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editoriali di pag. 2 Terremoto: ricostruire una comunità Renato Marinaro Testamento biologico: “L’inutile tortura” Mimmo Lucà Fecondazione assistita: la Corte e la vita Domenico Rosati pag. 3 Voto in Sardegna: la trappola del riformismo senza popolo Silvio Lai pag. 5 Tra “religione forte” e “scisma sommerso” Paolo Corsini pag. 7 Volontaricivici e bande forzute Donata Lenzi pag. 10 “Principi” in posa Avieno pag. 16 il corsivo società Concilio attualità Una coalizione sociale per un mercato sostenibile (segue a pag. 14) di Franco Passuello Q uando finirà davvero questa crisi? È importante saperlo. Ma lo è ancora di più sapere come ne usciremo. Questa è una crisi da insostenibilità che ha radici politiche. E solo riducendo questa insostenibilità se ne potrà veramente uscire. Vinta la Guerra Fredda, l’America dei Reagan e dei Bush ha pianificato un uso politico del capitalismo e della globalizzazione. Ed ha fatto la fine dell’appren- dista stregone. Con gravi costi per il mondo intero. 2009 Anno XIII - Numero 04 - € 2 2009 Anno XIII - Numero 04 - € 2 per un’Italia solidale CRISTIANO SOCIALI NEWS - QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO-SOCIALI- Poste italiane spa - spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma1 - DCB - Roma “La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250”. La democrazia politica è colonizzata dal mercato, specie in casa nostra, dove al governo non c’è un Barak Obama ma Silvio Berlusconi e dove l’opposizione è piuttosto malconcia. È quindi necessario ricostruire le condizioni sociali di una nuova regolazione dell’economia. I soggetti del sociale e del civile possono - se lo decidono - cominciare a costruire una vera coalizione per la giustizia sociale e la sostenibilità. FOTO SILVIO GARBINI

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editoriali ddi ppag. 22

Terremoto:ricostruire una comunità

Renato Marinaro

Testamento biologico:“L’inutile tortura”

Mimmo Lucà

Fecondazione assistita:la Corte e la vita

Domenico Rosatipag. 3

Voto in Sardegna: la trappoladel riformismo senza popolo

Silvio Laipag. 5

Tra “religione forte” e “scisma sommerso”

Paolo Corsinipag. 7

Volontari civici e bande forzuteDonata Lenzi

pag. 10

“Principi” in posaAvieno

pag. 16

il corsivo

società

Concilio

attualità

Una coalizione socialeper un mercato sostenibile

(segue a pag. 14)

di Franco Passuello

Quando finirà davvero questa crisi? È importantesaperlo. Ma lo è ancora di più sapere come ne

usciremo. Questa è una crisi da insostenibilità che haradici politiche. E solo riducendo questa insostenibilitàse ne potrà veramente uscire. Vinta la Guerra Fredda, l’America dei Reagan e deiBush ha pianificato un uso politico del capitalismo edella globalizzazione. Ed ha fatto la fine dell’appren-dista stregone. Con gravi costi per il mondo intero.

2009Anno XIII - Numero 04 - € 2

2009Anno XIII - Numero 04 - € 2

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La democrazia politica è colonizzata dal mercato, specie in casa nostra, dove al governo non c’è un Barak Obama ma Silvio Berlusconi e dove l’opposizioneè piuttosto malconcia. È quindi necessario ricostruire le condizioni sociali di una nuova regolazione dell’economia. I soggetti del sociale e del civile possono - se lo decidono - cominciare a costruire una vera coalizione per la giustizia sociale e la sostenibilità.

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Testamento biologico:“L’inutile tortura”

Il testo approvato dal Senato sul testamentobiologico legittima pratiche coercitive che ne-

gano il rispetto della persona garantito dalla Costituzione: il rifiutodelle cure è invece un diritto incomprimibile anche nel momento fi-nale dell’esistenza. Tale rinuncia non ha nulla a che vedere conl’eutanasia, che attivamente provoca o accelera l’interruzione dellavita, ma al contrario può derivare dal legittimo desiderio di non op-porsi alla naturale evoluzione della malattia.

