ne contro lafede della quale era stata fondata quella Sacra Congregatione allaquale sottometteva il suo giuditio, e n’esperava l’assolutione per giu-stitia e gratia.Sentendo i Cardinali che non era cosa grave non oppugnò nes-

suno, solo il fiscale disse non essere informato ne sapeva che cosa sifusse, che richiedeva maturità.Si voltò il Papa e disse che questa non era Causa grave, che se li

facesse il Decreto e fusse licenziato senza nessuna penitenza, mentreche chiaram.te si vedeva essere pass.ne.Fù fatto il Decreto, e dichiarato Innocente, che quando li suoi

Avversarii pensavano fusse castigato, fu reintegrato nel suo ufficio conmagior honore che prima.Il P. Antonio Calabrese era unito con il P. Stefano, ne si curò più

di tornar in Sardegna, ma se ne restò in Roma con il P. Gavotti.Nel licenziar che si fece il P. Pier Francesco dal P. Stefano per tor-

narsene in Sardegna lo pregò, che se voleva che la Prov.ia di Sardegnacaminasse avanti, vi voleva un Maestro de Novitii approposito, perchelui non poteva attendere a tanto e l’altri tutti erano giovani e di nes-suno esperienza, che se li paresse bene mandarvi il P. Gio:Stefano, che

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stava a Poli a perder il tempo, lo saria andato a trovare e l’haveria pre-gato che vi venga con lui, e credeva, che saria venuto con le sue per-suasioni e raggioni che l’haveria dette.Non li parve vero questa domanda al P. Stefano per levarselo, che

non li stasse vicino, li disse che haveva a caro darli ogni satisfatione,ma non credeva che il P. Gio:Stefano vi volesse venire, perche non lopoteva sforzare, con tutto ciò l’haveria data l’ubidienza limitataquando voglia venire lo metteva in suo arbitrio, e perciò diede ordineal P. Gio:Antonio, che facesse l’ubidienza a beneplacito del P. Gio:Ste-fano quando fusse suo gusto.Avertì il P. Stefano che questo fatto non lo parlasse a nessuno,

altrimente non li riusciria come pensava.Si licenziò il P. Pier Francesco dal P. Generale pregandolo a far

oratione per lui acciò il Sig. li dia buon viaggio, e che li riuscisse quelche haveva nella mente per aiuto della Religione, perche se lui vivevasperava di vederla in altro stato, che benche fusse finita in Italia,bastava che fusse in Sardegna, dove haveva fatti buoni sugetti, chequelli l’haveriano propagata in molte parti.

(continua)

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P. MAURO RICCI, VICARIO GENERAL (1884-86)Y 30º PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS

PÍAS (1886-1900)

JOSÉ P. BURGUÉS

(Continuación)

También el P. Ricci tenía duras palabras para los escolapios roma-nos, y quizás esa era la principal razón para seguir residiendo en Flo-rencia. A los religiosos reunidos para el Capítulo Provincial (de 1887)les dirige unos desafíos concretos y exigentes (191):

A qué estado se encuentra reducida hoy la Provincia Romana, lopuede ver por sí mismo cualquiera que tenga dos ojos en la cara. Pocosreligiosos, y de estos una parte descartados a causa de la edad; otra parteinadecuados incluso para las escuelas inferiores. Con pocas excepciones,lo que se desea es una vida sin fatigas, que se desarrolla entre celos, des-pechos y murmuraciones; incluso los ánimos de los mejores, normal-mente desunidos, no se ponen de acuerdo sino para apoyarse en estas.

Los religiosos que pueden enseñar legalmente ante el gobierno enescuelas elementales se cuentan con los dedos de una mano, y nisiquiera el superior puede usarlos según su deseo, porque cada tentativade cambio suscita una tempestad. La obediencia se ha convertido en unapalabra sin significado.

Yo he hecho esfuerzos hercúleos para sacudir esta inercia, llevando ajóvenes a educarse un poco mejor y a capacitarse para la enseñanza,especialmente la primaria, privándome para mantenerlos de tantas cosasa las que un General habría tenido derecho, pero sólo tres o cuatroPadres me han prestado su ayuda (y Cianfrocca y Tassinari de modoadmirable); los demás se han quedado mirando. Fuera del Colegio Naza-reno, ninguna casa de Roma ha respondido por completo al mandato,formulado por el Vicario General y aprobado por mí, de ayudar al man-

(191) RLS 300.

Archivum Scholarum Piarum, a. XLIV, n. 87 (2020), pp. 87-192

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tenimiento de los clérigos. Además, obligadas las casas a depositaralguna cantidad en la caja de la Provincia, no han puesto ni siquieraaquella parte de interés que sirviera para este deber. Una casa no hapuesto ni siquiera 500 L; otra casa ha cortado los cupones de este año,imponiendo así al General el devolverle los gastos del año pasado. En laProvincia, excepto Frascati, o nada o muy poco. El año próximo, si seenvían algunos de los estudiantes a Florencia para la patente normal, yse completan los puestos vacíos de la nueva casa, los gastos aumentarán.

Hace falta que el Capítulo tome algunas decisiones sobre esto. Unade ellas es que la posesión de Alatri, que no es necesaria para el mante-nimiento de la comunidad, entre en serio y no en broma a formar partedel patrimonio de la provincia con una administración diferente.

Los bienes de Città della Pieve, bajo el provincialato del P. AntonioRolletta, el 29 de junio de 1885, con un documento firmado por losPadres de la Congregación Provincial, G.B. Bruno, R. Cianfrocca, G.Sodini y L. Gargano fueron asignados al mantenimiento de nuestrosjóvenes en la nueva casa y de algún inválido. Luego, como ocurre siem-pre en esta Provincia, ya nadie ha mencionado esa decisión. Hace faltaque el Capítulo la renueve solemnemente, de modo que el administradorsepa que, descontados los gastos de administración y cultivo, el beneficiode esa explotación debe dedicarse al fin señalado.

Al Capítulo se le hará la pregunta si la casa de Poli debe cerrarse, yabrir en su lugar la de S. Vito Romano, más cercana de Roma y en mejo-res condiciones, o bien si se pueden tener abiertas las dos. Yo respetaré elvoto de los Capitulares; solamente para que no admita a la ligera la obje-ción de no fundar casas pequeñas, señalo que S. Vito Romano, dondequieren ya todas las clases elementales, no sería pequeña más que al prin-cipio, y siempre menos pequeña y ya más tranquila que la de Poli. No semenciona la cuestión económica porque el Municipio de S. Vito no la hamencionado; se señala sólo en parte la cuestión de las patentes porque lafamilia Baccelli tiene poder para obtener a algunos un permiso provisio-nal. Cualquier decisión que tome el Capítulo sea formulada de tal modoque pueda trascribirse decentemente al Municipio y a Mons. Baccelli.

Recuerde el capítulo que las demás provincias esperan a ver qué hacela Provincia Romana para hacer lo mismo para solemnizar el jubileo delPapa. Mientras tanto el tiempo pasa. Es necesario reunir cuanto antes lasofrendas de las Casas, los religiosos y los alumnos, y los escritos.

No quiero que el Capítulo discuta sobre esta carta mía, ni me res-ponda de palabra. En el supuesto de que todo lo escrito (cosa que nocreo) no fuera exacto, quiero que me respondan con la sabiduría de laselecciones y de las deliberaciones, evitando todos los chismes, y sin

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volver a hechos imposibles de remediar. Que el Señor y S. José les ben-digan a Vds. y sus resoluciones.

Pasa el tiempo, y el P. Tassinari, que encuentra muchas dificulta-des para organizar las cosas en Roma en lugar del P. General (recor-demos que varias casas dependían directamente de él), le sugiere porello que escriba un memorial al Papa, pidiéndole una centralizaciónadministrativa, pues si el Papa da un decreto todos obedecerán. Leindica los puntos que deben aparecer en ese memorial (192):

Me parece que los puntos que deben aparecer en el memorial son: 1) Lo que has hecho para levantar esta Provincia: gastos, circulares,

etc. 2) Nuestra situación financiera, con las deudas que pesan sobre la

nueva casa.3) Necesidad para la existencia de esta casa de reunir en una sola la

administración de las 3 que dependen de ti como General, es decir, laCasa General de S. Pantaleo, la del antiguo noviciado de S. Lorenzino yesta nueva Residencia General, con un solo administrador.

4) Que en S. Lorenzino, antiguo noviciado, el General mantengaun hermano o sacerdote que subsista con las funciones de la iglesia y lapensión si es un religioso; si es sacerdote, con el añadido de 3 liras (dia-rias) que se tomarían de las 1000 del fondo de culto. ¡Muchos párrocosviven con menos congrua!

5) Que los religiosos que están actualmente en S. Lorenzino elijancomo vivienda S. Pantaleo o esta nueva casa.

6) Finalmente, que las deudas que pesan sobre la casa de Alatrisean deudas de la Orden, igual que los ingresos deben ser administradospor la Orden, y no por aquella casa especial.

Este reglamento administrativo con motu proprio de Su Santidaddebe durar hasta que se eliminen los pasivos financieros, para volver laautonomía a cada casa cuando el patrimonio esté depurado de todadeuda, a no ser que entonces se quisiere mantener en común os bienesde la Orden, para obtener de este modo poner en marcha a vida común.

Por un tiempo, en efecto, existe un administrador común, peroluego comprenden que los problemas generados son más que los bene-ficios obtenidos y vuelven al sistema de administración individual.

En todas las casas de la Provincia se conocen dificultades. Hemosvisto cómo San Pantaleo está continuamente bajo amenaza de ocupa-ción por parte del municipio. Después de ocupar por un breve

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 89

(192) RG 249 l 13, 16. 20 octubre 1893.

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periodo la casa de San Nicolás de Tolentino tienen que irse, demanera provisional, a la de Santa Eufemia. Y de aquí a la de Vía Tos-cana, que no se acabará de pagar en este periodo. Pero todas lasdemás conocen problemas, desde las más importantes (Nazareno yAlatri) a las más humildes (S. Lorenzino, Frascati y Poli). Veamosalgunos de ellos.

Poli era un lugar lejano de la capital, venerable por su memoriacalasancia. Era una pequeña comunidad, formada por un número detres o cuatro religiosos. Había solamente dos escuelas, en las que seenseñaba solamente la primaria. El municipio en general (podía variarcon las elecciones) era favorable a que los escolapios siguieran ocu-pándose de la única escuela del pueblo, pero exigían que enviasen amaestros con titulación, pues así lo exigía la inspección educativa (193).Naturalmente, los superiores no enviaban a aquel lugar a los mejoresprofesores: solían enviar a gente problemática o a religiosos jóvenes,por lo que el Municipio se quejaba, y amenazaba con no pagar la asig-nación escolar. La vida es dura en Poli. El junior Ferdinando Gra-ziano se queja de su mucho trabajo, y de que no puede salir a pasearporque el Rector no le permite salir solo, y el otro padre, mayor, notiene ganas de ir de paseo (194). Otro joven sacerdote sardo enviado aPoli, Efisio Gaiani, se queja de lo mismo, y pide alguna compensacióneconómica a cambio (195). Un año más tarde dice que ya no puedeaguantar más allí (196). El P. Provincial Gaetano Sodini teme que alfinal tendrán que retirarse de Poli, pues los problemas siguen (197). ElP. Tassinari es partidario de cerrar Poli (como Frascati y S. Loren-zino), pues cuesta caro mantener a los sirvientes (198), y además todoslos jóvenes que han enviado allí se han perdido (199). En cambio el P.Raffaele Cianfrocca, Rector del Nazareno y Asistente General muchosaños, expresa su nostalgia por estar en lugar tranquilo como Poli,cuando se ve agobiado por sus muchas responsabilidades (200). Unmomento especial de tensión se crea entre el pueblo y el rector delcolegio, P. Lecce, en el año 1892, cuando los miembros de la cofradía

90 JOSÉ P. BURGUÉS

(193) RG 247 f 3, 62. 80. 83. 84. 86. 90 (todos de 1887).(194) RG 247 f 4, 16. 18 (de 1888).(195) RG 248 d 3, 1.2 (1891).(196) RG 248 d 4, 40.41.42 (1892).(197) RG 248 d 7, 18. (198) RG 249 l 13, 36. 39 (1891). 57. RG 249 l 13, 167 (10 septiembre 1893).(199) RG 249 l 13, 101.(200) RG 249 l 5, 1.2.15.16.

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de la Virgen del Carmen piden que, según la costumbre, el día de lafiesta se organice una procesión desde la iglesia del colegio hasta laparroquia, y el P. Lecce se niega, exigiendo que todos los actos secelebren en la iglesia propia (201).

Por suerte la casa no se abandonó, e incluso conoció una ciertaprosperidad en la primera mitad del siglo XX.

Frascati tenía unas características parecidas a las de Poli: unacomunidad pequeña, con escuela primaria. Pero tuvo que enfrentarsea ataques más duros por parte del municipio. En el año 1888 surgendificultades entre el Municipio y el colegio. Se produce una especie dechantaje político: el municipio amenaza con expulsarlos si participanen las elecciones legislativas, por lo que el P. Morfini, Provincial, lesdirá que no vayan a votar (202). Pero unos días después un cierto Sca-vini, probablemente junior escolapio, da un escándalo tal que muchasfamilias escriben al Prefecto, quien a su vez escribe al alcalde, pidiendoque lo saquen de allí, así como a los otros escolapios que no le hanvigilado, los PP. Serio, Tabarrani y Taggiasco (203). Se crea una granconfusión. El alcalde decide que los escolapios abandonen el colegio ylas escuelas, que administrará el municipio, ya que los escolapios nopueden proporcionar los maestros titulados que ellos exigen (204). Lesofrecen quedarse dos sacerdotes y un hermano para ocuparse de laiglesia, viviendo en una casa privada (205). Los escolapios están per-plejos: no saben si quedarse o no en esas condiciones (206). Se plan-tean la posibilidad de abrir otras escuelas particulares, pues muchasfamilias prefieren confiar sus hijos a los escolapios pagando una men-sualidad antes que enviarlos gratis a las escuelas municipales (207). Elgobierno municipal de ese momento es anticlerical. Al final la Congre-gación Provincial decide seguir adelante, atendiendo muchas peticio-nes, obispo incluido (208). Entre los mismos escolapios los había par-tidarios de cerrar la casa. El P. C. Sodini, que iba a entregar la casae iglesia a las autoridades civiles, al oír a muchas personas opuestasa esa idea, se ha convertido en defensor de la permanencia en Fras-

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(201) RG 248 d, 4, 35 (28 julio 1892).(202) RG 249 l 8, 11 (11 julio 1888). (203) RG 249 l 8, 46 (21 julio 1888).(204) RG 249 l 8, 15 (23 julio 1888).(205) RG 249 l 8, 2 (3 agosto 1888). (206) RG 249 l 8, 6.9.20.23.(207) RG 249 l 8, 13 (15 octubre 1888).(208) RG 249 l 7, 8.9.

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cati (209). Los escolapios siguieron viviendo en la casa y cuidando laiglesia; años más tarde volvieron a recuperar las escuelas.

También en Alatri había problemas continuos con el municipio,que actuaba con los escolapios de manera diferente según el partidoque estuviera al frente. El municipio quiere que los escolapios sigan alfrente del colegio, pero les exigen que envíen maestros con titulación,cosa que no siempre era posible. Son ellos quienes aprueban o recha-zan a los maestros propuestos por los escolapios. Pretenden ademáscobrar un alquiler o impuesto por el uso del internado, con la idea deque los escolapios ganaban mucho dinero con los internos (210). EnAlatri hay un hombre fuerte, el P. Luigi Meddi, capaz pero autoritario,que genera descontento a veces entre las autoridades municipales, ytambién entre los escolapios. Entre los mismos escolapios había pro-fundas divisiones (211), y los superiores no acaban de formar el equipoperfecto que viva en paz. Consiguen al fin tranquilizar las cosas lle-vando al P. Meddi a Roma con otros cargos, y nombrando para susti-tuirlo al P. Salvatore Addeo, menos capaz pero más sociable. El P. Tas-sinari, Asistente General, quiere romper el «feudalismo» de Alatri: esel P. General quien debe tratar con el Municipio, y no el rector (212).

El Nazareno seguía siendo un colegio prestigioso, con un inter-nado para niños de familias importantes. A él se destinaban los profe-sores más cualificados de la Provincia. Pero los escolapios estabanbajo la autoridad de un consejo o junta, bajo la presidencia en aque-llos años del Marqués de Berardi, que era el dueño además del inter-nado de Ceccano. Hay divisiones entre los padres mayores y los jóve-nes, como señala el P. Tassinnari (213). Al final arreglarán la cosaenviando a uno de los « jóvenes», el P. Adolfo Brattina (que seráGeneral de la Orden entre 1904 y 1906) a Florencia, donde desarro-llará una importante labor pedagógica, y expulsando a un junior, Mac-cioce. El P. Tassinari tiene una visión muy negativa del Nazarenoporque defiende su propia idea del colegio nuevo que están constru-yendo en la Vía Toscana. Como consecuencia de las informaciones delP. Tassinari al P. Ricci, este escribe una dura carta al P. Cianfrocca,

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(209) RG 249 l 12, 30. (210) RG 249 l 1, 11. 14 (29 diciembre 1997).(211) RG 249 l 10, 5 (21 abril 1886) 8 (20.11.84).(212) RG 249 l 13, 71. 73. 75. 95. 107. 152 (1891).(213) RG 249 l 13, 4 (13 marzo 1990) 6. 36. 38. 40. 43. 68. 84. 91. 101. 103. 104. 154.

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rector del Nazareno. El P. Cianfrocca, hombre sensible y fiel, le res-ponde con una sentida queja, que refleja bien sus sentimientos heridosante la dureza de juicio de los superiores toscanos (214): No le disi-mulo que, si para todos, mucho más amargamente suenan estas expresio-nes para mí, que desde el 63, cuando ingresé en la Orden, hasta hoy, enmúltiples oficios estoy todo el día sacrificado al bien del Instituto, sinsaber aún a qué sabe el reposo y la tranquilidad. Permítame que le hagaalguna reflexión sobre esto. El estado de esta Provincia compuesta dehombres tiene sin duda sus defectos graves, y lo reconozco; pero ¿tanbajo ha caído, ella que es la madre de todas la demás, como para merecertan continuas humillaciones? Admitiendo esa dolorosa hipótesis, estaprovincia – hace solo unos pocos lustros, tan brillante – sustraída desdehace tanto tiempo al gobierno de su Provincial y gobernada directa-mente por el Supremo Moderador de la Orden, ¿no podría decir algunoque debe su estado al gobierno de los últimos treinta años de los PadresGenerales Perrando, Casanovas y de Vuestra Paternidad? El resultadode las investigaciones hechas de manera liberal sobre las condiciones delcolegio Nazareno, donde conmigo a la cabeza, se nos trata de ambiciososy mentirosos, ¿es tan seguro como para poder arrojarnos con toda con-ciencia tan desgraciados títulos? Y la síntesis de los varios elementos detal investigación ¿es la lógica, o más bien puede ser subjetiva, comopropia de una persona inexperta por la edad, o por alguien que no tengacapacidad de juicio o libertad de prejuicios para presentar al Superior lascosas sin prejuicios ni partidismo? Por lo demás, las quejas que V.P. nosdirige, y a mí en particular, amargan el gozo de estos santos días, y cier-tamente no dan ánimo para sobreponerse a una vida tejida de tantosabrojos y espinas. Caiga, pues, sobre mí toda infamia, pero que termineya de una vez este estado intolerable. Siempre lo he dicho, pero ahoramás que nunca: antepondría incluso al papado el ir a una escuelita dePoli o de otro remoto lugar a hacer cualquier oficio vil.

El número de religiosos de la provincia se mantuvo relativamenteestable durante el mandato del P. Ricci. En el año 1885 aparecen 73religiosos (45 sacerdotes, 10 juniores, 8 novicios, 10 hermanos) y 11oblatos. Repartidos en San Pantaleo (16), S. Lorenzino (7), Frascati(7), Nazareno (14), Poli (4), Rieti (2) y Alatri (colegio y casa de forma-ción: 23). En 1888 su número, sin contar oblatos, es de 78. No varíamucho su número y composición en 1896, aunque aparece una casanueva, la de San José de Calasanz en Vía Toscana: son en total 81. San

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(214) RG 249 l 5, 15 (5 marzo 1890).

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Pantaleo, 13; S. José de Calasanz, 17; S. Lorenzo, 4; Frascati, 3; Naza-reno, 18; Poli, 5; Rieti, 2; Alatri, 11 (el juniorato ha pasado al Nazarenoy el noviciado a S. Pantaleo). Y además hay en la casa de Pompei, quese considera perteneciente a la Provincia Romana. En 1899 son 74.

Para terminar, copiamos algunas determinaciones tomadas por elCapítulo Provincial de 1895 (215).

Observaciones sobre la disciplina hechas en el Capítulo Provincialde 1895.

1. Se recomienda a los religiosos sacerdotes mayores que con suejemplo dirijan a los jóvenes, especialmente a los juniores y novicios,hacia la veneración hacia los Superiores, al respeto a los padres, al amora todos; y por tanto no se censure, no se critique, no se murmure, comoa menudo se hace.

2. Se recomienda a todos los Rectores que inculquen a los herma-nos operarios que no se metan en los asuntos de los superiores, que nointriguen en cosas que no son de su incumbencia, que amen el retiro,que frecuenten con mayor devoción los sacramentos, que cuiden con dili-gencia las cosas que se les confían, y que no dispongan como si fuerandueños sin contar con el Superior; muéstrense como operarios de la viñade Calasanz, y cuando por necesidad tienen que ir a las tiendas, no seentretengan allí en charlas inútiles y tantas veces pecaminosas, ni fre-cuenten casas de seglares.

3. Es deseo de los Padres Capitulares el no conceder fácilmente alos padres, y de negar a los juniores el permiso para ir a casa de su fami-lia; quienes obtengan el permiso, no deben pernoctar con su familia,sino en la casa religiosa, si la hay.

4. Algunos religiosos han recordado que los religiosos han de pedirla bendición tanto antes de salir como al volver (cosa que ha de hacerseantes del Ave María).

5. Cada religioso observe el precepto de no prestar dinero y dardinero a interés, para no vulnerar el voto de pobreza.

6. Se recomienda a los Superiores que vigilen que todos los religio-sos asistan a la oración, y apliquen a los negligentes las penas señaladasen las Constituciones.

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(215) DG 7 A, 104.

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Observaciones de los Padres Capitulares en relación con los estudios.

1. Se confirma lo establecido en el Capítulo de 1890, y se reco-mienda vivamente insistir en cuanto a la instrucción religiosa de nues-tros alumnos, de modo que los jóvenes que salgan de nuestras escuelasconozcan y amen la religión.

2. Se recomienda en las escuelas un cuidado especial de los junioresescolapios. Hasta que nuestras condiciones especialmente económicasnos permitan tener un juniorato propio para los nuestros, con clases ymaestros propios, como es nuestro deseo, los Padres Capitulares creenútil tener a nuestros jóvenes como maestros en nuestros colegios, reco-mendando a los Rectores y Directores de internos que se preocupen espe-cialmente por ellos, asignándoles un maestro que los vigile, les dirija enel espíritu, en la piedad y en la frecuencia de los Sacramentos, especial-mente en la oración mental y en el recogimiento, para impedir así quese vuelvan seglares sin darse cuenta, tanto en el trato como en el espí-ritu. De este modo los jóvenes se educan en una disciplina severa, seencuentran en unas condiciones que les obligan a ser sabios, morales yestudiosos, y se pone a prueba su vocación con una formación que lesprepara bien para la escuela.

3. Póngase en vigor el artículo de las Constituciones en el que seprohíbe terminantemente que se reciban en el cuarto jóvenes, inclusoseglares, con la puerta cerrada; y asimismo que se den clases particulareso repasos, tanto en la habitación como en la clase, y mucho más en casade las familias, y finalmente que se lleven de paseo los jóvenes seglares.

Finalmente se recuerda todos los escolapios el deber de enseñar porvoto, y de no poder de ningún modo practicar su misión con objeto delucro.

Liguria (216)

La Provincia de Liguria había sido la primera en plantearse lanecesidad de conseguir un refugio donde retirarse en caso de que elgobierno los echara de los colegios donde residían, a merced de lasautoridades municipales. Ya en tiempo del General Casanovas y elProvincial Escriu habían comprado una propiedad en Varazze (217),

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(216) Tenemos la suerte de contar en el archivo (RSL 369 6) con una colección de58 cartas originales del P. Ricci enviadas al P. Garassini y al P. Pissarello que alguien, posi-blemente este último, remitió al Archivo General. Gracias a ellas tenemos más informaciónreferente a las relaciones del P. Ricci con esta provincia que con otras.

(217) Cf. ASP 84, pàg. 77.

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de la que luego se habían deshecho por no resultarles rentable. LaProvincia, bien organizada económicamente, no tenía problemasfinancieros, y la casa de Savona, en particular, tenía un buen capitalahorrado. Era precisamente la casa de Savona la que estaba en mayorpeligro: por reformas urbanísticas, se corría el peligro de un desalojoinmediato del colegio, y su demolición para prolongar una calle (218).Como la gente lo sabe, algunos padres han comenzado a retirar susalumnos del colegio. El P. Carlos Pissarello, rector del colegio, pide alP. General que intervenga, porque hace ya tiempo que se compró unapropiedad en Pegli (219), cerca de Savona, para construir allí el cole-gio, pero el P. Provincial Garassini se mantiene indeciso, sin ver lagravedad del asunto. El P. General les anima a comprar un terrenocentral y construir una casa propia (220). El P. Ricci les dice (221): Meagradan las noticias que me da de esa casa. Yo quisiera que mientraspodamos continuar ahí sin traicionar nuestra conciencia de Orden Reli-giosa y de sacerdotes enseñemos, continuemos, mientras vamos constru-yendo el nuevo edificio para refugio de nuestras personas y de nuestraindependencia en caso de peligro. Un colegio nuevo no se hace en undía, y siendo nuevo y según las exigencias modernas, podría resultar untrabajo excelente. Yo le he dicho siempre esto al bueno del P. Cigliuti; lomismo le repetí ayer al P. Garassini. Póngase pues de acuerdo sobre ellugar y el diseño, y adelante. En realidad, el P. Garassini no sabe quéconstruir: piensa que tal vez una casa de formación, pequeña, pero nootro colegio más, pues es mejor ir reduciendo obras (222). El P. Pissa-rello, impaciente, pide al P. General que haga algo, y este le dice (223):Su carta es muy sabia. Desde que soy General no dejo de repetir: Cons-truid, construid; y todos tan tranquilos. Últimamente he escrito que sepodía construir mientras tanto, y una vez terminado el edificio, si toda-vía no lo necesitábamos, se podría alquilar a los bañistas, o a algunafonda, para no tener sin fruto aquel capital, hasta que llegara la necesi-dad de ir nosotros a la casa. Ya no he sabido nada más. Insista Usted enque el colegio se construya la vivienda a su costa, y si cree que yo puedavalerme de esta propuesta suya sin respetos humanos, dígamelo y vol-veré a la carga. Ahí pretenden demasiado queriendo contentar a todos.Bastaría con que el Provincial hubiera reunido un último consejo con su

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(218) RG 248 a 2, 1. 20 enero 1890. (219) RG 248 a 1, 31. 1 julio 1889. (220) RLS 330, 57. 20 diciembre 1889.(221) RLS 369 6, 3. 2 octubre 1889. (222) RG 248 a 1, 44. 8 mayo 1889. (223) RSL 369 6, 7. 25 enero 1890.

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Congregación y los Rectores. Y si nuestra expulsión de Savona ocurriesedespués de haber comenzado la nueva obra, al menos saldríamos con unaesperanza consoladora. Escriba por separado a los miembros de la Con-gregación exponiéndoles las cosas que me expone a mí; con tantos empu-jones el Provincial, que es una persona tan buena, deberá decidirse.

Por otra parte, al P. Garassini no le gusta el terreno de Pegli, queestá en lo alto de una colina, con muchas pendientes (224). Mientrastanto el P. Pissarello se vuelve el abogado apasionado de Pegli paratrasladar allí la casa de Savona, y presenta unos planos preparados concriterios pedagógicos modernos (225). Pero el P. Pissarello encuentraun duro oponente a sus planes en el P. Luigi Leoncini, rector de Car-care, Asistente Provincial que goza de toda la confianza del ancianoProvincial Garassini. El propone la alternativa de comprar un terrenoen Cornigliano, más cerca de Génova, que ya tiene un edificio habita-ble, está rodeado de árboles, etc. (226). El P. Garassini va a verlo y leencanta (227); decide comprarlo. Lo van a comprar en una subasta, yel P. Ricci aprueba la compara y les da unas recomendaciones paraproceder de manera ventajosa en ella (228). Se compra la propiedadde Cornigliano en el año 1891, y en general gusta a la gente. Pero noal P. Pissarello, que sigue protestando contra los gastos que se hacenpara remodelar el edificio convirtiéndolo en un colegio, y probandocon cifras que su proyecto de Pegli era mejor y más barato (229). ACornigliano se trasladan los juniores que estudian en Génova y losnovicios. El P. Provincial pide que se erija canónicamente la casa deCornigliano. Le responde el P. Ricci (230):

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(224) RG 248 a 2, 29. 9 junio 1890. (225) RG 249 a 4, 46. 47. 60 (8 febrero 1890).(226) RG 249 a 4, 75. 7 abril 1891.(227) RG 249 a 4, 74. 26.9.91. (228) «El asunto de una compra es serio; pongan su nombre 3 o 4 religiosos para el

contrato. Seguros, sin padres vivos ni parientes próximos. Ni el Provincial, ni los de la Con-gregación: cuestión de moralidad. En la subasta que no se vea nuestro hábito, que haría apa-recer una camorra de especuladores que alzarían el precio. Que vaya algún amigo práctico yde confianza, o su abogado, que declare allí que adquiere por persona que se nombrará.Incluso no estaría mal que fueran dos concurrentes de parte nuestra, como si fueran adversa-rios, pero puestos de acuerdo antes, como yo mandé hacer para la subasta del noviciado deFlorencia. Así, después de un pequeño aumento, uno se declara vencido, y el truco funciona.A quien va de nuestra parte se le indique un límite hasta el que puede llegar al ofrecer dinero.Y recuerden que en estos negocios se ahorra más alejando a los concurrentes con alguna pro-pina, me refiero a los concurrentes deshonestos. Aunque se trate de tratos privados (y seríamejor), no se aparten de las indicaciones dadas» RLS 56.

(229) RG 249 j, 51. 53. 54. 14 mayo 1895. (230) RSL 369 6, 13. 3 octubre 1892.

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Pensaré en la erección canónica. Como acto de deferencia está bienhacer saber la cosa al Arzobispo de Génova, pero no lo creo necesario,pues nuestra orden está ya establecida desde hace tiempo en su diócesisy el Arzobispo no tiene nada que ver con su gobierno. Y además no esuna casa que nos haya dado la Iglesia.

Estaba para escribir sobre la casa de Génova. Se convertirá en unasucursal de Cornigliano, y el Padre que la custodia será vicerrector depen-diente del Rector de Cornigliano, y así, formando una sola comunidad,podrá, incluso deberá, intervenir en los Capítulos de Cornigliano, y en losescrutinios de los novicios, y si hubiera sacerdotes estudiantes, tambiénintervendrían ellos. Declarar Cornigliano Casa Provincial, ¿por qué, siUsted no va allí? ¿No es eso ponerse ataduras, sin necesidad, por ahora?

Se decide formar una sola casa con la comunidad de Génova (quesólo contaba con dos o tres religiosos que atendían al culto de la igle-sia). Posteriormente se decide la construcción de un colegio, siendoProvincial precisamente el P. Pissarello, que abrió sus puertas en1897. El P. Ricci le felicita por la prometedora apertura del colegio,que le hace exclamar con entusiasmo (231): ¡Ah, no estaríamos muer-tos, si quisiéramos estar vivos!

Pero no fue sólo el terreno de Cornigliano el que se compró yhabilitó como colegio. El P. Pissarello propone al P. Provincial lacompra de la villa de Monturbano al municipio de Savona, y construirallí un colegio nuevo. Costaría 100.000 L, más los arreglos del edificioactual para convertirlo en colegio, y ello parece factible para la econo-mía de Savona (232). Al P. Garassini le parece una buena idea, aunqueteme alguna oposición por parte del municipio (233). Se trataba deuna villa en lo alto de una colina que ya utilizaban como residenciaveraniega de los internos (234). Al P. Mistrangelo le parece una buenaopción, añadiendo dos alas al edificio existente, para mantener viva lapresencia de los escolapios en una ciudad visitada por Calasanz (235).Sin embargo, de momento no se logró el proyecto, debido a la oposi-ción del municipio (236). Se compraría más tarde.

Lo que sí va adelante es la compra de un pequeño terreno enFinalborgo para construir una iglesia más amplia, y luego un edificioque sirva como postulantado para la Provincia. El P. Provincial Garas-

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(231) RSL 369 6, 53. 4 noviembre 1897.(232) RG 249 a 4, 91. 10 mayo 1892. A esta villa se trasladaría el colegio en 1905. (233) RG 248 a 4, 15. 12 junio 1892. 24. 25 junio 1892.(234) RG 249 a 4, 58. 22 julio 1889. (235) RG 248 a 4, 1. 28 mayo 1892. (236) RG 249 a 4, 88. 6 septiembre 1892.

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sini pide permiso al P. General para comprar un terreno de 2200metros cuadrados por 9000 L; con la construcción, el total será deunas 40.000 L. En él, además de la iglesia y el edificio para postulan-tado, quedará espacio para un jardín (237). Al P. Ricci no le gustamucho la idea, y así lo escribe al P. Provincial (238):

Las razones aducidas para demostrar que estamos obligados a fabri-car una iglesia en Finalborgo me parece que más bien prueban que nosomos nosotros quienes tenemos esta obligación. Un argumento perento-rio es este: que, habiéndosenos quitado la propiedad del edificio, la obli-gación pasa a quien se ha adueñado de él. El único motivo aceptablesería el de la mayor comodidad para el internado, pero asumir el serviciode una iglesia pública puede convertirse en una incomodidad para noso-tros, con los pocos individuos de que podemos disponer. Y si luegosomos expulsados de allí, haría falta dejar a alguien al cuidado de la igle-sia, incomodidad aún mayor y fuente de indisciplina, o cederla al obispo.

Por la extensión del terreno que se quiere comprar (tengo el deberde hablar claro) me parece que la construcción de la iglesia es un pre-texto. En un pueblo pequeño una iglesia de 500 metros basta y sobra;todo el resto del terreno se convertirá en jardines y prados, cosa bellí-sima donde hay un internado, pero ¿es este el momento, pregunto, parameternos en semejantes empresas, cuando se está construyendo en Cor-nigliano? ¿Por qué no esperar, en todo caso, a que antes terminen allí?Tenga por seguro que 50.000 L no bastarán. Ver gastados todos a la vezlos remanentes de las casas, sin pensar en las posibles necesidades futu-ras de la Provincia, es algo que me aflige.

Sin decir a la comunidad de Finalborgo todo esto que le digo aUsted, porque frente al fanatismo las razones se convierten en errores,Usted con su buen sentido ponga un poco de agua sobre tanto hervor,deje de lado el asunto, incluso haga que se hable de ello lo menos posi-ble hasta que el P. Pissarello y el P. Del Buono vayan en persona ver yoír, y a enviar informes más fieles. De todos modos, sería una gran ton-tería empezar otras obras antes de terminar Cornigliano, aunque sólosea por no parecer millonarios ante el público, lo cual es una reputaciónbastante fea siempre.

Una cosa que el P. Ricci siente, pero no dice, es que en esosmismos años él está construyendo otra casa en Roma, con grandesapuros económicos, y la Provincia de Liguria apenas le ha concedidoninguna ayuda, aduciendo sus propias necesidades. Con todo la

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(237) RG 249 a 4, 106. 29 marzo 1893. RG 249 j, 50. 7 abril 1893.(238) RSL 369 6, 26. 1 abril 1893.

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compra y las obras van adelante. Cuando están terminadas, va a ben-decirlas el P. Mistrangelo, ya obispo, y está muy satisfecho de lo queha visto, y de que haya muchos aspirantes en la nueva casa, lo quepermite esperar un brillante futuro para la provincia (239). Y no seequivocaba, el Sr. Obispo. Aquella fue casa de formación de la Pro-vincia hasta el año 1967.

Si el P. Provincial Garassini está un poco perplejo a la hora decomprar terrenos y construir un colegio nuevo, en cambio está muydecidido a reinstaurar en los colegios las prácticas religiosas, al parecerun tanto descuidadas, y así lo dice al P. General. Este le responde (240):Me alegra la esperanza de que se restablezcan, donde no existen, losactos religiosos, al menos la misa diaria y las confesiones, que es lo másimportante, y las Congregaciones del domingo. Yo tengo la idea de queesos pueblos son muy buenos en general, y por eso creo que cuando lasfamilias sepan que sus hijos pueden acercarse a los sacramentos, lamayoría les animarán a ello. Por lo demás, en los internados nuestraautoridad es algo más absoluta, y quien se ha adueñado del ánimo de losjóvenes, los maneja a su gusto. E incluso le da algunas directrices con-cretas (241): Creo que debería volver a organizar la Misa, las Congrega-ciones dominicales y especialmente las confesiones mensuales. Basta condecir a los jóvenes que estas se hacen tal día, y que está bien aprovechar-las. Exhortando privadamente a los reacios, hablando con los padresbuenos, pronto la práctica tomará vigor. También nosotros aquí en Flo-rencia durante doce años hemos sido maestros municipales, y sin violen-tar a nadie, incluso aprobados por la mayoría, hemos continuado todasnuestras costumbres religiosas. Aceptemos cuantas modificaciones sequieran; pero en cuanto a continuar siendo Escuelas Pías, no podemosexcusarnos. Si alguna casa debe caer, que caiga, pero siendo aún respeta-ble y no deshonrada ante la Iglesia y a los Católicos.

En Liguria se venía discutiendo ya desde hacía muchos añossobre la necesidad de cerrar algunas casas, pues era muy complicadomantener los colegios con maestros seglares, y el número de religiosos,aunque iba aumentando, les parecía insuficiente.

100 JOSÉ P. BURGUÉS

(239) RG 248 a 7, 9. 2 diciembre 1895. (240) RLS 369 6, 5. 31 octubre 1889.(241) RLS 369 6, 4. 19 octubre 1889.

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Esta es, de hecho, la evolución de la provincia en los años delgeneralato del P. Ricci:

En el año 1889 los religiosos estaban repartidos en las casas deGénova (4), Cárcare (15), Savona (13), Chiávari (9), Finalborgo (15) yOvada (9). Tenían además 4 juniores estudiando en Roma.

El P. Pietro Stella, Asistente General (1884-1893) y residente enCárcare, escribe al P. Ricci recomendándole que indique al P. Provin-cial qué casas de la provincia deben cerrarse (242). A causa de la dis-minución de religiosos enseñantes, deben contratarse más profesoreslaicos, por lo que desaparece el espíritu escolapio de los colegios.Habría que cerrar algunos colegios. Los que no están de acuerdo esporque quieren conservar su nido, pero los jóvenes sí están de acuerdo.Menos casas, más religiosas. Pero como tienen contratos con los ayun-tamientos, y hay que avisar 6 meses antes para rescindirlos, habría quetomar la decisión a principio de curso, y eso sólo lo puede hacer elGeneral. Por lo tanto, no hay que perder más tiempo. Insiste en que, sino se cierran al menos dos casas, ocurrirá una catástrofe (243). Tambiénel P. Cazulini, ex Provincial (1854-1863) pide que se cierren algunascasas (244). El P. Leoncini, por su parte, opina que es mejor mantenerlas casas, incluso con profesores seglares, pues cerrarlas no va a resolverningún problema (245). Y, como en otros casos, es el P. Leoncini quienconvencerá al P. Provincial. El P. Garassini, Provincial, muestra su per-plejidad en varias ocasiones al P. General, pidiendo su consejo (246). ElP. General no quiere tomar esa decisión; debe tomarla la Provincia. Alfinal el P. Garassini dice que está agotado con estas tensiones, que nopuede más, y que quiere dejar su cargo (247). Tenía ya 78 años, y al añosiguiente fue efectivamente sustituido.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 101

(242) RG 247 d 2, 23 (1886). (243) RG 249 a 4, 25. 6 junio 1887. (244) RG 249 a 4, 39. 12 agosto 1889. (245) RG 249 a 4, 24 23 agosto 1887. (246) RG 248 a 1,32.33.42; 2, 13.(247) RG 248 a 5, 13. 7 marzo 1893.

Año sacerdotes juniores hermanos novicios oblatos total alumnos

1889 41 12 12 3 1 69 1757

1891 41 12 11 6 70 1843

1896 43 18 15 8 84 1840

1900 43 22 14 12 1 92 1837

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Un caso particularmente delicado fue el de la casa de Ovada, quedesde hacía años era la primera que, en opinión de los religiosos,debía cerrarse. Pero tenía un valiente defensor en la persona de surector, el P. Alfonso Mistrangelo, que dice que el cierre de esa casa noaportará ningún beneficio a la Provincia, y sí abundantes daños, porlo que quiere defenderla (248). De hecho, pasó el tiempo y los escola-pios ligures siguieron adelante sin cerrar ninguna casa.

El P. Mistrangelo siguió algunos años más en la casa de Ovada,hasta que fue nombrado Obispo de Pontremoli en 1893. El P. Riccihabía escrito ya años antes de manera enigmática: La Provincia deLiguria es querida a Jesús y al Pontífice Vicario suyo, y creo ciertamenteque dentro de algún tiempo se verá alguna prueba (249). Quizás lehabía llegado ya algún rumor sobre un futuro nombramiento episco-pal. El caso es que el 18 de diciembre de 1892 el P. Mistrangelo escri-bió una carta al P. Ricci en la que le comunicaba (250): MonseñorAuditor de Su Santidad me comunica con una carta fechada el 16 de loscorrientes mi nombramiento a la cátedra episcopal de Pontremoli. Puedeimaginar, Rvmo. Padre, mi confusión y turbación por este hecho que, sibien muestra la benevolencia del Santo Padre para con nuestro Instituto,asusta a mi debilidad de manera difícil de explicar. No me queda sinoponerme en los brazos de la divina misericordia y bajo la protección deMaría y de S. José de Calasanz, y esperar del cielo la fuerza que me faltapara cumplir mis deberes. Sé que no me permitirían rechazar la carga;resignado y confiando en la bondad de Dios me someto y repito conJesús «Si no puede pasar este cáliz sin que yo lo beba, hágase tu volun-tad». P. General, asístame con su consejo y ayuda. Soy su hijo, y comotal confío en Vd., de quien me profeso obedientísimo y afectuosísimo…

El P. General le respondía al día siguiente (251): El mal es para suprovincia, que tendrá un buen sujeto menos; para la Orden es un bien,No debería decirlo, pero me siento un poco halagado en mi amor propioal ver que las informaciones que di hace meses no han sido dejadas departe. Ánimo, pues; Usted podrá ayudar incluso mejor a nuestro Insti-tuto, que todavía sangra por tantas partes.

De este modo se cerraba una crisis producida por la negativa delP. Mistrangelo a abandonar Ovada y asumir el rectorado de Final-borgo. El P. Garassini quería sacarlo de allí, entre otras cosas, para

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(248) RG 247 d 3, 13. 2 julio 1887. (249) RLS 300, 57. 20 diciembre 1889. (250) RG 248 a 4, 4.(251) RG 330 369 7. 19 diciembre 1892.

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suprimir el gimnasio, pues había pocos alumnos (aunque el númerode alumnos del colegio, según Mistrangelo, era de 800). Además, ensu opinión el P. Mistrangelo salía mucho fuera a predicar, y eso eraperjudicial para su salud (252). Pero el P. Mistrangelo se resiste a salirde Ovada, y da sus razones al Provincial (253): He recibido su cartacomunicando la obediencia. Pero ser rector y dar clase a los mayores enFinale es superior a mis fuerzas. Aquí me arreglo porque no tenemosinternado. Y sólo doy clase por la mañana, y me ayuda el P. Devincenzi.22 años enseñando desgastan. Ir a Finale, con aquel aire perjudicial,sería tentar a Dios. Además, esta casa tiene el tripe de estudiantes queFinale, y una iglesia con mucho culto. Quitarme de un carro grande queyo, por la costumbre, hago avanzar con un empujón, para meterme enuno pequeño, pero que debería empujar con tanto esfuerzo que quedaríadestrozado, no creo que parezca prudente a la caridad de V. P. Además,sacarme de Ovada en este momento, y por estas razones, nos alienaríaun municipio que nos quiere bien, causaría desorden en la comunidad yturbaría la paz tan costosa de lograr. Así, pues, no quiera el daño de misalud y el de esta casa.

El P. Mistrangelo incluso fue a hablar con el P. Ricci a Florencia,para explicarle por qué no podía aceptar la obediencia (254). Es posi-ble que para entonces el P. Mistrangelo supiera ya que lo iban a nom-brar obispo, y por eso no parecía conveniente que lo sacaran de Ovada.Es posible, como insinúa el P. Leoncini, que «hizo falta una mitra»para sacarlo de allí (255); es posible que todo ocurriera providencial-mente. En todo caso, con el nombramiento del P. Mistrangelo los pro-blemas de Ovada se hicieron más agudos: era necesario encontrar aalguien para sustituirle. En la Congregación Provincial algunos eranpartidarios de aprovechar las circunstancias para cerrar la casa (256),pero a ello se opusieron enérgicamente los religiosos de la misma, elalcalde (257), y el mismo P. Mistrangelo, ya obispo de Pontremoli.Este amenaza con recurrir al P. General y a la Sagrada Congregaciónsi el P. Provincial no resuelve el problema de enviar a alguien parasustituirle, y recomienda al P. Oberti como profesor (258). El P. Garas-sini se inclina ante las exigencias del P. Mistrangelo, y envía a un

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(252) RG 249 a 4, 90. 20 septiembre 1892. (253) RG 249 a 4, 176. 14 septiembre 1892. (254) RG 249 a 4, 175. 10 octubre 1892. (255) RG 248 a 5, 12. 7 marzo 1893.(256) RG 249 a 4, 108.(257) RG 249 a 4, 116. 8 agosto 1893. (258) RG 249 a 4, 172. 24 agosto 1893.

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rector (P. Poggi), y al P. Giovanni Oberti como profesor (259). Lascosas quedan tranquilas, y el P. Garassini, agotado.

Quizás para asegurarse la presencia de los Escolapios, el munici-pio de Ovada decide construir escuelas nuevas, y el P. Ricci reco-mienda al P. Provincial que se acepte la propuesta, ayudando con unpréstamo de la casa de Chiavari (260): Sabrá que el Municipio de Ovadaquiere construir en nuestra casa un bloque de escuelas nuevo y mejor; nodeberíamos perder la ocasión, tanto para impedir que, antes o después,como quieren los malos, se fabriquen las escuelas fuera de nuestro local,como porque las actuales escuelas, libres de uso, podrían servirnos paraun internado de jovencitos aspirantes a hacerse escolapios. Me dicen quede esos pueblos viene el mayor número de nuestras vocaciones. Pero elMunicipio, que no puede hacer de un golpe el gasto de 15 mil liras, loharía inmediatamente si encontrase un préstamo por esa suma, quedevolvería en cinco años, pagando hasta la extinción un interés del 5%.Sé que la casa de Chiavari puede hacer este préstamo, y mientras todoslos bancos fracasan y el Gobierno baja el interés, sería más seguro y másrentable prestar a un Municipio parte de nuestro capital. Así que desea-ría que Usted, como Provincial, exhortase al Rector de Chiavari y dele-gue, por ejemplo, al P. De Vincenzi, a tratar con aquel Municipio y ainformarle a Usted, y con su autorización, concluir en nombre propio elasunto. Cada año él pagará el interés a Chiavari. El beneficio moral yeconómico de la cosa es tan patente, que sería una pedantería discutirlo.

Por cierto, el P. Oberti será también nombrado obispo, deSaluzzo, pero ya durante el siguiente generalato, en 1901. Ambosobispos (Mistrangelo y Oberti) tiene su placa de mármol en la iglesiade los escolapios de Ovada. En cuanto al P. Mistrangelo, será nom-brado arzobispo de Florencia el 16 de junio de 1899, pocos mesesantes del fallecimiento del P. Ricci. Pero como le sucedió en el cargode General, ya hablaremos más ampliamente de él cuando escribamossu biografía.

Un hecho curioso que ocurrió en la provincia de Liguria duranteestos años fue la asistencia de las primeras niñas a colegios escolapios.Debieron llegar noticias a oídos del P. General que en algunos cole-gios escolapios de Liguria se admitían niñas, y pidió explicaciones alP. Provincial Garassini, quien a su vez pidió a los rectores de Savonay Chiavari, los PP. Luigi del Buono y Giacomo Dasso, que informaranal P. General. Copiamos simplemente las cartas, porque lo explican

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(259) RG 249 a 4, 111. 21 septiembre 1893. (260) RSL 369 6, 20.

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todo. Cada pequeño progreso debe enfrentarse a muchas dificultades.Así narraba lo sucedido el P. Del Buono (261):

Pregunta V.P. de qué modo se ha hecho la admisión de las dosjovencitas Polati a este gimnasio nuestro. Voy a satisfacer sus deseos departe del P. Rector, y por medio de la presente conocerá el hecho, ypodrá informar a nuestro veneradísimo P. General.

A finales de octubre del año pasado se presentó al P. Mallarini unseñor pidiendo que admitiera a la clase 3ª a dos de sus hijas. El P. Malla-rini, a causa de su edad avanzada (262), no sabía que a los gimnasiosreconocidos o públicos pueden ir también las chicas, así que rechazó lapropuesta como una cosa extraña, y despidió a este individuo como sifuera un audaz inoportuno.

A mediados de noviembre vino la madre, y con calma pidió al P.Rector la admisión, afirmando que no se la podía negar. Entonces el P.Rector me mandó llamar a la sala de visitas y me expuso el caso. Yosabía que otros gimnasios habían sido amenazados con quitarles el reco-nocimiento e incluso con el cierre si el Director continuaba rechazandola admisión de niñas, por eso respondí solamente que no podíamosadmitirlas, dando como razón que el plazo para los exámenes de entradaya había terminado, y no podíamos volverlo a abrir sin el permiso delReal Provisor. La señora quedó satisfecha y se fue diciendo que iría ahablar con el Provisor. Yo tenía intención de esperar la autorización yluego examinarlas, siendo posible matricularlas en el 1er curso en el queya habían estado inscritas dos años antes en Vercelli, y quizás entoncesrenunciarían las dos, pero el P. Mallarini creyó mejor avisar al Provisorconfidencialmente, para que en caso de necesidad las enviara a otraparte, si era posible.

El Provisor, al pedirle el permiso, como había pasado ya bastantetiempo desde el principio de curso, les debió responder que se dirigieranal Ministerio, y posiblemente comunicó al Ministerio el deseo del P.Mallarini. Por entonces un periódico de Savona habló de las dificultadesque encontraban dos muchachas para ser admitidas en nuestro gimnasio.Yo no lo leí, pues no tengo costumbre de leer ese tipo de prensa.

A fines de diciembre vino de Génova el Provisor y habló con el P.Mallarini, exponiéndole que había recibido el encargo de arreglar aquelasunto, y pedía solamente que un profesor del gimnasio les diese clasesde italiano, de latín y de historia a las dos chicas en privado. El P.

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(261) RG 248 a 1, 6. 27 octubre 1889. (262) El P. Giuseppe Mallarini había fallecido el 9 de julio de 1889.

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Rector creyó que sería fácil asentir a esta invitación y respondió afirma-tivamente. Cuando yo salí de clase a las 11 ½ el P. Rector me llamó, yel Provisor me refirió cuanto había establecido con el P. Mallarini;además añadió que le gustaría conocer cuanto antes al profesor que daríalas lecciones solicitadas.

El Provisor fue luego a ver al Subprefecto, y llamando al padre delas jóvenes le dijo que un profesor les daría tres clases semanales de lasmaterias literarias del 3er curso, y al final del año podrían examinarse.

Como el P. Provincial no podía permitir a los Padres dar tales lec-ciones, se invitó a un profesor de fuera, D. J. Astengo, y como el encargovenía de parte nuestra, quedamos en pagarle 200 L por las lecciones quedaría desde enero hasta finales de junio, a menos que no recibiera dichasuma de otros; y se dio a conocer su nombre al Real Provisor.

Me enteré yo luego de que las dos muchachas además del apoyo dela ley gozaban de la protección de un alto personaje del Estado.

A mitad de junio se presentó la madre para saber cuándo sería elexamen; yo le pregunté si tenía una carta de autorización del R. Provisoro del Ministerio. Ella respondió que no, pero pronto envió una súplicapoco lisonjera para con nosotros, súplica que el Ministerio nos envió conla petición de devolvérsela. Mientras tanto el P. Mallarini estaba ya gra-vísimo, y ya no era posible hablarle de estos asuntos; incluso el Ministe-rio pedía a menudo noticias suyas por carta. Para responder a una notaconfidencial del R. Provisor el 24 de junio fui a Génova, y él me enseñóla carta ministerial en la que se recomendaba simplemente que no semolestase al venerado P. Mallarini, pero que era necesario admitirlas alexamen. Las dos muchachas hicieron el examen para pasar a 4º, y sus-pendieron latín y aritmética. Al final del curso el Sr. Astengo recibió delMinisterio de Educación un cheque por 250 L.

Al comenzar el nuevo curso, el padre de las chicas se presentó decla-rando que sus hijas irían al 3er curso de gimnasio. Debiendo responderyo en ausencia del P. Rector, rechacé admitirlas sin que aprobaran lasmaterias suspendidas en julio, pues no se podía juzgar sobre su capaci-dad sin haber pasado ellas el examen oral de latín, al que no habían sidoadmitidas. Él añadió que había recibido del R. Provisor la garantía anteel Subprefecto de Savona de que se consideraba a sus hijas inscritas en eltercer curso, del cual estaban estudiando las asignaturas. Por ello escri-bió al Subprefecto Maccaferri, transferido a Bari, y este le respondió queasí era, en efecto; con esta declaración se dirigió al R. Provisor.Habiendo yo ido a Génova por entonces, pasé a saludar al R. Provisor,el cual me exhortó a admitirlas en 3º, después de una formalidad de

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examen, y dar fin así a un asunto que no se podía defender según la ley,añadiendo que el Ministro, a pesar suyo, no podía hacer nada más pornosotros, para no excitar a la prensa, demasiado atenta para encontrarmateria con que venírsenos encima.

Después de esto, informado el P. Rector, se hizo el examen y fueronadmitidas a 3º de mala gana y contra nuestra voluntad. El Sr. Obispo losabe, y nos compadece por las coacciones a las que la libertad nos obliga.Hemos colocado a las dos alumnas en un banco bien separado y dandola espalda a los estudiantes.

Esta es la exposición que puedo hacer rápidamente a V. Paternidad.Le ruego sin embargo que esta mía, puesto que revela la deferencia delMinistro y del Provisor para con el P. Mallarini, sea comunicada sola-mente a aquellas personas que conviene que lo sepan, puesto que«Bueno es mantener oculto el secreto del Rey» (263), aunque la citabíblica no venga mucho a nuestro caso. Con los respetos del P. Rector yde los Padres, además de los del infrascrito…

El P. Dasso, por su parte, da cuenta de la situación de Chiavari,que se vivía con mucha más normalidad (264): El P. Provincial, almandarme la distribución de esta comunidad religiosa, me hizo notarque teníamos en la escuela una niña. Lo que ya respondí entonces al P.Provincial, le informo ahora a V.P. Rvma. que ya hace dos años que latenemos en nuestra escuela, y que comenzó en 1º de gimnasio. Estandoel gimnasio reconocido, el P. Calvi, director del mismo, no pudo recha-zarla, como no podríamos rechazar a otras, si vinieran. Es hija de unantiguo militar empleado en los ferrocarriles. Es de conducta ejemplar;viene a la escuela y vuelve a casa siempre acompañada del padre o dealgún empleado del padre. Hasta ahora no ha habido ningún incidenteen la escuela, y si en los primeros días la cosa produjo un poco de sensa-ción, ahora creo que ya no se habla más de ello, desde luego no encontra de nosotros, sabiendo la situación en que nos encontramos. Por lodemás ni el P. Calvi ni yo avisamos de la novedad porque no pensamosque debíamos hacerlo.

La Provincia de Liguria se mantuvo abierta a acoger religiosospolacos que vinieran a formarse, para regresar luego a su país. Elprimer polaco que vino a formarse a Italia fue el P. Gustavo Kalman,que había hecho su profesión simple en Cracovia en 1880 y fueenviado a estudiar teología a Roma. Terminados sus estudios en esta

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(263) Tob 12, 7. (264) RG 248 a 1, 27. 24 octubre 1889.

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ciudad, regresó en 1883 a Polonia, pero sufrió una crisis, dejó laOrden y, arrepentido, pidió ser readmitido. Volvió a Italia, y en 1884el P. Provincial de Toscana, Zini, pide al P. General que lo saque deToscana, e incluso de Italia (265). 1885 lo encontramos en Alatri. Pos-teriormente fue nombrado rector de Cracovia (1901-1903). Fallecióen Horn, en 1915. Siguiendo los pasos de Kalman, otros polacos lle-garon a Italia, a la Provincia de Liguria: Estanislao Bieganski, que pro-fesó en Cárcare en 1885, y luego regresó a Cracovia, donde murió en1913 y Ladislao Zabrzeski, que tras hacer su profesión en Cárcare en1892, siguió durante unos años estudiando y trabajando en Liguria.Este, por su parte, recomendó a otro candidato polaco, Josafat Stu-glik, primo suyo. En la provincia estaban dispuesto a aceptarlo (266),pero no nos consta que llegara a profesar.

También se mantiene la provincia abierta colaborar con otrasnecesidades de la Orden, y responde generosamente a la petición delP. General para que apoyen la obra de Pompei enviando al P. Gan-dolfi, del que ya hemos hablado antes; al P. Pietro Bianchini y algunosnovicios (267).

Terminamos lo referentes a la provincia ligur con una nota poética,obra del P. Nicolò Cigliuti, ex Provincial y el más anciano de la Provin-cia, quien al cumplir 90 años deleitó a los Padres que le homenajeabancon la siguiente poesía, que sólo en italiano se saborea adecuadamente:Rallegrarsi!… Ma di ché? / Ella è forse un’allegrezza, / O miei cari, lavecchiezza, / Che mi rende tardo il piè, / Ciechi gli occhi, grinzo il muso,/ E l’orecchio ai suoni chiuso? / Ora io ben Quel de lassù, / Cui serbataè la ragione / Dalla legge del taglione, / Ai miei anni, ai cento e più /pregherò nell’ira mia, / vi condanni – e cosi sia (268).

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(265) RG 247 e 2, 60.(266) RG 249 a 4, 94. 28 julio 1892. (267) RG 249 a 4, 140. 10 noviembre 1895. (268) RG 248 a 6, 1. 18 noviembre 1894. Se puede traducir aproximadamente: ¡Ale-

grase!... ¿De qué? / ¿Es acaso un motivo de alegría, / queridos míos, la vejez / que me hacelento el pie, / ciegos los ojos, arrugado el morro, / y la oreja cerrada a los sonidos? / Pues yoa Aquél de allá arriba / a quien corresponde la aplicación / de la ley del talión, / a llegar amis años, a cien y más / le rogaré en mi enfado / que os castigue, y así sea.

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Toscana

La Provincia Toscana (o Etruria) era la que se encontraba enmejor estado en Italia. He aquí algunos datos estadísticos:

La distribución de los religiosos en el año 1884 es la siguiente:San Giovannino de Florencia: 19 sacerdotes, 3 juniores, 6 hermanos.Cepparello de Florencia: 5 sacerdotes, 2 juniores, 1 hermano. SanCarlo de Florencia: 2 sacerdotes, 4 juniores. Noviciado El Pellegrinode Florencia (residencia frecuente del P. General Ricci): 6 sacerdotes,4 hermanos, 6 novicios clérigos, 3 novicios hermanos. Volterra: 11sacerdotes, 2 juniores. Instituto de Sordomudos de Siena: 5 sacerdo-tes, 3 juniores. Urbino: 6 sacerdotes. Empoli: 15 sacerdotes, 1 junior,1 hermano. Abadía Fiesolana: 11 sacerdotes, 1 hermano. Estabanfuera de la Provincia: 2 sacerdotes y 2 juniores.

En los años siguientes se cierra la casa de San Carlo, al otro ladodel Arno. Recordemos que el colegio de San Giovannino había sidoincautado por el gobierno en 1878, pero permitían seguir viviendo allía una numerosa comunidad de religiosos; los padres habían compradoel edificio Cepparello en 1880, y habían establecido allí las escuelas,con una pequeña comunidad de religiosos. En este colegio se educa-ban aproximadamente la mitad de los alumnos de la Provincia. El Ins-tituto de Sordomudos de Siena atendía a unos 90 niños y niñas; otrostantos internos había en la Abadía Fiesolana (que no tenía alumnosexternos). En la casa noviciado del Pellegrino había un par de escue-las de primaria; los postulantes estaban internos en Empoli. Exceptola casa de San Carlo, no se cerró ni se abrió ninguna casa en la pro-vincia durante el generalato del P. Ricci. Llegaron algunas peticiones,pero fueron rechazadas, por falta de personal: en la tabla podemos verque el número de sacerdotes va disminuyendo durante el periodo. ElObispo de Borgo San Domenico le pidió que fueran a fundar un cole-gio a su diócesis, sin éxito (269). Se rechazó una petición del munici-

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(269) RG 247 j 29. 30 octubre 1884.

Año sacerdotes juniores hermanos novicios total alumnos

1884 91 18 15 5 129 2164

1892 78 11 12 2 103 1843

1896 71 12 14 5 105 2056

1900 68 20 9 4 101 1885

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pio de Busetto (270); de Fanano, donde antes habían estado los esco-lapios (271). Ya que no pueden ir al colegio, el municipio ha restau-rado la iglesia, donde han colocado una placa recordando el paso delos escolapios, y les piden que envíen al menos algún religioso parahacerse cargo de ella (272). El Conde Raffaele Emaldi ruega al P. Riccique haga volver a los escolapios a Lugo, donde el Venerable Pompiliohabía dejado honda impresión, y donde los escolapios de la ProvinciaRomana habían permanecido hasta 1800 (273). Y, de hecho, los esco-lapios volvieron a Lugo en 1881, pero a causa de la presión popularanticlerical tuvieron que irse definitivamente en 1884.

Algunos religiosos, como el P. Benedetto Pincetti, respiran pesi-mismo por el futuro de la Provincia, y más concretamente por el de sucasa de Empoli (274). Así le escribe al P. General el 14 de julio de1887: Las desgracias que nos están golpeando casi todos los días me pro-ducen una tal inercia de espíritu que ya no me encuentro a mí mismo.¡Nos va a tocar hacer los funerales de la Orden! En dos meses contamosla pérdida de los ilustres P. Cecchi y P. Leonetti y en dos años la faltamuchos otros: Conti, Serpieri, Paciarelli, Tarnocchia, etc. ¿Entonces quésucederá pronto o incluso remotamente? ¡Es desolador pensar en ello! Ylo que digo, tú lo ves mejor que yo. Tal vez tú estarás más resignado,pero repito que yo me pierdo. Para mí no puede ser diferente, puesto quehace ya dos años que sufro todos los días, especialmente por este pobrecolegio. Giannarelli no trabaja bien; Morrone no lo consigue; los de hoyno concluyen. Sin embargo, la localidad, los accesorios materiales, lacondición de todo el instituto escolar, todo nos favorece. Quizás falta elhombre que imprima vida; y si no lo encontramos, acabaremos poniendoel cartel de «Se alquila», para ver si encontramos otra comunidad queabunde en espíritus nuevos como los Salesianos, o algún empresario.Tomo nuestro catálogo y lo recorro. Quien por una razón, quien porotra, parecen decir: no estoy disponible, o no sirvo. Tendría cierta con-fianza en Croci, pero me temo que puedas destinarlo al Colegio Ceppa-rello. ¿Es cierto? No hay que hacer comparaciones, pero dudo que el

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(270) RG 247 e 3, 85. 14 enero 1887. (271) RG 247 j 27. 20 diciembre 1884; RG 259 j, 32. 17 agosto 1887. (272) RG 259 j, 33. 34. 36. 37. Año: 1893. Eugenio Battistini, uno de quienes escri-

ben al P. Ricci, le dice: ¡Pobre Fanano y pobre juventud de Fanano, tan cambiada de cuandoestaban los escolapios!

(273) RG 249 j 27. 20 octubre 1897. (274) B. Pincetti (1823-1904) había sido fundador y primer rector del colegio de

Empoli en 1861, y en él siguió buena parte de su vida. Fue Asistente General en 1884-86,y Provincial de 1889 a 1892. Trata con gran confianza al P. Ricci, al que le uniría unabuena amistad.

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Cepparello se desarrolle nunca mucho, mientras aquí sobran local, como-didades, etc., y en el Cepparello otro menos activo puede ser suficiente.Aquí un hombre activo vendría bien, esperarlo ayuda, un impulso no sinbeneficio económico, si esto interesa hoy en medio de las dificultadesgenerales en que nos encontramos. Yo no he presionado hasta ahora, y mehe conformado con lo que me han enviado: hoy insisto fuertemente y noimporta lo que pase; si hace falta, cederé como el Crucificado; en el cederestá la última prueba. Después de lo cual ya sólo queda resignarse, por lomenos a mí. Yo no ahorro esfuerzos dentro de mis posibilidades, pero notengo brazos que me respondan. Mi consuelo será decir: he hablado, heorado, he hecho lo posible; si no he tenido éxito, que vean otros.

Hemos podido comprobar en los catálogos que los juniores estánrepartidos por las diferentes casas en las que hay escuelas: se dedicana dar clase mientras continúan sus estudios, práctica habitual en lasprovincias italianas en estos años. En ocasiones tienen que echar manoincluso de los novicios para cubrir plazas de maestro (275). La perse-verancia de los juniores es escasa, y de ello se queja el P. ProvincialConsumi: hay que hacer algo (276). El P. Giovanni Giovannozzi, porsu parte, se queja del bajo nivel cultural de los juniores (277): Aquínada de nuevo. Nuestras escuelas caminan, llevadas en los brazos delSeñor y de Nuestro San José. Pero hay que lamentar el bajísimo nivel decultura de la mayor parte de nuestros maestros, especialmente los jóve-nes, los cuales además no se quieren convencer de que saben poco, y nose preocupan en absoluto de estudiar e instruirse. Sin embargo, la buenainstrucción y el saber influyen también en la buena conducta y, aunquesólo fuera eso, en el buen uso del tiempo. Siempre he pensado quequerer remediar las necesidades del momento, usando maestros con pocapreparación e incapaces nos impide proveer eficazmente a las necesida-des futuras. Pero si seguimos así, ¿cómo nos arreglaremos? Hoy día haypoca gente en Florencia que nos considere vivos y vitales como en otrotiempo, y repetir los nombres acostumbrados de los muertos, Inghirami,Tanzini, Giorgi y Gatteschi comienza a no causar impresión en quienesni siquiera los conocieron.

Unos años más tarde se queja al P. Ricci de la pobre formaciónque se da a los juniores, él que ha estado algunos años a cargo de suformación, en una carta que ya hemos reproducido antes (278).

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 111

(275) RG 248 e 3, 87. 4 noviembre 1887.(276) RG 249 b 1, 36. 12 febrero 1897. (277) RG 248 b 1, 4. 24 diciembre 1889. (278) RG 249 j, 26. 19 junio 189…

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El P. Giovannozzi, doctor en química en la Universidad de Roma,había sido puesto al frente del Observatorio Ximeniano de Florencia.Quiere dedicarse al estudio de los terremotos, tan frecuentes en Italia,tras escribir la biografía del P. Serpiere, que entre otros muchos estu-dios científicos, se había dedicado también a la sismología (279). Creaun gabinete sismológico, en honor del P. Cecchi que le había prece-dido en el Observatorio (280). Participó en diversos Congresos deMeteorología (Nápoles 1882; Venecia 1888), Sismología (El Aquila,1887), del mapa del cielo en París (1889), de Sabios Católicos en Bru-selas (1896) y Friburgo (1897, 1900). A la muerte del P. Denza, barna-bita introductor de los observatorios meteorológicos y astronómicosen Italia, en 1894, quisieron nombrar al P. Giovannozzi sucesor suyoa cargo del observatorio Astronómico del Vaticano, pero él se opuso,porque quería seguir dando clases en Florencia (281). Posteriormentese recicló, dejando el Observatorio Ximeniano en las buenas manosdel P. Guido Alfani, y se dedicó a la teología. En alabanza suya el P.Ermenegildo Pistelli escribe al P. General una carta, de la que yehemos reproducido un fragmento más arriba (282). Por su parte el P.Giovannozzi había escrito una larga carta en la que defendía a otrocompañero florentino, el P. Tommaso Catani, acusado de darwinistaante el P. General, y que en parte hemos reproducido más arriba. Enella da muestra de sus cualidades científicas y teológicas (283):

Esta tarde he encontrado a Catani profundamente angustiado porlas acusaciones que se le hacen, y por las dudas que tratan de suscitaracerca de la pureza de sus máximas y doctrinas. Según he comprendido,las dudas han partido de aquí, pero han llegado hasta ahí; me desagradaque incluso Usted se haya turbado, y haya disminuido la confianza plenaque antes tenía en Catani, y que me parece bien merecida.

Puedo jurarle que yo conozco muy bien y profundamente a Catani;quizás no haya nadie que conozca tan a fondo sus pensamientos, susmáximas y sus intenciones. Salvo cierta rudeza exterior, y desconoci-miento de alguna etiqueta, yo lo he considerado siempre como el modelode escolapio, piadoso (profundamente piadoso, de oración y de medita-ción), trabajador incansable, desinteresado, pobrísimo, de costumbres yde ánimo tímido, y además escolapio en el alma, es decir, tiernísimo con

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(279) RG 247 e 3, 90.(280) RG 247 e 4, 1.2. Año: 1888. (281) RG 248 b 7, 1. 11 febrero 1895. (282) RG 248 b 3, 3. 16 noviembre 1891. (283) RG 248 b 3, 1. 16 noviembre 1891.

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todo lo que sea misión apostólica con los jóvenes. (Hemos reproducidomás arriba el comienzo de su defensa del darwinismo enseñado porCatani).

El Abate Moigno, no sólo católico, sino furiosamente exaltado porideas políticas intransigentes, en su libro Splendeurs de la Foi (aprobadoy bendecido por el Papa) expresa muchas veces esta idea, y en un lugar(vol. IV, pág, 477) termina un discurso muy largo de esta manera: «Laevolución de la materia sin Dios es un absurdo desesperante. Le evolu-ción de la materia con Dios, por Dios, en Dios, es una síntesis magnificadel universo que satisface a todo cuando se completa con la creacióninmediata de los espíritus y las almas».

Este año 1891 en el Congreso Internacional de científicos católicosen París, presidido por Mons. Hulst, se pronunciaron discursos a favor yen contra de la evolución. Y Mons. Freppel (nadie dirá de él que es unliberal), aun declarando ser él mismo contrario al transformismo,declaró al mismo tiempo que la cosa puede estudiarse libremente. YMons. Hulst dijo que la evolución no es en absoluto un arma de guerracontra los principios cristianos: si le damos esta apariencia, los materia-listas la defenderán a espada alzada; si en lugar de ello ven que no latememos, dejarán de usarla con ese fin, y la discusión dejará de ser reli-giosa para convertirse en puramente científica. (Vea Cosmos, revistacientífico-religiosa de París; muy católica en cuestión de religión e into-lerante en política, por tanto fuera de sospecha).

Puedo asegurarle, Padre, sobre mi conciencia de sacerdote, que noexagero, y que he leído muchísimos libros de científicos católicos (espe-cialmente jesuitas belgas) francamente transformistas. Y vea, yo sinembargo no soy transformista. Pero es debido a razones científicas, y noreligiosas. ¿Es posible que se quiera forzar a la gente a cerrar los ojos ylos oídos para no ver ni oír? Modestia aparte, ¿no hemos estudiadonosotros más que otros (hablo de los escolapios) estas cuestiones? ¿Y nole parece que nuestro espíritu sea lo suficiente claramente religioso y cre-yente, que teme que no podamos discernir nosotros mismos si una teoríaes impía o no? ¡Demonios, seamos lógicos una vez, y razonemos connuestra cabeza, y no según los artículos de los periódicos! Pedimos, porfavor, que se fíen de nosotros. Por Baco, decimos misa, rezamos, nos con-fesamos, confesamos a otros y hacemos lo que podemos por salvar almas,¿es posible que no seamos capaces de discernir si estamos fuera de laIglesia? ¡Ah, Padre mío, es en verdad tremendo, y hace mucho daño, apesar de la buena intención!

Comprenderá, Padre, que no he escrito un discurso meditado: heescrito estas páginas con el corazón en la mano. Concluyo rogándole

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cálidamente, por amor a estas pobres Escuelas Pías nuestras, que seinterponga ante esos benditos soñadores de herejías, que ven el diabloen todas partes, tranquilizándolos, calmándolos, asegurándoles quequien sabe más que ellos ya ha dicho que el transformismo será o noserá verdadero, esto es algo que deben decidir los naturalistas, pero teo-lógicamente no es imposible. Y dígales que los mayores partidarios de laincompatibilidad del transformismo con la religión son los materialistasingleses y alemanes, que fomentan el desacuerdo, hasta el punto de quese enfadan cuando ven escritos religiosos transformistas, y dicen vitupe-rios de ellos. Es natural: ¡ven que les quitan el arma de las manos! Y lamayoría de estos profesorcillos aficionados, que no saben lo que dicen,¿no ve Usted que apoyan el transformismo únicamente porque creen deeste modo atacar el cristianismo? Bastaría con que supiesen que nosotrossomos más transformistas que ellos, y ya no nos molestarían más.

Le repito que no quería escribir un tratado, sino sólo decirle since-ramente una parte de la verdad. Pero si le interesa, con gusto le ofrecerécon más tiempo y orden las aclaraciones que desee, citándole autores.¡Pero, por favor, no se condene sin más a uno de los mejores y más celo-sos escolapios, que por cierto abundan ahora! Con toda mi veneración ycon el afecto de siempre, GG.

Hemos visto antes cómo otro científico escolapio distinguido, elP. Adolfo Brattina, futuro General de la Orden, sale también endefensa del P. Catani (284).

Eran años difíciles para quienes caminaban un par de pasos pordelante de la ortodoxia oficial. Uno de los escolapios más censurado ymirado con desconfianza fue Ermenegildo Pistelli, también profesoren Florencia. Ya hablamos antes de su enfrentamiento más arriba conel P. Ricci a de la influencia rosminiana en el P. Zini (285).

Tanto Giovannozzi como Pistelli tuvieron aún algunas dificulta-des cuando el P. Mistrangelo sucedió al P. Ricci al frente de la Orden.De hecho, las dificultades empezaron cuando el P. Mistrangelo fuenombrado arzobispo de Florencia. Algunos decían que había llegado aFlorencia con un encargo del Papa (286), y sospechaban que esa misiónera hacer callar a Giovannozzi y Pistelli. Se hablaba incluso de expul-sar de la Orden a Pistelli (287). El P. Provincial Vittorio Banchi prohi-bió a los religiosos dar conferencias públicas a los religiosos (288),

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(284) RG 248 b 3, 5. 16 noviembre 1891.(285) Reg. Gen, 249 j 7. 11 junio 1893. (286) RG 249 b 3, 13. 3 diciembre 1899. 17: 28 noviembre 1899. (287) RG 249 b 4, 15. 4 mayo 1900. (288) RG 249 b 4, 16. 17. 15 mayo 1900.

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aunque de hecho sólo eran dos los que las daban: Giovannozzi y Pis-telli. El P. Pistelli, dolido, escribió al P. General Mistrangelo (289):

He pensado que no debía presentarme ante V.E. sin ser invitado,sabiendo lo precioso que es su tiempo, y teniendo conciencia de haberabusado ya. Pero como a una pregunta mía, para mí muy importante(relativa a la manera de obrar para obtener la aprobación preventiva delos escritos que tuviera intención de publicar) V.E. no ha querido respon-derme hasta ahora, debo rogarle que me diga qué día y a qué hora podríaser recibido un momento con la menor molestia para usted. Mientrastanto, como escribir me resulta menos difícil que hablar en mis presentescircunstancias, me atrevo a recordar a V.E. que yo, después de los doloro-sísimos acontecimientos he quedado en una situación delicadísima y difi-cilísima, semejante a la de un acusado al que el Tribunal deja libre porfalta de pruebas. Que el corazón de V.E. juzgue si yo puedo vivir tran-quilo cuando… cuando tengo que conformarme con no haber sido expul-sado, después que mi Superior inmediato pidiera mi expulsión.

Sin embargo, yo me había esforzado para ocultar a todos el estadode ánimo mío, y vivía, día a día, con la confianza en que al menos noocurriría nada más que pudiera afectarme, y aunque desde hace muchosdías y desde muchas partes (incluso en un periódico) me aseguraban quevendrían otras inevitables prohibiciones, yo siempre había respondidoque no había nada de verdad en ello. Ahora un Decreto de mi Provin-cial, leído ayer en la comunidad religiosa, prohíbe a los religiosos cual-quier charla o conferencia pública, a pesar de que las tengan cada díareligiosos de cualquier Orden e incluso Obispos y hasta (puramente lite-rarias) Cardenales como Parocchi. No habiendo pues nada de extraño nide malo en la cosa en sí, y no pudiéndose creer que los Escolapios hayanabusado de ello (porque yo en toda mi vida no he ganado cuatro cuartoshablando de Dante o de Sófocles) está claro que la orden citada, aunqueparezca de orden general, apunta a los pocos que hasta ahora han tenidoconferencias públicas, y que son, como bien sabe V.E. sólo dos. No dirénada de la manera como está expresada la orden, y que hace suponerque no hayamos tenido cuenta, hablando, de la dignidad y de la reservaconveniente a los Religiosos, pero no puedo dejar de llamar la atenciónde V.E. sobre este hecho gravísimo, a saber, que hayamos llegado no yaa prohibir que se diga o se sostenga una idea u otra (lo cual sería natu-ral, vistos los tiempos); no a imponer que antes de escribir o de hablarse haga saber a quien corresponda lo que vamos a decir, sino a prohibirabsolutamente a priori que se escriba o se hable.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 115

(289) RG 249 b 4, 18. 17 mayo 1900.

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Hace algunos meses me prohibieron a priori un trabajo puramentehistórico y crítico, y obedecí. Después me prohibieron escribir en la Ras-segna Nazionale, y he obedecido. Ahora viene la prohibición de darcharlas o conferencias… ¡y mañana quizás otra, y después otra!

Monseñor, con el afecto que le debo por las sinceras palabras queme dijo, le ruego me permita ser sincero con V.E. siempre. Le digo pues:Usted ya me conoce, y conociéndome puede comprender cuál es miestado de ánimo, y espero crea que mi dolor es vivo y profundo al oírque todos hablan de estas cosas dolorosas para daño mío (lo sé) perotambién con daño para la Orden, y al repetirse estas prohibiciones, yaconocidas y comentadas en la ciudad antes mismo de que las conozcamosnosotros. Pero mi tormento es mayor cuando oigo cuánta parte de culpame quieren echar a mí, como si me hubiera rebelado alguna vez a unasola orden recibida, cuando pienso a lo significativa que era la frase demi superior, que escribía hace unas semanas: «A esto hemos llegado porculpa de unos pocos desaconsejados…».

Considere V.E. si a los 38 años, después de haber gastado la vida tra-bajando mucho por nuestras escuelas (y nunca para mí mismo) y bus-cando, en lo que de mí dependía, de salvarlas del descrédito que ya lesafecta, y más que les amenaza, piense si es posible que de un golpe meconvierta en otro hombre, que me resigne a verme privado de la más razo-nable libertad, que me adapte a sentirme tolerado por la bondad de V.E.

Tengo fama de hombre violento e impaciente, y también a V.E. lehan dicho que lo soy. Pues bien, Monseñor, yo creo que entre las muchasvirtudes que me faltan, una de ellas no es la paciencia. Y si V.E., que secompadece de mí, pudiese tener una idea de lo que he sufrido y lo quesufro, tal vez le daría compasión.

Pero no quiero entretenerle más. Me perdone y me bendiga, y con-cédame por favor algún momento de su tiempo en cuanto le sea posible.Afectuosamente…

Es admirable ver cómo los grandes pensadores supieron obedecera sus superiores, sin por ellos renunciar a su libertad de pensamiento,y al final se les dio la razón.

Un año antes de que el P. Ricci fuera nombrado Vicario General,había fallecido el P. Tommaso Pendola, fundador del Instituto de Sor-domudos de Siena. Un año antes que él había fallecido, joven aún, supresunto sucesor al frente del Instituto: Gregorio Marchiò. En 1886falleció su real sucesor, también joven, el P. Pompilio Pellicioni (290).

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(290) RG 247 e 3m 15. 14 noviembre 1886.

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Surgió una crisis en el Instituto: algunas autoridades de Siena queríansecularizar el instituto. Pero el P. Provincial Zini lo apoyó decidida-mente, y envió a un hombre valioso, el P. Vittorio Banchi, que lo diri-gió durante 28 años y lo retuvo para las Escuelas Pías. Sin dejar elcargo, fue elegido Provincial de Toscana, cargo que ejerció desde1898 hasta 1912, y desde él apoyó firmemente el Instituto, que,aunque sólo atendía a un centenar de niños, contaba con una comuni-dad de en torno a 8 religiosos. Además, se hicieron cargo del institutode sordomudos de Chiavari, que los escolapios de Liguria no habíanquerido aceptar. Los religiosos de uno y otro instituto formaban canó-nicamente una sola comunidad. A finales de 1894 les propusieron quese hicieran cargo también del Instituto de Sordomudos de Roma, y lamayoría de los padres de la comunidad estaban a favor de aceptarlo,pero no así el rector P. Banchi, que deja la decisión al P. Mauro Ricci.La oferta no se aceptó (291).

El P. Zini es probablemente el escolapio toscano de más relievedurante este periodo. Era Provincial de Toscana desde 1875, ademásde Rector de la comunidad de Florencia. Ya al escribir la biografía delP. Casanovas vimos que el P. Ricci se quejaba de que el P. Zini dedi-caba demasiado tiempo al confesonario (292). En 1886, nombradoGeneral de la Orden, el P. Ricci renueva en su cargo de Provincial deToscana al P. Zini, pero le pide que «deje la ocupación voluntaria delconfesonario». El P. Zini, siempre obediente, le pregunta si debeentenderlo como una prohibición absoluta, o sólo en cuanto le impidael desempeño de sus deberes (293). O no le respondió, o le diría quelo segundo. El P. Zini supo guiar la provincia durante años suma-mente difíciles, siendo un hombre profundamente religioso y con grandon de gentes. Quizás por ello fue nombrado Arzobispo de Siena aprincipios de 1889. Aunque era una noticia que mostraba el granaprecio de León XIII por los escolapios, la noticia no alegró a todos.El P. Estanislao Consumi, que sería Provincial de Toscana de 1892 a1898, escribió una carta al P. General expresando su consternación:ese nombramiento sería la ruina de los escolapios de Florencia, puesel P. Zini era insustituible. Si él se iba, tendrían que cerrar el colegio.Y por eso rogaba al P. Ricci que hiciera todo lo posible para quedieran marcha atrás en el nombramiento (294). Tampoco él mismo se

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(291) RG 248 b 7, 35. 19 enero 1895. (292) ASP 84, pàg. 96.(293) RG 247 e 2, 68. 15 noviembre 1886. (294) RG 248 b 1, 48. 9 febrero 1889.

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alegró del nombramiento, y acudió a Roma a pedir de rodillas y conlágrimas en los ojos a León XIII que le librara de esa carga, pero elPapa le mandó obedecer. En Siena, en cambio, se alegraron mucho deque fuera como Arzobispo un escolapio (295). Por desgracia en Sienano disfrutaron mucho tiempo de su presencia, pues falleció en diciem-bre de 1892, a los 67 años de edad.

Tampoco se alegró de su ida a Siena Marianna (luego Celestina)Donati, de quien ya hemos hablado más arriba. Cuando recibió lanoticia del nombramiento de su director como Arzobispo de Floren-cia, escribió una carta angustiosa al P. General pidiéndole que evitaraese nombramiento (296):

Oprimida por la grave enfermedad de mi pobre y querido papá, megolpea ahora, me traspasa el alma también la probabilidad de perder alIniciador y el Sostén de la obra santa por la que hace tantos años quesuspiro, ¡el Director, el consuelo único después de Dios, de toda mi fami-lia! ¡Bendito sea el Señor por siempre! Pero Padre, Padre General mío,usted que se dignó en otra ocasión consolarme con tanta bondad, ¡tengapiedad de mí! ¡Usted puede salvarme, si quiere, puede! La renuncia y elrechazo de nuestro S.P. Provincial serían considerados como humildad, yserían inútiles, si Usted no se signara hablar en lugar de él. ¡Me postrocon la frente en el suelo, pongo mi indigna cabeza bajo sus santos pies yle conjuro por amor de todos los ángeles y de todos los santos a que-rerme salvar de este castigo provocado por mis pecados!

Usted puede hacer valer eficazmente las Constituciones, la voluntaddeclarada firmemente y severamente del Santo Fundador de que sushijos no debían aceptar cargas honoríficas. Sto. Tomás se negó decidida-mente, y su negativa fue respetada. Usted puede hacer notar cómo otrosvirtuosos y sabios sacerdotes, seculares y regulares, podrán dirigir aquelobispado, mientras la provincia, el Instituto de Florencia, la escuelanumerosísima, todos, todos aquí necesitan de aquel sabio y prácticosuperior, que se ha ganado con las autoridades civiles y con todos losánimos un ascendente grandísimo. Si Corso, amigo o al menos conoce-dor de muchos Cardenales, y sobre todo amado particularmente del S.Padre, pudiese de algún modo secundar las presiones mucho más válidasde vuestra reverencia, bastaría que le hiciera una señal. ¿Si todos losPadres y seglares de aquí hicieran una súplica?

R.P. General, perdone la osadía de mi alma que quiere resignarse,pero que aún confía en el dulcísimo y piadosísimo Corazón de Jesús.

118 JOSÉ P. BURGUÉS

(295) RG 248 b 1, 39. 10 enero 1889. 34. 30 junio 1889. (296) RG 248 b 1, 81. 9 enero 1889.

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Por caridad, quiera Usted, más digno y más poderoso que ningúnotro, suplicar al Pontífice con toda efusión del corazón y repetírselo conlas más vivas instancias hasta que haya conseguido esta misericordiapara su pobre hija. Con el P. Provincial Zini aquí podía obtener de papá,pero… pero el buen Jesús o mi R.P. General me salvarán. Sí, sí, prometoa S. J. de Calasanz incluso hacerme santa si me oye, y sacrificar mil vecesla vida si puede ayudarme, por el amor de Jesús, y de él; quiero decir porsu gloria. Mi R.P. General, si pudiese ver mi pobre corazón, conoceríaque es cierto que yo me consideraría feliz de poder dar a costa de cual-quier sacrificio algún consuelo a su paternidad. ¡Pero Jesús, y nuestroquerido Santo Pontífice, y mi óptimo Padre General me salvarán! Resig-narme, orar, esperar contra toda esperanza, sin considerar sentimientos ysin descanso, será lo que yo haré en medio de tanto dolor, y la Virgencitame escuchará, y luego a cambio dará tantos millones de gracias a mi E.P.General, del cual por desgracia abuso, atreviéndome a enviarle una cartatan privada de sentido, y escrita con toda prisa, para no abandonar alpobre papá.

¡Que su santa bendición sea para mí otra vez causa de salvación yde paz! ¡R.P. General, haga las veces de mi angelito custodio, y dígneseperdonar la osadía de su miserable sierva, Marianna Donati afligida!

P.S. Si el S. Pontífice supiese que aquí se abren tantas escuelas pro-testantes, y que el sostén de estas Escuelas Pías de Florencia es el P.prov. Zini, ciertamente él mismo mandaría que se quedase. Pero ¿cómopodrá Usted perdonarme esta carta?

No hubo nada que hacer, sino resignarse. Y, llena de resignación,Marianna escribe una carta de despedida al P. Zini antes de que sevaya a Siena (297): ¡Santo Padre mío!

Cuando Usted venga a visitarnos hoy, con la prisa habitual, Corso yAlfredo estarán también aquí para decirle adiós, y no podré hablarle asolas, por lo que le expongo por escrito un pensamiento que me preo-cupa mucho, remitiéndome plenamente al juicio del ReverendísimoPadre General y al suyo, si quieren por su bondad interrumpir duranteun momento su atención a sus graves e importantes ocupaciones, parabajar su mirada hacia mi pequeñez.