Una legge profodamente sbagliata e ideologica, che contraddi-ce la Costituzione e calpesta il diritto individuale alla libertà di

scelta delle cure. Così può essere definito il disegno di legge sul te-stamento biologico appena approvato dal Senato e sul quale dovràpronunciarsi ora la Camera. Ho seguito con attenzione l’iter di quel testo a Palazzo Madama econdiviso con convinzione le ragioni del no dei senatori del gruppoDemocratico. Credo che anche alla Camera il Pd, a meno di un ra-dicale cambiamento del testo, si debba pronunciare altrettanto net-tamente in modo contrario. Una legge su questa materia è certamente necessaria oggi che ilprogresso medico-scientifico ci sottopone rilevanti questioni etichelegate alla fine della vita. Sempre più spesso la medicina è in gra-do di ritardare artificialmente la conclusione dell’esistenza, senzaper questo poter prolungare la vita. Accade per le persone in statovegetativo permanente, delle quali diciamo che “sono mantenute invita”. Più propriamente si potrebbe dire che sono corpi sottratti allamorte grazie all’impiego di risorse tecnologiche straordinarie, avolte molto invasive, che consentono agli organi vitali di proseguirenel loro funzionamento anche in assenza di attività cerebrale. Inquesti casi il confine tra la vita e la morte si fa meno chiaro per la-sciare spazio ad una zona grigia di incerta definizione. Si tratta an-cora di vita, anche se irrimediabilmente compromessa, o di un’a-gonia innaturalmente prolungata? E qual è, in questi casi, il doveredel medico e dei familiari, trattenere il più a lungo possibile il pa-ziente in questo limbo o lasciarlo andare?Non è possibile rispondere in modo generale ed astratto a interro-gativi di questa portata. Occorre una legge che consenta all’indivi-duo di scegliere liberamente e secondo la propria coscienza, se lot-tare strenuamente e a qualsiasi prezzo contro la fine della vita o ac-cettarne serenamente il naturale epilogo, indicando in una dichia-razione quali terapie ritiene di non poter accettare. E’ del resto la nostra Costituzione a prevedere, all’articolo 32, che

editorialieditoriali

Come ricostruire? Co-me organizzarsi?

Con quali tempi? Con quali responsabilità? Co-me reperire i fondi necessari? Quando le perso-ne potranno tornare nelle proprie abitazioni oaverne di nuove? Sono tutte domande che pur-troppo ricorrono dopo ogni terremoto. Ma con-siderate le caratteristiche geologiche di granparte del nostro territorio nazionale e la nostrastoria, contrassegnata da un gran numero dieventi sismici più o meno disastrosi, risponderenon dovrebbe essere molto difficile. E si dovreb-be anche sapere molto bene cosa fare per pre-venire gli effetti dei terremoti. Eppure, incredibil-mente, ogni volta sembra quasi una novità, conla sensazione di essere quasi impreparati a fron-teggiare adeguatamente tali eventi, “prima” (laprevenzione), “durante” (l’emergenza) e “dopo”(la ricostruzione). E tornano le stesse domande,emergono molti dubbi e poche certezze, affiora-no evidenti e precise responsabilità. Ma alla lu-ce dell’esperienza, alcuni criteri fondamentali daseguire nella ricostruzione sono ormai piuttostochiari.Innanzitutto, è indispensabile che tutto il lavorovenga impostato e attuato secondo i principidella Costituzione. Qualcuno obietterà che ciò èscontato, ma di questi tempi ricordarlo non famale. Secondo l’Art.2 («La Repubblica riconoscee garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia co-me singolo sia nelle formazioni sociali ove sisvolge la sua personalità, e richiede l’adempi-mento dei doveri inderogabili di solidarietà poli-tica, economica e sociale»), alla ricostruzionedopo un evento così disastroso dovrebbe con-correre tutta la nazione, non solo accettandosenza recriminazioni (se necessaria) un’eventua-le tassa di scopo una tantum, ma anche svilup-pando gemellaggi – da parte di Regioni, Comu-ni, parrocchie – per contribuire a ricostruire unoggetto preciso della zona terremotata: una