En primer lugar, he de confesar que mi amor propio teme los efectosde esta carta, porque puede dar idea de una inconstancia imperdonable;y si así soy juzgada por mi Padre y por el Reverendo Padre General,

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 119

(297) RG 247, e, 4, 7. 5 febrero 1889.

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bajaré mi frente y obedeceré, silenciando todas mis razones engañosas. Yno lamentaría que revelando el Señor al menos algunos de mis defectos,les dé la manera de librarme de ellos mediante la corrección que mehagan Ustedes. Hablarle con total sinceridad va a ser, pues, lo mejor.

Así, pues Padre mío, escuche: me ha impresionado mucho esta sen-tencia de S. José de Calasanz: «Uno primero debe recoger como cuenca,para repartir después a los demás como canal» (298), y sobre todo me haimpresionado un punto de esas reglas que deben ser la única norma denuestra vida, y es el siguiente: «No se tendrá ninguna casa en la que noexistan las escuelas pías excepto en el caso del noviciado, donde perma-necerán dos años los novicios».

Otra reflexión en estas largas y dolorosas noches hice antes Jesús:esas queridas niñas venían alegres, después de haber cantado las horas,para reunirse con las únicas dos que podían pasar por aquí, y me parecióque a pesar de mi imposibilidad de atenderlas aprovechaban bastante,sobre todo esa niña de tanto talento. Durante este mes de la enfermedadde mi pobre papá, han tenido la paciencia de venir todos los días paraver si podían volver, a pesar de que yo no he podido atenderlas nunca,excepto algún momento en el que les recomendaba que fueran con lasHermanas, para quitarme la pena de saber que estaban ociosas. Pero nome obedecían, porque tampoco yo soy obediente. Entonces reflexionésobre cómo después de todos los trabajos de mi cavar en ese famosocuarto de flores, después de las tribulaciones de la separación, los renie-gos disimulados al recoger a estos queridos angelitos, dejando solodurante dos horas a papá, cuando apenas podía hacer nada, pensandoque las circunstancias son a veces las pruebas más evidentes de la volun-tad de Dios, y que me convenía contentarme reduciendo así todos misdeseos. Creo que de repente se interrumpió aun este poco, y lamentable-mente no parece que por ahora sean pasajeros los obstáculos que laDivina Providencia me ha puesto delante. ¿No puede por lo tantoincluso ser un signo de que Jesús quiere primero el recogimiento en laoración y en la perfecta observancia, para hacer buenos estos instrumen-tos malos?

120 JOSÉ P. BURGUÉS

(298) Carta 4120, al P. Vicente Berro, el 31 de julio de 1643. El texto originaldice: «Procuri però V. R. (se però da questi Padri non haverà ordine in contrario, e a qualipuò ancora scrivere in che stato ha trovato cotesti novitii, se non gli ne havesse scritto) cheattendino prima a quello che più importa, cioè alla perfettione religiosa, nel che mi rimettoalla prudenza sua, avvertendo con la piacevolezza di rimetterli in osservanza e di fargliconoscere, che il primo fine del religioso doppo la gloria di Dio, è la propria salute e persecondo fine la salute del prossimo; e che bisogna prima raccorre come conca per ispargerepoi ad altri come canale».

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Me parece que incluso ese punto de las reglas venía precisamente deDios, y el pensamiento de esperar un año o dos, con la atención centradaen aprender y practicar la completa observancia de las reglas primitivasbien entendidas, con ese orden inalterable que no se puede obtener fácil-mente cuando comiencen la distribución del tiempo y las tareas, me damucha paz, calmando muchos temores y me hace esperar una direcciónmás seria y más fundada.

Podríamos luego, creciendo en número, después de haber apren-dido, comenzar la enseñanza y entretener a las niñas durante mástiempo, como requiere una verdadera educación.

Confío en que no pudiendo tener ahora a la buena Enriqueta quesuspira por el momento en que pueda venir y llama felices esas nochesque a veces puede pasar en esta habitación de dolor, ni pudiendo tenerpor ahora a la virtuosa Antoñita, Jesús me enviará dos más, aquellas quehabrá elegido desde la eternidad, y nos esforzaremos por convertirnos enbuenas y observantes.

Desearía recibir de la bondad de Usted y del Rvmo. P. General unmandato que me mostrase claramente su voluntad, la única en la quedebo reconocer la de Jesús, para el arreglo decisivo y más beneficiosopara estas pobres niñas y para el plan exacto para aquellas que desearantener la paciencia de unirse a mí.

Perdóneme tanta osadía; me bendiga incesantemente, sea siempre,siempre, mi único Padre, y se digne prometerme que en este año o dosde soledad, después de estudiar mejor la doctrina cristiana, los Salmos yel libro de Job, me introducirá a deleitarme en ese bendito Cántico quedebería ser todo el encanto de mi vida.

Esta mañana ni siquiera pude bajar a comulgar porque estaba algomareada y sabía que dejando a papá se habría inquietado demasiado. Medormí temprano. Sea feliz en la plenitud del sacerdocio; consérvese siem-pre saludable y contento, y me trasmita el Espíritu Santo. Indigna hijaen. J.C.

P.S. Perdone; he escrito levantándome continuamente para atendera papá que no para.

El P. Zini permaneció aún varios meses en Florencia antes de ir aSiena, a la espera del exequatur real. Mientras tanto acompañó aMarianna en la puesta en marcha de su instituto. Un mes después deescrita la última carta, el 7 de marzo, se presentó en casa de MariannaMaria Ducci, de 18 años, que quería ser religiosa. En abril se presen-taron otras tres candidatas. El 30 de abril de 1889 las cinco mujerescomenzaron su noviciado, y Marianna Donati comenzó a llamarseJosefa Celestina de la Madre de Dios. El 1 de mayo, con permiso del

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P. General Ricci y del Arzobispo de Florencia, el Arzobispo Zini inau-guró la Congregación de las Hermanas Pobres Calasancias de la Madrede Dios de las Escuelas Pías. Y luego siguió un contacto fluido con elP. General Ricci. A la muerte del P. Zini son ellas quienes quierenpublicar sus obras, y hemos visto también como el P. Pistelli, que hizola introducción, tuvo serios problemas con el P. General a causa de ello.

Existía también alguna relación con otros miembros de la actualFamilia Calasancia. El 5 de febrero de 1889 el P. Giovannozzi pidepermiso al P. Ricci para ir a decir un panegírico a las Escuelas de laCaridad de los Hermanos Cavanis de Venecia (299). Acepta la invita-ción, pero rechaza otra que le hace para que vaya a dar unos ejerciciosespirituales a un colegio suyo lejano (300).

Concluiremos lo referente a Toscana con una noticia curiosa. El27 de mayo de 1892, el P. Saverio Giannarelli, maestro de novicios deFlorencia, informa al P. General (301): Esta mañana, mientras los novi-cios tomaban el café, Santangeli desde la sala del noviciado se ha tiradoal empedrado de abajo. Afortunadamente no parece que se haya hechootro daño que dislocarse un pie, de lo que ha sido atendido inmediata-mente, y espero que la cosa no tenga para él consecuencias mayores.Pero el hecho podía haber sido grave para mí, que lo recogí del suelo.

Al recibir tan extraña noticia, el P. General pide más explicacio-nes al P. Rector de Florencia, Giovanni G. Giannini, que le respondelo siguiente (302): En cuanto al novicio Santangeli, parece que ha sidoun prejuicio o exaltación religiosa: dijo a sus compañeros que tenía tantafe en los milagros de la obediencia que se tiraría por la ventana si se lomandaran. El decano, bromeando, le dijo que saltara, y él saltó en serio.No se rompió nada: sólo se trata de contusiones que se curarán en pocosdías (303).

De hecho, el junior Santangeli fue enviado a Pompei (304),durante varios años hizo un buen servicio (305), y luego en 1903, des-contento por la marcha de las cosas, regresó a la provincia.

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(299) RG 248 b 1, 5. (300) RG 248 b 1, 45. 24 febrero 1889. (301) RG 248 b 4, 18.(302) RG 248 b 4, 10. 1 junio 1892. (303) Paolo Santangeli hizo la profesión solemne en Pompei en 1897. Falleció en

Florencia en 1962.(304) RG 249 b 1, 27. 21 julio 1897. (305) RG 249 i, 5. 8 junio 1896.

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Nápoles

La Provincia de Nápoles siguió durante todo el periodo del P.Ricci en el mismo penoso estado en que había caído durante elgobierno del P. Casanovas. Según el Catálogo de toda la Orden elabo-rado por la Provincia Romana en 1888 (306) (la Provincia de Nápolesno tenía ánimos o medios para editar el propio), en ese año había enNápoles 3 casas (Colegio Calasancio, San Carlo y Campi), con 97 reli-giosos y 300 alumnos. Obviamente en el número de religiosos inclu-yen a todos los que viven fuera de comunidad. Los que vivían en esastres casas escasamente llegarían a 20.

En el catálogo de 1901 (307) encontramos datos que nos mues-tran la realidad de la provincia al término del mandato del P. Ricci.Según este catálogo, había cuatro casas: las tres citadas anteriormentey la de Pompeya. Pero el estatuto de esta última no estaba claro: laProvincia Romana la cuenta como casa propia. Y de hecho los religio-sos que había en ella (6 sacerdotes, 3 juniores y 1 novicio) no veníande la provincia napolitana. Exceptuando esta casa, en el Colegio Cala-sancio, única escuela propia, había 11 padres, 4 juniores, 5 novicios y2 hermanos. Atendían a un total de 120 alumnos. En S. Carlo all’A-rena había un sacerdote, que se ocupaba de la iglesia. En Campi había4 sacerdotes y 2 hermanos, que tenían 53 alumnos en la escuela y seocupaban además del templo. Así, pues, el número de religiososviviendo en comunidad no llegaban a 30. Son pocos, pero decididos.Hay que reconocer su fuerza de voluntad para seguir adelante sin ren-dirse, como habían hecho los escolapios de Cerdeña y Sicilia. El P.Francesco Gisoldi, Provincial de 1891 a 1901, y luego de 1903 a 1906y de 1912 a 1913 (tal vez el único Provincial de la Orden que ha ejer-cido el cargo en tres periodos separados), se excusa ante al P. Generalsi su provincia no puede celebrar las fiestas del Centenario de lasEscuelas Pías con el mismo brillo de las demás (308): Lamento nopoder poner las fiestas de esta Provincia al nivel de las demás. La Pro-vincia de Piamonte no sintió la supresión, ya que el Piamonte no fueconquistado; Toscana perdió poco, y lo recuperó por medio del afectociudadano; la Romana tuvo tiempo de 1860 a 1870 para prepararse, y elfuego de la supresión llegó medio apagado. Pero las otras provinciascayeron ante el hervor de las locas mentes vesubiales, de las étneas y de

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(306) RR 16. (307) RR 19.(308) RG 249 c 1, 6. 4 febrero 1897.

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las sardas (sarracenas). La provincia sarda quedó apagada; apagada lasiciliana. Sólo en la Napolitana unos pocos comenzaron a golpear el sílexpara reavivar el fuego apagado, combatiendo contra el radicalismo, quetodavía quisiera arrancar de la mano el sílex y el martillo. Gracias aDios, ya hay unos pocos jóvenes; ellos serán los custodios del fuego y delamor a la Orden: y su número crecerá. He hecho una digresión queparece fuera de propósito; he sido empujado por la aflicción causadaporque nosotros napolitanos no podemos contribuir con trabajos científi-cos y literarios, que son los característicos de los escolapios. Los padresmayores están consumidos por la edad; los pocos jóvenes son aún inex-pertos. Añádase, como bien ha dicho V.P., que viejos y jóvenes estamosa todas horas ocupados en el banco de la escuela.

Son tan pocos los religiosos, que difícilmente pueden reunir losrequisitos para celebrar capítulos o tener congregaciones para propo-ner superiores. El P. D’Atri, Provincial de 1875 a 1885, tiene muchasesperanzas en el Capítulo que se celebrará en 1885, del que espera elrenacer de la provincia (309). El P. Ricci tiene que pedir varias vecespermiso a la Santa Sede para que pueda celebrarse Capítulo en Nápo-les, a pesar de no reunirse las condiciones señaladas por las Constitu-ciones. Así explica la situación en 1885: Santo Padre. El P. MauroRicci, Vicario General de las Escuelas Pías, expone humildemente a V.Santidad que debiéndose reunir en Capítulo sus religiosos de Nápolespara elegir al sucesor del P. Provincial, que a causa de la edad y la enfer-medad no puede seguir en el cargo, y no habiendo entre los trece miem-bros de aquella renaciente Provincia más que cinco con derecho a votopara la formación de la terna, de la cual luego elige Roma, por esta solavez se ve obligado a pedir la gracia de poder extender este derecho activoy pasivo a todos los demás, tanto para mejor proveer al éxito de la elec-ción, como en vista del gran celo que han mostrado todos permane-ciendo unidos en las actuales circunstancias, reconstruyendo incluso uninternado con escuelas públicas para beneficio de casi 400 jovencitos queson educados en ellas (310).

Naturalmente, se le concede el permiso, por una vez. Por esotiene que volver a solicitarlo en 1891 (311). En 1995 las circunstanciasno han mejorado, así que pide poder nombrar él mismo el Provincial,sin celebrarse Capítulo (312): Santo Padre. Mauro Ricci, Prepósito

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(309) RG 247 a 7. 27 enero 1885. (310) RG 2, 382. 14 enero 1885. (311) RG 2, 395. 21 febrero 1891. (312) RG 2, 404. 20 julio 1895.

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General de la Orden de las Escuelas Pías, postrado a los pies de VuestraSantidad, humildemente expone: que debiéndose celebrar este año losCapítulos para la elección del Provincial, sucede que, en la Provincia deNápoles, a causa de los daños todavía no reparados de la supresión civil,los religiosos ancianos con las cualidades requeridas para ser elegidos aese cargo son pocos y ya no aptos, y los demás, demasiados jóvenes, notiene voz pasiva. Suplica por tanto a V.S. que conceda que, hasta que laterna del provincialato no pueda hacerse según las Constituciones, laelección del Provincial sea encomendada al P. General en unión con susAsistentes.

Petición que también es atendida. Pero esta solución no es delagrado de todos. Existe división entre los partidarios del P. Gisoldi ysus oponentes, hasta el punto de que en 1901 el P. General Mistran-gelo se verá obligado a nombrar Provincial de Nápoles al P. Giannini,rector de Pompei, perteneciente a la Provincia de Toscana. La situa-ción era similar en aquellas fechas a la de la Provincia Romana, divi-dida a tal punto que en 1901 el P. Mistrangelo nombró Provincial alP. Calasanz Homs, que ni siquiera era italiano.

Toda la historia de la Provincia durante este periodo se centraprácticamente en dos focos: por una parte, conseguir una casa propiaen Nápoles, para poder seguir ejerciendo el ministerio escolapio en laciudad. Por otro lado, estaba el mantenimiento de la casa de CampiSalentina, con el santuario de San Pompilio. Estaba también la con-clusión del proceso de beatificación de Pompilio Pirrotti, pero de elloya hemos tratado antes. Y estaba la casa de Pompei, de estatutoincierto, de la que también hemos tratado más arriba.

Un visitante (A.C.) informa el 27 de noviembre de 1886 al P.Ricci sobre su visita a Nápoles, de la que está muy complacido. Ledice (313): El buen P. Rector (Sisto Buonaura) me hizo saber que, expul-sados por la supresión, se reunieron unos pocos poniendo cada uno7.000 liras, bonita cantidad, con la que compraron un edificio nuevo,que es hoy el Colegio Calasancio, que tiene un centenar de internos, yotros tantos alumnos externos. Además, han comprado la soberbia villade Bellavista. Desean además el egregio Rector y otros comprar casasalrededor del colegio para ampliarlo, y de este modo ofrecer habitacionesa los padres enseñantes que, por falta de espacio, viven fuera, esparcidospor la ciudad. Me hizo notar que en la actualidad no se reparten losbeneficios, porque tienen que pagar la villa, de la que han pagado apenas

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(313) RG 247 b 2, 24.

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la tercera parte, y además tendrán que pagar la ampliación del colegio.Así que pasará tiempo antes de que puedan repartirse beneficios, y paraentonces el P. General, al que consultarán, decidirá lo que sea más opor-tuno en interés de la Orden. De momento es mejor no hacer nada, yaque nadie pide los beneficios, y el colegio va muy, pero que muy bien,gracias sobre todo a los PP. Rector y Ministro. Me ha dicho que piensanseriamente en enviar novicios, pero no los encuentran, y que de losexternos casi la mitad no pagan nada, y los demás muy poco.

Se comprende que, siendo pocos religiosos, y estando sus ingre-sos basados en los pagos de los alumnos de un colegio más bienpequeño, la provincia no andaba sobrada de recursos. No lo estaba en1894, cuando después de varios años esforzándose por mantenerse enCampi, les proponen que compren al municipio casa e iglesia, y asíterminarán sus problemas. Pero el problema era que no tenían dineropara comprar esos edificios (314). Y temen que además puedanperder también en Nápoles la iglesia de San Carlo, pues unas religio-sas han comprado el edificio que había sido antes colegio escolapio,anejo a ella, y tal vez reclamarían también la iglesia (315), cosa que nollegó a ocurrir.

La situación de los escolapios dependía, como en otros lugares,de la autoridad local del momento. Así en 1885 escribe el P. Provin-cial Lucio Muscogiuri al P. Ricci, que el Alcalde de Campi, favorablea los escolapios, es partidario de proseguir los tratos con los escola-pios para que vuelvan a hacerse cargo de las escuelas (316). Sinembargo, los tratos no son fáciles. Los escolapios desean nombrar undirector, y enviar un religioso o dos más como maestros, pero el ayun-tamiento no acepta la propuesta (317). Aceptan, en cambio, que algu-nos padres enseñen en el colegio ahora municipal. El P. Giuseppe dePace, que había aceptado ir a formar parte del equipo de Campi, estáenfadado porque el ayuntamiento no ha querido aceptar como profe-sor al P. Anzani, y se va temporalmente. Quedan aún tres religiosos enCampi: el P. Della Corte, el P. Anzani y el P. Leone Cataldo (318). Elalcalde se queja al P. General porque no envía suficientes maestrosescolapios; el P. Muscogiuri se excusa diciendo que ya tienen a tres (319).El alcalde escribe al P. General pidiéndole que envíe un buen director,

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(314) RG 248 c 6, 14. 16 julio 1894. (315) Idem. (316) RG 247 b 1, 7. (317) RG 247 b 1, 18. 39 septiembre 1885. (318) RG 249 c 4, 79. 7 octubre 1886. (319) RG 247 b 3, 12. 26 abril 1887.

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los tres que están sirven como profesores, pero no como director (320).El P. de Pace dice que renuncia a seguir en Campi, pero sigue. Era yamayor (había hecho su profesión solemne en 1850; falleció en 1908).Además los estudiantes son indisciplinados, y va a subir al poder elpartido político desfavorable a los escolapios (321). Y de hecho al ter-minar el curso en 1888, los padres que daban clase en Campi se reti-ran (322). Se queda solo el P. De Pace. Pasan años antes que los esco-lapios vuelvan a Campi como maestros. En diciembre de 1898 el P.Provincial Gisoldi fue a Campi para tratar con el ayuntamiento sobrela posible vuelta de los escolapios, y recibió muy buena acogida (323).Envía a dos religiosos jóvenes, Pompilio Vasca y Juan CrisóstomoSacchi (los dos habían hecho su profesión en 1892), pero no se entien-den con el anciano P. De Pace, y amenazan con irse si no se atiendensus exigencias.

Mientras tanto, Campi se iba animando con las noticias de la pró-xima beatificación de Pompilio Pirrotti. Los devotos se comprometen acrear y pagar la urna que contenga los restos del beato (324). El P. Ales-sandro della Corte, rector de la iglesia, pide al P. Ricci el diseño (325).Tras la beatificación, parece que los sacerdotes seculares de Campireivindican la iglesia de los escolapios, tras la muerte del P. DellaCorte, pero el obispo de Lecce no se la concede (326). El P. Provin-cial Gisoldi quiere mantener a toda costa la presencia de los escola-pios en Campi. Escribe al P. General (327): Las dificultades aumentan,pero a aquella casa tenemos que ir. Allí tienen su base todas las tradicio-nes de los Escolapios napolitanos, pues si no fuese por estas tradicionesy por las santas reliquias del Beato Pompilio habría que desistir. El quees escolapio y ama la Orden, visitando aquella casa se anima a prepa-rarse para los sacrificios.

La iglesia, propiedad del Ayuntamiento desde la supresión de lasÓrdenes Religiosas, amenazaba ruina, hasta el punto que el P. de Pacepidió permiso al Papa para celebrar la misa y celebrar las confesionesen una capilla adjunta (328). De hecho, se cae parte de la fachada el

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(320) RG 247 b 3, 14. 6 mayor 1887. (321) RG 247 b 3, 15. 8 mayo 1887. (322) RG 247 b 4, 15. 7 noviembre 1888.(323) RG 249 c 2, 34. (324) RG 248 c 2, 3. 6 enero 1890. (325) RG 248 c 1, 25. 16 diciembre 1889. (326) RG 249 c 4, 39. 16 mayo 1991. (327) RG 249 c 2, 18. 23 marzo 1898. (328) RP 11 B. 24 abril 1896.

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12 de noviembre de 1895, y hay que rehacerla. El ayuntamiento,ahora favorable a los escolapios, se encargará de ello, con ayuda de losfieles. A partir de 1898, hechas las paces con el municipio, los escola-pios disfrutaron de paz con él, aunque, como hemos dicho más arriba,surgieron problemas entre los miembros de la comunidad.

También a la Provincia de Nápoles a pesar de la situación difícilque atraviesa, le llegan peticiones de fundación, que naturalmente nopueden aceptar. Empiezan rechazando el Colegio Guadagni, que estereligioso había ofrecido intentando volver a la Orden. La razón es quetiene deudas, pocos alumnos y poca fama (329). Prefieren que siga elP. Guadagni a cargo de él, hasta que pague las deudas. Les piden tam-bién una fundación en Marigliano, patria del P. Sisto Buonaura, Al P.Provincial Muscogiuri le agrada, pero espera que sean algunos de losescolapios que están fuera los que vayan a enseñar allí (330). Final-mente, no aceptan las condiciones, pues las autoridades les queríantener como esclavos (331). Al P. Gisoldi en cambio le gustaría recupe-rar la casa de Galatina, en la que los escolapios habían tenido colegiode 1854 a 1875, y donde aún quedaban algunos escolapios trabajando,pero no tiene gente disponible, y los que están fuera no aceptan lainvitación a ir allí (332). Al P. Gisoldi le hubiera gustado tambiénaceptar otra fundación que le había propuesto en Giugliano, perotampoco la puede recibir (333). Casi aceptaron un internado que lesofrecían en Ariano (334), y de hecho, enviaron allí al P. Guadagnipara que se hiciera cargo de la dirección. Pero el propietario del cole-gio sólo le ofrecía el cargo de director de internos, y luego se queja delP. Guadagni porque no lo considera apto (335). La aventura no fun-cionó, y según el P. Muscogiuri, Guadagni les desacreditó allí con suconducta (336). Ofrecieron también a los escolapios que se hicierancargo de la sección de sordomudos de un asilo de Nápoles, pero porfalta de personal, tampoco fue aceptada (337).

Terminemos también esta sección de la Provincia de Nápoles conuna nota simpática. El 11 de abril de 1893, el P. Provincial Gisoldi

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(329) RG 247 b 2, 5. 25 marzo 1886. (330) RG 247 b 2, 15. 16 junio 1886. (331) RG 249 c 4, 25. 22 septiembre 1886. (332) RG 249 c 4, 58. 25 mayo 1896. (333) RG 249 c 4, 63. 20 agosto 1898. (334) RG 249 c 4, 26. 7 agosto de 1887. (335) RG 247 b 3, 33. 31 octubre 1887.(336) RG 249 c 4, 31. 20 agosto 1890. RG 247 b 4, 12. 17 junio 88. (337) RG 249 j, 14. 25 enero 1892.

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escribe al P. General (338): He conseguido hacer recordar en Nápoles lagloria del P. Piaggi (1713-1797), que se había borrado por arte de losenemigos. En la revolución de 1860 el retrato del P. Piaggi que había enla sala de los papiros fue hecho desaparecer por odio a los eclesiásticos.Por esta ofensa a la ciencia, a la arqueología y a la historia me he que-jado siempre al Com. De Petra, Director del Museo Nacional, uno demis antiguos y aficionados alumnos. Hacía falta un retrato, y final-mente, después de varios años de búsqueda he podido conseguir la foto-grafía de nuestra casa de Finalborgo. Hoy los visitantes del MuseoNacional tendrán aún una prueba de que los escolapios no se han extin-guido al leer bajo el retrato «P. Antonio Piaggi de las Escuelas Pías,inventor del método para desenrollar los papiros de Ercolano». Con estetexto he buscado el objetivo de hacer revivir una gloria de nuestraOrden, pero no estoy satisfecho con el resultado de la fotografíaampliada. El retrato del P. Piaggio debe ser hecho al óleo sobre tela, asíque seguiré insistiendo ante el Com. De Petra.

Sicilia

Al hacerse cargo del gobierno de la Orden, el P. Ricci intentó rea-nimar las provincias de Sicilia y Cerdeña, quizás con más ánimo queel P. Casanovas, pero con el mismo resultado negativo. La situaciónestaba ya tan deteriorada que no se podía hacer nada. En 1886 el P.Antonio Giamboni responde al P. Ricci informándole sobre la situa-ción de los religiosos en la isla (339). El P. Ricci le pedía que sugirieraalgún nombre para Superior. Se inclina por los PP. Natali y Guzzino;excluye a los PP. Torregrossa y Spagnolo. El P. Giamboni es confir-mado como rector de Palma (340). Tan sólo en esa casa había unaapariencia de vida comunitaria: había un sacerdote, un hermano y unoblato (341). Por su parte, el P. Natali daba informaciones al P. Gene-ral sobre Sicilia en 1885, que ya transcribimos en la biografía del P.Casanovas (342). Al morir el P. ex provincial Miccichè en 1887, el P.Giamboni se vuelve a poner en contacto con el P. Ricci, dando apro-ximadamente la misma lista de supervivientes y las mismas valoracio-

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(338) RG 249 c 4, 46.(339) RP 27 A, 155. Ofrecimos la lista al escribir la biografía del P. Casanovas. ASP

85, pàg. 59.(340) RG 36 1892.(341) RG 248 f, 13. 17 junio 1892.(342) ASP 85, pàg. 58.

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nes que el año anterior. En 1888 vuelve a enviar la lista de los super-vivientes, 8. Pero él no ha perdido la esperanza, y se esfuerza porreclutar jóvenes que quieran ser escolapios. Va a enviar ya alguno, ypregunta qué ha de llevar a Florencia (343). Dice, además: Esperemosresucitar la Orden en Sicilia. Ruego me informe si aceptan jóvenes deedad inferior a dieciséis años, cuánto deberían pagar, en caso afirmativo.Me hacen muchas peticiones para vestir nuestro hábito. De hecho,envían algunos jóvenes a casas de formación de Roma y Florencia,pero no se adaptan bien, y los tienen que despedir (344).

El obispo de Acireale, en Sicilia, ofrece a los escolapios de Nápo-les un colegio en su diócesis, pero tampoco ellos pueden aceptar laoferta (345). También el Deán de Agrigento pide que vayan dospadres para abrir un internado en esa ciudad donde habían tenidoantes una casa, pero no fue posible acceder a la petición (346). Proba-blemente en relación con ella, el P. Giamboni escribe una carta res-pondiendo a unas preguntas (347):

(P. Provincial) (348) Respondiendo a la cortés y gentil carta de V.P.Rvma., esto es lo que pudo decirle. En la lista de las casas religiosas,colegios, establecimientos confiados a los PP. Escolapios de Sicilia antesde estos tiempos, no se encuentra el establecimiento de Noto. Hace casi37 años que soy escolapio y nunca he oído hablar de él. Solo teníamosun Hospicio en Sicilia, y era el de Agrigento, donde vivían huérfanos yancianos inválidos. Los Padres Noto y Scavuzzo fueron expulsados deallí con gritos de «¡Abajo!», después de estar tragando hiel y amarguradurante años. Hoy está en poder de la Diputación Provincial y de losSeñores Canónigos, en parte. Hay allí un curilla que podría llamarse pre-fectillo más que rector. Está sometido a los Diputados, a los Canónigos,a los administradores, y diría que incluso a los jóvenes huérfanos y a losviejos; no tiene la más mínima parte en la administración. Yo tengo lamejor buena voluntad para que resurja esta provincia agonizante. Esperodirigirme allí en septiembre con dos bravos jovencillos que ya han hechola petición; también dos buenos sacerdotes querrían vestir el hábito cala-sancio para ser religiosos nuestros. En las próximas vacaciones escolaresiré a Noto, a Agrigento y Palermo, y contaré todo a V.P. Rvma. En mi

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(343) RG 247 c 4, 7. 27 mayo 1888. (344) RG 248 b 2, 68. 21 mayo 1890. (345) RG 248 c 7, 4. (346) RG 248 f 21. (347) RG 249 j, 16. 13 junio 1891. (348) Si se refiere al P. de Nápoles, se trata del P. Francesco Gisoldi. Por el trata-

miento y el tema, más parece que se dirija al General Ricci.

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opinión el resurgir de esta Provincia debe comenzar en Palma, antiguacasa general, con un bellísimo templo; casi la tercera parte de la casa estáen mi poder. Con el presente año escolar voy a cumplir 25 años deescuela pública municipal, y tendré la pensión de 600 L anuales, pues notengo pensión del gobierno. Abandonar Palma sería perder el derecho ala pensión; eso podría hacerlo yo más tarde. Además, estoy solo, y ten-dría que confiar la iglesia a sacerdotes seculares, cosa que desde lamuerte del ex provincial Miccichè, de feliz o infeliz memoria (349), handeseado y no han podido conseguir de ninguna manera. El sacerdoteCipollina, heredero universal de nuestro Miccichè, ex Provincia yadifunto, creía que heredaba también la iglesia, por lo que en una ocasiónme hizo nombrar por el Obispo de Agrigento confesor ordinario de lasmonjas benedictinas de este insigne monasterio de Palma, pero yorechacé el nombramiento, de acuerdo con nuestras Constituciones. Creoque viene también de él indirectamente el intento de mi traslado. Laespera para obtener la pensión me detiene aquí. Cuando vaya informaréampliamente a V.P. Rvma., que bien lo merece.

Lista de las casas religiosas y colegios confiados en el pasado a losPP. Escolapios:

a. Palermo: S. Silvestre, casa Noviciado.b. Palermo: Colegio Calasancio. Hoy la primera es el Colegio S.

Rocco, del gobierno; el segundo es la vivienda de la Guardia de P.S.c. Colegio Carolino de Messina, hoy internado Alighieri.d. Pequeña residencia religiosa de Leonforte, hoy cuartel de carabi-

neros.e. Pequeña residencia religiosa de S. Mauro, hoy escuela pública.f. Casa de Adernò, hoy escuela pública.g. Hospicio de Agrigento, hoy confiado a seglares.h. Casa general de Palma. Tan sólo en esta casa bellísima se conserva un olorcillo calasancio;

en las otras casas y colegios que antaño fueron nuestros, no vive ningúnreligioso escolapio. En Palma estoy yo con un hermano. Yo tengo la igle-sia, la escuela y casi un tercio de la casa. Con el permiso de V.P. Rvma.pienso dar el hábito religioso a algunos buenos sacerdotes que luegopodrían ir ahí para el noviciado.

Nota sobre los PP. de esta provincia.• P. Torregrossa, que fue garibaldino, de 81 años, vive en Palermo,

en privado, en su casa.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 131

(349) Dice lo de infeliz porque al morir dejó heredero a un sacerdote no escolapio,al que cita a continuación.

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• P. Dainotti, vive en Palermo, con los PP. Capuchinos. Está sordo;tiene 74 años.

• P. Eugenio Spagnolo, de 76 años, vive en Salemi, su pueblo, conmala salud. En una ocasión le escribí para que se retirara en Palma, yme respondió que [no] podía viajar.

• P. Celestino Guzzino, vive en Palermo. Maestro de 5ª clase ele-mental municipal. No viste el hábito religioso; vive en su casa; tiene 54años.

• H. Paolo d’Amico, vive conmigo en Palma, tiene 68 años. Y estoes todo.

• Yo soy rector de la iglesia y de la Orden; visto el hábito; vivo enel claustro; estoy habilitado para confesar y predicar. Soy maestro de 3ªelemental, y tengo 58 años.

Bendígame y confíeme al Señor.Cuando el P. Antonio Giamboni fallece en 1897, se puede decir

que termina la historia escolapia de Sicilia.

Cerdeña

La situación de Cerdeña era también delicada, pero no tantocomo la de Sicilia. De hecho, durante el siglo XX varias casas de Cer-deña fueron revividas por la Provincia de Liguria, aunque en la actua-lidad no quede en la isla presencia de escolapios. Ya al hablar del P.Casanovas copiamos una carta del P. Giuseppe Pes en la que resumíael triste estado de la Provincia en 1885 (350). En ella el P. Pes expresaque todavía se puede reanimar la vida escolapia en la isla, si se aceptade volver a la antigua casa de Isili. Poco después el P. Pes es nom-brado Comisario General para Cerdeña (351). Su primera iniciativa esescribir a los demás religiosos dispersos de la isla, comunicándoles sunombramiento e invitándoles a trabajar con él. La segunda, ir a tratarcon el municipio de Isili la vuelta de los escolapios. Con respecto a lasegunda, informa al P. General que ha ido a hablar con las autorida-des, que están bien dispuestas para aceptar a los escolapios como pro-fesores, con tal que tengan la patente de maestros, cosa que no tienenlos escolapios de la isla, por lo que sugiere que envíe algunos de Flo-rencia, Roma o Alatri, con título. El alcalde vendería la casa de losescolapios por 12.000 L, pero no tienen ese dinero (352). Otros pre-

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(350) RG 247 c 1, 19. 31 julio 1885. Cf. ASP 84, pàg. 156-157.(351) RG 36, 14 agosto 1885.(352) RG 247 c 2, 5. 22 enero 1886. 4, 27 (8 marzo 1886).

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ferirían establecerse mejor en Cagliari o Sassari, pero allí las casascuestan mucho más caras (353). El mismo P. Pes prefiere Cagliari aIsili como base para resurgir… si encuentra dinero para establecerse.Al Parecer el P. Ricci le había animado diciendo que los escolapiosespañoles tenían una fundación en Argentina (Tucumán) y que desdeallí podrían ayudar a la provincia sarda. Y el P. Pes le responde que siaquellos padres le ayudan con 25.000 L anuales durante cuatro años,para establecerse y para enviar candidatos a estudiar, la provinciasarda renacería. Pero tanto el P. Pes como el P. Ricci estaban malinformados con respecto a las posibilidades económicas de la funda-ción de Tucumán, de la que hablaremos más tarde.

En el año 1886 se presenta una nueva oportunidad, más barata,para intentar renacer: se trata del municipio de Nurri, donde un exa-lumno les propone la fundación de una casa escolapia. Bastaría contres maestros: piensa en el P. Manca, que es sardo y está en Florencia,y en el P. Bodano. Haría falta uno más. La casa les costaría 5000 L, quepide le presten. El P. Ricci aprueba el proyecto de Nurri (354). Contac-tado el P. Manca, se muestra entusiasmado con el posible resurgir de laprovincia (355). Sin embargo, dice que no está dispuesto a hacersecargo del primer curso, en el que nunca ha trabajado. Está dispuesto ahacer cualquier trabajo, menos dar clase de 1º (356). Por lo cual, acabapor no volver a Cerdeña. El P. Pes se enfada tanto por la negativa deManca (y de los demás escolapios de la isla) que presenta su dimisióncomo Comisario (357). El P. Pes no puede dar clases; se ocupa de laiglesia. En cambio, el P. Filippo Bodano, con una generosidad admi-rable, sí se presta a ir a Nurri: la idea le hace rejuvenecer (358).Explica sus motivaciones para hacerlo (359): Y por lo tanto, abstrac-ción hecha del vivísimo deseo del Superior legítimo de la Orden, o de lasincesantes historias de los tiempos que atravesamos, la razón de mivenida no sin sacrificios para asumir también este año el ejercicio delInstituto en un pueblo rural absolutamente desconocido para mí, no hasido la ambición de ganar más dinero, ni el sueño de vivir en una granciudad, sino más bien el amor ardiente por educar a los jóvenes en locientífico y lo moral, como oficio más noble en mi opinión para un

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(353) RG 247 c 4, 38. 7 abril 1886. (354) RG 247 c 2, 3. 26 junio 1886.(355) RG 247 e 2, 112. 3 agosto 1886.(356) RG 247 e 2, 110. 22 agosto 1886. (357) RG 247 c 4, 23. 24 agosto 1886. (358) RG 247 c 1, 5. 2 agosto 1885.(359) RG 247 c 3, 1. 24 septiembre 1887.

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sacerdote escolapio, que el de párroco o predicador de moda que gritaexclusivamente para obtener en beneficio propio hermosas sumas en losbancos, sumas que sin embargo deben sin más al hábito que usan.

Vemos que, indirectamente, el P. Bodano está criticando a otrosescolapios de la isla, algunos de los cuales lograron, efectivamente,abundantes patrimonios que legaron a sus familiares. El P. Bodanofalleció en Nurri en 1897, a los 67. De él dice el P. Pes: Era el únicoque tenía la idea de un no remoto resurgir de las Escuelas Pías en Cer-deña. Murió en la brecha, como auténtico escolapio (360).

El P. Pes envía al P. Ricci una lista de los sacerdotes escolapiossardos que aún viven en la isla (361):

1. P. Pasquale Cima, vive en Cagliari con una pensión de jubiladodel Municipio. 69 años.

2. P. Tommaso Carta, vive en Sassari con una pensión de jubiladodelo Estado. 70 años.

3. P. Giuseppe Pes, vive en Cagliari con una pensión de jubilado delMunicipio. 56 años.

4. P. Antonino Fortina, vive en Cagliari. Da clases particulares. 53años.

5. P. Paolo Porqueddu, vive en Cagliri, director del GimnasioMunic. 53 años.

6. P. Michele Lissia, vive en Tempio, 53 años.7. P. Antonio G. Rumaneddu, vive en Sassari. Prof. de la escuela

profesional. 57 años.8. P. Placido Bettinali, vive en Sassari. Prof. de la escuela profesio-

nal. 49 años.9. P. Angelo M. Manca, vive en Scurgus. Vice Rector de la parro-

quia. 53 años.10. P. Michele Puddu. Vicario de la parroquia de Pauli-Pirri. 51

años.11. P. Francesco L. Naitana. Dirige una parroquia en Bofo. 48 años.12. P. Filippo Bodano. Regge una parroquia di Snelli. 56 años.13. P. Salvatore Carta, retirado con la familia en Paulilatino. 50

años.14. P. Glicerio Piras, vicepárroco en Oristano. 42 años.15. P. Alfonso M. Manca, está en Siena, en el colegio de sordo-

mudos. Joven de buena edad.16. P. Antonio Ferrero, creo que enseña en Sassari, en muy buena

edad.

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(360) RG 249 e, 9. 20 abril 1897. (361) RG 247 a, 76. Probablemente es del año 1885.

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Hay otros tres sacerdotes, pero viven en la apostasía, dos de ellos enel continente, y uno en Cagliari, con una mujer.

Es lamentable que en los diversos elencos de religiosos sardossólo se menciona a los sacerdotes, como si los hermanos operarios nocontaran. Cuando habla de ellos, el P. Pes lo hace con un cierto des-precio (362): Entre los Escolapios residentes aquí en Cerdeña hay her-manos operarios, que viven de un modo muy curioso: algunos van conlos campesinos los días de labor vestidos como los campesinos, mientrasvisten el hábito religioso los días festivos; otros abren una tienda decomestibles vestidos de beduino y los días festivos visten de religiososescolapios; los hay finalmente que hacen de carreteros, de agricultores,de carboneros y nunca usan un vestido de escolapio que los distinga delos seglares. Por curiosidad le pregunté a uno, y me respondió que ahoraya no era capaz de volver a vivir como escolapio, mientras ha sido admi-tido por los franciscanos de Oristano y sirve a seglares en el campo todoslos días. Me avergüenzo, pero conviene que esté informado sobre la vidadesordenada de los legos, y de la sumamente interesada de los sacerdo-tes, ninguno excluido.

No cuenta el P. Pes que la vida era mucho más difícil para loshermanos, que sólo percibían la mitad de pensión que los sacerdotes,y que obviamente tenían muchas más dificultades para encontrar untrabajo digno con el que poder sobrevivir.

La mayoría de los escolapios de la isla tenían poca simpatía por elP. Pes, al que tal vez consideraban ambicioso. Y, excepto el P.Bodano, los demás rechazaron su proyecto de volver a reunirse encomunidad: les parecía un plan irrealizable. Veamos las razones ofre-cidas por algunos de ellos. Dice el P. R. Lissia (363): Mi querido Pes.Encuentro santísimas las intenciones de nuestro P. Vicario General, perome parece humanamente imposible implementarlas en Cerdeña. Dehecho, se dice: traten de vivir juntos, pero ¿dónde? Nuestras casas sehan convertido en cuarteles o en otros usos. Y en el supuesto de que sepuede encontrar una casa, reunirnos ¿para hacer qué? Si no me equivocoen toda la isla hay siete de nosotros, y todos, empezando por ti y termi-nando por mí, uno cojo y otro derrengado, y para decirlo simplemente:todos inútiles para el trabajo. Así que nuestra casa sería un hospicio deinválidos. Por lo tanto, hay que resignarse a la fuerza de los aconteci-mientos, que, digámoslo claramente, no hemos podido evitar, y rogar alsanto Fundador que nos permita estar unidos en el cielo ya que los hom-

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(362) RG 247 c 1, 1. 11 octubre 1885.(363) RG 247 c 1, 4. 13 septiembre 1885.

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bres nos han dispersado en la tierra. Estas son mis ideas que tal vez yopodré expresar verbalmente al P. Vicario General y que le manifiesto austed de antemano.

El P. A. Luigi Ferrero presenta como excusa al P. Ricci los debe-res filiales (364): He leído con placer que V.P. Rvma. se esfuerza porresucitar las Escuelas Pías en Cerdeña. Sin embargo, como ya escribí alpadre Pes en agosto pasado, me resulta imposible, en la situación en queestoy, ir a Isili a prestar mi trabajo. Aunque me importa como al quemás el resurgimiento de nuestra Orden en esta isla, lamentaría abando-nar a mi viuda madre ya septuagenaria, que, no teniendo otros hijos, nibienes, vive exclusivamente de mi trabajo. (…) Estoy pensando, paradescargar mi conciencia, presentar tan pronto como sea posible una soli-citud para obtener el rescripto de secularización.

El mismo P. Ferrero ha hablado con otros dos escolapios de Sas-sari, los PP. Bettinali y Rumaneddu, que también están ayudando asus respectivas familias y no pueden abandonarlas (365).

También el P. Angelo M. Manca presenta sus excusas (366): Que-rido Giuseppe. En respuesta a la suya apreciada, ¿a quién dejó a miprima viuda con su hija sin medios para vivir? ¿Quieres que las deje enla calle? Y, además, no basta con decir que queremos montar un colegiocon internado. Estoy dispuesto a hacer cualquier sacrificio para ver revi-vir nuestra Orden, pero sólo nosotros dos, ¿qué podemos hacer? Estarí-amos siempre lidiando con seglares. ¡Si al menos fuéramos cuatro ocinco religiosos! Yo estaría dispuesto a ofrecer mi colaboración a costa dederramar sangre. (…) Para llevarse a cabo tal proyecto, primero nos ten-drían que devolver todo el colegio con el huerto junto a la calle y elpatio trasero con el pozo. Por otra parte, tendrían que asegurarnos nues-tra vida, es decir, que tuviéramos seguros los medios de subsistencia yvestido; en caso contrario, «me da vergüenza mendigar». Si no es así,seguiré trabajando como escolapio aquí mismo, donde estoy enseñandogratis a siete jóvenes, y dos los tengo internos.

Como puede verse, no se cierra a la idea, pero no quiere arries-garse a perder su salario de párroco. De todos modos, si hay otrosinteresados, pueden volver a tratar la cosa.

El P. Pasquale Cima también se excusa (367): Es cierto que laavanzada edad de 70 años, desgastada por el ejercicio escolar durante 50

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(364) RG 247 c 1, 7. 2 octubre 1885. (365) RG 247 c 1, 10. 29 agosto 1885.(366) RG 247 c 1, 9. 4 agosto 1885. (367) RG 247 c 1, 15. 18 agosto 1885.

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años, no me permite embarcarme en nuevas fatigas, ni volver a tomar elsistema religioso interrumpido hace ya 19 años; pero en lo que puedavoy a intentar animar a los buenos hermanos míos a que se unan a lagran obra de hacer resurgir en Cerdeña la Orden de las Escuelas Pías, ala que desde la temprana edad de 15 años me glorío de pertenecer.

Parece que el P. Ricci le escribe una carta, siendo él el escolapiosardo de mayor edad, insistiendo para que apoye el resurgir de lasEscuelas Pías en Cerdeña. Esta es su respuesta (368): En los pocosescolapios sardos sobrevivientes constantemente ha existido el ardientedeseo de ver resucitado nuestro querido Instituto entre nosotros, que ledimos nuestro nombre de jóvenes. Pero a causa de la fatalidad de lostiempos nuestro deseo se pierde sin verse cumplido. Y de hecho ¿cómohacerlo resucitar si el Estado ha quitado a los escolapios sus casas paradarles diferentes usos? ¿Cómo adquirir un local adecuado para reunir-nos en comunidad si están tan restringidas nuestras finanzas, que algu-nos de nosotros tuvieron que emprender la vida laboriosa de párrocopara arrastrar lo mejor posible su miserable existencia, y otros como yofueron privados de la pensión de religioso por el Fondo para el Culto porla razón injustísima de no poder acumular dos pensiones, una de reli-gioso y la otra de profesor municipal? En su sabiduría V.P. Rvma. puedever que en todos hay buena voluntad, pero también carencia absoluta demedios pecuniarios. En tal estado de cosas todo lo que podemos hacer esconfiar en la Divina Providencia para que quiera realizar nuestrosdeseos, y si estos, sin culpa nuestra, no se pueden llevar a cabo, que nospermita morir consolados, como premio a nuestra buena voluntad.

Tampoco el P. Glicerio Piras parece animado a unirse al P. Pes (369):Felicito a V. R. porque entre tantos ha tenido y merecido el honor de sernombrado Comisario General para devolver su vigor al Instituto Cala-sancio. Que el cielo haga que sus esfuerzos sirvan para algo bueno.Elogio las buenas intenciones de nuestro P. Ricci, alabo también el celode V.R. que ha aceptado tal encargo. Pero no dejaré de exponerle fran-camente lo que pienso, y es que si las escuelas se abrieran, sería sin dudauna fortuna para Isili; para nosotros significaría volver a caer en los pro-blemas antiguos, sería convertirnos en los muy humildes siervos de unAyuntamiento, de un concejal cualquiera o de alguna otra persona a laque agradase ejercer su mando sobre nosotros; estaríamos obligados atener entre nosotros, por la escasez de docentes, a seglares, de modo nollegaríamos nunca a tener cierta autonomía, aquella autoridad moral que

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(368) RF 247 a 72, 15 diciembre 1887. (369) RG 247 c 1, 21. 24 agosto 1885.

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en los viejos tiempos hacía venerado y amado el nombre de los Escola-pios. Para V.R. sería algo bueno el dejar al aire un poco pesado de estaciudad y poder disfrutar de su pensión en la quietud, en la atmósferaserena de las colinas de Isili, dedicado a la vigilancia de las escuelas.Para mí sería demasiado difícil comprometerme de nuevo a enseñar yvolver a ser parte de una corporación de la que salí sin ninguna instruc-ción, sin un céntimo de pensión, en la que apenas me sentía religioso yconsagrado a Dios. ¡Oh, si fuera a abrir las páginas de esta historia!Agradezco mientras tanto sin fin a la Providencia que me ha colocado enesta posición de honor dentro de una población que me ama y se alegrede tenerme, rodeado de la estima de los superiores eclesiásticos, especial-mente de Mons. Bichi. Estoy trabajando en la viña del Señor y por elbien de las almas, y aunque de modo diferente, sirvo a la Iglesia. «Equesto fia suggel che ogni uomo sgagni» (370). Si Usted me quisieraobligar, cosa que no espero, a obedecer a esta llamada repentina, ya veríaqué hacer.

El P. Nomaneddu también declina la invitación (371): Es con granpesar que tengo que rechazar la invitación que Usted me hace paravolver a entrar en el cuerpo. Tengo 56 años de edad con 36 de servicioactivo. Por tanto, estoy cansado y casi agotado, y no puedo reunir lasfuerzas requeridas para ese trabajo. Los inválidos, como yo, son más depeso que de ayuda, allá donde hay que trabajar, y trabajar incansable-mente para superar los obstáculos que aparecen al principio en particu-lar. Aparte de eso, poco después de abandonar el colegio, me vi en ladura necesidad de acoger conmigo una sobrina huérfana, hija de la her-mana sin nadie en el mundo fuera de mí. Por lo tanto, ahora seríadejarla en la miseria si la abandonara después de 19 años durante loscuales ella me ha prodigado todo tipo de cuidados. Son estas razonesdemasiado evidentes como para necesitar comentarios; declaran demanera perentoria la imposibilidad absoluta de responder, como me gus-taría, a su invitación. Que Dios bendiga la santa empresa, y si no física-mente, le acompañaré en el espíritu para que logre éxito.

El P. Michele Puddu explica al P. Pes sus razones para rechazar lainvitación (372): V. P. conoce mi situación en Pauli, donde he cumplidodieciséis años a finales de agosto en el ministerio parroquial. Así que mees muy difícil cambiar de posición y lamentaría que intentase forzarme a

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(370) Cita de La Divina Comedia, Infierno, Canto XIX: y sirva esto como sello degarantía que impida que nadie se engañe.

(371) RG 247 c 1, 22. 1 septiembre 1885. (372) RG 247 c 4, 32. 2 septiembre 1885.

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seguir la invitación del Vicario General, que acabo de leer en el Risve-glio. Siento pertenecer siempre a las Escuelas Pías de San José, despuésde haber recibido en ellas el segundo bautismo, al que sin embargo norenuncio voluntariamente, sino que, de hecho, me glorío de un distin-tivo tan evangélico, que siempre he llevado. Pero repito que hoy mi con-dición no me permite dar mi nombre al nuevo Instituto, que bendigo decorazón, como nueva inspiración de nuestro Calasanz.

El P. Tommaso Carta, con gran realismo, explica por qué no res-pondió antes y no se une a su proyecto (373): Estimado P. Pes. No hevisto, ni veo aún claro si es apropiado responder a una carta como lasuya del 23 de los corrientes, una carta de tono realmente indescripti-ble. De todos modos, para acabar con ello, vayan un par de líneas,aunque sólo sea para evitar nuevos malentendidos y quede todo bienclaro. Dicho esto, y dejando de lado acusaciones que no me afectan,vengo directamente al quid de la cuestión. Aquí, querido Padre, no setrata de decidir si es bueno que nuestra provincia resurja, eso es unapérdida de tiempo, pues todos estamos de acuerdo; la cuestión es decidirsi la empresa de resucitarla, en el estado actual de las cosas, es verosí-mil, si es posible. Usted a propósito de ello hace profesión de una feheroica, alucinado, sin duda, por meteoros que aparecen allí y no aquí;yo en cambio estoy profundamente convencido de que se divaga en elcampo de los sueños. Para no quedarme sólo con mi opinión, quise,como la prudencia sugiere, escuchar lo que pensaban al respecto perso-nas serias en el lugar, con pleno conocimiento de causa. La investiga-ción puso en evidencia que se trataba solamente de un castillo en elaire, recibido con risas y burlas de quienes tienen un poco de sentidocomún. No seguí adelante y me callé por caridad. Si ahora abro la boca,la culpa no es mía, ya que me ha tirado del cabello para romper elhielo. Antes de terminar, un consejo de buen compañero: si está escritoallá arriba que los escolapios vuelvan a la vida en Cerdeña, crea queDios sabrá suscitar hombres buenos para la empresa, pero crea tambiénque no llamará para ello como ministros a visionarios jactanciosos. Lamoraleja es que no voy a asociarme a una mascarada tal, y quede estoclaro de una vez por todas.

He querido reproducir todas estas negativas respetuosas paramostrar los impedimentos objetivos que existían en Cerdeña parallevar a cabo el deseo del P. Ricci y el plan del P. Pes. Sin embargo,éste toma todos los rechazos como algo personal: no le quieren a él,

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(373) RG 247 c 4, 31. 28 mayo 1886.

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dice; a otro posiblemente sí que le seguirían. El P. Pes se siente muydesanimado, y expresa su opinión negativa sobre todos los demásescolapios sardos (374): P. General, inscríbanos realmente en el libro delos muertos. Olvídenos: comenzando por mí no merecemos llevar elnombre de hijos de Calasanz. Somos una jauría de perros gruñidoressoberbios porque ignorantes. Hay que volver a cubrir la tumba que está-bamos intentando descubrir. Es inútil sembrar trigo elegido en uncampo pedregoso y que sólo produce cizaña. Haría falta una tierra virgendonde nunca hubiera nacido la planta escolapia sarda, una mala plantaque siempre ha dado ramas estúpidas, y sólo raramente algunas ramassabias productoras de frutos de mal gusto, aunque de hermoso aspecto.Así que arránquenlas y échenlas al fuego (375). Este es mi pensamiento:el abandono y el olvido. Cada uno irá a trasplantarse al otro mundo delmismo modo que su talento ha vegetado en este y en el campo de supropio egoísmo, esto es, en el del interés vergonzosamente personal.

A pesar de todo, el P. Pes sigue haciendo lo que puede para resu-citar las Escuelas Pías en Cerdeña. Entre otras cosas, se esfuerza porenviar vocaciones para que se formen en el continente. En 1887 envíados jóvenes a estudiar a Roma (376); uno de ellos, Efisio Gaiani, seráordenado sacerdote, y aparece trabajando en varios colegios de laRomana e incluso Florencia. Quizás por querer apoyar ese resurgir,rechaza el nombramiento de Comisario en Cracovia, que le ofrece elP. Ricci (377). En cambio se ofrecerá años más tarde para ir aPompei (378).

Con el paso del tiempo, la situación de los escolapios en Cerdeñase va deteriorando. El arzobispo de Cagliari escribe al P. Ricci invitán-dole a intervenir (379). Dice que, si fuera por Cagliari, vería cosas enlos escolapios que no le gustarían: ¡Pobres sacerdotes! Sin padre, sinmadre, sin guía, sin pastor, divididos, holgazanes, rebeldes a someterse y,habitualmente, apelando a privilegios y exenciones solamente para serlibres para hacer lo que les apetece, o sea, nada por amor de Dios y dela Santa Iglesia. El viejo P. Cima tiene y hace dinero, y no puede oírhablar del P. Pes, dos veces caballero y quizás el menos malo de todos.El P. Porcheddu no sé ni siquiera si dice misa alguna vez; Fortina daclases particulares, gana cuartos y no hace nada más. Bodano da clase,

140 JOSÉ P. BURGUÉS

(374) RG 247 h, 33. 14 mayo 1886. (375) Referencia a la parábola del trigo y la cizaña, Mt 13, 30. (376) RG 247 a, 66. 2 junio 1887. RG 247 f 3, 68. 15 septiembre 1887. (377) RG 247 a, 64. 18 diciembre 1887. (378) RG 248 e, 36. 25 julio 1894. (379) RG 248 e, 6. 11 junio 1890.

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temblando al oír al alcalde, y riéndose al oír nombrar al señor Pes (sic).El P. Antonio Manca es párroco de Quartuccin, pero está enamorado dela botella. El P. Puddu es párroco de Pauli-Monserrato, y lo hace bas-tante bien, pero tengo en contra… que su pecho fue rozado por los cuer-nos de Italia, y no le desagrada ser llamado Caballero. Querido Padremío, sólo puedo hablarle a usted de este modo: venga a ver, y ver si conmano fuerte y brazo extendido consigue convertir las piedras en torren-tes de agua.

La situación de los escolapios de Sassari es menos mala que la delos del sur (380): Los PP. de Sassari están religiosamente unidos entreellos, y por medio de las ofrendas y misas celebradas a su intención loestán también con la Orden. Pero es inverosímil la idea de formar conellos un cuerpo. Lo que debe herir el corazón del V.P. como el mío es laimposibilidad en que me veo hasta ahora de conseguir la unión entre losdel grupo meridional de la isla, que tienen por cabeza y guía al P. Cima,que sostiene con la palabra y de hecho a sus gregarios a una ridícula dis-tancia de su Comisario y de las relaciones filiales con el P. General.

Poco antes de morir, el P. Pes envía al P. General una reflexiónsobre la historia de las Escuelas Pías en Cerdeña, donde han hechotodo lo posible por celebrar la fiesta del Tercer Centenario (381):

Los escolapios de Cerdeña, que hicieron por separado lo mejor quepudieron para celebrar el 27 de agosto de este año con fiestas extraordi-narias la fundación de nuestro filantrópico instituto unidos entre ellosen un solo espíritu, ahora con la mente y con el corazón se unen a V.P.Rvma. y a todos los hermanos de la Orden, con santo gozo y afecto espi-ritual. Conscientes de que dentro de unos días toda la familia religiosaescolapia, junto con la numerosa comitiva de los niños de San José deCalasanz, se reunirá en la alma ciudad de los Papas con la misma finali-dad, mientras se glorían de pertenecer a una corporación religiosa tanilustre, manifiestan ser en verdad hijos no degenerados de un Patriarcatan santo y tan digno.

Rari nantes… (382) tristes, desolados… lloran sobre la ruina de laprovincia sarda… creada por la gran mente y el corazón de Calasanz pormedio de religiosos venerables, hombres ilustres por su ciencia y supiedad. Provincia digna de mejor suerte, pues durante dos siglos se man-tuvo en floreciente condición, de modo que se la podía comparar con

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(380) RG 248 e, 17. 19 agosto 1891. (381) RG 249 e, 10. 16 noviembre 1897. (382) Expresión clásica tomada de la Eneida de Virgilio: «rari nantes in gurgite

vasto»: nadadores dispersos en medio del mar después de un naufragio.

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todas las provincias del continente, sin temer ser avergonzada; y no erasegunda a ninguna otra en cuanto a observancia de la disciplina religiosay escolar, gracias a jóvenes ingenios isleños que hicieron holocausto agra-dable a Dios Padre de su vida y hasta de su alma por el honor, el lustrey el decoro del benemérito Instituto, incluidos aquellos que por su sabi-duría fueron capaces de regir y gobernar toda la Orden de las EscuelasPías (383). Para saber cómo era la provincia sarda, basta con escucharel bello encomio que hizo de ella el Ven. P. Onofre del Stmo. Sacra-mento (384). Volviendo a Nápoles, su patria después de cumplir el trie-nio de provincialato en Cerdeña, cuando le preguntaron sobre el estadoy las condiciones de esta provincia, con todo el candor de su alma res-pondió: «Dios quiera que se cultiven en todas nuestras demás provinciasla íntegra observancia, el piadoso instituto y la hermosa literatura, comoen Cerdeña».

No hay recriminaciones, pues, por parte de los desventurados en losdías que se avecinan al solemne atestado de gratitud filial que van a daren homenaje al Santo Fundador todos los religiosos de su Orden; sinoque con alegría en el alma, tranquilos, serenos, admiradores pacíficos delos imperscrutables designios de la Providencia, de rodillas al pie deJesús Crucificado, rezaremos por V.P. Rvma., por nuestra Orden, por elPapa y la Iglesia Universal, añadiendo en la misa de los días 19, 20 y 21la colecta «pro Congregatione».

Bendiga el Señor a todos nosotros, hijos de Calasanz, mientras esta-mos de camino, y acoja benigno nuestras almas en el reino de la felizinmortalidad. Con estos sentimientos de humildad, de esperanza y dereligiosa resignación, en nombre de los religiosos supervivientes de lasepultada provincia sarda, imploro una especial bendición de V.P. paraellos y para mí. Con todo el respeto…

Poco después el P. Porqueddu comunica la muerte del P. Pes, yenvía una serie de objetos que él tenía: el archivo de la provincia (des-pués de depurarlo), una patena y un cáliz enviados por S. José deCalasanz (385). El P. Porqueddu responde a una carta enviada por el

142 JOSÉ P. BURGUÉS

(383) El P. Bernardo Salaris fue Vicario General a la muerte del P. Foci (1699-1700).Juan Diego Manconi fue Vicario General a la muerte del P. José Oliva (1745-1748). Igna-cio Satta, VG al ser nombrado obispo C.M. Lenzi (1819-1820).

(384) Conti. 1600-1686. Provincial de Cerdeña de 1670 a 1674.(385) RG 249 e, 14. RP 30 B, 238. 15 enero 1897 [1898]. Sin duda el P. Porqueddu

cometió un error al escribir el año, pues tenemos varias cartas del P. Pes claramente fecha-das en 1897. Esta carta la trascribe enteramente (con la fecha errada) Francesco COLLI

VIGNARELLI en su obra Gli Scolopi in Sardegna. Gasperini, Sanluri, 1982. Obra sumamenteinteresante para conocer la historia de la provincia sarda.

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P. Ricci (386). Entre otras cosas le dice a propósito del P. Pes: Come-tió el error de ilusionarse intentando la modesta resurrección de estaprovincia. Corrige impresiones falsas sobre «escolapios millonarios» enla isla: uno de ellos, Cima, recibió una herencia de la familia a condi-ción de dejarla también a la familia a su muerte. Otro, Fortina, trabajóduro para ganar algún dinero que dejó a su familia pobre, según laantigua costumbre que tenían los escolapios sardos de dejar a sus fami-lias el dinero ganado por su cuenta, antes de la supresión. Es ciertoque un escolapio, el P. Bettinali, ha sido generoso ayudando regular-mente con donativos a la obra de Roma. De él dice: El P. Bettinali hahecho una obra santa, pudiéndola hacer, pero no crea que se sientenmenos escolapios que él los otros, aunque no puedan hacer otro tanto. Sipueden, también ellos harán su ofrenda, como la viuda que fue más ala-bada que los que daban mayores cantidades. Quiere justificar a todos suscompañeros diciendo: La condición de nuestra provincia era tal que, porestar separada por el mar, no tenía sino muy escasas relaciones con elcontinente, y por eso no había mucha cercanía (permítame la expresión)entre los escolapios sardos con los continentales. Y cuando cambiaron lostiempos, ya no hubo manera de arreglar las cosas. No hay que sorpren-derse si entre allí y aquí había una especie de despreocupación. Esta es larealidad. Los escolapios sardos se acuerdan de ser tales, y se glorían deello; y si por el viento de los tiempos han caído, han salvado el honor, yesto hará que podrán resurgir cuando cambien los tiempos.

Y, efectivamente, la vida de los escolapios en Cerdeña se prolongótodavía durante el siglo XX. A pesar de que al principio del mismo sunúmero se había reducido mucho. Según una lista (387), posiblementede 1901, eran sólo siete:

• Sassari: P. Antonio Ferrero, P. Bettinali.• Cagliari: P. Porqueddu (rector de la basílica Mauriciana).• Oristano: P. Glicerio Piras, párroco. • Tempio: P. Domenico Lissia, profesor.• Pauli Latino: P. Salvatore Carta, vice párroco. • Sagarna: P. Giovanni Naitana, secularizado y párroco.

Dalmacia

La presencia de los escolapios en Dalmacia (actual Croacia) fueefímera: duró oficialmente de 1777 a 1854, con dos casas. En este

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 143

(386) RG 249 e, 17. 25 enero 1898. (387) RP 30 B, 239.

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periodo que estudiamos llegan las últimas noticias de un escolapio deaquellas tierras. Se trata de un religioso, hermano operario, IgnazioMatutinovic, que informa que después de tener que abandonar elcolegio de Ragusa ha trabajado para los jesuitas, y ahora, ya mayor,reside con los franciscanos. Quiere tener tranquilidad de conciencia, ysabe que, en su testamento, por disposición de la Santa Sede, ha dedejar al menos el 30% a la Orden a la que pertenece. Así que pre-gunta a qué dirección puede enviar 400 francos (388). El P. Ricci leresponde dándole una dirección, e invitándole a retirarse con los esco-lapios, en Roma. Él responde diciendo que enviará el dinero, pero nopiensa ir a Roma (389). Seguramente envió el dinero, y el P. Generalinsistiría para que viniera a Roma, pero él, agradeciendo de nuevo lainvitación, responde diciendo que prefiere seguir en su tierra, bajo elgobierno austriaco (390).

Europa CentralLa situación en las cuatro provincias centroeuropeas durante el

mandato del P. Ricci es diversa. Mientras Bohemia y Austria siguen latendencia decadente con que terminó el periodo del P. Casanovas,Hungría se consolida y crece, y Polonia no acaba de resolver sus pro-blemas internos para poder despegar.

Sobre todas ellas, incluidas en territorios del Imperio Austriaco,pesan aún las leyes absolutistas que separaban a los religiosos de auto-ridades externas. Aunque el gobierno de hecho ya no controla tantosu cumplimiento, los religiosos siguen teniendo miedo, o usan esaexcusa para mantener su autonomía. El P. Ricci no se acercó a ellasfísicamente, como había hecho el P. Casanovas, pero con sus cartas ysu insistencia consiguió que, poco a poco, las barreras entre ellas yRoma se rompieran, consiguiendo que las cuatro provincias enviaranrepresentantes a los Capítulos Generales, signo evidente de su volun-tad de unirse al General romano. Veamos la evolución de cada una deestas provincias.

144 JOSÉ P. BURGUÉS

(388) RG 248 d 1, 13. 28 marzo 1889. (389) RG 248 d 1, 28. 8 abril 1889. (390) RG 248 d 1, 14. 2 diciembre 1889.

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Bohemia

El catálogo de la Provincia de 1886 nos ofrece los siguientesdatos (391):

Vemos que, aunque siguen ocupando 17 casas, sólo tienen en rea-lidad cuatro comunidades con escuela, con un número reducido dealumnos. No tienen novicios, y un número considerable de sacerdotes(seguramente jóvenes) estaba fuera, trabajando en escuelas públicas yviviendo por su cuenta. En el catálogo de 1893 vemos que han desapa-recido dos casas, Schlan y Brux; el número de sacerdotes se ha redu-cido a 59 (con 20 fuera), siguen sin novicios y el número de alumnosse mantiene estable en las mismas cuatro escuelas. En 1900 apenas haycambios: siguen las cuatro escuelas y las 15 casas, pero el número desacerdotes ha descendido a 45, con 11 fuera. Y tienen 1 novicio.

Al principio de su mandato, el P. Ricci se encuentra con un pro-blema: el P. Miebes, Vicario Provincial in capite, le pide que le

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 145

(391) RR 33.

Casa Sacerd. Jun Nov Herm AlumnosPraga 10 3 370

Schlan 1 1

Beneschov 3 2 172

Duppau 1

Brandeis 1

Boleslav Ml. 2

Brux 2

Litomysl 4 1

Reichenau 2

Nepomuk 3 3 332

Straznice 3

Altwasser 1

Trübau 3

Gaya 2

Nikolsburg 4 1 18

Freudenthal 1

Weisswasser 1

Fuera 30

TOTAL 74 10 1 892

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renueve el nombramiento, y no sabe qué hacer al respecto. Consultadoel P. Calasanz Casanovas, este le explica que en Bohemia, Austria yHungría los provinciales piden permiso al arzobispo para celebrar elCapítulo, y luego al gobierno; y comunican luego el resultado de laelección a Roma. Él escribió a los arzobispos diciendo que habría quecambiar el sistema: es el General quien debía convocar los capítulos, ycomunicarlo después a arzobispos y gobierno. Pero no hicieron caso, ysiguieron igual. Puesto que le ha escrito el P. Miebes, le aconseja queapruebe y confirme su elección como Vicario por un trienio. Pero enello hay un peligro, si no dura tres años. Quizás sería más prudentesimplemente felicitarle, sin hablar de aprobar ni de trienio (392). Es loque hace el P. Ricci.

Cuando el P. Ernesto Miebes, Vicario, recibe la invitación del P.Ricci para que acuda con sus vocales al Capítulo General, dice que nopuede enviar a nadie (393): desde 1848 han perdido 9 colegios; demás de 300 religiosos han disminuido a 91 en 1884. Muchos viven enlugares remotos, enseñando en escuelas públicas, y no pueden ausen-tarse de ellas. Quedan 53 viviendo en colegios, de los cuales 26 sonmayores o enfermos; quedan 27. De ellos la mayor parte están encar-gados de clases, o parroquias, sólo quedan 4 disponibles. Pero ademáspide que el vocal sea «apto e idóneo», y además hace falta que hablelatín o italiano. Pero de esos 4 (y de los demás) nadie habla italiano;el latín lo tienen olvidado, y no son muy experimentados. ¿Cómoelegir un vocal? Además, están los gastos del viaje, 200 FR, que notienen. Por otra parte, lo que digan en el Capítulo no van a cambiarlas leyes contrarias a las Escuelas Pías, tanto en Italia como en Austria.Dice además que no pueden ayudar económicamente a la ProvinciaRomana para construir una casa nueva. Pues desde que en 1848 per-dieron las fundaciones económicas que sostenían los colegios, andanmuy apurados económicamente. Y tampoco pueden enviar juniores aRoma: apenas pueden mantenerlos estudiando en Praga; no puedenpagar los viajes y estudios fuera.

El problema queda resuelto con la no celebración de CapítuloGeneral en 1885 ni en 1886, y Bohemia cumple como las demásenviando tres papeletas de voto, como se les había indicado (394).Con ello expresan su buena voluntad de participar en los asuntos dela Orden. Sin embargo, no pueden contribuir con celebraciones de

146 JOSÉ P. BURGUÉS

(392) RG 249 l 4, 37. 20 mayo 1885. (393) RP 51 B 405. 6 marzo 1885. (394) RP 51 B, 4190. 5 agosto 1886.

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misas o enviando dinero para la nueva casa de Roma: Ha recibido sucarta sobre la nueva casa de Roma (395). Le parece que todo es nece-sario y está bien. Hay que buscar los medios para construirla. Pero laProvincia no puede contribuir con la celebración de misas, pues sonpobres. En el catálogo de 1888 había 68 sacerdotes, de los cuales 3han muerto y 28 viven en la diáspora, enseñando en escuelas públicas,o ya retirados. Quedan 37 en comunidad, entre enfermos, ancianos,maestros y ocupados en tareas parroquiales. Los que trabajan entre-gan todo el salario para sobrevivir, y no puede pedirles que celebrenmisas para la Orden. Quedan algunos que tienen que celebrar lasmuchas misas imperadas por las fundaciones. Así que lamentándolo,aunque quieren colaborar con el resto de la Orden, no pueden (396).

Cuando llega el Capítulo General de 1892, vuelve a excusarse elP. Miebes con las mismas razones que en 1885: han celebrado el Capí-tulo Provincial, y sólo eran 9 (entre los cuales sumaban 624 años), yhan decidido no ir a Roma, pues son pocos, viejos (el Provincialenfermo, tiene 74 años); no ven cómo pueden ayudar a los demás, yno hablan italiano; y además no pueden pagar los viajes (397). El P.Ricci le escribe una carta animándole a que envíen a alguien, ya repro-ducida más arriba (398).

La carta surte su efecto, pues poco después el P. Miebes respondeque van a enviar un vocal (399). Y envían al P. Enrique Sekera, queagradece luego todas las atenciones recibidas en Roma (400). Elprimer paso para acercarse a Roma estaba dado. Al año siguienteenvía 300 L para contribuir en el homenaje al Papa por sus bodas deoro episcopales (401).

Cuando se acerca el Capítulo General de 1898, el P. Riccirecuerda al P. Miebes que les esperan en Roma (402): Te recuerdo lagran importancia del Capítulo General que está convocado para el pró-ximo 2 de agosto en Roma en nuestra casa de S. José de Calasanz. Nosólo todos los hermanos, y yo el primero, sino el mismo Sumo Pontíficey su Cardenal Vicario, protector de la Orden, os esperamos. No te urgiréa ti, porque sé que estás enfermo, pero es necesario que asistan los voca-

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 147

(395) Reg. Gen. 24 33 (15.7.89).(396) RP 51 B, 417. 18 septiembre 1889. (397) RP 51 B, 422. 15 mayo de 1892. (398) RP 51 B, 423. 3 junio 1892. (399) RP 51 B, 424. 29 junio 1892. (400) RP 51 B, 427. 16 septiembre 1892. (401) RP 51 B, 426. 20 enero 1893. (402) RP 51 B, 428.

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les que designéis. El P. Enrique Sekera en el anterior Capítulo nos fuede mucho provecho por su prudencia y ciencia, y ganó mucho apreciopara sí mismo y para vosotros bohemos. Así, pues, elegid los vocales aenviar, e infórmame cuanto antes de sus nombres, para que puedaincluirlos en la lista de los padres capitulares.

El P. Miebes no le responde: está gravemente enfermo. Morirá enPraga en octubre de ese año 1898. Le responde en su lugar el VicarioJulián Walter, informando que los representantes de Bohemia en elCapítulo serán los PP. Wenceslao Wilfinger y Romano Kurka. Tam-bién a él le gustaría conocer Roma, pero a causa de su avanzada edad(72 años) y su enfermedad, no se atreve a viajar. El P. Walter será ele-gido Provincial, y permanecerá en el cargo hasta 1901. Durante sumandato se experimenta una cierta animación en Bohemia. Le pidenuna fundación en Bautzen (Budissa), Sajonia, cerca de Praga y dePolonia. Piden la autorización del General, que él solicita. Ha abiertoun internado en N. Boleslav, con 40 internos. Quiere hacer lo mismoen Straznice (403).

Como ejemplo de abandono de muchas otras casas de la Provin-cia, presentamos el del colegio de Gaya. El P. Provincial Miebes lo hadevuelto a la ciudad, y pide al P. General que informe al Obispo deOlomuc sobre su conformidad para este cierre. Así lo cuenta el P.Miebes (404):

Hacia 1747, el ciudadano y noble de la real ciudad de Gaya JuanFrancisco Philip legó 12000 FR a los que añadió otros 3000 la Sra.Carolina Jurovsky, con el fin, si era posible, de que fueran a Gaya unosseis religiosos de la Orden de las Escuelas Pías. Esta suma fue elevadahasta 16000 FR por medio de varios bienhechores. Como para mantenera 6 religiosos hacía falta un capital de 18000 FR en aquel tiempo, laciudad de Gaya prometió los 2000 FR que faltaban, y los entregó.

Obtenido el permiso real en 1756, llegaron dos sacerdotes de nues-tra Orden, que de ese capital de 18000 recibían 300 FR de renta, y sededicaban a enseñar a los niños en dos clases elementales. El resto deingresos se dedicaba a levantar la fundación, compraron un lugar paraconstruir y levantaron el edificio.

Durante muchos años sólo ha habido unos pocos de los nuestrosviviendo en Gaya, hasta hace muy poco; eran 2, 3 o 4 de los nuestros losque vivían en la casa y enseñaban en las escuelas de primaria.

148 JOSÉ P. BURGUÉS

(403) RP 51 B, 445. 3 noviembre 1899. (404) RP 51 B, 419. 10 abril 1891.

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Cuando hacia 1860 se introdujo un nuevo sistema de estudios, y lasescuelas de la Orden de Gaya también fueron transformadas en secula-res, los ciudadanos no dejaron piedra por mover para que se convirtieranen gimnasio. Se pusieron de acuerdo con el R.P. Provincial Lorenzo Zinkel 27 de mayo de 1868 para que se hiciera cargo del gimnasio, y conse-guido también de las instancias superiores el reconocimiento de gimna-sio inferior con seis profesores de nuestra Orden, fue abierto con estascondiciones:

1. Si no hay profesores aprobados religiosos para este gimnasio, setraerán seglares aprobados.

2. Si nuestros religiosos no pueden ocuparse del gimnasio por mástiempo, o se van de la ciudad, los nuevos edificios y la iglesia pasarán apropiedad de la ciudad, pues todos los gastos para edificar el gimnasio yla iglesia, y para ampliar el colegio (pues la residencia y la capilla domés-tica eran pequeñas) corrieron totalmente a cargo de la ciudad, por untotal de 37.568 FR 22 Cf.

La penuria de los tiempos ha hecho que el número de los nuestroshaya ido disminuyendo cada vez más, y ya en 1886 en Gaya había sólodos religiosos, el P. Rector Otto Stika, director emérito del gimnasio, yel P. Wilhelm Freiwatd, profesor y catequista del gimnasio. El primero acausa de la ley sobre la edad de jubilación dejó el cargo; el segundo, acausa de su enfermedad, a final del curso escolar de 1890 se retiró alcolegio de Altwasser para reponerse. De modo que el Gimnasio de laOrden pasó a manos de seglares, y la Orden lo abandonó.

Como la ley imperial había decretado que en todas partes se hicie-ran nuevos catastros de todas las propiedades, la Ciudad de Gaya, paraevitar posteriores controversias, trató con el R.P. Provincial Lorenzo enel año 1868, pidiéndole que la casa y el huerto fueran reconocidos comopropiedad de la ciudad, y como la cosa no se hizo inmediatamente, sepresentó un pleito contra el provincialato. Pero se llegó a un acuerdo,pues para evitar un pleito costoso propusimos unas condiciones másjustas, y llegamos a un acuerdo con la ciudad de Gaya el 20 de diciem-bre de 1888, que adjunto en copia. No pudimos negarnos a lo que nospedían, puesto que no había ni hay ninguna esperanza de que los escola-pios volvamos a abrir escuelas en esta ciudad. Nuestra Orden con estepacto ni sufrió pérdida, ni salió ganando (pues sin duda el erario públicohubiera reclamado esta posesión). De modo que estuvimos de acuerdo enque era justo y razonable que esta posesión (iglesia, colegio, escuelas yhuerto) se entregara a la ciudad, pues son ciudadanos de Gaya los quedesde siempre aparecen como fundadores de la residencia y el colegiocon el gimnasio. En los últimos tiempos gastaron 37.568 FR; la primi-tiva fundación de 15000 F equivale a 6720 F en moneda austriaca.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 149

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Envié el pacto citado de Gaya del 20 de diciembre de 1888 al Con-sistorio Arzob. De Olomuc para obtener el permiso eclesiástico, contodos los documentos concernientes a la fundación de Gaya, y me hanpedido que el Rvmo. P. General envíe su autorización a Olomuc.

Por eso ruego a V.P. que acoja benignamente esta breve exposicióny oiga clementemente mi petición, y declare que nada obsta para que setenga por válido este pacto del 20 de diciembre de 1888.

En Praga, a 10 de abril de 1891. E.M.

Austria

La situación de Austria durante el mandato del P. Ricci es aúnmás delicada que la de Bohemia, por el menor número de religiosos,y por algunos escándalos que se producen.

En el catálogo del año 1886 figuran 39 religiosos, incluyendo 7fuera de comunidad. Están distribuidos en 5 casas, de las cuales 3 enViena (María Treu, con 13 sacerdotes; internado Loewenburg, con 4sacerdotes, 3 juniores y 1 novicio, y Santa Tecla, 5 sacerdotes), Krems,con 4 sacerdotes, y Horn, con 2. En el catálogo de 1892 y en el de1900 se mantienen las mismas casas, pero el número de religiosos hadisminuido hasta 28. Lo bueno es que no pierden la esperanza, puessiempre tienen algún novicio.

Cuando el P. Francisco Benda, Provincial de 1882 a 1896, recibela invitación del P. Ricci para asistir al Capítulo General de 1885, seexcusa diciendo que son pocos y empleados en la enseñanza, que nopueden abandonar (405). En cambio, sí aceptan participar mediantedos vocales que votarán por correo (406). Y, de hecho, envían suspapeletas por corren en 1886 (407).

Austria participa en el regalo de los escolapios al Papa por sujubileo sacerdotal con 100 F (408). Pero no van a poder con trabajosescolares, como las demás provincias (409): Las cosas de nuestra Ordenen Austria desde hace tiempo son diferentes a las de otros lugares. Sabeque las escuelas en las que antes nuestros religiosos ejercían su magiste-rio, a causa de las leyes propuestas por el Consejo de Estado y aprobadaspor el Gobierno, nos las han quitado. Los religiosos que se dedican

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(405) RP 53 A 6, 14. 20 diciembre 1884. (406) RP 53 A 6, 15. 16 julio 1885. (407) RP 53 A 6, 19. 31 agosto 1886. (408) RP 53 A 6, 22. 26 agosto 1887. (409) RP 53 A 6, 23. 27 septiembre 1887.

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ahora a la educación de los niños, parte trabajan en escuelas estatales, yparte en las municipales, de modo que no existen las escuelas que antesllamábamos pías, y no tenemos alumnos que podrían llevar a cabo loque pides como si estuvieran bajo nuestra autoridad. Pero entre nuestroshermanos jóvenes en nuestras casas los hay que brillan por su ingeniocomponiendo poemas, y también los hay mayores, que en tiempo de ociopodrían llevar a cabo lo que pides, y yo les he rogado que lo hagan. Enlo que se refiere a la ofrenda petrina, antes de que llegara tu carta, yapidieron que colaboráramos los Consistorios arzobispal de Viena y epis-copal de St. Polten, escribiendo a cada casa, y ya participamos. Esperoque no te tomes a mal mi respuesta.

El P. Benda ha recibido con gozo la noticia de la futura beatifica-ción de Pompilio Pirrotti, pero no puede ir a Roma porque estáenfermo, y no ve a quién enviar en su lugar (410), pues los mayoresestán enfermos y los jóvenes no pueden ausentarse de las parroquias oescuelas tantos días. Luego informa que se ha celebrado un triduo enhonor del nuevo Beato. Envía unas copias de una biografía breve elmismo en alemán (411).

Al recibir la circular invitándole al Capítulo General de 1892, elP. Benda se vuelve a excusar, diciendo que el Capítulo Provincial hadecidido que no tienen gente digna para enviar, a causa de su tristecondición. Y lo explica (412):

Escribiste lleno de ardor calasancio, diciendo que nada es difícilpara quienes quieren algo. Sin embargo, fíjate en el estado actual de laspersonas de nuestra Provincia. El catálogo de Austria, en los cinco cole-gios que existen sólo de nombre, pero no de hecho, consta de sólo 26religiosos, después de despedir a dos no profesos (Aigner y Rubes).Fíjate, por favor, en las tareas y cargos que cada cual desempeña en cadacolegio, y verás sin duda que cada uno carga con diversos oficios, cuyodesempeño no pueden interrumpir sin grave perjuicio. La parroquia deMaria Treu y en el colegio de Sta. Thekla tienen tantas obligaciones dia-rias de misas que necesitamos pedir ayuda a sacerdotes de fuera. Por lamisma razón los Padres de Krems y los de Horn no pueden ausentarsepor un largo periodo de tiempo. Lo mismo ocurre en el internadoLowenburg, donde la Orden no tiene suficientes fuerzas para cargar contodo el trabajo, por lo que para no perder la fundación tenemos que con-tratar a laicos como prefectos y repasadores. Si quitamos a los sexagena-

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(410) RP 53 A 6, 27. 8 enero 1890. (411) RP 53 A 6,28. 13 noviembre 1890.(412) RP 53 A 6, 32. 25 mayo 1592.

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rios, a los novicios y a los que viven fuera de comunidad, a los que estánal servicio del gobierno, aunque vivan en comunidad, y a los enfermos,quedan tan pocos que no podríamos prescindir de ninguno de ellos. Yome estoy recuperando de la enfermedad que llaman influenza, y aúndeseo recuperar mis fuerzas, y aunque me encantaría ir a Roma parasatisfacer tus deseos, no me siento capaz de hacerlo.

Sé que tú, Reverendísimo Padre, que eres bueno e inteligente, com-prenderás que lo que te digo no son simples pretextos, sino auténticasdificultades y graves impedimentos, para satisfacer tus amables palabrascon las que nos invitabas, y no sólo tú, sino también el Santo Padre, aque vayamos y permanezcamos unos cuantos días en Roma. Así quequeda la posibilidad de, según la antigua costumbre, elegir al Generalmediante papeletas enviadas a Roma.

Te rogamos, óptimo Padre, que nos concedas esa facultad. Y dis-pensa si esta carta no responde a tus deseos; espero tu indulgencia. Y teofrezco el deseo sincero de colaboración de esta debilitada Provincia deAustria, no lo dudes. Todo lo que se decida en el Capítulo General loacataremos de buena gana.

Pero el P. Ricci no se conforma; insiste y logra que asistan al Capí-tulo el P. Benda y el P. Antonio Brendler, que será su sucesor en 1896.Y cuando regresan a Viena, escriben entusiasmados por su experiencia,agradeciendo tantas atenciones (413). El P. Brendler envía algunosregalos para el ajuar de la sacristía de la capilla de San José de Calasanzen la casa nueva de Roma (414). Pero tras conocer la prosperidad delas Escuelas Pías en Roma, está triste por el futuro de las de Austria:Pues en Austria ya no tenemos las escuelas para las cuales nos fundóNuestro Santo Padre. Los profesores de las escuelas son laicos, que pien-san en mantener a sus familias y se interesan poco por el verdadero biende sus alumnos. En la escuela sólo se dedican a examinar severamente alos muchachos, sin piedad, y si no saben responder bien a sus preguntas odudan un poco, les ponen malas notas, y los pobres pierden el tiempo ytienen que repetir curso. Con este modo de obrar he perdido este año die-ciocho chicos del internado, y sólo he recibido cinco nuevos, y los gastosde mantenimiento son casi los mismos. He ahí, Rev. P. General, las pre-ocupaciones de un rector. Pero no me desanimo y confío en la ayudadivina. Me entristezco, sin sentir envidia, recordando el colegio Nazarenode Roma, viendo aquella hermosa institución y el sabio gobierno del quedependen los buenos resultados, comparados con nuestro internado. En

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(413) RP 53 A 6, 35. 5 septiembre 1892. (414) RP 53 A 6, 37. 16 septiembre 1692.

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Roma los dueños de la situación de la escuela son los escolapios; aquíestamos sometidos al arbitrio de los laicos. Ese es el punto.

El P. Francisco Mestan es nombrado maestro de novicios, y sepropone organizar un noviciado regular. Su confesor, el P. Anton Sch-wartz, pide que le envíe un ejemplar de la nueva revista DomesticaeEphemerides Calasanctianae, pues está muy interesado por las cosas dela Orden a la que perteneció antes.

El P. Brendler da noticias al P. Filippo Rolletta de Roma sobre lamarcha del internado de Viena (415): En el internado tenemos muchoshijos de las mejores casas. Todas las plazas están ocupadas; buena señalde que gozamos de la confianza de los padres. Varios chicos han venidode otros institutos, como del de los Hermanos de las Escuelas Cristianas,fundadas por el Sr. Canónigo de la Salle. Conozco este instituto, demucha reputación, porque en él todo se basa en las leyes de la religión yde la fe; los muchachos están muy bien educados, pero, según se dice, seobliga a los muchachos a hacer servicios inferiores, sin duda para habi-tuarlos a humillarse, pero al mundo no place ese modo de educación.Entre nosotros eso no es conveniente, pues los muchachos tienen muchafaena para salir adelante con sus estudios de gimnasio o de las escuelasreales. Durante las vacaciones de este año he hecho renovar nuestra capi-lla, la pequeña iglesia en el internado; hacía 35 años que no se hacíanada. He hecho pintar en el techo, abovedado, los cuatro Evangelistas ynuestro San José de Calasanz, y nuestro San Pompilio María Pirrotti.Nuestra iglesia parroquial tiene un aspecto majestuoso, habiendo sidorenovada con donativos de bienhechores. En casi todas las iglesias deViena se trabaja ahora para devolverles su aspecto de antaño. La Cate-dral es majestuosa, con sus columnas de estilo gótico y grandes ventanascon vidrieras de colores. He leído con gozo las noticias de las D. Eph.Cal. Buena idea. Veo que los escolapios de Hungría son muy fecundosescribiendo obras científicas. Nosotros, pobres diablos de Viena, estamosocupados casi todo el día con nuestras actividades de la escuela y delinternado, sin poder pensar de momento en escribir nada.

El P. Ricci quiere saber cómo va el plan de reforma del noviciado,y lo pregunta al P. Provincial. Este le responde (416):

En relación con las preguntas de V.P. en carta del 22 de agosto, res-pondo cuanto antes declarando lo siguiente: En cuanto a la intención dereformar el noviciado, ya decidimos en el Capítulo del trienio anteriorque era necesario que los novicios debían ser educados cada vez más

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(415) RP 53 A 6, 48. 8 diciembre 1893.(416) RP 53 A 6, 60. 27 agosto 1894.

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según las normas de nuestras Constituciones, que con el paso del tiempose fueron alejando del recto espíritu de nuestro Fundador el S. PadreJosé. Esta reforma ya comenzó cuando yo encargué al Rector P. AntonioBrendler, vocal de Austria en el Capítulo General, que fuera a Roma.Desde entonces el noviciado está situado en nuestro Colegio Josefino, ysu prefecto y maestro es el P. Francisco Mestan, hombre joven pero enér-gico, que fue reelegido para el cargo en el capítulo celebrado este año.Vive al lado del noviciado. A propuesta mía el Capítulo eligió comoAyudante suyo al P. Francisco Bauer, hombre de vida religiosa y desólida doctrina.

Además de mí, Provincial, viven en este colegio noviciado, el Rectorde la Casa y Párroco P. Miguel Hersan, y el Vicerrector P. Andrés Rung-ger, con el título de consiliario de los estudiantes, y los sacerdotes jóve-nes cooperadores de la parroquia PP. Heidnreid y Antonio Phlon, ambosprovenientes del noviciado reformado, que ciertamente son un buenejemplo para los novicios.

Tenemos además un junior, un novicio de primer año, y el día 30vestiremos dos candidatos.

A Roma llegan (por medio del Nuncio en Austria) ciertas infor-maciones, que transmite al P. Ricci (residente en Florencia) el P.Daniele Malavisi, Asistente General (417): el maestro de novicios llevauna vida escandalosa, pues vive con una mujer frente al noviciado, yhabría que cambiarlo. El Papa quiere que se introduzca allí la vidacomún. Y los que no quieran abrazarla, que se vayan a otra casa, o sesecularicen. Habría que nombrar un Comisario, y nadie mejor que elcardenal arzobispo. El P. Ricci, alarmado, envía inmediatamente uncuestionario al P. Provincial para averiguar la verdad. Y le dice losiguiente (418):

Te envío este cuestionario, para que lo respondas sinceramente,como sueles, y yo usaré prudentemente las respuestas que me des.

1. ¿Hay alguno de nuestros hermanos ahí que viva en su habita-ción, cerca del noviciado, con una mujer?

2. ¿Pone la autoridad civil algún impedimento para que os gober-néis libremente y según las leyes religiosas?

3. ¿Tenéis que pagar por la comida que se os ofrece?4. ¿Coméis juntos, o por separado?5. ¿Se da la ropa a los religiosos, o dinero?

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(417) RG 248 d 6, 4. 15 septiembre 1894. (418) RP 53 A 6, 58. 21 septiembre 1894.

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6. ¿Hay entre vosotros algunos que disfruten de la posesión de supropio dinero?

7. Vuestro arzobispo, ¿os es favorable o contrario?Lamento molestarte, pero lo hago con la mejor voluntad.El P. Benda responde a vuelta de correo (419): Respondo a las preguntas de la carta de V.P. con fecha 21 de sept.

de 1894 con pronto y sincero ánimo.1. Nunca ninguno de nuestros hermanos vivió en un colegio nuestro

con una mujer. 2. La autoridad civil de ningún modo nos impide vivir estricta-

mente según las leyes religiosas; más bien favorece a los que observanlas instituciones eclesiásticas prescritas.

3. A ningún rector de nuestros colegios le vino nunca la idea decobrar la comida ofrecida a los hermanos.

4. Todos los religiosos acuden juntos al comedor a toque de cam-pana, para comer juntos.

5. Tenemos la costumbre de que a cada cual se le da dinero para quese compre la ropa.

6. Los nuestros que trabajan en gimnasios imperiales o en escuelasmunicipales de Viena como maestros, reciben un salario anual fijo decada ciudad o ayuntamiento. En cuanto a los demás hermanos nuestros,no tengo conocimiento de que posean o disfruten de dinero propio pro-veniente de su casa paterna.

7. El Cardenal Arzobispo de Viena favorece a los religiosos de lasEscuelas Pías, y pienso que el motivo es porque él mismo fue alumno delas Escuelas Pías, y por ello tiene en gran estima a nuestra Orden, y porello algunos de los nuestros han sido nombrados por él Consejeros Arzo-bispales.

No puedo ocultar mi pesar a Vuestra Paternidad porque veo porvuestros escritos que hay alguien que, consultado, bien porque no conocebien nuestras cosas, o porque no está bien informado, informa a lasautoridades superiores eclesiásticas nuestras circunstancias, deformadas ylejanas de la verdad. Por lo tanto, ruego a Vuestra Paternidad que sedirija a nosotros cuando surjan este tipo de dificultades en relación connuestros religiosos. Puede estar seguro, R.P. General, de que haré todolo que pueda para que se conserve entre nosotros el espíritu religioso.

Con todo, el P. Ricci escribe al P. Provincial confirmándole que laSagrada Congregación de Religiosos les ha enviado quejas sobre su

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(419) RP 53 A 6, 57. 27 septiembre 1894.

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manera de vivir, y el Papa ha querido enviar dos visitadores. Le reco-mienda lo siguiente: Tú procura ya que todos los nuestros sigan unavida honrada, que no vivan ni demasiado libremente ni con demasiadolujo; que no salgan por la noche para acudir a cenas, que no recibanmujeres en sus habitaciones, de modo que viváis de manera irreprensi-ble. Formad a los novicios de acuerdo con las Constituciones. De estemodo aumentará el número de religiosos, y quedaréis bien ante laOrden y la Santa Sede (420). Les recomienda que antes de que lleguela visita, procuren ponerse en orden de acuerdo con las Constitucio-nes. Y lo primero es poner en común las pensiones que reciben delgobierno. De este modo se ahorrarán las reprimendas (421). Escribetambién al P. Mestan maestro de novicios, con algunas normas para elnoviciado. Y éste le responde (422):

El mismo día en que recibí tu carta, el P. Provincial y el P. Rectorde nuestro colegio me mandaron que instaurase los ejercicios espiritualescomunes de cada día, que se habían omitido durante muchos años. Asíque acordamos reunirnos comunitariamente en el oratorio para la ora-ción de la mañana y de la tarde, tener la lectura santa en el comedor yhacer ejercicios espirituales anuales. Hay un cuidado mayor de los novi-cios y juniores, y también de las funciones eclesiásticas. Hay muchascosas que hacen falta para la vida común, pero tal vida sin preparación ycon fruto, como escribiste, no se puede establecer de manera improvi-sada. En la medida de lo posible dirijo la mente de los hermanos jóvenescon la palabra y el ejemplo a amar la pobreza y a despreciar las invita-ciones del mundo. Dando ya muchas gracias a Dios por los beneficios yarecibidos mencionados más arriba, espero que nos conceda lo demás porintercesión de la Santa Virgen Fiel, que recibiremos según aquello de«Buscad primero el Reino de Dios y su justicia, y todas las demás cosasse os darán por añadidura» (423).

Aquel de los nuestros que vivía cerca del noviciado y que durantetodo el día hasta la noche tenía en su habitación una criada – no vivíacon ella –, lo cual se consideraba un escándalo entre nosotros, se secula-rizó y ya no vive con nosotros.

Por todo lo dicho puedes ver que entre nosotros hay alguna buenavoluntad de volver a la integridad original, pero a veces hay que lucharcon algún espíritu maligno que se opone a ello. Y por la autoridad que

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(420) RLS 330, 29. (421) RLS 330, 41. (422) RP 53 A 6, 61. 25 octubre 1894.(423) Mt 6, 33.

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como Padre Provincial [sic] nuestro tienes, es necesario que actúes conenergía. Ciertamente tus avisos paternos producirán efecto. Pero te ruegohumildemente que no menciones mi nombre cuando escribas al M.R.P.Provincial sobre este asunto, para que quede a salvo su autoridad.

El P. Ricci quiere conocer más a fondo la situación legal y canó-nica de las Escuelas Pías en Austria, y de nuevo pide información al P.Francisco Mestan. Y esta es la respuesta del P. Mestan (424): Respondo a tus preguntas en lo que puedo.

1. La praxis de nuestra Provincia para aceptar novicios y para admi-tirlos a la profesión después del noviciado sin conocimiento del P. Gene-ral se basa en el Decreto Imperial del 24 de marzo de 1781, por el que secortó el vínculo con el P. General. Por qué no se respetó la ConstituciónApostólica citada de Pío IX por parte de nuestros Superiores, lo ignoro.

2. La celebración del Capítulo Local y Provincial y la elección deSuperiores se basa en el Decreto Imperial del 25 de marzo de 1802 sobrela reforma del clero, y el del 24 de mayo de 1806 sobre el sistema deelección de los Provinciales de las Escuelas Pías, en los cuales se deter-mina, entre otras cosas, que «Los Superiores Provinciales nunca estaránsometidos a ningún Superior General de fuera. En lugar de los Superio-res Generales de fuera. Los Provinciales están sometidos a sus Ordina-rios, a quienes se trasfiere los derechos y el oficio de los SuperioresGenerales». Además: «La celebración del Capítulo Local debe infor-marse solamente al obispo en cuya diócesis tenga lugar». En estos decre-tos se indica también la manera de celebrar los Capítulos.

3. Los que en la actualidad son directores, maestros o catequistas enlas escuelas públicas municipales o estatales – no tenemos escuelas pro-pias – reciben el mismo salario que los profesores y maestros laicos delAyuntamiento o del Estado, y cada cual puede retener toda la suma.Además, cada cual recibe lo necesario del colegio, que normalmente se leofrece en especie.

4. Desde que se cometió esta maldad, que hicieron posible nuestrasleyes confesionales, han pasado ya doce años.

Para que comprendas mejor los cambios en perjuicio nuestro que sehan producido desde la separación de nuestra Provincia de la cabeza ycentro de la Orden, me pareció necesario enviarte un ejemplar de nues-tras Constituciones con todas las anotaciones y el modo de celebrar loscapítulos. En la última anotación a la Parte III (pág. 131) principal-mente encontrarás lo que se dice en «Los cambios de los Estatutos de la

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(424) RP 53 A 6, 56. 28 noviembre 1894.

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III Parte, que ocurrieron a causa de la maldad de los tiempos y de laprohibición de comunicarnos con el General Romano cesarán cuando serestablezca la unión con la cabeza de la Orden».

Considero que el día de esa reunión entre nosotros ya tuvo lugar en1892, cuando el Capítulo General, que de algún modo restableció nues-tra unión. Cuando quede completada la obra de la unión con nuestracabeza, esta situación deshonrosa para nosotros se convertirá ciertamenteen gloria, y el gran dolor que tú sufres, en gozo. Estoy persuadido, que-rido Padre, de que es un deseo óptimo el desear que nuestra Orden, queen otros tiempos funcionó tan bien, y que ahora apenas es estimada pornadie, reviva en nuestra provincia volviendo a su prístina integridad.

En cuanto a lo que fue referido por el Pontífice sobre nuestroasunto al Card. Presidente de los asuntos políticos, es cosa de nuestroNuncio Apostólico. El cual nos visitó, como escribí, informado ya sobreotras cosas nuestras en el mes de febrero. Luego nos mandó ir a verle alRvmo. P. Provincial y a mí. Me hizo preguntas sobre la vida regular, ypara que respondiera verazmente, me obligó a hacerlo en conciencia. Nosé lo que él trató con el R.P. Provincial, además de lo que se refiere auna breve relación sobre nuestra Provincia. Luego yo fui llamado por elVicario General, que también me hizo preguntas. Por su parte el R.P.Provincial trató con Su Excelencia el Cardenal Obispo. Luego se celebróen el mes de mayo el Capítulo Provincial, en el cual, como ya escribí, sedecidió que la reforma de nuestra Provincia es oportuna y necesaria,pero comenzará con los jóvenes, y quiso que los Padres mayores haganlos ejercicios comunes de los que le escribí en mi última carta, y que elNoviciado se organice según las leyes antiguas. Considero necesario tam-bién citar esto.

Termino esta carta confiando en la misericordia de Dios y en laintercesión de la Inmaculada Virgen madre de Dios y madre nuestra, yen tu paterna clemencia para con nosotros, y espero el día en el que cadauno de nosotros pueda decir con el salmista: «¡Qué alegría cuando medijeron!» (425).

Agradezco tu bendición, y encomendándome a tus oracionesquedo…

P.S. Las anotaciones a nuestras Constituciones se hicieron en el año1854 por Federico Schwarzenberg, S.R.I. Cardenal, en aquel tiempoVisitador Apostólico de las Órdenes Religiosas en las provincias de lasdiócesis de Praga, Viena, etc. Envío también su carta circular.

158 JOSÉ P. BURGUÉS

(425) Sal 122, 1.

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El P. Mestan se desanima a veces: se han salido el junior y dosnovicios. En el colegio Josefino sólo quedan 7 sacerdotes y un novicio.Y le dice al P. Ricci (426): ¿Crees, querido Padre, que nuestra Provinciapuede subsistir de esta manera? Yo empiezo a desesperar ya, y tengosiempre ante los ojos nuestra destrucción, lo que me pone muy triste,sobre todo porque veo la reciente Congregación de los Operarios Píos deS. José de Calasanz de la Madre de Dios, en la que se sigue la estrictaobservancia de las reglas de nuestro Fundador, que florece y crece día adía. ¿Cuándo tendrá Dios compasión de nosotros? Me consolará recibirunas palabras de consuelo y tu bendición.

También el P. Brendler dice al P. Ricci que anime al P. Mestan:está tan desanimado con la salida de candidatos que está pensandopasarse a otra Orden (427).

El P. Brendler, elegido nuevo Provincial en 1896, envía una circu-lar a los religiosos de su Provincia, en la que anima a todos a esfor-zarse para que la Orden siga adelante en Austria, mediante la oracióny el trabajo de todos (428). Indica algunas cuestiones concretas: Que,según nuestras Constituciones, nos reunamos para decir las oracionesmatutinas y vespertinas a Dios del modo acostumbrado; que comence-mos y terminemos la comida y la cena con oraciones vocales; que todoslos sacerdotes ofrezcan cada día a Dios el santo sacrificio de la Misa; quenos amemos uno a otro con amor fraterno, y que todos se esfuercen lapaz esforzándose por evitar la ira, y teman el horror de las disputas.Convoca además a unos ejercicios espirituales comunes de tres días,que dirigirá el P. Mestan.

Pasan los años, pero la observancia no mejora mucho. En 1896 elP. Ricci tiene que escribir de nuevo al P. Provincial Brendler (429):Sois piadosos y doctos, pero conviene vigilar para que los religiosos losean no sólo de nombre, sino también de vida y costumbres. Segura-mente conoces las quejas que hace dos años fueron escritas sobre las con-gregaciones austriacas a la Sagrada Congregación de Obispos y Regula-res, entre las cuales destacaba la nuestra. Eran exageradas, pero no lesfaltaba algo de verdad. Por ello te exhorto a que cuides la observanciareligiosa. Los jóvenes no entran en las congregaciones donde se vive alarbitrio de cada cual, sino que tienen gran estima por las reglas.

A pesar de la insistencia del P. Ricci por lograr la observancia reli-giosa, dadas las condiciones de las casas de Austria, no es fácil obte-

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(426) RP 53 A 6, 63. 16 julio 1895. (427) RP 53 A 7, 9. 24 junio 1896. (428) RP 53 A 7, 11. 20 julio 1896. (429) RLS 330, 5.

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nerla. Explica el P. Brendler (430): Desde hace 32 años han cambiadolas condiciones de la provincia: las escuelas escolapias fueron suprimidasy los religiosos fueron a enseñar a otras escuelas fuera, y están sometidosa directores laicos. A menudo tienen reuniones por la tarde, por lo queno pueden observar el horario religioso. Están de acuerdo en hacer loposible por la reforma. En el colegio josefino viven 11, y hacen la oracióncada día por la mañana y por la tarde. En el internado de Loewenburgrezan con los internos. En los demás colegios hay muy pocos religiosos.

La perseverancia de las vocaciones es escasa. El P. ProvincialBrendler le dice que tenían a principios de año 4 juniores, 2 novicios.Tres se salieron. Entraron dos novicios con los estudios de teologíahechos, pero al ver que tardarían más de 3 años en ser ordenados, sesalieron. Los maestros de las escuelas públicas cobran buen sueldo;los jóvenes se salen por ello. Por eso pide dispensa para hacer la pro-fesión solemne antes de tiempo, para que no se vayan y se acabe laOrden en Austria. Recibieron catálogo de España y se admiran de quehaya tantos colegios y tantos alumnos (431).

Mientras los escolapios de Austria experimentan muchas dificul-tades para sobrevivir, el P. Anton María Schwartz, antiguo novicioescolapio, crea en 1889 una nueva congregación religiosa, los Trabaja-dores Cristianos de San José de Calasanz o Kalasantiner. En 1995escribe una amable carta al P. Ricci, pidiéndole que su Congregaciónparticipe de los bienes espirituales de las Escuelas Pías (432): Rvmo. P. General.

Ya el que suscribe informó humildemente a V.P. en una carta confecha 12 de abril de 1890 (433) de la erección canónica de nuestra«Congregación de los Operarios Píos de S. José de Calasanz de la Madrede Dios», con permiso de nuestro Emperador Francisco José I y del Emi-nentísimo cardenal Arzobispo de Viena Celestino José de feliz memoria,y con la bendición de Su Santidad el papa león XIII especialmenteimpartida.

Verás fácilmente, Rvmo. Padre, por las Reglas, de las que te envíoun ejemplar junto con esta carta, que nuestra mínima Congregaciónquiere ser un retoño calasancio, de raíz calasancia. ¡He aquí una nuevaglorificación en la tierra del S. Padre José de Calasanz! Espero que tú,Rvmo. Padre, y todos tus religiosos os alegraríais mucho con la noticia.

160 JOSÉ P. BURGUÉS

(430) RP 53 A 7, 33. 12 diciembre 1898. (431) RP 53 A 7, 39. 21 octubre 1899. (432) RP 53 A 6, 67. 10 octubre 1895. (433) RG 58 B 5, 13.

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Te ruego humildemente que a ejemplo tuyo los miembros de laOrden de las Escuelas Pías consideren a los “Operarios Píos” comoauténticos hijos de S. José de Calasanz y hermanos queridos en el Señor.

También te pido humildemente que con tu autoridad paterna hagaspartícipes a los miembros de nuestra Congregación por el amor de Cristode los frutos de las buenas obras de toda la Orden de las Escuelas Pías,de la misma manera que nuestra mínima Congregación siempre tendrápresente de manera especial en sus oraciones a la Orden de las EscuelasPías de los Pobres de la Madre de Dios, con ánimo agradecido.

Con ínfima humildad y reverencia, afectuoso siervo en Cristo deVuestra Paternidad, P. Anton M. Schwartz.

Y desde entonces existe una buena relación entre estas dos ramasde la Familia Calasancia.

Hungría

Durante todo el mandato del P. Ricci la Provincia de Hungríavive una situación de equilibrio, con un ligero aumento en el númerode casas, de religiosos y de alumnos, como nos muestra la tablasiguiente, confeccionada a partir de los catálogos que regularmenteenviaba el P. Provincial de turno al P. General; impreso en húngaro, ymanuscrito en latín.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 161

Casas Sacerdotes Juniores Diáconos Novicios TOTAL Alumnos 1885 24 238 70 20 328 7039

1886 24 240 72 20 332 7189

1887 24 252 61 20 333 7368

1888 24 249 69 20 338 7514

1889 24 245 81 23 349 7548

1890 24 249 86 24 353 7523

1891 24 251 83 24 354 7523

1892 24 259 72 24 355 7550

1895 26 260 81 1 28 370

1896 26 259 81 2 29 371 8548

1897 26 257 99 2 31 389 8760

1899 26 252 113 27 392 8638

1900 26 257 109 28 394 8774

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Para presentar la distribución de los religiosos en las casas, nosvamos a fijar solamente en el primero de los años (los datos no varíanmucho con el paso del tiempo).

De los sacerdotes había 13 jubilados. Vemos que no había ningúnhermano operario. Hay dos junioratos y un noviciado. El total dealumnos ese año es de 7039. Los colegios con más alumnos son losque tienen una comunidad más numerosa: Budapest, Nagy Karoly,Kolosvar, Szeged, Satoral J. Pero las 24 casas tienen escuelas, aunquealgunas con muy pocos alumnos: Podolinec, S. Jorge. Se puede decirque es una situación envidiable, cuando se piensa en las demás pro-vincias de Europa Central e Italia.

162 JOSÉ P. BURGUÉS

Casas Sacerdotes juniores Novicios Total 1. Budapest 28 3 31

2. Debrezen 5 1 6

3. Kekskemet 13 27 40

4. Kis-szebeni 6 6

5. Kolosvar 17 9 26

6. Lévai 8 8

7. Magyarovar 9 9

8. Marmaros-szigeti 5 5

9. Nagy-becskereki 5 5

10. Nagykanizsa 14 14

11. Nagy Karoli 12 12

12. Nitra 10 28 28

13. Podolinec 4 4

14. Prievidza 4 4

15. Rózsahegyi 6 6

16. Satoral J. 6 1 4

17. Selmeczbányai 4 4

18. Szeged 17 1 18

19. S. Jorge 6 6

20. Tata 11 11

21. Temesvar 8 8

22. Trencin 7 7

23. Vac 14 20 34

24. Vezsprem 11 11

TOTAL 238 70 20 328

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A partir del año 1896 aparecen dos comunidades más: no se hafundado ninguna casa nueva; simplemente en Budapest y en Kolosvarse han separado la comunidad que atiende al colegio y el juniorato.

Más arriba hemos explicado ya las dificultades que presenta el P.Kalmar, Provincial de Hungría (1879-1891) para participar en el Capí-tulo General, y cómo de hecho no participan en el de 1892. En cuantoa ayuda que pide el P. Ricci para la nueva casa de Roma, dice harán loque puedan, pero también en Hungría tienen muchos gastos (434).Posteriormente hace un envío de 2250 L recogidas en las diversascasas. Y a la invitación de enviar jóvenes a estudiar a Roma, respondeque no pueden enviarlos, pues los estudios en Hungría son muy largosy muy caros, y tienen muchos estudiantes (435). La provincia de Hun-gría se muestra también generosa a la hora de contribuir para el jubi-leo de León XIII: envían 2000 L, más 5000 ofrecidas por un particu-lar, y el álbum con las composiciones que pedía el P. General (436).Responden también generosamente cuando en otra circular el P.General pide que cada sacerdote celebre una misa al mes por la casanueva de Roma. Al principio el P. Provincial pone algunas pegas,diciendo que ellos tienen también muchos gastos con la formación desus candidatos y la renovación de sus escuelas (437), pero luego res-ponde generosamente, comprometiéndose todos los años a celebrar unnúmero importante de misas a beneficio de la nueva casa de Roma (438).

En 1892 el nuevo Provincial, Emérico Levay (1891-95), informaal P. General sobre una reforma en el plan de estudios de los juniores.Le dice que tienen un Asistente para los estudios de los juniores, quelos visita y controla. Sin embargo, no tienen siempre bajo control a losestudiantes, pues deben mandarlos al menos por un bienio a la univer-sidad civil, donde hay profesores no sólo liberales, sino heterodoxos,para poder obtener el título de profesores. Luego algunos se van, ohay que echarlos (439).

Al llegar el Tercer Centenario de las Escuelas Pías, siguiendo larecomendación del P. Ricci, se prepara la publicación de una historiade la Provincia. El encargado de hacerla es el P. Benito Csaplar, queofrece un resumen al P. Ricci (440). Le dice que las cosas iban muy

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 163

(434) RP 54 B 6, 4. 167 enero 1885. (435) RP 54 B 6, 5. 25 marzo 1885. (436) RP 54 B 6, 18. 19 octubre 1887. (437) RP 54 B 6, 29. 27 septiembre 1889. (438) RP 54 B 6, 30. 27 octubre 1889. (439) RP 54 B 7, 17. 15 abril 1892. (440) RP 54 B 8, 20. 30 octubre 1896. Su obra se publicó en Eph Cal desde 1901 a 1906.

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bien en tiempo de María Teresa, pero a su muerte todo fue peor. Lasguerras napoleónicas lo empeoraron aún. Luego vinieron leyes nuevas,cambiando lo anterior. Cambió el sistema de enseñanza, creándolesmuchas dificultades. Los gobernantes se impusieron sobre la iglesia, yexigieron a los maestros religiosos que estudiaran en la universidad ypasaran exámenes. La Provincia ha tenido que hacer continuos esfuer-zos para adaptarse. La Provincia eligió ser prudente y obedecer, paramantener la fidelidad al carisma. El mal menor. Pide permiso paraescribir y publicar esa historia. La celebración del milenio ha retrasadosu trabajo. Le pide consejo sobre la extensión que tal libro debe tener.

El P. Francisco Frank sucede al P. Levay como Provincial (1895-1898). Le informa sobre las celebraciones de la Provincia con motivodel Tercer Centenario, y siguen celebrando misas por la casa nueva deRoma (441).

En 1898, por fin, la Provincia de Hungría se decide a enviar dosvocales al Capítulo General. Seguramente las presiones del CardenalPrimado de Hungría ordenándoles que fueran y no se preocuparanpor el gobierno tuvieron mucho que ver (442). En una de las sesiones,el P. Gerardo Vary lee un comunicado que seguramente haría estre-mecer de gozo a todos los capitulares, reproducido más arriba (443).Ese texto significaba ni más ni menos que todas las provincias deEuropa Central se sentían ya unidas a Roma. Sólo faltaban las provin-cias españolas, pero la unión de estas no se produciría hasta despuésdel fallecimiento del P. Ricci.

Polonia

En la biografía del P. Casanovas terminamos las noticias sobrePolonia diciendo que había dificultades de entendimiento y colabora-ción entre los dos refundadores del colegio de Cracovia, los PP. AdamSlotwinski y Tadeusz Chromecki (444). Las dificultades se iránhaciendo mayores con el paso del tiempo, hasta casi hacer inútilestodos los esfuerzos anteriores. No será hasta el generalato del P. Mis-trangelo, con el envío de algunos padres de España, que las cosascomenzarán a enderezarse.

El P. Adam escribe al P. Ricci tan pronto como este le comu-nica que ha sido nombrado Vicario General. Escribe a veces en

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(441) RP 54 B 9, 3. 20 diciembre 1897.(442) RG 249 l 5, 30. 27 junio 1898. (443) RP 54 B 9, 14. 8 agosto 1898. (444) ASP 85, pàg. 89.

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francés, a veces en latín. Le ofrece una idea revolucionaria paraaquel tiempo (445): «Para que la Orden se enderece y tenga vigor, hacefalta un poder central, y una caja común. Es necesario tener el dinero encomún y entregar el vestuario en especie, como yo hago en Cracovia.Hace falta que las escuelas de Bohemia, Hungría y Polonia estén bajonuestras leyes, y no las josefiníticas…».

Para acabar de construir el colegio, el P. Adam necesita un prés-tamo de 26.000 FR, y pide permiso para obtenerlo (446). Mientrastanto, el P. Adam tiene conflictos internos, no sólo con el P. Tadeusz,sino con los primeros escolapios polacos jóvenes, Gustavo Kalman yEstanislao Bieganski, formados en Italia, y que vuelven allí para apar-tarse del P. Adam (447).

El P. Adam muestra un gran interés por sus compatriotas, comosiempre ha hecho. Pide al P. Ricci que intervenga ante la Santa Sedepara que se permita la creación de un seminario e Polonia para aten-der a los numerosos emigrantes polacos en Estados Unidos, que care-cen de clero de su país (448). También en esto muestra estar adelan-tado a su tiempo.

Muy pronto comienzan acusaciones contra el P. Adam en relacióncon la administración de los capitales usados para la construcción delcolegio. Él se defiende, pero lo cierto es que no convence a todos desu honradez. Por otra parte, le acusan también de tener relaciones conmuchachas. Él dice que se trata solamente de un montaje para desa-creditarle, y parece ser así. Seguro de su inocencia, insiste al P. Riccique envíe un Comisario para informarse sobre la verdad, o un supe-rior de fuera. Pero el P. Ricci no lo hace; en lugar de ello le responde(en buen francés) (449): No creo que enviándoos un padre extranjero sevayan a mejorar las condiciones de la familia religiosa. Como mucho meocasionaría unos gastos que, de momento, me molestarían mucho. Eneste momento los padres hábiles están todos ocupados en los deberes dela enseñanza; un hombre viejo o de poco talento dejaría las cosas en elmismo estado. Vosotros mismos sois los que podéis mejorar vuestrafamilia, todos vosotros, del primero al último. Poneos de acuerdo, sacri-ficad los celos al amor por la Orden, dejad de ofenderos mutuamente,volved a trataros con amor fraterno, y volverá la paz, os apreciará la

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 165

(445) RP 56 B 18, 12. 10 noviembre 1884. (446) RP 56 B 18, 17. (447) RP 56 B 18, 33. 1 marzo 1886. (448) RP 56 B 18, 34. 6 diciembre 1887. (449) RLS 330, 33.

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ciudad y florecerá el colegio; volverán los alumnos y las deudas que osinquietan desaparecerán. De lo contrario vuestras disensiones domésticasrenovarán entre vosotros, en pequeña proporción (pero de modo nomenos doloroso para nosotros) el daño producido por las disensiones yodios políticos a vuestra desgraciada nación, es decir, la división y losdesgarros de los que todos los espíritus generosos se quejan aún. A Vd.,padre mío, que es el de más edad, corresponde esta tarea honrosa: hablefraternalmente con el Rector, exhorte a los religiosos jóvenes a amar a laOrden, y a la gloria de haber fundado este Instituto añadirá la dehaberlo salvado del precipicio.

Las cosas se complican en Cracovia. El P. General pide al P.Adam que dimita de su cargo de rector, para tratar de calmarlas. Y élobedece, dimitiendo, pero insiste en que envíe un comisario (450). ElP. Tadeusz es nombrado nuevo rector de Cracovia en 1888. El P. Riccile anima a trabajar por sacar adelante la casa (451). El P. Tadeusz esun hombre recto, pero carece de dotes creativas y administrativas.Inmediatamente pide un préstamo al P. General, que en aquellosmomentos está con apuros para pagar las deudas de la casa nueva deRoma, y su mantenimiento (452). Y, de paso, que dé obediencia al P.Adam fuera de Cracovia, por ejemplo, a Podolín. Y la idea de Podolínno desagrada al P. Adam (453). De hecho había sido una casa de laprovincia de Polonia durante mucho tiempo, y en la actualidad repre-sentaba poco para Hungría. El P. Ricci y el P. Provincial de Hungríaestán dispuestos a entregar la casa a Polonia, pero al enterarse el P.Tadeusz se enfada, pues no se ha contado con él, que es el superior. Yasí la operación de frustra. Y el P. Adam sigue en Cracovia, enfren-tado con el P. Tadeusz hasta su muerte, en 1894. Enfrentado y, segúnél, maltratado. Al final está enfermo, y viendo próximo su fin, escribeunas palabras que lo ennoblecen: El rector actual, para agradar a misenemigos, arruina mi salud y mi reputación, pero no podrá nunca qui-tarme ni disminuir el coraje que debe tener un sacerdote patriota. Todoslos conventos de Cracovia reciben anualmente la visita de sus generaleso sus delegados; tan sólo nosotros estamos abandonados como ovejasperdidas. Uno tiene la sensación, tras leer la abundante corresponden-cia del P. Adam enviada a Roma, pidiendo un visitador o un comisariopara aclarar los hechos de que le acusaban, que el P. Ricci no hizo lo

166 JOSÉ P. BURGUÉS

(450) RP 57 A 2, 8. 2 junio 1888. (451) RP 57 A 2, 13. 10 junio 1888. (452) RP 57 A 2, 16. 7 julio 1888. (453) RP 57 A 2, 41-44.

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suficiente para acompañar aquella casa que se levantaba con tantasdificultades.

El P. Tadeusz amenaza varias veces con renunciar al cargo si el P.General no le envía dinero para pagar las deudas: tienen la casa hipo-tecada (454). Y de hecho, la presenta, pero el P. Ricci no se la acepta.Le dice que nombrando otro rector no se van a acabar los apuros eco-nómicos, y si los jóvenes (Kalman y Bieganski) son indisciplinados, nopor cambiar de rector cambiarán ellos (455). Y reprende a los jóvenes,amenazándolos con suspenderlos a divinis (456).

El P. Ricci, que no sabe a quién hacer caso (pues el P. Adam tieneamigos que le defienden y escriben al P. Ricci), pide al Arzobispo deCracovia información sobre cómo van las cosas de los escolapios porallá. Le dice (457): Siguiendo tus consejos, nombré rector al P. Chro-mecki; ahora me llegan quejas con respecto a él. Tres diputados del Con-greso de la nación, Sokolwski, Lewakowski y Weigel me proponen tunombre como árbitro de las cosas del colegio. ¿Qué hago? ¿Es obra delP. Adam? ¿Está decayendo la casa de Cracovia? Te ruego, eminentísimoPadre, que me informes sobre su situación real, y me des el consejo quete parezca mejor.

Pasan los años, y las cosas no mejoran. Al menos el P. Tadeuszacude a los dos Capítulos Generales, representando a Polonia.Durante el Capítulo de 1898 presenta la realidad de la Provincia: lacasa de Cracovia es la única casa de la provincia de Polonia, que antestenía 24. Hay 5 sacerdotes, 1 clérigo no profeso, un hermano. Unaescuela preparatoria, con 20-25 alumnos. Hay 2 padres mayores;habría que abrir noviciado. Pero el P. Adam contrajo una deuda quetardará en pagarse 8-9 años, y la mayor parte del edificio está ocupadapara ello. Faltan medios para sustentar a los novicios. Y por eso tam-poco podemos observar la perfecta clausura. El banco alquila todaslas habitaciones que puede a quien más paga. La iglesia está bien;viene mucha gente. Todos los religiosos llevan el hábito (458).

Ciertamente no es una evolución brillante la experimentada porla Provincia de Polonia, pero al menos han sido capaces de conservary reparar la casa; pasarán unos años aún antes de que la Provincialevante cabeza. De momento han sobrevivido a un siglo terrible, cosaque, por desgracia, otras provincias escolapias no pueden decir.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 167

(454) RP 57 A 2, 24. 1888. (455) RLS 330, 45. 1891. (456) RLS 330, 50. (457) RLS 330, 36. 2 diciembre 1891. (458) RP 57 A 4, 26. 3 agosto 1898.

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EspañaMientras el P. Casanovas durante su mandato recibió miles de

cartas de España (incluidas las de sus familiares y amigos), el P. Riccien el mismo periodo de tiempo recibió poco más de un centenar. Esnatural: el P. Casanovas era muy conocido y apreciado de los escola-pios españoles, mientras el P. Ricci dejó de lado las cuestiones de lasEscuelas Pías españolas, a las que contactó prácticamente sólo parainvitar a los Superiores Mayores a acudir a los Capítulos Generales, ypara pedirles dinero para las distintas celebraciones y la casa deRoma. Ya hemos tratado la cuestión más arriba.

Si en el resto de la Orden (exceptuada Hungría) experimentabadificultades de todo tipo, las provincias españolas conocen un largoperiodo de prosperidad y crecimiento durante el mandato del P. Ricci.Sin duda tendrían también sus dificultades internas, pero como no lle-gaban a oídos del P. General, y nosotros estamos escribiendo su bio-grafía a partir del Archivo General de San Pantaleo, no vamos aentrar en ello. Los Vicarios Generales de España contemporáneos delP. Ricci (Juan Martra, 1875-1885; Manuel Pérez, 1885-1894; FranciscoBaroja, 1894-1897) y Pedro Gómez, 1897-1900) envían regularmentelos catálogos a Roma, y así podemos seguir la evolución de estas pro-vincias. Nos fijaremos en sólo tres años: 1883, 1891 y 1899 (459).Estos son los datos:

1883

En la casa central de estudios de León había 9 sacerdotes, 112juniores, 10 hermanos.

168 JOSÉ P. BURGUÉS

(459) RR 26.

Provincia Casas Sacerdotes Clérigos Hermanos Alumnos Alumnos (y novicios) internos externosCataluña 10 102 34 64 306 2896

Aragón 12 96 23 41 508 3985

Castilla 12 136 45 41 997 4362

Valencia 5 43 16 21 57 265

Cuba 2 27 12 228 505

TOTAL 42 413 240 189 2.096 12.030

Total religiosos: 842.

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1891

Casas Centrales:

• Casa Central de Cardeña: 6 sacerdotes, 92 juniores, 6 herma-nos, 8 novicios operarios (15 juniores, 3 hermanos y 3 novicios herma-nos, de la Generalidad)

• Casa Central de Irache: 8 sacerdotes, 96 juniores, 5 hermanos,27 novicios clérigos, 15 novicios operarios (25 juniores, 4 hermanos, ytodos los novicios, de la Generalidad)

• Colegio Calasancio de Sevilla: 7 sacerdotes, 5 juniores, 6 her-manos. 108 internos, 39 vigilados internos, 60 vigilados, 503 externos

1899

Las cifras indican un claro progreso de las provincias españolasdurante este periodo. Además, se está produciendo el comienzo deldesarrollo de las Escuelas Pías en América, auspiciado también por lasprovincias españolas.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 169

Provincia Casas Sacerdotes Clérigos Hermanos Alumnos Alumnos (y novicios) Internos y externos vigiladosCataluña 12 135 44 81 1175 2850

Aragón 11 92 10 37 659 3283

Castilla 14 140 44 + 36 44 935 4967

Valencia 5 45 11+24 23 263 1880

Cuba 2 30 11 154 622

TOTAL 44 442 169 196 3.393 14.105

En total, 807 religiosos.

Provincia Casas Sacerd. Juniores Herm. Novicios Al. Int. Al. vig. Al ext.Cataluña 20 201 97 74 33 326 657 4411

Aragón 13 115 62 42 29 274 704 3036

Castilla 14 180 75 51 35 998 816 4910

Valencia 6 63 32 32 11 283 320 1597

América 6 (36) (9) (19) 232 55 811

Generalidad 6 35 85 44 31 258 182 1001

64 594 351 243 139 2371 2.734 15.766

En total, 1327 religiosos.

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Durante este periodo, cada provincia española llevó a cabo algu-nas fundaciones nuevas:

• Aragón: Vera de Bidasoa (1891), Pamplona (1894). Se hizocargo, a partir de 1897, de las fundaciones de Sudamérica que habíanpertenecido a la Vicaría General: Copiapó, Concepción y Santiago deChile-Talleres en Chile; Buenos Aires y Córdoba en Argentina. En1897 se hizo cargo del colegio de Estella (1893), anteriormente de laGeneralidad.

• Cataluña: Tárrega (1884), Morella (1885), Barcelona – Calasan-cio (1893), Valls (1893), Barcelona-Sarriá (1894), Castellar del Vallés(1896), Barcelona-Balmes (1899). Además, se hizo cargo del colegiode Panamá, que había sido antes de la Generalidad española (1889-1900), y siguió con los dos colegios de Cuba.

• Castilla: Bilbao (1893). En 1897 se hizo cargo del Colegio deSevilla, fundado en 1888, que había pertenecido a la Generalidad. Nohay datos seguros sobre su aceptación del Colegio de Santurce(Puerto Rico, 1895-1899), poco antes de su cierre.

• Valencia: Castellón (1897)No están interesados los escolapios en aceptar colegios funda-

dos por «Asociaciones Católicas», y el P. Manuel Pérez explica porqué (460): Desde la revolución de 1868 en adelante se fundaron en casitodas nuestras ciudades Asociaciones llamadas Católicas de Señores ySeñoras, y entre otras obras católicas instituyeron en diversos barriosescuelas para niños y niñas, para contrarrestar la propaganda impía, y amenudo las crearon frente a las mismas escuelas irreligiosas. Quizás esteSr. Canónigo Velázquez hablará de estas escuelas dispersas aquí y allá porlos barrios y dirigidas y sostenidas por esta llamada Asociación Católica.Además de estas escuelas de la Asociación Católica hay por todas parteslas de los Escolapios, los Jesuitas, los Hermanos de las Escuelas Cristia-nas y varias más. Estas Asociaciones y seglares católicos van en ciertomodo en decadencia y querrían que los nuestros se hicieran cargo de susescuelas. Si así es, no nos conviene en absoluto. Estas escuelas separadasde nuestras casas no pueden ser vigiladas por los superiores, son perjudi-ciales para la observancia, y se les atiendo con dificultad a causa de laslluvias y los rigores de la estación en los días malos. En Zaragoza losnuestros tuvieron una lejos, separada del colegio, y debieron dejarla.

Hemos visto ya el rechazo de los superiores españoles para asistira los Capítulo Generales en Roma, apoyándose en la condición jurí-dica de la Vicaría General Española. En cambio, sí contribuyeron eco-

170 JOSÉ P. BURGUÉS

(460) RP 63 A, 186. 6 junio 1888.

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nómicamente cuando el P. Ricci les hizo la invitación. Para el regalo alPapa con motivo de su jubileo sacerdotal, España envía 6000 L y lascolaboraciones de trabajos escolares (461). En cambio, no son tanespléndidos en su ayuda para construir la casa nueva de Roma, ale-gando que en todas las casas existen dificultades económicas, y tienenuna fuerte deuda resultado de la compra de la casa de Sevilla (462). ElP. Ricci se queja de que la contribución española es pequeña, y el P.Baroja, Vicario General, le responde: Lamento que V.P. esté desilusio-nado con la erección de la nueva casa, pero no será seguramente a causade los españoles, los cuales, desde que se comenzó a fabricar en el 85 enS. Nicola da Tolentino han cumplido su palabra contribuyendo hastaahora con 1000 L anuales, cosa que no ha hecho, al menos que yo sepa,ninguna otra provincia, ni de Italia ni del extranjero, y para que V.P.Rvma. se alegre, yo hablaré en Madrid, y espero que también este año seenvíen las mil liras. He enviado otras 1000 al postulador para imágenesy medallas del B. Pompilio (463).

AméricaLa llegada «oficial» de los escolapios a América del Sur se pro-

dujo durante el mandato del P. Casanovas: los PP. Ramón Cabeza yFermín Molina llegaron a Buenos Aries en 1870, y allí empezaron suaventura un tanto irregular que concluyó dramáticamente en 1883 conmuerte del P. Cabeza. Expulsado de Buenos Aires por el arzobispo, elP. Fermín Molina se traslada a Tucumán con algunos jóvenes candida-tos. La primera carta fechada en Tucumán por el P. Molina data del29 de febrero de 1884. En ella explica al Vicario Foráneo IgnacioColombes los problemas sufridos en Buenos Aires. En 1885 escribeuna larga al P. General carta llena de optimismo presentándole la rea-lidad y las posibilidades de Tucumán (464). Empieza la carta: Mivenerado Padre General: llega por fin el día, tanto tiempo deseado, deromper el forzado silencio que he debió observar desde mi última comu-nicación a V.P. el 7 de agosto de 1883 (465). Las aflicciones que por esetiempo experimentamos fueron tan grandes que de un momento a otropodía esperarse la total ruina de estas Escuelas Pías. La prueba ha sido

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(461) RP 63 A, 181. 11 octubre 1887. El dinero enviado representaba el doble delcosto de la estatua de San Pedro encadenado que se ofreció al Papa en esa ocasión.

(462) RP 63 A, 185. 16 abril 1888. (463) RG 249 f, 9. 3 marzo 1890. (464) RP 63 B 613. 24 septiembre 1885. (465) RP 63 B 583.

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muy dura ciertamente, pero nuestra constancia en los trabajos, y másque todo, así lo creo, los ruegos de nuestro P. Ramón, han hecho quepueda anunciar a V.P. no la ruina, sino la salvación de nuestro institutoen estos países. No podía menos de suceder así; el grano de trigo quecayó en tierra y murió debía producir copioso fruto. ¡Sea Dios bendito!

Cuenta en ella que llegó a Tucumán con un hermano operario el31 de diciembre de 1883, siendo acogidos por el Vicario Foráneo.Dos hermanos Méndez les habían ofrecido la fundación en la ciudad.Y espera que va a ser económicamente productiva, y pone sus fondosa disposición de la Orden (por eso el P. Ricci dice al P. Pes que de allípuede venir ayuda para resucitar la provincia de Cerdeña). Pero pidetambién ayuda personal: Mándenos V.P. Rvma. un solo individuo queremplace al que el Señor nos ha llevado; que tenga las facultades que éltenía; un Superior Provincial para que puedan profesar y ordenarse estosexcelentes jóvenes, cuya vocación ha sido y es más que probada, y paraque puedan venir jóvenes que están esperando el aviso en España, yotros muchos de aquí mismo que ya lo solicitan. De esta manera, con elauxilio de Dios, verá V.P. multiplicarse los operarios, tan necesarios parauna mies tan copiosa.

El P. Molina siente que, sin una vinculación oficial a la Orden, lafundación de Tucumán, tan prometedora, no tiene futuro. Y el P.Ricci lo entiende también por lo que pide al Papa la incorporación dela casa de Tucumán a la Provincia Romana, y la obtiene (466):

Santo Padre. Mauro Ricci, Vicario General de las Escuelas Pías, conel más profundo respeto expone cuanto sigue. Un Padre de las EscuelasPías de España, Ramón Cabeza, partió de allí con el consentimiento delos Superiores, fue a Buenos Aires, y allí pidió un préstamo de banque-ros de aquella ciudad, se puso a edificar un amplio colegio para la edu-cación cristiana de la juventud. Buscando compañeros para aquellaempresa, fueron allí dos sacerdotes escolapios y un lego. Pero se excediótanto en los gastos que los acreedores se apoderaron de la construcción,cosa que dio motivo al Arzobispo para quedar descontento. Mientrastanto murió dicho Padre. A los tres hermanos supervivientes, invitadosa Tucumán, ciudad principal de la provincia del mismo nombre, a finalesde 1983, les pidieron que abrieran las Escuelas Pías, y tras unirse a ellosjóvenes colaboradores o novicios, hoy, con la ayuda de generosos bene-factores, ejercen con buen espíritu el Instituto, educando a un buennúmero de alumnos, y han comenzado a edificar un local escolar. Pero si

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(466) RG 2. 26 febrero 1886.

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el Cabeza de la Orden no reconoce y aprueba su obra, se sienten impo-tentes para seguir adelante. Piden por ello, y con ellos el Vicario Forá-neo Ignacio columbres dicho reconocimiento y aprobación.

Reunida aquí en Roma por el suplicante la Congregación General,y discutida la petición, ha parecido el partido más seguro el de adscribirtemporalmente dicha casa de Tucumán a la Provincia Romana, de modoque los futuros novicios viniesen a Roma a hacer el noviciado y al junio-rato para ser formados bajo los ojos de la Santa Sede. Pero mientrastanto, para aquellos jóvenes que han hecho el noviciado en condicionestan excepcionales y que no pueden moverse de allí, haría falta autorizaral suplicante a llevar a cabo aquellos actos canónicos que a causa de lalejanía y la escasez de sujetos no pueden hacerse en Tucumán.

En audiencia tenida con Su Santidad por el infrascrito Secretario dela Sagrada Congregación de Obispos y Regulares el 22 de febrero de1886, Su Santidad, teniendo en cuenta lo expuesto por el citado P. Vica-rio General de la Orden mencionada, benignamente le concedió lasfacultades necesarias y oportunas para que pueda proceder de la maneraque mejor crea en el Señor para ello. Así mismo le concede la sanatoriasobre los que haga falta. Se impone la obligación de notificar esteindulto antes de la profesión a los actuales novicios, para que quieranaceptarlo. Esta declaración se conservará cuidadosamente en el Archivode la Orden, u deben anotarla los novicios en los libros de las profesio-nes. No obstante cualquier cosa en contra. Roma, J. Card. Ferrieri Pref.

En agosto de 1886 el P. Fermín Molina es nombrado Rector deTucumán (467). Pero la adscripción de la fundación de Tucumán a laprovincia Romana era sólo una medida provisional. El P. Generaldesea que la casa pase a la Vicaría General española, sobre todo apartir del momento en que se llevan a cabo las primeras fundacionesen Chile, en febrero de 1886. Y en ese sentido escribe al P. ManuelPérez, Vicario General de España. El P. Manuel Pérez, que recuerdasin duda aún los conflictos habidos antes con el P. Cabeza, y posible-mente no se fía mucho del P. Molina, le responde (468): Con respectoal asunto de Tucumán, haré lo que pueda para secundar las indicacionesde V.P. Rvma., pero por ahora no me atrevo a tomar ningún compromisoyo solo, en primer lugar, porque está próximo el final de mi mandato, lacelebración del Capítulo General (en enero) y la elección del nuevoVicario General. Yo propondré este asunto al Capítulo General, y nocreo que haya dificultades. Además, por ahora no puedo asumir la obli-

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(467) RG 36. (468) RP 63 B, 600. 10 septiembre 1887.

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gación de enviar gente a Tucumán, dada la escasez de ingresos en estosaños pasados y nuestro desarrollo en la península. Hace dos años envié11 religiosos a Chile, a la diócesis de Concepción; unos están en Concep-ción, en el seminario diocesano, y los demás en Yumbel. Para favoreceresta expansión nuestra he abierto en Irache (Navarra) un NoviciadoGeneralicio diferente del de las Provincias; pero antes que estos jóvenesestén formados, poco podremos hacer en el extranjero. Yo siembro; otrospodrán hacer. Esperemos que el Capítulo general admita la casa de Tucu-mán, y que con el tiempo se le pueda ayudar con personal. Con aquelpersonal que comenzó con la apostasía no espero nada de bueno.

El P. Ricci insiste con respecto a Tucumán, así que el P. Pérez levuelve a escribir (469): Lamento mucho no poder satisfacer de momentolos deseos de V.P. Rvma., porque también nosotros tenemos gran escasezde personal y el personal que hay está comprometido durante el cursocomenzado. Escribiré inmediatamente al Sr. Méndez de Tucumán,rogándole que espere un poco, porque también a nosotros esto nos hacogido de improviso, y personas para países tan lejanos, teniendo queatravesar el mar, no se improvisan fácilmente. Espero que este señortenga alguna consideración ante estas razones y espere un poco. Por lodemás, yo haré lo que pueda.

La Vicaría General de España acoge, efectivamente, la fundaciónde Tucumán, como informa el P. Manuel Pérez, reelegido VicarioGeneral, al P. Ricci (470): Puedo decir a V.P. Rvma. Que esta Congrega-ción y Vicariato de Espala acoge la casa y los religiosos de Tucumán comoagregados a España, y enviará allí individuos. Pero, como decía V.P.Rvma. Otra vez, hay que andar despacio, despacio, y poco a la vez:durante este curso escolar todos los sujetos están ocupados. Hará faltaque allí esperen un poco. Una vez terminado el curso, hacia el mes deoctubre enviaré un padre como rector y otros dos sacerdotes maestros, siellos me envían lo necesario para el viaje. Uno de estos días, terminadoel Capítulo, escribiré al Sr. Méndez y al P. Molina. Ahora tengo otro com-promiso ineludible de dos fundaciones en Ecuador, y no sé qué hacer.

Y, efectivamente, en septiembre de 1888 partieron de Barcelonahacia Tucumán el nombrado P. Rector, Pedro José Díaz, con dossacerdotes (Manuel Sánchez Iglesias y Francisco Sánchez Taboada, yun hermano (471). El P. Pedro Díaz se dio cuenta de que las cosas no

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(469) RP 63 B, 598. 21 octubre 1887. (470) RP 63 B, 597. 27 enero 1888. (471) El P. Claudio Vilá en su obra Calasanz Casanovas Salamanca, 1970) dedica la

IV parte de la misma a las Escuelas Pías Americanas, con un apéndice dedicado al P.

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eran como las había contado por correo el P. Molina. No pudo conse-guir que los fundadores hermanos accedieran a firmar un contrato enregla, así que pocos meses después declaró nula la fundación, tomó asus compañeros y volvió a España. No sin antes entablar una durapolémica con el P. Molina, los hermanos Méndez y sus partidarios,acudiendo incluso a la prensa (472). No nos vamos a detener en ello.Sí señalaremos, en cambio, la opinión comunicada por el P. VicarioGeneral Manuel Pérez, que los había enviado, y que escribe al P.General (473): Las noticias que recibo de los PP. Que he enviado aTucumán no son nada gratas. El nuevo Rector no se atreve a tomarposesión, por la responsabilidad de un negocio que no tiene ningún fun-damento. No hay ni bases ni acuerdos escritos de fundación; apenas haynada construido. Los cuatro se han tenido que alojar en las llamadasescuelas, que no tienen nada de escuelas. Todo está a la merced del Sr.Méndez, que puede mandarlos fuera cuando se le pase por la cabeza,como ya hizo con otra congregación religiosa. Están desanimados.Cuando llegaron, el Sr. Méndez se fue a Buenos Aires, y también el P.Molina, sin decirles qué tenían que hacer. Yo creo que aquellos e tieneque arreglar mediante acuerdos escritos que nos garanticen estabilidad eindependencia. En este sentido mando al nuevo Rector facultades deDelegado para concertar de un modo estable y decoroso con el Sr.Méndez la así llamada fundación de Tucumán, y si no puede conse-guirlo, para concertar otra más ventajosa, a la que han sido llamados.Que el Señor encamine todo como más convenga.

Cuando ya todo ha terminado, el P. Pérez vuelve a informar al P.Ricci (474):

De los mismos documentos que me han enviado el P. Molina y el Sr.Méndez emerge que la conducta del P. Díaz ha sido correcta: esta es laopinión de mis Asistentes.

Justamente porque el P. Díaz veía el mal estado de las cosas resistiódesde el 3 de noviembre de 1888 hasta el 1 de enero de 1889 a tomarposesión del rectorado nominal, porque sólo había un pequeño edificiosin habitaciones para los religiosos. Después de tomar posesión, viendoque uno y otro se resistían a transmitir la cesión de los terrenos tanto de

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Molina y Tucumán. Remitimos a este trabajo a quienes deseen saber más sobre el asunto.Hacemos notar, sin embargo, que el P. Vilá comete un error cuando confunde al P. ManuelSánchez (Iglesias) de Castilla que llegó a Tucumán con su homónimo de Valencia queluego sería General de la Orden.

(472) RP 63 B, 624. 625. (473) RP 63 B, 631. 12 enero 1889. (474) RP 63 B, 632. 18 junio 1889.

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la escuela (por parte del Sr. Méndez) como de la iglesia (el P. Molina),que de uno y otro estaban abandonado. puesto que el Sr. Méndez senegó a dar nada y se fue a Buenos Aires, y el P. Molina vivía más conlos suyos que en nuestra casa, y que la ecónoma y proveedora de todoera una llamada prima suya, a la que acudía para todo, comprendió queaquello no podía funcionar, y no pudiendo continuar allí, decidió vol-verse. Entonces se desencadenaron contra todos estos religiosos (loscuatro que yo envié y los cuatro que estaban allí) las iras del P. Molina.Este Padre se fue de la comunidad ya no volvió más; soliviantó losánimos de todos contra los nuestros. El mismo demandó ante los tribu-nales al P. Díaz por el terreno de la iglesia, que no había cedido; indujotambién al constructor, que demandó al P. Díaz por lo construido antesde tomar posesión del rectorado. Todavía estamos en lides ante los tribu-nales llevados por el P. Molina, y no sabemos cómo terminaremos.

El P. Pérez suspendió a divinis al P. Molina por haber abando-nado la comunidad; el P. Ricci suavizó la cosa y facilitó su seculariza-ción, pasando como sacerdote a la misma diócesis de Tucumán.Cuando los otros padres regresaban a España desde Tucumán, pasa-ron a hacer una visita de cortesía al arzobispo de Buenos Aires Fede-rico Aneiros, quien les puso en contacto con un sacerdote de laciudad, José Apolinario de las Casas, que quería abrir una escuelacatólica en su parroquia. Los escolapios hablaron con él, y le dijeronque hablarían con su superior, el P. Manuel Pérez. Quien, efectiva-mente, estaba interesado en establecer una fundación en BuenosAires, como ya había establecido otras en Chile, y envió un equipo decuatro escolapios a la capital argentina en 1891. Y esta vez la funda-ción sí salió adelante con todas las bendiciones. En 1893 el obispo deCórdoba, Reginaldo Toro, ofreció un colegio a los escolapios, que loaceptaron, y de este modo pusieron sólidamente los pies en Argen-tina. Pero estas fundaciones sólo temporalmente tienen que ver con elP. Ricci, ya que él no tuvo nada que ver en ellas, al ser llevadas a cabopor la Vicaría General española.

Como tampoco tuvieron nada que ver con él las fundaciones deChile, que vamos a anotar escuetamente. D. Domingo Benigno Cruz,Vicario Capitular de la diócesis de Concepción (1883-1886; la dirigíaa falta de un obispo titular) deseaba tener religiosos en la diócesis quese dedicaran a la educación de los niños. Un amigo suyo recomendólos escolapios, y lo puso en contacto con el Vicario General deEspaña, P. Manuel Pérez, que estaba deseoso de extender la Orden enAmérica del Sur, y accedió a enviar religiosos a Chile, como hemosleído más arriba en una carta suya.

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El 2 de enero de 1886 salieron de Burdeos 6 escolapios en direc-ción a Chile: tres de Cataluña (el P. Félix Sors, nombrado Vicario Pro-vincial, y los PP. Esteban Terradas y Leandro Cuixart), y otros tres deAragón (el P. Mariano Guiu, nombrado Rector, y los PP. DomingoUrdániz y Dionisio Fierro). El barco llegó al puerto de Talcahuano,muy cerca de Concepción, en el sur del país, el 8 de febrero de 1886.Los catalanes fueron a una parroquia rural con escuela, Yumbel,mientras los aragoneses se quedaban a trabajar en el colegio-seminariode Concepción. La idea era fundar su propio colegio en cuanto pudie-ran. El P. Pérez siguió enviando nuevos grupos de escolapios a Chile,de modo que en 1887 eran 11, y en 1888, 16. Pero surgieron dificul-tades en aquellos primeros lugares, y los escolapios siguieron adelantecon su proyecto de tener colegio propio. En 1888 aceptaron otro cole-gio diocesano en Copiapó, al norte del país. Y en 1890 inauguraronun gran colegio en Concepción, abandonando las otras dos casas.

Desde que los escolapios llegaron a Chile intentaron poner los piesen la capital, Santiago. En julio de 1887 comisionaron al P. Terradaspara que fuera a intentar una fundación allí. Sin embargo, no lograronnada durante los primeros años. Se iba haciendo cada vez más necesa-ria la fundación en Santiago, a causa de los frecuentes viajes a la capi-tal, en los desplazamientos entre Concepción y Copiapó, y haciaArgentina atravesando los Andes. Al fin se presentó la oportunidad en1896, cuando la Junta de Beneficencia de Santiago ofreció a los escola-pios hacerse cargo de la formación de los niños de un orfanato, deno-minado Talleres Providencia. Ninguna de estas fundaciones quedó enmanos de los escolapios a largo plazo, pero sirvieron para que, poco apoco, los escolapios arraigaran en Chile hasta el día de hoy.

Con las casas de Chile y Argentina se constituyó en 1893 la Vice-provincia Argentino-Chilena dependiente de la Vicaría General espa-ñola, que en 1897, con la supresión de la Generalidad española, seconvirtió en Viceprovincia dependiente de la Provincia de Aragón.

Fundaciones e intentos de fundación

En nuestro Archivo General hay documentación sobre una seriede invitaciones para fundar casas durante el generalato del P. General.Se refiere, naturalmente, a intentos italianos, pues en otros países con-tactaban los interesados con los respectivos superiores. Se trata, orde-nadas cronológicamente, de las siguientes:

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• Warenz (Polonia), 1880-1885. El dueño del colegio que fue delos escolapios lo ofrece al P. Adam, de Cracovia, que estaría dispuestoa aceptar la fundación, y ofrece dos sacerdotes en 1885 (475).

• Bojano (Molise), 1885. El obispo pide dos sujetos hábiles paradirigir el seminario y dar clases (476).

• Busseto (Emilia), 1886. El párroco pide, de parte del munici-pio, que se ocupen de las escuelas del pueblo (477).

• Capodistria (Triestino, hoy Eslovenia), 1888. El obispo ofreceun seminario, con clases de gimnasio. El director deberá ser súbditoaustriaco; él pagará; la principal tarea de los sacerdotes será la direc-ción del internado (478).

• Aosta (Piamonte), 1889. El obispo ha construido un colegio enAosta para 100 alumnos. Le quiere encargar la dirección del gimnasio,con dos o tres religiosos con patente, y que hablen francés, la lenguadel lugar (479).

• Acireale (Sicilia), 1893. El obispo ha creado un colegio, inter-nado y externado; los dos sacerdotes que lo llevaban están enfermos yquiere pasarlo a una congregación religiosa. Que asuman de momentola dirección; él pondrá de momento algunos sacerdotes (480).

• Tolima (Colombia), 1895. Transmite la petición el Card. Ram-polla, con carta de la embajada de Colombia. El obispo de la diócesisrecientemente fundada desea un colegio de escolapios (481).

• Catania (Sicilia), 1897. El arzobispo propone la fundación. Lespide que acepten la dirección del internado. Se conforma con uno odos religiosos (482).

• Loano (Liguria), 1898. El municipio ofrece un convento quefue de los agustinos. Quieren tener una escuela secundaria, con gim-nasio. Ofrecen todo, iglesia, internado… Quieren educación católicapara sus hijos (483).

• Gubbio (Umbria), 1898. El Obispo pide al menos un rector delseminario para un año (484).

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(475) RHB 134 B. (476) RHB 129 B. (477) RHB 129 B. (478) RHB 129 B.(479) RHB 129 A. (480) RHB 129 A. (481) RHB 134 B. (482) RHB 130 A. (483) RHB 131 B. (484) RHB 131 A.

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Hemos visto más que durante el mandato del P. Ricci los escola-pios mantuvieron contactos con las Calasancias de Italia, con los Kala-santiner de Austria y con los Padres Cavanis. También tuvieron rela-ción con los PP. De Timón David (485). El P. Raffaele Cianfroccamantuvo con él un interesante intercambio epistolar. En 1991 comu-nica al P. Ricci que hacía unos días le había escrito Timón David,diciendo que se había recuperado de su enfermedad y seguía traba-jando en la defensa de la Orden, y le invitaba a ir a Marsella. Peroayer le llegó anuncio de su muerte. Una gran pérdida. Habría queinformar a toda la Orden, y ofrecer sufragios (486).

Valoración del generalatoEl P. Mauro Ricci llegó al generalato forzado por las circunstan-

cias. Era uno de los escolapios más brillantes de su generación, si noel más brillante, al menos en cuanto a producción literaria se refiere.Era un hombre recto, y de mentalidad tradicional, no carente de ener-gía. A veces era duro en sus expresiones y juicios, y por todo ello fueconsiderado como un hombre con capacidad de mando. Y contra suvoluntad fue elevado al cargo de Asistente General, y luego de VicarioGeneral. Y fue fiel a su deber, y por eso sus hermanos lo eligieron tresveces como Superior General.

Sin embargo, era un intelectual, y florentino. Por eso pasó lamayor parte del tiempo, mientras tenía responsabilidades sobre todala Orden, en Florencia (cosa fácil de comprobar por las muchas cartasque le dirigían desde Roma en aquellos años), y da la impresión quededicando buena parte de su tiempo a su producción literaria (bastacon ver la fecha de publicación de no pocas de sus obras), mientrasconfiaba a otros el cuidado de los asuntos de la Orden. El P. Tassinari,su consejero de confianza, le indica que debe pedir residencia y domi-cilio en Florencia (487).

A diferencia de su predecesor, o de sus sucesores, no viajó fuerade Italia, y aún en Italia muy poco, excepto el trayecto Florencia-Roma y vuelta, y algún viaje esporádico a Nápoles y Pompei. Es ciertoque buscó la reunificación de toda la Orden, pero hizo poco para

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(485) Cf. La biografía del P. Casanovas en ASP 85, pàg. 152-153. Cf. TambiénCf. VILÁ PALÁ Claudio, SAUVAGNAC R., «Cartas de algunos escolapios a Timón David»,en Archivum Scholarum Piarum XII (1988) 23, 233-324.

(486) RG 249 l 5, 4. 13 abril 1891. (487) RG 249 l 13, 11. 2 mayo 1892.

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lograrla, aparte de escribir algunas circulares invitando a todos coninsistencia a que acudieran al Capítulo General, o pidiendo ayudapara la construcción de la casa nueva de Roma. Su sucesor, AlfonsoMistrangelo, consiguió mucho más en un viaje de pocas semanas aEspaña que él con todas sus circulares. Una visita suya a las provinciascentroeuropeas, que la deseaban (y en particular, Polonia) podría talvez haber mejorado mucho las cosas. Pero no la hizo: se conformócon escribir cartas. Quizás su salud no le permitía emprender largosviajes, o quizás estaba demasiado ocupado con sus escritos.

Con todo, hay que reconocerle algunos indudables méritos:• Consiguió construir la casa nueva en Roma, en Vía Toscana,

como signo de presencia sólida de los escolapios en Roma. • Aunque los resultados prácticos de la misma se quedaron

mucho más cortos que los sueños que tenía depositados en ella. • Consiguió la unión de las provincias centroeuropeas con las ita-

lianas, logrando que representantes suyos vinieran a los Capítulos Gene-rales de 1892 y 1898. El mismo hecho de celebrar esos capítulos es yaun gran logro: habían sido interrumpidos desde el tiempo de la supre-sión de las Órdenes Religiosas en Italia. Intentó también la resurrecciónde las provincias de Sicilia y Cerdeña, pero aquí no pudo lograr nada.En cuanto a la unión de las provincias españolas, había que esperar lallegada de un papa y de un General con mentalidad renovada.

• Mantuvo unas excelentes relaciones con la Santa Sede y elPapa León XIII, y gracias a ello, tal vez, se obtuvo la beatificación dePompilio Pirrotti, y que fueran nombrados obispos y arzobispos tresescolapios durante su mandato (Celestino Zini, Alfonso M. Mistran-gelo y Vicente Alonso), y otro poco después de su muerte (GiovanniOberti, 1901).

• Animó el impulso de la Orden hacia una mayor observancia,volviendo al espíritu de las Constituciones una vez terminados lostiempos difíciles que la Iglesia y la Orden habían tenido que pasardurante varias décadas.

• El simple hecho de la larga duración de su generalato (16 añosen total) contribuyó a dar estabilidad a la Orden; es un dato positivo.Y hay que reconocer su generosidad y espíritu de sacrificio para acep-tar su elección en 1898, cuando él, a causa de la edad y de la pocasalud, había pensado ya antes renunciar al cargo.

Será justo también, para terminar, ofrecer una valoración aprecia-tiva de un par de errores que cometió, y que traerían penosas conse-cuencias para sus sucesores. Errores de apreciación, de previsión, quepara nada empañan su amor a la Orden y su deseo de hacer lo mejorpara ella:

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• El mayor fue su apoyo decidido y poco crítico a la obra dePompeya de Bartolo Longo, a la que sacrificó importantes fuerzasvivas que eran necesarias en otros lugares de Italia. Como otros con-temporáneos suyos, quedó deslumbrado por el Santuario de Pompeya,y el Hospicio para los hijos de los encarcelados, una obra sin dudamuy escolapia, y con muchas posibilidades. Pero cometió el graveerror de no atar fuertemente las cosas antes de comprometerse, con uncontrato que garantizara a los escolapios una autonomía educativa queBartolo Longo, hombre de promesas seductoras, nunca les concedió.Como veremos al presentar la biografía del P. General Mistrángelo,este error costó muy caro a la Provincia de Nápoles especialmente.

• También resultó a la larga un error la construcción de la casade la Vía Toscana, que representó un sacrificio económico enorme, apesar de que la hemos presentado como un logro parcial, y no resol-vió las necesidades reales de las Escuelas Pías de la Provincia Romana,ni de las otras provincias italianas. El lugar escogido fue inadecuado;el espacio, demasiado pequeño para construir un colegio moderno.Una vez construida la casa no encontró el personal adecuado paraequiparla, y las escuelas públicas nunca levantaron cabeza. Pesó sobresus sucesores, hasta que se deshicieron de ella en 1918.

El P. Dionisio Tassinari, Vicario General de la Orden durantedos meses

El P. Tassinari tiene derecho a aparecer en esta lista de Biografías,pues, aunque no fue Superior General, rigió la Orden como VicarioGeneral desde la muerte del P. Mauro Ricci (27 enero 1900) hasta elnombramiento por el Papa del P. Alfonso Maria Mistrangelo comoSuperior General (4 abril 1900). Ciertamente en estos dos meses nopudo hacer muchas cosas, pero desde que fue nombrado AsistenteGeneral en 1889 (sustituyendo al difunto P. Antonio Rolletta) hasta elfallecimiento del P. Ricci, fue los ojos, los oídos, las manos y los piesdel P. Ricci en Roma. Y aún antes, como se puede ver en sus cartas.Merece, pues, que dediquemos también unas páginas a presentar loesencial de su vida y de su acción.

El P. Dionisio Tassinari (Sebastián en el bautizo) había nacido enModigliana (Emilia) en 1823. Hizo su profesión solemne en la Ordenen 1847, en Siena. Después de algunos años como profesor en varioscolegios, en 1861 fue nombrado vicedirector del Real Orfanato deSiena. Debía hacer un buen trabajo, pero su situación no estaba clara.El P. Luigi Gheri, Provincial de Toscana y Asistente General, escribe

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al P. Angelo Bellincampi, también Asistente General (488): En cuantoal P. Tassinari, no le sorprenda que el P. Pendola le haya escrito en favorsuyo, sugiriendo que esta Congregación cierre los ojos sobre la viviendade este individuo en Siena, separado de nosotros y con nuestro hábito enotro instituto, donde entre los maestros hay también una mujer (…) Siquiere dedicarse a enseñar de manera mercenaria, que lo haga, pero acondición de que no pertenezca a nuestra Sociedad, pues de lo contrariosería un escándalo imperdonable.

Es obvio que el P. Gheri tiene una visión mucho más conserva-dora sobre el ministerio escolapio. Por ello había dado obediencia alP. Tassinari para que fuera al colegio de Cortona, pero él se negaba asalir de Siena (489). De hecho, había recibido amenazas de suspensióna divinis si no se sometía en 15 días, y por ello pidió a un amigo suyo(probablemente el P. Leone Sarra, Provincial de la Romana) que inter-cediera por él ante el P. General (490). El P. Pendola escribe al P.Gheri (491): El P. Tassinari vive de incógnito en el Colegio Tolomeiesperando su resolución. Digo de incógnito porque yo le he permitidovivir de esta manera, en contra de las disposiciones de la Comisión laica.El P. Pendola, de gran corazón, defiende al P. Tassinari frente a lasacusaciones de los superiores toscanos.

Encontramos en nuestro Archivo General un memorial sin fechani firma (quizás el autor es él mismo, o el P. Pendola) en el que seexplican las circunstancias del P. Tassinari por estas fechas (492):

El P. Tassinari estaba desde hace 12 años en la dirección del Orfa-nato de Siena, de la que ha salido por enfrentamiento con el Jefe delOrfanato, que es un enemigo del Clero. En Siena hay dos casas escola-pias, el Colegio y el Instituto de Sordomudos, y las dos dependen delGobierno y directamente también del Municipio, que es el que suminis-tra el dinero a las dos. La persona con la que se ha enfrentado el P. Tas-sinari, como Alcalde de la ciudad, podría, si el P. Tassinari entrase enestas dos casas, perjudicarnos, negándose a dar las subvenciones que elMunicipio concede. Por eso el P. Tassinari no quiere, ni puede, insistirpara vivir en el colegio ni en el instituto de sordo-mudos. El P. Tassinaridebe salir de Siena, Pero el P. Tassinari tiene un instituto de instrucciónelemental y técnica fundado por él, y que cuenta con más de 50 jóvenes

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(488) RG 242 B b, 128. 16 octubre 1872. (489) RG 242 B b, 133. 19 noviembre 1872. (490) RG 242 B b, 137. 1 febrero 1872. (491) RG 242 B b, 144. 25 noviembre 1872. (492) RG 243 B b, 19.

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de las mejores y más ricas familias de Siena, y los maestros de este ins-tituto son buenas personas, a las que el P. Tassinari paga con los ingresosque recibe de los escolares que frecuentan el instituto.

En Siena, excepto las malas e incluso poco religiosas Escuelas Muni-cipales, no hay escuelas primarias dirigidas cristianamente, y por ello elinstituto fundado por el P. Tassinari cuenta con la bendición de todos losbuenos padres, y, de hecho, cuenta con los hijos de todas las familias máscristianas y más ricas de Siena. Por ello es necesario mantenerlo allí.

Y para que no se prive a Siena de estas escuelas, porque el P. Tassi-nari no puede romper los compromisos que tiene con maestros y padres,y porque no está dispuesto a sufrir una violencia injusta, (el P. Tassinari)pide poder vivir en Siena, a pensión en casa de personas propuestas porel Superior, pero siempre con toda conveniencia. Bien entendido queharía falta que dependiera del General, o al menos que fuera él, y no elProvincial, responsable de este permiso.

Sin embargo, ese permiso no se le concede; es enviado al colegiode Empoli. En 1875 el Cardenal Berardi pide al P. General Casanovasque envíe al P. Tassinari a dirigir el colegio fundado por su hermanoen Ceccano, su ciudad natal. Él escribe al P. Provincial Zini para quelo envíe allí (493): Ayer vino el Emmo. Cardenal Berardi (494) a pedirmeque envíe a Ceccano para este año al P. Tassinari para poner en marchaun colegio que se está formando, ya que por ahora cuenta con escasoselementos en cuanto a la idoneidad del personal. Tras oír mis comenta-rios me recomendó mucho que escribiera a V.R. pidiéndole en nombresuyo que le hiciera ese favor. Yo no tengo ningún tipo de inconvenientepara que dé permiso al padre Tassinari para que vaya a Ceccano a orga-nizar ese colegio; de hecho, entiendo que en el actual estado es necesariopara el colegio que el Padre citado vaya allí, ya que la difícil continuidaddel Colegio Nazareno y del de Alatri no permiten tocar a los pequeñosequipos de estos dos colegios. No sé lo que será el Colegio de Ceccano,abierto con poco felices auspicios por parte de los Escolapios, peroentiendo que un día podría ser un refugio para esta Provincia Romana,principalmente si se puede conseguir que algunos maestros obtengan eltítulo profesional. Por lo tanto, si V.R. puede hacerlo así sin gran moles-tia para su Provincia, envíe pronto a Ceccano al P. Tassinari, que ahoraes una necesidad real para ese colegio, y diga al Padre que esta vez tienepermiso no sólo de V.R., sino también del Padre General, y si puede, lo

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(493) RG 244 b 1, 18. 14 diciembre 1875. (494) Hermano del marqués Filippo Berardi, que luego será Comisario del Colegio

Nazareno.

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haga inmediatamente, por el bien de ese colegio y para satisfacer eldeseo del Cardenal, que querría establecer allí a los escolapios. Si el V.R.retrasa su permiso al P. Tassinari, escríbeme inmediatamente, para poderpresentar la carta al pesado de Cardenal.

El bueno del P. Zini hace todo lo posible por satisfacer al P.General, y le informa (495): Para satisfacer el deseo de su Eminencia,que para nosotros es una orden, y además al deseo de V.P. Rvma. y, per-mita que añada, también el mío, no tenía otro remedio que presionar alpadre Rector de Empoli, donde enseña el P. Tassinari, para inducirlo arepartir sus clases de modo que el citado Padre quedara libre. Pero todoslos esfuerzos han fracasado. El P. Rector del Empoli declara que nopuede ceder al P. Tassinari sino con la condición de que envíen a alguienen su lugar; cosa imposible, porque en toda la provincia no hay nadie dereserva; de hecho, no hay ninguna casa donde, si se pudiera, no habríaque agregar algunos sujetos.

Así que le pide que envíe alguno de los religiosos que están inac-tivos en San Pantaleo (puesto que en 1874 se cerraron allí las escue-las). El P. General promete enviar pronto alguien de Roma, y el P.Tassinari parte para Ceccano. Pero quien debía llegar se retrasa, locual crea problemas en Empoli (496). Y allí sigue, al frente del colegioal que envían algunos escolapios jóvenes para que le ayuden, siempreen pequeño número, como los PP. Giustino Cianfrocca y Adolfo Brat-tina, que son ordenados sacerdotes estando allí. Sin embargo, prontosurgen problemas en Ceccano, y el P. Tassinari se queja al P. General,quien le anima a seguir allí (497). Y allí sigue hasta que el P. Riccisucede al P. Casanovas al frente de la Orden.

Con toda seguridad Tassinari y Ricci se conocían de antes: erande la misma provincia, casi de la misma edad. Y por las cartas escritaspor el primero se nota una gran confianza entre ambos: Tassinarisiempre tutea a Ricci, y se despide de él como «tu Dionisio». Conser-vamos más de 150 cartas dirigidas por al P. Tassinari al P. Riccidurante su generalato, lo cual demuestra al menos dos cosas: que el P.Ricci estaba muy a menudo en Florencia, y que era Tassinari el que seocupaba de muchos asuntos del gobierno, incluso antes de ser Asis-tente General. Muy poco después de su nombramiento como VicarioGeneral parece que ya Ricci le ha confiado algunos asuntos de impor-

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(495) RG 244 b 1, 7. 23 diciembre 1875. (496) RG 244 b, 2, 12. 22 febrero 1876. (497) Sobre el P. Casanovas y el colegio de Ceccano ya tratamos al escribir su bio-

grafía. Cf. ASP 84, pàg. 52-54.

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tancia, como intentar la compra de San Pantaleo, y de terreno paraconstruir un colegio nuevo en Roma. Asunto que lleva en secreto,para que no hable la gente. Incluso le sugiere nombres para AsistentesGenerales, Provincial de la Romana, rectores… Y le aconseja que dejelas clases (que no había dejado siendo Asistente General) (498). Leofrece unas palabras clave y una esperanza: Silencio, actividad, coraje yfe en S. José. Confío en que no moriremos antes de ver las Escuelas Píasflorecientes, más que cuando nosotros entramos en la Orden (499).

Al ir pasando el tiempo, el P. Ricci decide que el P. Tassinari setraslade a Roma, o es él mismo quien lo pide. Principalmente parallevar adelante el asunto de la construcción de la casa nueva. Hay unadificultad: el marqués Berardi no acepta fácilmente que deje la direc-ción del colegio de Ceccano, pues realmente lo hacía bien. Escribe alP. Ricci (500):

Si Dios me ayuda para liberarme de Ceccano, verás que en Romaresurgiremos. Día y noche me asedian señores, padres, Berardi, hijos;incluso la Sociedad Obrera vino ayer a suplicar a Berardi que te rueguea ti, a los Cardinales, al Gobierno, Diputados, etc. Puedes creer que meagobian, pero tú mantente firme, que yo me mantengo firme.

Quizás yo no haga nada en Roma, pero tengo mucha fe, y ennoviembre de 1889 debe comenzar a surgir en Roma una Escuela Cala-sancia, aunque sea con seglares, como hice en Siena, y como hizo el bar-nabita Della Quercia en Florencia, como ha hecho el jesuita Mussimo enRoma, como han hecho los escolapios en Nápoles, etc.

Y debe también estudiarse bien la cuestión del Nazareno, donde nopodremos seguir por mucho tiempo, puedes estar seguro. Es un lugar enel que falta todo: capital, comodidades domésticas, etc. Sé que una con-desa fue allí a ver el local y se escandalizó no viendo nada de lo que hoyse requiere para los educandos. Fue un gran error no aceptar el ProyectoBerardi, cuando la Banca Tiberina estaba dispuesta a pagar más de unmillón. Con la manía de conservar, terminaremos destruyéndolo todo. Nuestro plan debe ser

1) Formar en Roma una casa general para los mayores, vagabundos,novicios y juniores.

2) Poner la primera piedra para un edificio de escuelas con internado.3) Formar buenos maestros.4) Hacer de Italia una sola gran Provincia.

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(498) RG 249 l 13, 151. 18 septiembre 1884. (499) Ibidem. (500) RG 249 l 12, 8. Sin fecha.

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Ya sé que no faltarán oposiciones, gente en contra, etc., pero ni loscontrarios ni las oposiciones serán más que los que tuvo S. José. Ánimo,pues, y firme.

Los escolapios romanos tienen muchas ideas mezquinas, pero loshechos que ocurren continuamente van iluminando a los tuertos; losciegos no verán nunca, así que no vale la pena ocuparse de ellos.

No pierdas el tiempo llamando a los gandules que abandonaron elcampo en el tiempo de las primeras batallas: estos, sin fuerzas y sindinero, llaman a nuestras puertas para entrar y asegurarse la hogaza,pero sin ganas de trabajar, con mil pretensiones, con la manía de mur-murar, como el consultor de Bari y Revelli en S. Pantaleo. Necesitamostranquilidad para volvernos a levantar. Predica a todos en este sentido yverás cómo todos se persuaden. Adiós de corazón.

El Marqués Berardi amenaza a la Orden con destruir al Nazareno(sobre el cual tenía poder, como presidente de la junta directiva) (501).Pero al fin todo se arregla, y el P. Tassinari, y los escolapios abandonantoda responsabilidad sobre el colegio de Ceccano en 1889. El motivoúltimo tal vez es el nombramiento del P. Tassinari como AsistenteGeneral para suplir al difunto P. Antonio Rolletta. Una vez en Roma,el P. Tassinari se centra sobre todo en la construcción y ordenación dela casa nueva, en la que tenía puestas muchas ilusiones, como el P.Ricci. Leyendo las cartas del P. Tassinari, se podría pensar que es élquien inspira al P. General su pasión por esta nueva casa. Tras com-prar una parcela en la antigua Villa Ludovisi, comienzan las obras. ElP. Tassinari las sigue muy de cerca, da órdenes sobre su distribución,etc. E informa regularmente al P. Ricci sobre el avance de las obras.Ya más arriba hemos informado sobre sus planes y sus intervenciones.

Mientras tanto, una vez construida la casa y en funcionamiento(se inaugura oficialmente con el Capítulo General de 1892), quedanlas deudas por pagar. Habla de una deuda de 300.000 L, que debe laOrden a diversos bancos. Y es el P. Tassinari quien va dando la carapor todas las partes para ir pagando las deudas más urgentes (almenos los intereses anuales de la hipoteca). Veamos una de la peticio-nes de préstamo que presenta (502):

El P. General de las Escuelas Pías, que por la ley de supresióngobernativa ya no tiene derecho a residir en San Pantaleo, pensó adqui-rir un terreno construible del Sr. Príncipe de Piombino, el cual, al saberque aquella construcción debía servir para vivienda del General, de los

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(501) RG 249 l 13, 10. (502) RG 249 l 13, 5.

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novicios, de los juniores, para escuela y para una iglesia pública, cedió elterreno a un precio moderado, si se tiene en cuenta su buena situación.No es este el lugar para hacer notar los sacrificios hechos y por hacer detoda a Orden de las Escuelas Pías para construir el citado edificio, ytampoco el bien que vendrá a las Escuelas Pías y a muchas familias cris-tianas que en aquella iglesia encontrarán el lugar para cultivar sus senti-mientos religiosos y sus prácticas cristianas, y en aquellas escuelaspodrán educar la mente y el corazón de sus hijos.

Pero para completar la construcción de aquel edificio, el P. Generaly todos los escolapios se ven obligados a tomar un préstamo a devolveren 30 o 40 años, pagando un tanto por ciento anual entre interés y devo-lución del capital pasivo. Para hacer esta operación el P. General ha pen-sado dirigirse a la Caja de Ahorros, a cuya dirección se encuentran dis-tintos señores del Patriciado Romano, y de ellos no puede temer unanegativa; más bien espera obtener las mayores facilidades para que laconstrucción en la que se trabaja activamente se termine lo más prontoposible. Por ello pide 150.000 L. La Caja de Ahorros no debe temernada, pues aparte de tratar con el Jefe de una Orden Religiosa, tiene yala garantía del valor del terreno y de la parte de edificio ya construido.Pero, teniendo en cuenta las leyes excepcionales o estatutarias, e inclusola miseria de los tiempos, la Caja de Ahorros podría entregar en el actofirmar el préstamo la tercera parte; otro tercio al completarse el primerpiso y el último tercio al completarse la obra. Y, en el supuesto de quedebido a leyes propias del estatuto de esa Caja y también a causa de lostiempos actuales no se pudiesen aceptar las garantías citadas, el mismoP. General propondría que se le abriera una cuenta corriente, y si sufirma no fuese garantía suficiente, podría encontrar dos personas respe-tables que le sirvieran de aval hasta la conclusión de la obra.

El P. Tassinari insiste varias veces al P. General para que cierrecasas que suponen muchos gastos y pocos beneficios: Poli, Frascati, S.Lorenzo… Opina que es mejor tener un solo colegio que funcionebien que varios que funcionen mal. Su pesimismo le hace ver muyoscuro el futuro de la Provincia Romana. Curiosamente, en sus cartasrara vez habla de otras cuestiones que afecten a la Orden en otroslugares. Está obsesionado con Roma y la casa nueva de Vía Toscana,como si de ella dependiera el futuro de la Orden. Sin embargo, no eraasí, como años más tarde se vería. En sus relaciones con el P. Ricciresulta muy absorbente: le recomienda que no se fíe de los demás, yen particular de los jóvenes. La tiene tomada en particular con losjóvenes profesores del Nazareno, demasiado liberales y poco obser-vantes según opinión. Consigue que al P. Adolfo Brattina, uno de

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ellos, lo envíe a la Badía Fiesolana, donde hará un excelente papel,porque según él era un mal ejemplo para los juniores. No sospechabaque de este modo le estaba preparando el camino hacia el Generalato,que él tuvo que soportar. Contra otro joven, el P. Luigi Pietrobono,nada pudo: su posición comenzaba a ser muy sólida en al Nazareno,prácticamente inatacable, y ni él ni otros después de él consiguieronreducirlo o alejarlo. Tiene el P. Dionisio, en definitiva, unas ideas muyconservadoras, como expresa en una carta al P. Ricci (503): Si el Naza-reno florece es por haber conservado normas antiguas; si se hicieran refor-mas según las opiniones actuales, o sea liberales, caería su estima frentea las familias, y perderíamos el apoyo o la tolerancia del clero y del Vati-cano. Los jóvenes no calculan estas cosas, porque no tiene experiencia.

Concluyendo, podemos decir que en muchos aspectos el P. Dio-nisio Tassinari fue «el hombre del P. Mauro Ricci en Roma». Le acon-sejó en muchos temas concretos, particularmente en cuanto a Roma ylas casas de la Provincia Romana. Y el P. Ricci debió confiar muchoen él, para mantenerlo en el puesto de Asistente General por más de10 años. Si el P. Ricci tuvo un generalato relativamente tranquilo, enparte debió agradecerlo a haber tenido a su lado a un hombre prác-tico como el P. Tassinari. Tras la muerte del P. Ricci siguió aún unosaños en Roma, donde ocupó el cargo de rector de S. Lorenzo inBorgo, ocupándose sobre todo del culto de la iglesia. Finalmente seretiró al noviciado de Florencia, donde falleció en 1907, a los 84 añosde edad.

188 JOSÉ P. BURGUÉS

(503) RG 249 l 13, 133.

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Apéndice. Obras del P. MAUROR ICCI (504)

I. Collezione in sedici volumi ordinata dall’Autore

Vol. I.PROSE SACRE E MORALI (2a ediz. Firenze, Tip. Calasanz. 1895) pp. VI-376.

L’autore ai lettori [nella prima ediz. precedeva un’ampia amena prefazione,che da questa 2ª l’autore tolse per pubblicarla a parte; ma poi non ne fece altro,o non fu in tempo]. - La Fede Cattolica in Firenze (Discorsi tre). - Panegirici diS. Giuseppe Calas., di S. Sebastiano, di S. Vincenzo de’ Paoli, di S. Andrea Cor-sini. - Due Discorsi su S. Luigi G. - Il razionalismo nelle arti. - S. Pietro e l’indi-pendenza italiana. - Discorso sul nuovo Ospizio pe’ figli dei Carcerati in Valle diPompei. - Discorso al Congresso Eucaristico di Napoli. - Il Cappuccino Card. G.Massaia. - Catechismo per sorpresa (Due dialoghi). - Pare un San Luigino. - Learti cristiane. - Prolusione nel centenario di San Francesco letta nel teatro diAssisi. - Il monumento in Roma a Giordano Bruno. - Descrizione d’una SacraSolennità.

Vol. II.PROSE LETTERARIE E DI VARIO ARGOMENTO (2a ediz. Fírenze, tip.

Calas. 1896) pp. IX-440. FILOLOGIA: Lettere di Possidonio da Peretola sul vocabolario dell’uso

toscano di Pietro Fanfani. - Sulla voce sindaco: diatriba filologica. - Sui quesitifilologici del Sig. De Minimis. - Moralità filologiche. - Sul vocabolario di parole emodi errati compilato da Filippo Ugolini, - LETTERATURA: Pietro Metastasio(per il Centenario dell’Arcadia). - Delle epigrafi. del Padre Mauro Bernardini Sco-lopio. - L’Arcadia (nel suo centenario del 1890). - Reminiscenze di Niccolo Tom-maseo. - Galileo giudice del Tasso. - Ulisse Dacci. - Novelle rubate a GuglielmoShakespeare (1a Pericle Principe di Tiro, 2a La Novella d’Inverno). - Di Fedro edelle sue favole. - Filantropia graduale. - In Milano (dialogo tra G. Giusti mortoe un Fiorentino vivo). - PROSE DI VARIO ARGOMENTO: Gli orfanelli agri-coltori nella tenuta di Castelletti. - Occasione e cause d’una conversione al prote-stantesimo. - Il latino al giorno d’oggi. - Per la sentenza contra la Propaganda,versi del Can. G. Fiorenza. - S. Pietro in Roma, Dramma del P. Giulio Metti. -Della imitazione di Cristo, volgarizzata da Cesare Guasti. - Voce di po polo vocedi Dio. - Introduzione agli Esercizi del Catechismo. - Oratorio e Ricreatorio. -Stanislao Konarski Scolopio Polacco giudicato da Agostino Theiner.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 189

(504) PIETROBONO, Luigi. Mauro Ricci, Generale delle Scuole Pie. Ricordato neisolenni funerali celebratigli a Roma il 27 Febbraio 1900 nella Chiesa di S. Pantaleo. FirenzeTip. Calasanziana. 1900. Hist Bibl. 241. El autor indica que no pretende proponer unabibliografía rigurosa, sino tan sólo un catálogo de sus obras, según la propia distribucióndel autor en 16 volúmenes, más algunas otras que él no incluye en ellos. Dice al final quedeja fuera obras menores, como poesías, inscripciones, bibliografías, etc. En revistas yperiódicos. El P. Ricci fue además editor de la Piccola Biblioteca ascetica Calasanziana, yalgunos volúmenes de la misma contiene prólogos suyos.

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Vol. III. VITA DELLA SERVA DI DIO ANA FIORELLI NEI LAPINI FONDATRICE

DELLE SUORE FIGLIE DEL LE SACRE STIMATE DI S. FRANCESCO(2ª ediz. corretta e accresciuta Firenze, tip. Calas. 1899) pp. IX-486.Precede una prefazione L’Autore ai lettori, una lettera del P. Bernardino da

Portogruaro Generale dei Minori e un Proemio: la Vita è distinta in quarantaparagrafi, e seguita da una conclusione

Vol. IV. L’ALLEGRA FILOLOGIA DI FRATE POSSIDONIO DA PERETOLA (4a

ediz, Firenze, tip. Calas. 1898) pp. 406.Vita di frate Possidonio da Peretola e Prefazione. - Sei dialoghetti filologici.

- Le merende di fra Giocondo da S. Matteo (sei dialoghi filologici). - Rispostebizzarre agli amici (14 lettere filologiche). - Frate Possidonio da Peretola ai suoiBenevoli. - Il Medesimo ai suoi Malevoli. - Nell’anniversario della morte di FratePossidonio da Peretola. Elogio.

Vol. V.VITA DELLA SANTA MADRE TERESA DI GESU RIFORMATRICE DEL -

L’ORDINE DEL CARMELO (Firenze tip. Calas 1874) pp. 478.Precede una dedica alla nobil Signora Maria dei March. de Labruguière nei

Gondi: segue un proemio (pp. 1-11), poi la Vita in quaranta paragrafi.

Vol. VI. VITE DI CARI DEFUNTI (Firenze, tip. Calas. 1875) pp. 16-439.

Ai Cortesi Lettori. - Dedica (al P. G. Manni). - Giacomo Enea Pasolini, Uffi-ciale di Cavalleria - Guido Palagi, canon. della Metrop. Fiorentina. - FederigoBarbolani dei Conti di Montauto. - Pierantonio Laparelli Baldacchini cav. di S.Stefano. - Francesco Fallani studente. - Demetrio Bini priore di S. Stefano. -Giulio Metti Vescovo di Livorno - Enrico Danti, Cav. Priore dell’Ord. di S. Ste-fano. - Dionisio Palazzuoli Avvocato. - Teobaldo Cioci studente.

Vol. VII. IL GUADAGNOLI OVVERO DE’ VOLGARI EPITAFFI. Libri quattro. A

Piero dei Conti Pasolini. (2a ediz. Firenze, tip. Calas. 1876) pp. 447.Precede Un po’ di storia di questo libro e seguono molte note.

Vol. VIII. (1º delle iscrizioni) ISCRIZIONI ITALIANE (Firenze tip. Calas. 1878) pp.

XXXIV-460.A una ampia Prefazione da saltarsi a piè pari, seguono 452 epigrafi italiane

di vario argomento.

Vol. IX. VARIA LATINITAS (2ª ediz. Firenze, tip. Calas. 1879) pp. 429.

Thomae Vallaurio Mauri Riccii dedicatio. - Thomas Vallaurius Mauro Riccio.- Italicarum Ephemeridum iudicia. - Vitae sodalium a Scholis Piis. - Epistolae. -Orationes. - Carmina et latinae interpretationes. - Fasciculus inscriptionum.

190 JOSÉ P. BURGUÉS

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Vol. X.I RIPOSI DI COMPIOBBI OVVERO FIORELLINI DELLA PINETA (2ª ediz.

Firenze tip. Calas. 1894) pp. VIII-446.Avvertenza. - Dedica a Compiobbi. - Un gran lutto di Compiobbi. - I miei

tempi. - A un accademico della Crusca di quelli dell’ultime infornature. - Alperiodico L’Unità della lingua. - L’uomo libro di Teologia a sé stesso. - Il vapore.- Papa. - Sulla divozione del Sacro Cuore. - Orrori dell’Inquisizione. - Principiidelle Scuole Pie in Firenze. - Increduli in guanti gialli. - Leone XIII difeso dalleaccuse di un critico. - In Santa Croce sulle ventitre ore e tre quarti. - Santa Cate-rina da Siena scrittore. - Il mondo di là. - Saggio di Filologia Tomistica. - Scio-peri. - Le Università Italiane a’ tempi de’ tempi. - Carro o Bara? - Il centenariodi Francesco Petrarca. - Potenza della logica razionalista. - Salame. - S. GiuseppeCal. - Lampi della Scienza dei trasformisti. - In Palestina invito d’un credente.Sull’uscio d’una bottega. - Quesiti sociali e risposte d’un bell’umore. - Le gloriedei bestemmiatori. - Di Giovanni Antonelli il giorno dopo la sua morte. -Rispetto al Papa. - Pinùglioli (poesie varie).

Vol. XI. (2º delle iscrizioni) ISCRIZIONl ITALIANE (Firenze tip. Calas. 1883) pp. XXX-

VIII-299.Contiene una lunga introduzione Scuse e accuse e 314 iscrizioni italiane di

vario argomento.

Vol. XII.DANTE ALIGHIERI CATTOLICO APOSTOLICO ROMANO (2ª ed. Fi -

renze, tip. Cal. 1885) pp. XXVIII-352.Precede una dedica al Card. Parocchi e una prefazione ai lettori se ce ne

saranno. L’opera è divisa in tre parti: Dante e Lutero. - Dante discepolo di S.Tommaso. - La religione e la pietà di Dante.

Vol. XIII.SCRITTI COMICI SATIRlCI E BURLESCHI (Firenze, tip. Calas. 1886) pp. XII-

400.Dopo la Prefazione a chi vuol sapere il perché, con tiene: La nuova educa-

zione (poemetto); quattro commedie per giovinette (Siamo in certi tempi! - L’E-mancipazione della donna. - Lo faranno Cavaliere? - Le Eroine del Libero Pen-siero); satire e poesie varie.

Vol. XIV.COMMEDIE PER I GIOVANETTI (Firenze, tip. Calas. 1889) pp. 375.

Contiene sei commedie per giovanetti (In collegio no. - I Quattrini aFigliuolo morto - L’ho avuta la Patente. - Ci si sente. - Un Rabagas in erba. - Letre lire, riduzione del Trinummus di Plauto).

Vol. XV.(3º delle iscrizioni) ISCRIZIONI ITALIANE E LATINE (Firenze, tip. Calas.

1891) pp. XIV-307.A una prefazione agli amici lettori seguono 296 iscrizioni italiane e 30 latine.

A pp. 233-38 la dedica a Leone XIII epigrafi leoniane, delle quali qui sonopubbli cate soltanto le non comprese nei primi due volumi.

P. MAURO RICCI, 30° PREPÓSITO GENERAL DE LAS ESCUELAS PÍAS (1886-1900) 191

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Vol. XVI.SCRITTI BIOGRAFICI VECCHI E NUOVI (Firenze tip. Calas. 1895) pp. X-413.

Tommaso Pendola. - Giuseppe Palagi. - Costantino Paoli. - Alessandro de’Cerchi. - Lavinia de’ conti Rossi. - Brevi ricordi di Scolopi illustri per santità oper dottrina (S. Giuseppe Calas., Galletti, Michelini, Mallone, Conti, Salistri,Puliti, Sabatini, Corsini, Pirrotti, Desericio, Giraldi, Druni, Beccaria, Antonioli,Fontana, Pozzetti, Gismondi, Canovai, Gagliuffi, Assarotti, Inghirami). - CarloMichelagnoli. - Luigi Rosselli. - Leopoldo Diagi. - Alessandro Manzoni.

II. Scritti non compresi nella collezione

1. DELL’ORATORE LIBRI TRE DI M.T. CICERONE ANNOTATI ad usodelle Scuole Pie. (Firenze, tip. Calas 1867) pp. 392.Precede un avvertimento ai maestri.

2. LE FAVOLE DI FEDRO CON QUELLE SCELTE DAL CODICE PEROT-TINO ANNOTATE (2a ediz. Firenze, Tip. Calas. 1890) pp. XV-132.Con una prefazione ai buoni maestri e notizie sopra Fedro.

3. SETTE SCALINI IN UN FlATO OVVERO LA MAMMA DELLA MAE-STRA. Commedia per le giovanette (Firenze, tip. Calas. 1874) pp. 50 Precede un Sermoncino preliminare. La commedia e in tre atti, in prosa,

con note di lingua.

4. LILLI OVVERO IL CANINO DELLA SIGNORA. Commedia per le giova-nette (Firenze, tip. Calas. 1874), pp. 81.Precede un Sonetto di dedica a Prospero Viani e due paroline in un orec-

chio a certi miei padroni. La commedia e in tre atti, in prosa, con copiosissimenote di lingua.

5. EPIGRAFIA LEONIANA (Firenze, tip. A. Ciardi 1888).Contiene 38 iscrizioni, tutte in onore di Leone XIII, precedute da una

dedica al Pontefice e stampate in edizione di gran lusso. Ma si leggono tutteanche nei tre volumi di iscrizioni (VIII, XI e XV della Collezione).

6. L’ILIADA D’OMERO TRAVESTITA ALLA FIORENTINA (Firenze, tip.Calas. 1884-1897).Sono venti volumetti. I primi tredici e gli ultimi tre contengono ciascuno un

libro del poema; gli altri quattro, due libri. Ogni volumetto è preceduto da unaprefazione. A cominciar dal decimo, e aggiunto al titolo STUDI DI LINGUAVIVA.

192 JOSÉ P. BURGUÉS

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SAN VICENTE FERRER Y EL MEMORIALAL CARDENAL MICHELANGELO TONTI (1621)

ENRIC FERRER SOLIVARES

Entre los documentos fundacionales de las Escuelas Pías figura enun lugar preeminente el Memorial al cardenal Tonti, obra de san Joséde Calasanz, el cual ha sido editado en repetidas ocasiones, incluso enfacsímil (1). Más allá de su inmediata finalidad, es decir, conseguir quela Congregación fuera elevada a Orden de votos solemnes, este docu-mento ha merecido encendidos y justificados elogios entre sus muchoslectores y comentaristas. Valga, a título de ejemplo, el que se trans-cribe a continuación: Es un alegato larguísimo, vigoroso, sólidamenterazonado en defensa de la licitud y aun casi necesidad de elevar lasEscuelas Pías a orden de votos solemnes; una obra maestra, un cantooriginal, espléndido, a la labor educadora de la escuela, que es presen-tada como novedad en el campo de la evangelización y reforma de laIglesia; un escrito excepcional en el que Calasanz se manifiesta como unhombre profundamente convencido de la eficacia transformadora de laescuela y enamorado de su propia vocación de educador (2).

Más allá de los comentarios de carácter educativo, pastoral ysocial (3), el Memorial no ha suscitado ningún análisis filológico com-pleto, que tenga en cuenta la lengua del siglo XVII, los recursos retó-ricos utilizados y el estilo memorialístico y curial, entre otros aspectos.De forma dispersa han aparecido algunas precisiones sobre el uso delos superlativos en ciertas traducciones (4) o la adecuada comprensiónde algún término como «muy agradable», ajeno al significado italianode «gratiotissimo» o «graziossimo», que más bien expresa que con-

(1) 46 CAPÍTULO GENERAL (Peralta de la Sal, 2007), con traducciones al castellano,francès e inglés. Con motivo de los 400 años de la fundación de la Congregación tambiénha sido editado por la provincia Betania (Madrid, 2017).

(2) GINER GUERRI, Severino, San José de Calasanz. Maestro y fundador, Biblioteca deAutores Cristianos, Madrid, 1992, p. 582.

(3) AA.VV., Ephemerides Calasanctianae (1996 y 1997).(4) GINER GUERRI, Severino, op. cit. p. 583, n. 255.

Archivum Scholarum Piarum, a. XLIV, n. 87 (2020), pp. 193-205

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cede o procura gracias (5), lo cual sugiere que su sentido en castellanosería posiblemente «muy gratificante o gratificador». También son deinterés las observaciones sobre el término «pedante», es decir «peda-gogo» (6) o «Instituto e instituto», confundidos en alguna ocasión (7).

Sin embargo, tanto en las traducciones como en algún comentariose han hecho notar las dificultades que presenta el Memorial en susúltimas líneas, a raíz de la alusión a la profecía de san Vicente Ferrer(1350-1419) acerca de la clase o condición espiritual de los religiososmás adecuados para un ministerio que llevaría a la reforma de lasociedad cristiana. Este escollo, «una vera crux interpretum, sopra-tutto pel riferimento a S. Vincenzo Ferrer» sigue sin ser superado (8),a pesar de los ingeniosos intentos que se han sugerido para llegar auna correcta comprensión del texto: por los sermonarios vicentinosque poseía Calasanz en su habitación y la consiguiente influencia ensu meditación y predicación (9); porque el aludido «uomo di santa emiracolosa vita» en los comienzos de las Escuelas Pías podría ser el V.Glicerio Landriani (10); o como captatio benevolentiae por ser el car-denal Tonti un gran devoto de san Vicente Ferrer (11).

Los intentos de explicar el sentido de la referencia a san VicenteFerrer pueden llegar, como en el texto que se cita a continuación, auna cota de tergiversación difícilmente superable: «Acaso en el redac-ción definitiva se modificara algo el párrafo 10 (Dios las inspira a susverdaderos siervos) para que no pareciera se incluía entre ellos elorador; y acaso también las últimas líneas del n. 26, que podrían pare-cer que los escolapios alardeaban de varones de vida apostólica pobrí-simos y sencillísimos, casi casi de verdaderos santos (12)».

194 ENRIC FERRER SOLIVARES

(5) TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, «I memoriali al Card. Tonti e al Card.Roma», Archivum Scholarum Piarum 29 (1991), p. 24, n. 7.

(6) TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, art. cit., p. 23, n. 5.(7) ASIAIN, Miguel Ángel, «Las expresiones “instituto” e “Instituto” en Calasanz»,

Analecta Calasanctiana 116 (2016), p. 105-147.(8) TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, art. cit., p. 27, n. 15.(9) BAU, Calasanz, Biografía crítica de San José de Calasanz, Madrid, 1949, p. 416, n.

1. Vid. LECEA, Jesús María, «Un epílogo al comentario del alegato al Cardenal Tonti deSan José de Calasanz», Ephemerides Calasanctianae 6-7 (1997), p. 333.

(10) GARCÍA-DURÁN, Adolfo, Itinerario espiritual de San José de Calasanz de 1592 a1622, Barcelona, 1967, p. 179, n. 796. Vid. TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, art. cit.,p. 27, n. 15.

(11) GARCÍA-DURÁN, Adolfo, op. cit., p. 179, n. 796. VILÁ PALÁ, Claudio en Epistola-rio di San Giuseppe Calasanzio, X (1988), p. 92, n. 15.

(12) VILÁ PALÁ, Claudio, «Sobre el alegato al cardenal M.A. Tonti», Archivum Scho-larum Piarum 31 (1992), p. 23, n. 17.

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El objetivo del presente trabajo intenta ser una aportación a esteproblema, desde la perspectiva de las fuentes utilizadas en la referen-cia a san Vicente Ferrer, es decir, a sus sermones y, sobre todo, a suTractatus de vita spirituali, el cual se considera como el texto esencialpara clarificar la problemática alusión al santo dominico en el párrafofinal del Memorial.

La transmisión textual del Memorial y sus problemas

El único ejemplar manuscrito se encuentra en el Archivo GeneralSan Pantaleo, Roma, Regestum Calasanctianum 69, Varia de statu Reli-gionis Scholarum Piarum. Este texto sin puntuar y con las abreviaturassin modificar ha sido publicado en varias ocasiones, tal como se trans-cribe seguidamente: E final.te la riforma di tutto il Cristianesimo p. viad’huomini di vita Ap.lica poveriss.mi e semplicissimi predetti da S. Vinc.Ferrero di q.ti così inteso da huomo di S.ta e miracolosa vita nellafondat.e di q.to Instituto? Quare etc… (13).

Por ahora no hay seguridad acerca de la lengua utilizada en eldocumento enviado al cardenal Tonti, ya que pudo ser en latín o enitaliano. Es posible que se hiciera en latín, para lo cual se cuenta conun testimonio, aunque tardío (1734), del P. Innocenzo Cinacchi (14).Aunque no se tiene el original en latín, se puede observar que «ancheper alcuni caratteri interni alla nostra copia, della quale non è possi-bile (qua è là, ma particolarmente nell’ultima parte) escludere possaessere una brutta traduzione dal latino» (15).

Con respecto a la autoría del Memorial, aunque ha habido algunaopinión discordante (16), la opinión mayoritaria se inclina por san Joséde Calasanz, como una obra de gran intensidad emotiva e intelectual.

SAN VICENTE FERRER Y EL MEMORIAL AL CARDENAL MICHELANGELO TONTI (1621) 195

(13) GARCÍA-DURÁN, Adolfo, op. cit., p. 170-179; SÁNTHA, György, «Documenta inDeclaratione de natura et fine peculiaris Ordinis nostri laudata», Ephemerides Calasanctia-nae (1967), p. 28-30; Epistolario di San Giuseppe Calasanzio, X, p. 87-92; TOSTI, Osvaldo- DE MARCO, Leonardo, art. cit., p. 21-37, con una traducción italiana moderna, con actua-lización de la grafía, introducción de la puntuación, tratamiento de mayúsculas y abrevia-turas.

(14) TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, art. cit., p. 3, n. 3.(15) TOSTI, Osvaldo: «Il memoriale al Cardinal Michelangelo Tonti», Ephemerides

Calasanctianae 1 (1996), p. 30. Vid. VILÁ PALÁ, Claudio, art. cit., p. 23, donde dice losiguiente: «Por lo demás no conocemos el texto que realmente fue presentado a la Con-gregación de Obispos y Regulares, que sospechamos no ofrecería en su lectura las dificul-tades que presenta la minuta (o acaso el extracto de la misma) que se ha conservado».

(16) VILÁ PALÁ, Claudio, art. cit., p. 23: «Todo ello nos induce a pensar que elmemorial se elaboró a base de materiales aportados por varios y que por lo mismo la auto-ría literaria no sea única, sino múltiple».

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Al tratarse de una copia, como es frecuente, pueden haberse pro-ducido alteraciones y omisiones, pero como no se puede compararcon el original no es posible establecer críticamente el texto original.

Todo esto se agrava al intentar una comprensión plausible delpárrafo final, transcrito más arriba, y puesto en evidencia en las traduc-ciones al castellano, tal como se han ido haciendo desde la del P. Cala-sanz Bau, en 1949, hasta la recentísima aparecida en Opera Omnia, en2019, aunque realizada por el P. Valeriano Rodríguez en 2007.

Un primer tipo de traducción ha pretendido una solución más omenos literal, pero escasamente inteligible en alguna frase: «Y defini-tivamente la reforma de todo el Cristianismo, por vía de hombres devida apostólica, pobrísimos y simplicísimos, profetizados por S.Vicente Ferrer, de entre los cuales él era uno, por vía de hombres devida santa y llena de prodigios… de los principios educacionalesdepende» (17).

Un segundo modelo de traducción ha intentado combinar la lite-ralidad integrando una interpretación que facilitara la comprensióndel controvertido texto: «Y, finalmente, la reforma de toda la cristian-dad, empleándose en ello hombres de vida apostólica, muy pobres ymuy sencillos, profetizados por San Vicente Ferrer, profecía interpre-tada y referida a estos religiosos por un varón de santa y portentosavida en los comienzos de este Instituto? Por lo cual…» (18).

Una reciente traducción opta por un enfoque distinto dando elprotagonismo a los iniciadores del Instituto: «Y, finalmente, a lareforma de todo el Cristianismo, es decir, a unos hombres de vidaApostólica, pobrísimos y sencillísimos en la fundación de este Insti-tuto, presagiados por S. Vicente Ferrer, considerado por ellos comoun hombre de vida santa y milagrosa?» (19).

196 ENRIC FERRER SOLIVARES

(17) BAU, Calasanz, op. cit., p. 416-417. Esta versión ha sido seguida, entre otros,por SÁNTHA, György, San José de Calasanz. Su obra. Escritos, Biblioteca de Autores Cristia-nos, Madrid, 1956, p. 709.

(18) J.M. LESAGA - M.A. ASIAIN - J.M. LECEA, Documentos fundacionales de las Escue-las Pías, Ediciones Calasancias, Salamanca, 1979, p. 193. Esta versión ha tenido numerososseguidores, entre los cuales se citan los siguientes: LÓPEZ, Salvador, Documentos de San Joséde Calasanz, Bogotá, 1988, p. 222; FAUBELL ZAPATA, Vicente, Nueva antología pedagógicacalasancia, Salamanca, 2004, p. 57; FLORENSA PARÉS, Joan: José Calasanz. Documentos fun-dacionales de las Escuelas Pías, Publicaciones ICCE, Madrid-Roma, 2017, p. 78-79; VILÁPALÁ, Claudio, «Calasanz: presupuestos teológicos de su pedagogía», Analecta Calasanc-tiana 20 (1968), con matices propios en la parte final: «cosa que se aplica, por hombre desanta y milagrosa vida, a la fundación de este Instituto?» p. 642.

(19) RODRÍGUEZ, Valeriano, traductor del Memorial en San José de Calasanz. OperaOmnia, vol. IX, Publicaciones ICCE, Madrid, 2019, p. 307.

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En una novedosa versión italiana modernizada se ha ensayadouna interesante reconstrucción del texto, aunque sin ninguna referen-cia contrastada con los escritos de san Vicente Ferrer: «E infine, conla fondazione di questo Istituto, la riforma di tutto il Cristianesimo,per mezzo di uomini di vita apastolica, poverissimi e semplicissimi,che S. Vincenzo Ferrer, su questo così illuminato, da uomo di vitasanta e miracolosa, ha preconizzati?» (20).

En el análisis de las diversas traducciones no se debe obviar elcontexto del párrafo final, que recuerda la peroración de un discursoclásico, con un resumen de los argumentos favorables a la propuesta,apoyados en la acostumbrada entonación retórica para transmitir unapotente intensificación emotiva.

La presencia de san Vicente Ferrer en José de Calasanz

A pesar de la alusión a san Vicente Ferrer en el Memorial y elhecho de poseer algunos ejemplares de sus sermones, causa extrañezaque no se investigara en los escritos del santo dominico con el fin deencontrar alguna referencia a lo escrito por Calasanz en el documentocitado. Tanto el dominico, como Calasanz, se movieron en su juven-tud y primera madurez en los territorios de la Corona de Aragón, detal manera que ambos estudiaron en Lérida, Valencia e incluso Barce-lona, donde se doctoró Calasanz.

San Vicente fue un predicador itinerante, sobre todo en el perí-odo 1399-1419, al igual que otros muchos, como el franciscano Ber-nardino de Siena (1380-1444), que llegó a conocer al dominico. Todosellos recorrieron varios países europeos pidiendo vehemente la con-versión de los pueblos ante la inminencia del Juicio Final y la llegadadel Anticristo, con unos tintes apocalípticos ante la terrible situaciónde la Cristiandad.

Ya era conocido como consejero de príncipes, confesor de carde-nales (Pedro de Luna, Benedicto XIII) y profesor de Teología, mien-tras ejercía su ministerio en una Europa dramáticamente dividida porlas guerras, como la llamada de los Cien Años, el Cisma de Occidentey la peste que diezmó la población europea. Época, además, de

SAN VICENTE FERRER Y EL MEMORIAL AL CARDENAL MICHELANGELO TONTI (1621) 197

(20) TOSTI, Osvaldo - DE MARCO, Leonardo, art. cit., p. 1-42, especialmente las p.27-28, n. 15, y p. 36-37, nn. 10-11. Esta versión ha sido traducida al castellano por VILÁPALÁ, Claudio, «Sobre el alegato al Cardenal M.A. Tonti», Archivum Scholarum Piarum 31(1992), p. 25-30: «Y, en fin, con la fundación de este Instituto, la reforma de toda la Cris-tiandad por medio de hombres de vida apostólica, pobrísimos y sencillísimos como preco-nizó San Vicente Ferrer, en esto tan ilustrado, cual varón de vida santa y milagrosa?».

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inquietud religiosa, con las propuestas de John Wiclef, o Jan Hus, yde la búsqueda de una espiritualidad interior, como fue la Devotiomoderna. El siglo XV vio también la eclosión de una verdadera pre-rreforma católica que proponía un cambio radical en las costumbresde todo el pueblo cristiano, en todos sus estamentos; en la vidapública y privada del clero, especialmente de los párrocos; en la curiaromana y su régimen fiscal.

En este ambiente de cambio personal y comunitario, san Vicenteproponía una vuelta a la interioridad y a la coherencia con el Evange-lio: «pues guardando las tres cosas que he dicho, a saber la pobrezavoluntaria, el silencio y el ejercicio interno de la mente, el hombre juz-garía fácilmente de todo lo que tiene que hacer respecto de todos losdemás actos externos» (21).

San Vicente fue evolucionando en su visión escatológica, ate-nuando el lenguaje apocalíptico, que reflejaba la angustia del mundo enel que vive el santo, cuando se llegó a la solución del Cisma de Occi-dente, pero sin rebajar su llamamiento a la conversión por la reforma dela Iglesia, de la Cristiandad, y más todavía a la de tipo individual por larecepción de los sacramentos y la mejora de la vida cristiana. Favore-cida por la Devotio moderna (p. 355), pero con rasgos muy personales,como la afectividad, el santo dominico insistirá continuamente en larelación con Jesucristo, tal como aparece en su Tractatus de vita spiri-tuali, tan detallista, tan fervoroso y tan reglamentado (22).

El dominico fue muy conocido en gran parte de la Iglesia, de talmanera que ya en siglo XV, principalmente en Italia, la hagiografía,con obras de importantes autores como Pietro Ranzano, san Antoninode Florencia y Francesco de Castiglione, difundió su vida y misión,además de las múltiples ediciones de sus obras (sermones, tratados yotros escritos). El proceso de canonización iniciado por el papa Nico-lás V, que llevó a referenciar por los testigos más de 800 milagros, fueculminado por el papa Borja Calixto III (1455) y confirmado por susucesor Pío II. En poco tiempo fue creciendo su fama de profeta ytaumaturgo, con la creación de innumerables leyendas, de enormedifusión entre el pueblo cristiano. Ya en el siglo XVI, se hicieronaportaciones hagiográficas de notable importancia, como la vidaescrita por el dominico Vicente Justiniano Antist, publicada en Valen-

198 ENRIC FERRER SOLIVARES

(21) Tratado de la vida espiritual, p. 65, en SAN VICENTE FERRER, Tratados espiritualesde San Vicente Ferrer, traducción de Adolfo Robles Sierra, O.P., EDIBESA, Madrid, 2005.

(22) ESPONERA CERDÁN, Alfonso, «San Vicente Ferrer y las corrientes espirituales desu época. Estado de la cuestión», Anales Valentinos 48 (1998), p. 339-362.

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cia en el año 1575, tres años antes de la estancia de Calasanz, porrazón de estudios, en la citada ciudad (23).

¿Qué imagen tenía Calasanz de san Vicente Ferrer como para citarloen el Memorial?

Calasanz «respiró» en su juventud el ambiente hagiográfico ylegendario (ya estaba introducido en la Leyenda aurea) vicentino, nosólo en Valencia, sino, tal como hemos dicho, en muchos lugares de laCorona de Aragón. Dos rasgos muy característicos de san Vicenteaparecen en el Memorial: su profetismo y su fama de hacer milagros.Su profetismo fue advertido por sus contemporáneos y pasó a las pri-meras hagiografías como la de Pietro Ranzano (1455-1456), dondeexpone que el Beatus Vincentius prophetico spiritu fuit praeditus, seña-lando que insuper gloriosum istum Vincentium spiritu prophetiae cla-ruisse et multa occulta divinitus sibi revelata et aliis manifestata, ex plu-ribus attestastionibus liquido constat, para detallar, a continuación, unalarga lista de profecías cumplidas (24). Ya en el siglo XVI, la citadavida de Antist, dedica parte del capítulo 11 a describir el don de pro-fecía que tenía.

Su don de hacer milagros fue posiblemente el rasgo que más famale dio, junto, con la predicación. Las vidas del santo recogen innume-rables ejemplos, de tal manera que en la ya citada de Antist, que tieneen cuenta el proceso de canonización, la descripción y clasificación delas acciones milagrosas abarca 38 capítulos de la segunda parte.

No ha de extrañar, pues, que Calasanz utilizara precisamente lostérminos predetti (profetizados) y miracolosa vita (milagrosa vida) parareferirse a san Vicente Ferrer.

Un tercer rasgo es la reforma de la Iglesia y de la sociedad cris-tiana. Se trata de un tema de larga duración en la historia de la Iglesia,que se subraya en tiempos de crisis, como en el caso del Cisma deOccidente, y que mereció una atención especial por parte de san

SAN VICENTE FERRER Y EL MEMORIAL AL CARDENAL MICHELANGELO TONTI (1621) 199

(23) ANTIST, Vicente Justiniano, Vida y Historia del apostólico predicador Sant VicenteFerrer, Valenciano, de la Orden de Sancto Domingo, en Biografía y escritos de San VicenteFerrer, dirección e introducción de los Padres Fr. José M. de Garganta, O.P. y Fr. VicenteForcada, O.P., Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid, 1956, p. 94-334. GINER GUERRI,Severino, op. cit., p. 123: FLORENSA PARÉS, Joan, «Aproximación a un estudio del crecimientoespiritual de Josep Calassanç (1557-1592)», Analecta Calasanctiana 115 (2016), p. 9-50.

(24) RANZANO, Pietro, Vita Sancti Vincentii Ferrerii, en FERRANDO FRANCÉS, Antoni,Sant Vicent Ferrer en la historiografia, la literartura l’hagiografia i l’espiritualitat al segle XV,Institució Alfons el Magnànim, València, 2013, p. 96.

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Vicente Ferrer y de otros muchos predicadores y autores espiritualesdel XV y, con más intensidad, en el XVI, tras la Reforma protestante.La extensa y profunda aplicación del Concilio de Trento, sobre tododesde Pío V, ya entra en el tiempo de Calasanz. Tanto en las Constitu-ciones como en el Memorial, la reforma del Cristianismo es una de lasgrandes metas del ideal de la educación en las Escuelas Pías. Calasanzfue más allá de lo que prescribía Trento sobre la enseñanza de la Doc-trina cristiana (obligatoria los domingos y festivos) y la integró en elsistema escolar con una dedicación diaria y en los oratorios de domin-gos y fiestas, porque constató que esta enseñanza sin un soporte cul-tural, es decir, la lectura y la escritura, tal como aparece en el n. 5 delas Constituciones, quedaría reducida a fórmulas aprendidas de memo-ria y sin su necesario apoyo racional (25).

La fuente vicentina en el Memorial

Aunque los sermones vicentinos están bien fundados teológica-mente, su intención preferente era mover a la conversión de sus oyen-tes. San Vicente, sin embargo, fue autor de varios escritos de carácterdoctrinal, entre los que descuella su Tractatus de vita spirituali, datadoaproximadamente en el primer decenio del siglo XV y que merecióuna amplísima difusión, ya en su misma época y, gracias a la imprenta,repetidamente editada en los siglos XVI y XVII, también en Italia.

El Tratado va dirigido a un joven religioso dominico, el cual lepidió orientación para avanzar en su vida espiritual, de acuerdo con lafinalidad de la Orden (Contemplare, et contemplata aliis tradere). Susólida doctrina espiritual fue aprovechada también por personas dediferentes estados y ajenas a la orden dominica, tal como atestiguansus numerosas ediciones.

Las fuentes del Tratado son muy amplias, de tal manera que elautor recoge, a veces literalmente, ideas y textos de la gran tradicióncristiana sobre la vida espiritual, de carácter cristológico y marial. Sonespecialmente reconocibles las aportaciones, entre otros, del cartujoLodulfo de Sajonia y del dominico Venturino de Bérgamo, ambos delsiglo XIV.

Para nuestro propósito es de gran interés conocer la escatologíavicentina, ya que la referencia que aparece en el Memorial pertenece a

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(25) GINER GUERRI, Severino, «San José de Calasanz en la Roma de la Reforma Pos-tridentina», Archivum Scholarum Piarum, 78 (2015), p. 57-77. FERRER SOLIVARES, Enric,Educación y piedad en las Escuelas Pías. Una aproximación histórica, Escolapios Betania,Madrid, 2018.

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la sección final del Tratado, donde se expone este tema, tal como severá en el siguiente texto:

Tria sunt a nobis singulariter, et quasi assidue meditanda. Primum,Christus crucifixus, incarnatus, etc. Secundum, status Apostolorum etfratrum praeteritorum nostri Ordinis, hoc cum desiderio, ut illis confor-memur. Tertium, status virorum evangelicorum futurus.

Et hoc debes diu noctuque meditari, scilicet statum pauperrimorum,simplicissimorum et mansuetorum, humiliium, abiectorum, caritate arden-tissima sibi coniunctorum, nihil cogitantium aut loquentium nec saporan-tium nisi solum Iesum Christum, et hunc crucifixum; nec de hoc mundumcurantium, suique oblitorum, supernam Dei et beatorum glorian contem-plantium, et ad eam medullitus suspirantium et anhaelantium; et obipsius amorem semper mortem sperantium, sive desiderantium, et adinstar Pauli dicentium: Cupio dissolvi et esse cum Christo (Phil. 1).

Debes etiam meditari super innumerabiles et inaestimabiles thesau-ros divitiarum coelestium, super dulces et mellifluos rivos divitiarum,suavitatum ac iucunditatum, et super omnes mirabiliter expansos etsuperinfusos. Et per consequens imaginari debes eos ipsos ut cantantescanticum angelicum cum iubilo citharizantium in citharis cordis sui.

Haec imaginatio ducet te plus quam credi potest in quoddam impa-tiens desiderium adventus illorum temporum; ducet et in quoddamadmirabile lumen, amoto omnis dubitationis ac ignorantiae nubilo etlimpissime videbis, et districte discernes omnes defectus istorum tempo-rum, et mysticum ordinem ecclesiaticorum ordinum, productorum etproducendorum ab initio Christi usque ad finem saeculi, et usque ad glo-riam summi Dei, et Iesu Christi.

Crucifixum semper portato in corde tuo, ut te ad suam aeternamgloriam perducat. Amen (26).

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(26) Biografía y escritos de San Vicente Ferrer, op. cit., p. 540-541. Traducción caste-llana de Adolfo Robles Sierra en SAN VICENTE FERRER, Tratados... op. cit., p. 108-109: Trescosas, que en particular debemos meditar asiduamente:

– primera, Cristo crucificado, encarnado, etc.– segunda, el estado de los Apóstoles y de los frailes antepasados de nuestra Orden, con

el deseo de conformarse a ellos.– tercera, el estado futuro de los varones evangélicos. Esto debes meditarlo día y noche,

a saber, el estado de los paupérrimos y sencillísimos, mansos, humildes y desechados, unidosentre sí con caridad ardentísima, que nada piensan ni hablan ni gustan sino sólo a Jesucristo, yeste crucificado. Que no se preocupan de este mundo, olvidados de sí mismos, contemplando lasoberana gloria de Dios y de los bienaventurados, suspirando medularmente por ella y espe-rando y deseando siempre la muerte por amor de ella, diciendo, como San Pablo: Deseo moriry estar con Cristo, llenos desde lo alto y maravillosamente invadidos de los inestimables tesorosde las riquezas celestiales sobre los ríos dulces y melifluos de las suavidades y alegrías divinas.

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Su visión de la historia y de la escatología se basa en estos ele-mentos: 1) Cristo crucificado y los misterios de su vida, pasión,muerte y resurrección es lo central de la vida cristiana; 2) conocer yamar a los que han seguido a Cristo (también en el pasado, comotantos religiosos dominicos ya fallecidos); 3) el futuro estará bienorientado por varones (religiosos) llenos de espíritu y amor, que llama-rán a la conversión y el mundo se salvará.

En el texto final del Tratado se dan, en consecuencia, estos pasos:a) el deseo de estar con Dios, de anticipar la gloria contemplando aDios, morir para vivir con Dios, tal como enseñó y vivió san Pablo; b)una iluminación del Espíritu para reconocer la presencia del mal enestos tiempos y así poder combatirlo; c) apreciar el saludable papel delas Órdenes religiosas en orden a la evangelización, tanto las ya funda-das como las que lo serán en el futuro.

La escatología supone un componente utópico, una esperanzapara el pueblo azotado por las calamidades de la época. Esta orienta-ción utópica hunde sus raíces en Gioacchino da Fiore (1135-2002) ensu división de la historia en tres edades o estados: la del Padre, sujetala Ley, al temor; la del Hijo, marcada por el Evangelio y la vida de lafe en la humildad; y la del Espíritu Santo, en la que el Espíritu fomen-tará la contemplación y la alabanza hasta la llegada del Juicio Final.La influencia de estas ideas alcanzó gran predicamento entre los espi-rituales franciscanos, pero entre los dominicos la visión de santoTomás de Aquino acabó imponiéndose, aunque sin desaparecer deltodo la impronta de Gioacchino da Fiore, como también alguna trazadel franciscano Pietro Giovanni Olivi, ya que en algunos sermonesvicentinos se sigue el esquema de sus siete Edades de la historia. Con-viene, sin embargo, para ajustarse más a las posibles influencias cita-das, tener presente que una buena parte de esta sección final del Tra-tado es una transcripción bastante literal de una obra del ya citadodominico Venturino da Bergamo, del siglo XIV, que vivió más direc-tamente estas corrientes defendidas todavía por algunos gruposdentro de la Iglesia. Con todo, también es importante precisar que el

202 ENRIC FERRER SOLIVARES

Por consiguiente, debes imaginarlos como cantando con júbilo un cantar angélico,tañendo en las cítaras de su corazón. Esta imaginación te llevará más de lo que se puedepensar, a desear con impaciencia la venida de aquellos tiempos. Te llevará también a una espe-cie de luz admirable, en la cual, disipadas todas las nubes de la duda y de ignorancia, veráslimpísimamente y discernirás con todo detalle todos los defectos de estos tiempos y el místicoorden de las órdenes eclesiásticas que han aparecido y aparecerán desde el principio, desdeJesucristo, hasta el fin del mundo y hasta la gloria del sumo Dios y de Cristo Jesús.

Lleva siempre a Jesucristo en tu corazón para que Él te lleve a esa gloria. Amén.

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texto de Venturino está utilizado por san Vicente Ferrer en otro con-texto, por lo que su sentido ya no es exactamente el mismo (27).

El análisis comparativo entre el texto del Memorial y el del Tra-tado (citado en cursiva) proporciona estos datos:

Expresiones idénticas o de similar sentido: «uomini di vita apos-tolica» – virorum evangelicarum; «poverissimi e semplicissimi» – pau-perrimorum, simplicissimorum.

Expresiones que sugieren contacto en diverso grado: «predetti daS. Vincenzo Ferrero»; «nella fondat.e di q.to Instituto» – ecclesiastico-rum ordinum, productorum et producendorum ab initio Christi usque adfinem saeculi; « la riforma di tutto il Cristianesimo» – districte discer-nes omnes defectus istorum temporum.

Estas coincidencias, sea cual sea su grado de semejanza, nopueden hacer olvidar que el tono general del texto vicentino, aunqueesté tomado de otro autor, trasluce de forma evidente su visión esca-tológica: status futurus (de los varones evangélicos), supernam Dei etbeatorum gloriam contemplantium, et ad eam medullius suspirantum etanhaelantium; et ob ipsius amorem semper mortem sperantium, sivedesiderantium (contemplando la soberana gloria de Dios y de los bie-naventurados, suspirando medularmente por ella y esperando y dese-ando siempre la muerte por amor a ella). En un contexto escatológico,en general, es habitual referirse al anunciado futuro como profecía.En este sentido, con referencia al Memorial, se debería poner en susjustos límites la expresión predetti, que ha dado lugar a traduccionesllenas de matices (profetizados, presagiados, preconizzati), tal comohemos visto más arriba.

Conclusiones

Nos encontramos ante un texto defectuoso en la transcripción yque ha dado lugar a traducciones dispares, tal como hemos visto. Dala impresión de que se ha citado de memoria la referencia al Tractatusvicentino y que se ha utilizado como un añadido para dar fuerza alargumento. Igualmente los elementos aducidos, junto con el tópico dela reforma de la sociedad cristiana (Constituciones n. 2), necesitan unareubicación en el discurso para poder cobrar sentido. Estos elementosson los siguientes: la reforma de la Cristiandad; los religiosos muypobres y muy sencillos y el personaje que los profetizó; la fundación

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(27) Biografía y escritos de San Vicente Ferrer, op. cit., p. 472

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del Instituto. Teniendo en cuenta el período oracional en el que estáinscrito el discutido párrafo final del Memorial, la solución parahacerlo inteligible aumenta, tal como veremos más adelante.

Se observa que el grado de identidad entre ambos escritos no essiempre de la misma intensidad, pero su semejanza parece bastanteevidente, aunque las alusiones vicentinas hayan sido sacadas de sucontexto escatológico y aprovechadas para subrayar la importanciadel ministerio (instituto) de las Escuelas Pías (Instituto), con el fin deser muy cuidadosos en la selección de las personas que van a llevar acabo dicha misión. En las Constituciones, aprobadas al año siguientede la presentación del Memorial y de la elevación a Orden de votossolemnes, san José de Calasanz lo dejó muy claro en el número seis:«Como la tarea que traemos entre manos es de tanta importancia yexige personas dotadas de gran caridad, paciencia y otras virtudes,habrá que considerar con gran atención quiénes deben ser admitidosy quiénes deben ser excluidos del ejercicio de nuestro ministerio».Igualmente todo lo que se refiere a la pobreza tiene un lugar muy des-tacado en las Constituciones, tal como aparece en los números 137 y138, entre otros muchos lugares.

Lo que abarca el ministerio de las Escuelas Pías, resumido en lospárrafos finales del Memorial, es ciertamente ambicioso, pues enprimer lugar se extiende por todo el arco de la vida: «desde los pri-meros años ayuda a bien vivir» (Constituciones n. 2: pues si desde lainfancia el niño es imbuido diligentemente en la Piedad y en las Letras,ha de preverse, con fundamento, un feliz transcurso de la vida entera),«de donde depende el buen morir» (Constituciones n. 203: alcanzar lavida eterna). Al tiempo que, en segundo lugar, se extiende por los dosámbitos de la realidad social, la civil y la religiosa, ambas totalmenteinseparables, como se pensaba en el Antiguo Régimen: la paz y elsosiego de los pueblos, el buen gobierno, la obediencia y fidelidad delos súbditos; la propagación de la fe y la preservación de las herejías,y, en definitiva, la reforma de todo el Cristianismo.

El Memorial, en definitiva, adelanta de forma sintética lo que pre-tendía Calasanz con la fundación y desarrollo de las Escuelas Pías,tanto en el plano religioso como en el educativo, es decir, las grandeslíneas de fondo que explanaría en las Constituciones de la Orden.

No es posible una reconstrucción crítica del texto, ya que no haycopias u original, si se escribió en latín, para poder compararlos, perose puede avanzar en la comprensión del único texto que tenemos conuna reconstrucción hipotética. Para realizar este ensayo nos basare-

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mos en la traducción más conocida, la de los Documentos fundaciona-les de las Escuelas Pías (28).

Si no se ha denegado a quien ayuda a bien morir, ¿ por qué, y conmayor razón, no se concederá, con la fundación de este Instituto(Orden), a quien desde los primeros años ayuda a bien vivir, de dondedepende el buen morir, la paz y sosiego de los pueblos, el buen gobiernode las ciudades y de los príncipes, la obediencia y fidelidad de los súbdi-tos, la propagación de la fe, la conversión y preservación de las herejías– de modo especial en los muchachos, a quienes los herejes procuraninfeccionar desde la infancia con sus falsas doctrinas, casi seguros delresto de su vida –, y, finalmente, la reforma de toda la cristiandad, ytodo ello por el ministerio (instituto) de hombres de vida apostólica,muy pobres y muy sencillos, anunciados, para el futuro, por san VicenteFerrer, varón de santa vida y de muchos milagros?

Si se encontrara un manuscrito coetáneo del único que conoce-mos, quizá entonces podríamos pasar de la hipótesis a un texto máscrítico y auténtico. Mientras llega tan esperada y feliz coyuntura,sirvan provisionalmente estas aportaciones.

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(28) J.M. LESAGA - M.A. ASIAIN - J.M. LECEA, op. cit., p. 193.

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LA BÓVEDA DE LA IGLESIA DE SAN PANTALEOEN ROMA

P. PIETRO FRANCESCO ZANONI Sch.P.(Presentación y traducción de José P. Burgués)

Escribe el P. Giuseppe Del Buono en su Diario 17 (el 4 de octu-bre de 1929): «Por fin se encuentran las poesías hechas para la inau-guración de la pintura de la bóveda de nuestra iglesia de S. Pantaleo,por el insigne pintor Filippo Gherardi, llamado el Lucchesino (discí-pulo de Pietro di Cortona). Gherardi fue ayudado al pintar la bóvedapor su alumno Crisóforo Fondini, romano. La pintura se comenzó ennoviembre de 1687, siendo General de la Orden el P. Alessio Arminide la Concepción (1686-1692)». Se refiere seguramente a un folletotitulado La nuova pittura, opera del Signor Filippo Gherardi da Lucca,su la volta e tribuna della Chiesa di San Pantaleo de’ Chierici RegolariPoveri della Madre di dio delle Scuole Pie di Roma. Scoperta l’annoMDCXC. Editado en Roma, por Domenico Antonio Ercole (32 pági-nas in quarto). Las 16 primeras páginas son una descripción, en ita-liano, de la bóveda, por el P. Pietro Francesco Zanoni; las 16 siguien-tes recogen las poesías (10 sonetos, 1 madrigal, 6 epigramas, 2 dísticosy 2 elogios, todas las composiciones en latín, de diversos autores). Nopongo en duda que las poesías tengan su valor, pero me parece másinteresante la descripción de la bóveda, en parte porque la descrip-ción de la tribuna no corresponde con lo que hoy vemos, y en parteporque las palabras – floridas – del P. Zanoni nos ayudan a «ver»mejor lo que tenemos sobre nuestra cabeza cuando entramos a nues-tra iglesia de San Pantaleo. Digamos que la referencia bibliográfica dela obra en nuestra Biblioteca Escolapia de San Pantaleo es I 1/15 (7).Hay una fotocopia de la misma en otro volumen, de referencia F 8/18.

El autor (escritor)

El P. Pietro Francesco Zanoni nació en Bolonia en 1660 y fallecióen Roma en 1720. Ingresó en las Escuelas Pías en 1674, y fue orde-

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nado sacerdote en 1684. Tras enseñar en Narni y en San Pantaleo, fuenombrado Secretario General en 1692, y Procurador General 1695.En 1700 fue elegido General, el 9º de la Orden, cargo que ejerciódurante un sexenio. Fue luego Consultor de la Congregación delÍndice y Calificador del Santo Oficio. Miembro de la AcademiaRomana de la Arcadia. Es autor de numerosas obras, en su mayorparte inéditas, que se conservan en nuestro Archivo General (DENES).Era profesor de Retórica en San Pantaleo cuando escribió la descrip-ción de que es objeto este artículo.

El autor (pintor)

Filippo Gherardi (1643-1704) fue un pintor e impresor italianodel Barroco. Nació en Lucca, y desarrolló su actividad en Venecia yRoma, donde formó parte del gran estudio de Pietro da Cortona, tra-bajando a menudo en colaboración con Giovanni Coli. Coli y Ghe-rardi eran discípulos de Pietro Paolini de Lucca. Una de sus obrasmaestras son los frescos del Palazzo Colonna de Roma, que conme-moran la Batalla de Lepanto en la que Marco Antonio Colonna dirigióla flota pontificia. En Venecia, Coli y Gherardi también pintaron fres-cos (1670-72) para la cúpula de la iglesia de San Nicolás de Tolentinocon una imagen de San Nicolás glorificado y también para la iglesia deSan Pantaleón (1). Ambos pintaron también al fresco la Biblioteca deSan Jorge de esa ciudad (Wikipedia).

La obra

En 1173 se cita por primera vez en un documento la iglesia de SanPantaleo, filial de la parroquia de San Eustaquio. En 1612 San José deCalasanz compra el «palazzo» Cenci-Torres, antes Muti, para estable-cer en él las Escuelas Pías. En 1614 el Papa Paulo V concede a lasEscuelas Pías el uso perpetuo de la iglesia de San Pantaleo. En 1648fallece S. José de Calasanz, y es enterrado en la iglesia de San Pantaleo.En 1680 los escolapios estudian diversos proyectos para construir unaiglesia nueva. El 12 de abril de 1681, derribada la antigua iglesia, sepone la primera piedra de la nueva, bajo la dirección del arquitectoGiovanni Antonio Rossi. El 29 de abril de 1687 se cubre la bóveda de

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(1) En Venecia existe también una iglesia dedicada a S. Pantaleón, reconstruida en1668 y consagrada en 1745. En su bóveda se representa el martirio de San Pantaleón, obrade Gian Antonio Fumani, realizada entre 1680 y 1704. Por lo tanto, el San Pantaleón deque habla la Wikipedia es el nuestro, el de Roma. Dígase lo mismo de la iglesia de S. Nico-las Tolentino, también en Roma.

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la iglesia. El 3 de noviembre de 1787 Filippo Gherardi comienza apintar la bóveda. El 17 de junio de 1688 se celebra la primera misa enla nueva iglesia, en un altar de madera provisional. Doña Aurora Bertiregala el cuadro de la Virgen expuesto en el altar mayor el 6 de diciem-bre de 1688. Según el P. Zanoni, la bóveda fue terminada en 1690. Lasobras de la iglesia continuaron hasta 1692, pero quedó sin terminar lafachada, completada en 1802 por el arquitecto francés Joseph Valadier,que había diseñado también en 1801 el altar mayor de la iglesia, finan-ciadas ambas obras por el Marqués Juan Torlonia.

El texto

El P. Zanoni da a su escrito la forma de una carta a un «MiSeñor», fechada en Roma el 26 de julio de 1690. El tal Señor le pideque le describa la bóveda y la tribuna de la iglesia de San Pantaleo,pintadas por Gherardi. Pero la forma de carta no es sino un artificioliterario para describir un artificio pictórico, en pleno apogeo delbarroco romano. El autor usa términos arquitectónicos y pictóricosprecisos (no le han faltado ocasiones para hablar con el arquitecto ycon el pintor, mientras ellos iban completando su obra), y los envuelveen un lenguaje retórico del que él es maestro. En una época en que noexistía la fotografía, su descripción de lo que ve es «fotográfica», y aun lector que no tuviera la posibilidad de venir a Roma la descripciónle sería muy útil para imaginar la bóveda de la iglesia. Incluso a noso-tros, que podemos verla hoy directamente o en fotografía, el texto nosayuda a ver mejor lo que tenemos ante los ojos: maravilla de la palabra. No es nada fácil mantener el «tono» de una prosa retórica ¡y de

hace tres siglos! al traducirla a otra lengua. Con los poemas queocupan la segunda parte de la publicación, ni lo intento; tampoco esese mi objetivo. Pero haré lo mejor que pueda mi traducción para quelos lectores de estas páginas puedan «ver» con los ojos de Zanoni labóveda de nuestra iglesia de San Pantaleo, en mi opinión una de lasmás hermosas (por el trabajo de Gherardi, y por su ajuste perfecto alas dimensiones de la iglesia) de toda Roma. Vamos allá.

MI SEÑOR

Quien tiene la obligación de obedecer, no debe usar ceremonias queretrasen la ejecución de la orden. Obedezco, pues, sin más, ofreciéndoleel informe solicitado.

V.S., que estuvo en Roma, no necesita que yo le recuerde la antiguaiglesia dedicada a San Pantaleo situada en el extremo del Círculo

LA BÓVEDA DE LA IGLESIA DE SAN PANTALEO EN ROMA 209

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Agonal, no lejos respectivamente de los teatros de Balbo y Pompeyo,antes de que se empezase su reconstrucción, en cuyos fundamentos apa-recieron vestigios de la antigüedad, ni tampoco con qué diseño arquitec-tónico se ha dispuesto esta, según el espacio disponible, por el SeñorGiovanni Antonio de Rossi, no menos serio que creativo en ideas artís-ticas. De modo que solo me queda el honor de recordarle que la nuevaiglesia ha sido construida con la puerta mirando a occidente, de maneraque el altar mayor o tribuna queda al oriente. Y para entender bien loque voy a decirle, es necesario que la presente dividida en dos partes: ala primera la llamaré Cuerpo de la iglesia; a la otra la llamaré Tribuna.

Es necesario además que manifieste a V.S. que no podré ser tanrápido con la pluma como para que alguna figura alada no se me escapea los ojos, por lo que no me he preocupado de anotar una por una todaslas figuras representadas con el pincel, especialmente las que no concu-rren como principales en el misterio. Y si alguna vez me hago intérpretede ideas pintorescas, puede que el pintor las haya tenido más sublimes ymás nobles; la ventana del corazón, deseada por Pitágoras, nadie la hafabricado hasta hoy.

Así, pues, para que V.S. pueda considerar al mismo tiempo la fatigay la distribución hecha por el pintor, me parece suficiente indicarle queel espacio pintado en la bóveda del Cuerpo de la iglesia es, según lasreglas geométricas, de unos 6.300 palmos (2). El Señor Filippo Gherardi,llamado el Luquesino por su patria, que es Lucca, a fines del año 1687puso en él su mano para hacerlo no menos hermoso que respetable porlos trazos de su pincel. Y como esta iglesia es de los PP. de las EscuelasPías, que tienen como blasón particular el nombre de la SantísimaVirgen, formado con palabras griegas abreviadas, adornado con la coronareal y con rayos alrededor, no pareció a dichos Padres que debían elegirotro tema a representar que este Venerable Nombre, como distintivopropio en el escudo con el que llevan el título de Clérigos RegularesPobres de la Madre de Dios de las Escuelas Pías, de cuyo nombre yaantes, por concesión apostólica, celebraban la fiesta. Y esto se juzgótanto más a propósito cuanto que debía comenzarse y terminarse unaobra en los años próximos a la gloriosa victoria del Cristianismo contrael enemigo otomano, bajo los auspicios de este Santísimo Nombre,hecho festivo para todo el mundo católico en la fiesta y oficio de ritodoble que instituyó Inocencio XI, de feliz memoria (3). Motivos no solo

LA BÓVEDA DE LA IGLESIA DE SAN PANTALEO EN ROMA 211

(2) Equivalente a unos 305 metros cuadrados.(3) La fiesta fue instituida con ocasión del levantamiento del sitio de Viena el 12 de

septiembre en 1683 por Juan Sobieski, rey de Polonia, que atacó a los turcos que la sitia-ban. Fue Pío X quien fijó el 12 de septiembre como fecha de la fiesta.

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suficientes, sino obligatorios, a los que se añade el no inferior de expo-nerse en el altar de la Tribuna la imagen de la gran Virgen y Madre, conla advocación de su Santísimo Nombre. Con este fin dividió, pues, elpintor el Cuerpo de la iglesia en tres espacios, dándoles el ajuste opor-tuno al diseño de la construcción.

El primer espacio comienza con un intradós (4) apoyado en el murode la fachada de la iglesia, en medio del cual hay un espacioso ventanalcuadrilongo, un tanto redondeado en la parte superior, de unos 14 palmosde ancho y 24 de alto (5), flanqueado por dos angelotes de estuco (6), quecuelgan festones de la misma estructura. Se extienden en dirección a laTribuna hasta que terminan en el siguiente intradós apoyado sobre dospilastras, como los demás intradoses, según el diseño de la arquitectura,y los lados están ocupados por las lunetas (7) con dos ventanas laterales.El primer intradós empotrado en el muro de la fachada parece divididoen dos, y esta coloreado con fondo de oro con trenzado de campanillasfingidas de estuco blanco como si fuera un bajorrelieve, terminado en sucornisa. Lo mismo el segundo, que parece entero, y acompaña la armo-nía de la pintura con la misma ornamentación.

Las ventanas tienen una forma casi oval, y parecen reales con susvidrios pintados, aunque tienen el montante veteado de mármol que,para mayor elegancia, sobresalen por los lados, tomando la forma de unaperfecta elipse.

En el espacio de las lunetas, en una y otra ventana, fingido por elpintor en campo de aire se ve en gesto diverso un angelito que se lasarregla para colgar un festón de varios frutos y flores al natural, y en elespacio que queda entre el montante de la ventana y los intradoses veci-nos aparecen otros dos, intentando hacer lo mismo. Lo cual permite elpintoresco artificio del que es ejemplo, entre otros muchos, el hábilpincel del famoso Domenichino en el augustísimo templo de San Andreadella Valle en Roma, y de Corregio, ya antes, en la cúpula de la catedral

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(4) Superficie interior, cóncava e inferior de un arco, bóveda o dovela. En italiano,«sottarco».

(5) Unos 3,5�6 metros.(6) Cuando dice el autor «de estuco», quiere decir « imitación estuco», es decir, pin-

tados en blanco y gris. De hecho, el único ángel de estuco real que se encuentra en todoel espacio descrito por Zanoni (cabeza y dos alitas) se encuentra precisamente en lo alto deeste ventanal, y él no lo menciona. Tal vez «se le escapó», como dice al principio. O fueañadido más tarde.

(7) La luneta es un elemento arquitectónico característico de edificios cubiertos porbóvedas, concretamente la porción de pared que resulta de la intersección de la bóveda conla propia pared. En el caso de bóvedas con arcos, la luneta adquiere la forma semicircular.

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de Parma. Terminan estas lunetas con su pequeña cornisa de estuco, queal formar el ángulo cierra una bellísima concha, y por fuera tiene un her-moso mascarón de estuco blanco (pero, aunque concordes en la unión,siempre son diferentes los mascarones, como lo son también en sus pos-turas los angelitos que se divisan en torno a las ventanas), y de estependen sobre la cornisa citada una retahíla de flores doradas de granado.

Apoyados sobre los lados de las mismas lunetas, dos angelitos deestuco trenzan dos palmas de la misma manera, sobre el mascarón citado,y al mismo tiempo sostienen dos grandes volutas doradas, trenzadas dehiedras y racimos de corimbos igualmente dorados que, uniéndose en elmedio de la bóveda, forman un gran cartelón. El fondo de este es el aire,en el que aparece al natural un ángel volador con una trompeta en lamano, y otro que lleva un gran festón de follaje y flores, para ponerlocomo adorno. Sobre el estípite (8) que une en el centro las dos volutas delgran cartelón, se yergue dentro un angelito percutiendo dos de aquellospequeños vasos cóncavos que, en forma de platillos de bronce golpeán-dose uno contra el otro, solían ya, según los antiguos, usar los coribantesen las fiestas de Ceres, y que nosotros conocemos con el nombre de tim-bales o tímpanos, que golpeados juntos producen un sonido no menosestrepitoso que alegre. Y esto, en cuanto al primer espacio.

El segundo espacio de la iglesia, en el que se contiene el principalmisterio o, por así decir, el cuerpo de la pintura, se extiende desde elintradós en que termina el primer espacio hasta un intradós que divideen dos la bóveda, correspondiendo con las pilastras que están debajo, yluego hasta otro intradós que se encuentra a la misma distancia. Unaparte de este segundo espacio está ocupada por cuatro lunetas, que estánpor encima de cuatro grandes ventanas que, redondeadas en la partesuperior, caen con ángulos rectos en la base. Separadas por el intradóscentral, dispuestas dos en cada parte, flanquean y embellecen con la luzy con sus bien pensados adornos, todos veteados de mármol, el cuerpode la iglesia. Cada luneta termina por fuera con su cornisa de estuco, yen la unión de sus dos puntas hay un mascarón en medio de un cartelón,que desde las volutas de su hojarasca envía fuera hiedras y corimbos, amanera de arabescos, y estos, descendiendo un poco por la parte cóncavade las cornisas, las adornan hermosamente. El fondo de las lunetas no esaire fingido, como el de las otras, sino que se ha dejado el muro natural,no habiendo querido el providente pensamiento del Pintor quitar lamajestuosa solidez a la construcción abriéndola como aire.

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(8) Un estípite es una columna o pilastra troncopiramidal invertida que a veces tienefunciones de soporte y también puede ser antropomorfa.

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En el fondo de cada luneta hay varios angelitos al natural (9), queen posiciones diversas cuelgan festones de follaje, flores y frutos, o tocandiversos instrumentos musicales, con movimiento de alas y vestidos. Novoy a describir tampoco esto al detalle, para no aburrir y para no hacerde una carta un protocolo, como suele decirse.

Entre el estípite de la parte exterior de las lunetas y los intradoseshay angelotes de estuco que sobre las puntas exteriores de ellas se esfuer-zan por cerrar las franjas con festones floridos, aunque de estuco blanco.Los dos que están en el intradós central procuran ceñirlo con otro festónsemejante. Este intradós parece como tallado a la altura de las puntasexteriores de las lunetas laterales, y ello se debe a una gran apertura amanera de cuadro o ventana de campo de aire, que se extiende a lo largodesde el primer al tercer intradós, y de ancho de punta a punta de lasventanas opuestas. Una gruesa y maciza cornisa, que figura tener elgrosor de la bóveda, toda ella figurando ser de hojas talladas y cubiertade oro, marca el límite de esta gran apertura, y aparece tanto más her-mosa porque en un hueco de ella corren algunas campanillas de estuco,y hay otras que suben por el intradós no cerrado, que contrastan sober-biamente con el fondo dorado, y le dan vida. En la parte oriental y enla opuesta tiene en el centro una gran concha dorada, que parece serparte de los cartelones de oro que se ven en los intradoses vecinos, a losque acompañan admirablemente.

Se descubre el fondo citado, en el cual todo lo que diré y describirées de tamaño natural, al abrirse un telón rojo dividido en dos partes,que queda alzado a los lados con una hermosa proporción por variosángeles en posturas diferentes, grandes y pequeños, llevando una parte aun lado, y la otra hacia la parte occidental. Sosteniéndose algunos ánge-les en el aire vienen a romper con la belleza del colorido el intradósvecino, cosa que hacia la parte de mediodía hace un angelote que festivogira en torno al cuadro abierto, y tocando en una postura extraña unviolón, sobresale incluso hasta cubrir algunos adornos de la ventanameridional del primer espacio descrito.

Descubierto, pues el gran hueco, presentado como una ventana bienconstruida de la bóveda, con aguda invención, como si se viera el cielo,se admira una bellísima gloria, deslumbrante de rayos, en medio de lacual, rodeado de obsequiosos ángeles y serviciales serafines, entre gruposde nubes, en una explosión de luz, se ve al Padre Eterno volando yactuando, que, volviendo la mirada hacia la parte meridional, alza una

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(9) «Al natural» significa pintados en color, a diferencia de los «de estuco», sólo enblanco y gris.

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mano sobre una joven doncella, como señalándola; con la otra muestraun globo cercano a ella. La doncella, vestida de rojo, cubierta con unmanto de color azul celeste, sostenida por nubes y ángeles, con lasmanos unidas delante del pecho, exhalando modestia toda ella, repre-senta el alma de la Santísima Virgen María, a quien, como Reina delCielo, le corresponde en justicia el color púrpura en el vestido.

El globo está totalmente rodeado de luz, sostenido e incluso movido,como nuevo sol, por muchas inteligencias celestes, que en forma de her-mosísimos angelitos le asisten. Rodeado por todas partes que se transmi-ten a las figuras a las que superponen y a las vecinas, y se pierden entrelas nubes, lleva en medio el Santísimo Nombre de MARÍA, con caracte-res luminosos, cifrado en las dos letras M y A superpuestas. Admirandoel globo luminoso y Nombre inefable, entre la luz deslumbrante, se ve elCoro celeste, en el cual, delante de los demás, sostenidos por nubes ilu-minadas, y caracterizados por sus símbolos, aparecen, comenzando por laparte de mediodía, Noé con el Arca en vestido blanco, apareciendo deeste modo libre de las culpas que fueron causa del Diluvio; Davidtocando el Arpa; Moisés con los rayos en la frente, abrazando las tablasde la ley, y San Lucas Evangelista que, dejando aparte el pincel, usa lapluma sobre un libro, pues él ha sido no menos pintor del cuadro quesecretario de las gestas de María, cuyas glorias resumidamente expresó,escribiendo el Nombre de la Virgen María (cap. 1), y otras cosas.

Después, como en la parte más baja, como elevándose desde el suelohacia el cielo en la apertura citada, se ve todo el mundo inferior o terres-tre, representado en sus cuatro partes, que adoran un nombre tan miste-rioso, vuelto admirable en todo el globo de la tierra.

Ocupa el primer lugar Europa, hacia la parte septentrional, debidoa ella como la primera y principal Parte del Mundo, si Plinio, entreotros, no miente (lib. 3, cap. 1). Y esta, representada por una mujerjoven y vivaz que, mirando hacia la celeste gloria donde resplandece elNombre de María, con las manos en el pecho, en acto de adoración,parece ofrecerse respetuosamente ella misma a la Virgen. La cubrenmajestuosamente una túnica en fondo de oro, recamada de flores, y unmanto real de armiño sobre los hombros, y su rubia cabellera está ador-nada con una corona real, todo ello para mostrar que es la reina de lasdemás partes, bien por la fertilidad del suelo, o por las riquezas que enél se esconden, o por el valor de los héroes surgidos en ella, no menossemejantes a Palas que a Marte, o por las dignidades más importantesdel mundo que tienen sede en ella. El pintor tuvo cuidado de pintarcerca de ella algunos angelitos que la acompañan moviéndose entre lasnubes, llevando quien la tiara papal, no sin razón puesto a más alturas

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que las demás coronas, para indicar su autoridad sobre ellas, pues essímbolo de otra superior; quien la corona imperial, quien la real, quienel corno ducal, como usan los serenísimos Dogos de Venecia, signostodos ellos de las dignidades que en Europa son singulares y notables.

Asia, situada en la parte meridional, queda a la izquierda deEuropa, elevada por un amplio grupo de nubes, deseosa de ofrecer susobsequios a la Virgen. Parece una mujer joven, hermosamente coronadade flores, con las que se representa el ameno y benigno clima del cieloasiático. Viste a la asiática una túnica blanca con una blusa de oro, delque abunda esa región, y el manto de color morado acompaña grave-mente la acción reverente de tributar al Santo Nombre de María losaromas que de un incensario de plata que sostiene con su mano derecha,se levantan en nubes de humo. De este modo, con el acto reverente seexpresa la cualidad de Asia, que es producir en abundancia olorososaromas. Luego en medio de las nubes, como nadando en un gran océanode ellas, se ven algunos angelitos, llevando flores aromáticas y follaje. Ycomo estos se encuentran junto a los angelotes de estuco que flanqueanlas lunetas de las ventanas, resaltan de maravilla.

Estas son las dos primeras figuras que, con maravillosa simetría,ocupan los primeros lugares, unidas por las masas de nubes vecinas aellas, que se extienden hasta las lunetas siguientes, y que con sus som-bras resaltan hermosamente su vivo colorido.

América se apresura no menos a mostrarse tributaria a la Virgen,viéndose a la derecha de Europa, casi a su altura, en forma de mujer decolor oscuro, tal como nace la gente en tal clima. Sus sienes están ador-nadas con plumas de colores variados, dispuestas en forma de artificiosacorona, adorno propio de los habitantes de muchas provincias allí en laIndia, cuyas aves tienen plumas de gran variedad de colores. Lleva col-gando en la espalda un arco y un carcaj con flechas, las armas másusadas por aquellas belicosas naciones. Viste a la manera india, con unvelo en medio del cuerpo, o sea una túnica tejida de varios colores, y arayas, ciñéndola una faja roja, y con ambas manos ofrece tesoros deperlas y joyas, de las cuales América suele proveer a los europeos, a losafricanos y a los asiáticos.

Después de Asia viene África, que se eleva sobre las nubes paraadorar a María. Está representada por una joven mora que, como losafricanos, sometidos en su mayor parte a la zona tórrida, es de colornegro, con la cabeza descubierta. A su derecha, sostenido por un ange-lito, hay una cornucopia rebosante de espigas por la fertilidad de la pro-vincia africana de Libia, en la cual, según algunos se producen dos cose-chas anuales, y la declaró pingüe Poeta (Hor. oda 1) en su «Quicquid de

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Lybicis Areis», mientras otros dicen que es estéril por la cantidad dearena. Sobrevuela las nubes con pintoresco artificio su túnica de coloramarillo oscuro, y con no menor bizarría se extiende el manto rojo, quecarga de ardor su demostración. Lleva en el cuello y en los brazos her-mosos adornos de rojos y gruesos corales, y provista de ramos de ellos,como vástagos propios del mar africano, los ofrece devotamente a lavirgen. Acompañan África dos niños que juegan sobre las nubes, lle-vando una gran piel de león, la coda y las zarpas del cual penden de lasmismas nubes, y esta da a conocer la sabia alusión del Pintor al mostrara esta región como fecunda genitora, entre otros monstruos, de seme-jante bestia feroz, y esto cierra el segundo espacio de la iglesia.

Queda ahora el espacio tercero, que es de hecho como el primerodescrito, excepto porque tienen en los mascarones y en las disposicionesde las figuras algunas variaciones. Y es particularmente curioso el actode una figura alada, situada bajo la luneta que mira a mediodía, que,con un gran vaso de plata, lleno de diversas flores, va volando por elaire. el gran cartelón central tiene cuatro angelitos, que están colocandoun largo festón de flores y follaje. Termina este espacio con un intradósde la bóveda empotrado sobre un gran arco que al mismo tiempo sos-tiene la bóveda y sirve de embocadura a la Tribuna. Este se presenta consus adornos veteados de mármol. de una altura de ocho palmos, y enmedio de él hay una divisa de la Orden de las Escuelas Pías en relieve,en un gran escudo oval con su fondo celeste, en el cual se han formadoen bajorrelieve y dorados las letras griegas abreviados que significan«María Madre de Dios», según nuestros caracteres latinos, y el nombrede María está coronado con una corona que tiene encima una cruz.Rodean dicho escudo de armas muchos rayos de hermosa composición,en oro; y por detrás de ellos se despliega una gran cinta, que ondea airo-samente, extendiéndose desde los lados hasta las paredes laterales de laiglesia. La sostienen dos ángeles que desde los lados a mitad del arco seelevan, y en esta cinta está escrito con letras de oro el dicho del profetaMalaquías, (cap. 1, 11) «Desde donde sale el sol hasta donde se pone,grande es mi Nombre entre las naciones», que alude y explica al mismotiempo los pensamientos expresados en la pintura. Y así en breve, quedadescrito cuanto corresponde a la Primera parte de la iglesia, que yo heesbozado rudamente. Pasemos ahora a la segunda (10).

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(10) Desgraciadamente, la segunda tenemos que imaginárnosla, pues ha desapare-cido. Seguramente con el proyecto de rehacer el altar mayor, dedicado a San José de Cala-sanz. Algunas fechas: en 1762 se paga a Sebastiano Conca por el plano del altar mayor. En

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La tribuna, en el espacio pintado en su bóveda, parte en formasemicilíndrica, y luego en la parte semiesférica, tiene una superficie deunos 1370 palmos. Aquí el sr. Cristoforo Tondini, alumno del citado Sr.Filippo Gherardi, empezó al mismo tiempo a decorar las paredes con supincel, pero apenas trazó las primeras líneas para ejecutar sus ideas pin-torescas, llegó al último punto de su vida. Así que el citado Sr. FilippoGherardi su maestro se hizo cargo de completar tal esfuerzo. Así, enmedio del intradós de las dos primeras pilastras de la parte anterior hayun cartelón fingido de estuco entre dos cornucopias de fruta, y entreambas, en campo de oro, rodeado con su pequeña cornisa, pende un granfestón de pámpanos de vid con uva, todo ello fingido como estuco, queda un maravilloso relieve. Después del intradós sigue un pequeño festónde laurel, representado como estuco en campo dorado, y en el espacioque hay entre las dos ventanas laterales que, con armoniosa arquitecturailuminan y adornan la tribuna, aparece un pequeño hueco abierto. deforma redonda, adornado con su cornisa entorno, y festones de laureldorado. Más ángeles pintados al natural esparcen de cestos, del seno y delas manos hermosísimas Flores. Quizás el pintor quería expresar de estemodo un preámbulo de la vecina y luminosa gloria que aparece en laotra parte de la bóveda, acompañando la ficción poética según la cualantes del nacimiento del Sol aparece la Aurora precursora sobre un carroadornado y que lanza rosas, como dice el poeta:

Aurora in roseis fulgebat lutea bigis (11),aunque no invita a los ángeles a aplaudir a las glorias de la gran Virgeny Madre que entre las nubes y coros celestiales se descubre ascendente ytriunfante con Manibus date Lilia plenis (12), tomando la idea de losantiguos triunfos de los Romanos Victoriosos.

Las dos ventanas de la misma estructura, siendo como las otras enel cuerpo de la iglesia, aunque pequeñas y ovaladas, no parecen menoshermosas por la simetría y nobleza de los adornos. Cada una de ellas

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1762 se paga a Carlos Murena por el trabajo hecho. Sin embargo, ese no es aún el altardefinitivo, que diseña y construye Joseph Valadier en 1801, pagado por el Marqué Torlo-nia, a cambio de una tumba al pie del altar para sí y sus descendientes. Los primeros o elsegundo prefirieron eliminar las pinturas de Gherardi en la tribuna, y sustituirlas por deco-raciones geométricas doradas, cambiando el tono barroco por otro neoclásico. ¿Estaránaún las pinturas debajo?

(11) Cita de la Eneida de Virgilio (VII, 25-26): La aurora brillaba en un carro ama-rillo, entre rosas.

(12) Cita de Virgilio (Eneida VI, 883): echad lirios a manos llenas.

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sostiene sobre su cornisa de mármol venado una gran concha fingida deblanco estuco, de cuyas volutas penden pequeños festones de laurel ador-nado, apareciendo al revés de la voluta de la concha un mascarón alado,coronado de follaje, y la luneta de la ventana termina con un espacioblanco proporcionado, a modo de pequeña cornisa con un gran cartelónencima, todo ello en estuco sobre campo dorado. Este primer espacio, alque yo llamo parte anterior, termina en un intradós que corresponde alas pilastras. Y este está adornado con un nobilísimo friso, en el que hayun gran festón de manojos de trigo entrelazados y atados con fajas, todopintado de blanco estuco en campo de oro, y terminado con su pequeñacornisa de estuco. El Pintor ha querido sabiamente simbolizar con lasimágenes del grano y de la uva que se representa en el otro intradós elSeñor Sacramentado, que se ofrece en sacrificio al Padre eterno cotidia-namente sobre el altar de la misma tribuna, y se conserva consagrado, alcual se refiere el dicho del profeta Zacarías (9, 17): «El trigo hará flore-cer a los mancebos y el mosto a las doncellas», al cual somos invitadoscon el «¡Comed, amigos, bebed, oh queridos, embriagaos!» de la esposa(Ct 5, 1); y esto en cuanto a la parte anterior de la Tribuna.

La segunda parte, que yo llamo interior de la misma, representatoda una gloria de luminosas claridades y rayos que en la lejanía mues-tran algunos querubines cegados por la luz excesiva. Allí hay variosgrupos de nubes y se mueven numerosos ángeles; otros se ocupanalzando trofeos de victoria; otros están ofreciendo aplausos a María,representada ascendiendo a las esferas. Está rodeada de rayos sobre algu-nas nubes, sentada en actitud majestuosas, mezcla de admiración yembeleso ante el cielo. Sostenida por muchos ángeles en torno, conve-nientemente dispuestos, extiende las manos hacia lo alto. Su túnica es decolor rojo, y el manto, que con noble y fastuoso revuelo ondea, es decolor celeste, según la costumbre más común usada por los pintores, y lapiadosa acepción común de la Iglesia. De este modo aparecen en laVirgen mediante el rojo la Caridad, toda ardor, que arde en fuego, y enel azul el constante deseo del cielo, e incluso su vida celeste, aun entrelas miserias de la tierra.

A la derecha de la Virgen, en expresión de celestial júbilo, festejanmuchos ángeles, tocando trompetas, cítaras, con palmas y plátanos, signode su triunfo las primeras, y de la protección que goza a su sombra eluniverso, los segundos. A la izquierda se ven otros con violones, harpas,violines, flautas y otros instrumentos musicales, entre los cuales se ve,moviéndose en pintoresca invención, en una nube que parece estar más

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debajo de las demás, un ángel tocando dos de aquellos vasos cóncavosque ya he nombrado en el primer espacio de la iglesia. Además de los yacitados, un ángel alza una planta con muchas rosas, y un ramo de ciprés,indicándose en la primera la púrpura debida a María, y en el segundo laúnica finalidad suya, que es tender como último fin hacia el cielo, comovemos en el ciprés. Otros ángeles en el acto de sostener a la Virgen, o deadmirarla elevada con ramos de olivo, de cedro y lirios están bajo sugran figura, como cantando un festivo Hosanna a la Reina que asciende,representada como intacta del veneno de la infernal pitón, y dotada depureza virginal sobre todas las demás. Pensamientos simbolizados, comomuestran los Comentaristas, en las alabanzas que a esta Virgen dio elEspíritu divino en el Ecles., comparándola a muchas plantas, al decir«Como cedro me he elevado etc.» (Si 24, 17), y en otros lugares. Enresumen, se representa en torno a ella una vasta y numerosa gloria deÁngeles y espíritus en fiesta queda armoniosamente cubierta la parteinterior de la tribuna. Y siendo ella el final de toda la pintura, me insi-núa que tácitamente que también yo he terminado de describir burda-mente con la pluma lo que otro diseñó sabiamente con el pincel.

Así es; y en la parte que me faltaría de informar sobre la belleza delcolorido, la nobleza de la idea, la gravedad de la Obra, quiero remitirmeal sabio y discreto juicio de V.S., que comparando otras obras del SeñorFilippo Gherardi, alumno del famoso Pietro de Cortona, vistas por usteden Roma, en Lucca y en Venecia, lugares todos ellos buscados por elgenio que tiene de admirar pinturas, podrá fácilmente por un dedo dedu-cir el cuerpo, y por una parte el todo, como ocurría con el coloso deTimante. Recuerde usted, pues, en Roma lo suntuosa que aparece laGalería del Excelentísimo Condestable Colonna, de la cual, después dela muerte de Giov. Paolo Tedesco (13) quedaron cinco grandes vanos,representando las generosas acciones de Marco Antonio Colonna, con lamayor de los adornos que fueron pintados por el Señor Filippo Cherardi,en compañía primero del Señor Giovan Coli, su compañero inseparable,quien pasó a mejor vida apenas terminadas dos historias, dejando alSeñor Filippo Gherardi completar el todo. Recuerde también las pintu-ras que se encuentran en el techo de la de la iglesia nacional de losLuqueses, y en la cúpula, aunque descubierta antes de tiempo, de S.Nicolás Tolentino. Recuerde el estilo que se descubre en la tribuna de la

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(13) Johann Paul Schor, «Giovanni Paolo Tedesco» (1615-1674). Llegó a Romahacia 1640, y trabajó para el Vaticano desde 1656 hasta su muerte, siendo el artista dehabla alemana más conocido en Roma en su tiempo.

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catedral de Lucca, y en los siete grandes cuadros que hay en la libreríade S. Jorge Mayor en Venecia, y en otras muchas nobles fatigas de la pro-fesión que usted bien conoce, obras de este pincel, y con juiciosa combi-nación imagínese el descrito. Espero que resultará grata a la vista, tantomás cuanto que se trata de una obra, ya deseada por quien disfruta conla pintura, toda del Señor Gherardi, habiendo pintado además en unacabeza, con maravilla del arte, al Señor Giov. Coli de feliz memoria.

Y yo, rogándole que tenga la bondad de dispensar el aburrimientoque le he causado, producido por el deseo que tenía de obedecer rápida-mente a su ruego, informándole detalladamente de todo, quedo con laesperanza de que su loable curiosidad quede satisfecha, y asegurada másV.S. de que soy, de V.S. Mi Señor,

Humildísimo Siervo devotísimo Francesco Zanoni.Roma, 26 de julio de 1690.

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BIBLIOGRAPHIA

ALESSIA LIROSI, Una Confraternita femminile a Roma. La Compagnia diSant’Anna nella Chiesa di S. Pantaleo tra XVII e XVIII secolo.

Nell’ottobre 2019 presso la Pinacoteca di S. Pantaleo a Roma, si è svoltala presentazione del libro di Alessia Lirosi «Una Confraternita femminile aRoma. La Compagnia di Sant’Anna nella Chiesa di S. Pantaleo tra XVII eXVIII secolo» (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2019), studio prodottoda circa due anni di ricerche nel materiale documentario dell’Archivio Sto-rico della Curia Generalizia dei Padri Scolopi.

Il volume illumina in modo approfondito il mondo delle confraternitefemminili, dando ampio spazio alle valenze devozionali, sociali e di partecipa-zione politica ed economica che ricoprivano, durante il XVII e XVIII secolo,nella loro specificità di associazioni laicali.

La Confraternita di Sant’Anna fu fondata nel 1640 presso la Chiesa di S.Pantaleo da S. Giuseppe Calasanzio con l’intenzione di favorire gli aspettidevozionali di un’associazione in cui le affiliate appartenevano all’aristocraziaromana.

Dalle ricerche d’archivio sono stati reperiti gli Statuti del 1700 dellaConfraternita di Sant’Anna, che fanno chiaramente emergere l’esigenza diadottare delle regole per la gestione del gruppo e dei proventi ricavati dallequote associative e dalle elemosine. Gli Statuti del 1700 sono conservati inversione manoscritta e si trovano inseriti nella prima parte del Registro di unVolume che raccoglie i verbali delle riunioni dei Confratelli. Il titolo diqueste Regole è «Instituto della Congregazione di S. Anna eretta solamente perle Donne», con la data del 17 luglio 1700 e seguono poi le definizioni dell’or-ganizzazione composta da «sorelle» o socie, consociate, consorelle. Il governodel sodalizio spettava «alle 12 consultrici perpetue», che però svolgevano illoro compito con l’assistenza del Padre Generale degli Scolopi pro-tempore:ciò sta a significare come fosse comunque prevista una figura maschile nellasupervisione delle confraternite femminili. La Socia che svolgeva le funzionidi Superiora della Confraternita di Sant’Anna assumeva il nome di «Priora»,la quale veniva estratta a sorte dal Padre Prefetto tra i nomi delle 12 consul-trici perpetue e la carica aveva durata annuale.

Il luogo delle riunioni era la Chiesa di S. Pantaleo, dove sono conservatele reliquie della Santa e le sepolture di alcune consorelle. Un’opera di grandedevozione della Confraternita era costituita dalla tela con una Madonna conBambino donata nel 1688 da Aurora Berti Paradisi, tela che testimonia l’e-norme importanza del culto Mariano sia per le associate sia per gli stessiPadri Scolopi.

Archivum Scholarum Piarum, a. XLIV, n. 87 (2020), pp. 223-224

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Il materiale documentario testimonia nel tempo l’estensione delle asso-ciate anche agli strati della borghesia romana e la specificità delle funzionidella Confraternita volte alle elemosine, al sostegno alle vedove, alle prosti-tute ma soprattutto alle neofite ossia le ebree convertite. Quest’ultime in par-ticolare dovevano essere seguite e controllate anche dopo il Battesimo attra-verso il loro iter di integrazione nella società cattolica.

Ciò costituiva un fenomeno sociale e religioso che si affiancava con deci-sione alla struttura consolidata del potere ecclesiastico costituita dalla Diocesi,dalle parrocchie, dai conventi, dai monasteri, favorendo in tal modo la diffu-sione della dottrina cattolica. Lo studio della Confraternita di Sant’Anna hafatto emergere come le pratiche devozionali fossero organizzate con minormagnificenza rispetto ad altri sodalizi maschili, probabilmente per il fatto cheera costituita da donne a cui veniva precluso l’allestimento di processioni o ritio cerimonie notturne che al tempo erano diffusissime all’interno delle Chiesee degli Oratori. Bisogna sottolineare altresì che le associate della Confraternitadi Sant’Anna non svolgevano esclusivamente un ruolo assistenziale ma vota-vano atti e decisioni da mettere poi in pratica, cercando sempre di negoziare ipropri intenti non solo con i Padri Scolopi ma anche con il Cardinal Vicariodi Roma a cui spettava il controllo di tutte le attività delle Confraternite inquanto Vescovo Ordinario della Diocesi romana per conto del papa.

Oltre all’analisi specifica sui documenti d’archivio, l’autrice porta il suostudio anche al luogo precipuo di riunione delle associate alla Confraternita diS. Anna. La cappella dedicata a Sant’Anna nella Chiesa di S. Pantaleo fu rea-lizzata dopo la creazione della Confraternita stessa, soppiantando una prece-dente cappella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria e infatti a Roma l’inti-tolazione di altari a Sant’Anna appare costante tra Sei e Settecento. Sull’altaredella cappella troneggia una tela raffigurante la Madonna con i suoi genitoricircondati da un trionfo di Angeli. Si conosce poco di questo dipinto se nonche fu realizzato dal pittore Bartolomeo Bosi verso la fine del XVII secolo,forse su commissione della Priora Eleonora Baroni. Nella pittura Sant’Annamostra una Maria bambina che legge pensierosa un libricino: viene puntualiz-zata la figura di Sant’Anna come «educatrice» della Vergine e la scena raffigu-rata costituiva comunque un soggetto iconografico molto utilizzato in etàmoderna, sebbene fossero più comuni e diffuse le raffigurazioni di Sant’Annain atto di insegnare alla Vergine a cucire. Viene indicato dall’autrice del librocome ciò fosse pensato per rafforzare tra le donne, modelli «di attività devotae caritatevole, non solo in casa, ma anche nell’ambito di istituzioni religiose elaiche che fornivano istruzione a giovani donne bisognose». In questo nostrocaso tuttavia si trattava però della rappresentazione di un momento di educa-zione specificatamente etica e spirituale, poiché la Confraternita di Sant’Annanon svolse mai alcun tipo di attività pedagogica per le fanciulle.

Il libro di Alessia Lirosi tralascia la trattazione della Confraternita diSant’Anna nel corso dei secoli successivi al XVIII secolo per dedicarvi inseguito uno studio più approfondito. Viene comunque segnalata la presenzadi documentazione relativa alla Confraternita di Sant’Anna nell’archivio sto-rico della Curia Generalizia delle Scuole Pie, databile fino al 1929.

ALESSANDRA MERIGLIANO

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