(segue a pag. 13)(segue a pag. 12)

di Mimmo Lucà

di Renato Marinaro

Terremoto:ricostruireuna comunità

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La sentenza della Corte Costituzionaleche ha invalidato due punti importanti

della legge sulla procreazione assistitacontiene alcuni insegnamenti di metodo edi merito che sarebbe miope ignorare. Edè bene richiamarli in presenza di alcuneobiezioni che mostrano di non tenerneconto. La prima obiezione lamenta unesproprio della sovranità del Parlamento,che, avendo votato e ben votato, non puòveder lesa la propria sovrana discreziona-lità. A questa obiezione è facile rispondereche in realtà si tratta di un (prevedibile) ri-pristino di ortodossia costituzionale dopoun’incauta deliberazione delle Camere. LaCorte, contrariamente a quel che si lasciaintendere, non è un ramo della magistra-tura, ma il supremo organo di garanzia diuna Repubblica dove è proprio la Costitu-zione a fissare le modalità e i limiti di eser-cizio della sovranità popolare, sia per ilCapo dello Stato, sia per il Governo siaper il Parlamento sia per la Magistratura,affidandone proprio alla Corte la vigilanzaultima.

Una… secessione confessionale?Resta ovviamente, su questo fronte, la mi-naccia di recesso unilaterale dalla Costi-tuzione, promulgato dall’on. Buttiglione,per il quale, in definitiva, la Carta restaaccettabile dai cattolici solo finché tutelale loro istanze: un atteggiamento che farisaltare la pasta diversa, e ben altrimentilungimirante, dei padri costituenti di ma-trice cristiana, i quali lavorarono per unapprodo di sintesi tra diverse matrici chedesse vita non a uno Stato etico, ma aun’“etica dello Stato” condivisa e dunquenon confessionale.L’altra osservazione, sollevata in verità conenfasi decrescente, è quella per cui la sen-tenza si porrebbe in conflitto con il pas-

saggio referendario dal quale, come è no-to, la Legge 40 uscì indenne. Ma l’argo-mento è inconsistente per almeno due mo-tivi. In linea di principio la Corte può di-chiarare incostituzionale una legge anchese questa è convalidata da un referendum.In linea di fatto poi, cioè con riferimento alcaso specifico, va ricordato che quel refe-rendum venne sì promosso, ma non ebbeefficacia alcuna a causa del mancato rag-giungimento del quorum. Semmai, vistol’andamento dei fatti, si può sostenere chese fu un errore promuovere quella consul-tazione – e su queste pagine lo si scrissechiaramente – lo fu anche l’intestarsi comeuna vittoria quell’effetto-astensione che, aldi là del significato tattico-politico, si è ri-velato strategicamente improduttivo. In ogni caso si manifestano le condizioniperché riemerga in campo cattolico unadivergenza che l’allineamento comunedietro la Legge 40 era sin qui riuscito a co-prire. È vero, infatti, come ricorda tra glialtri mons. Elio Sgreccia, che la legge inquestione «non è per nulla cattolica, datoche il pensiero della Chiesa è sempre con-trario alla fecondazione assistita e sconsi-glia comunque alle donne di praticarla»;ma è anche vero che essa è stata sostenu-ta e difesa come se lo fosse; come se, perusare fuori contesto le parole di mons. Ri-no Fisichella, in essa fosse trasfusa la“competenza antropologica” della Chiesa. È il contrasto tra intransigenti e mediatori,che si è intravisto anche nell’iter del testa-mento biologico e che, probabilmente, habloccato alcune delle disponibilità allaprosecuzione della ricerca che pure si era-no manifestate in Senato.

No alla medicina costrittivaAlla luce di quel che precede è dunque in-teressante, e anche utile, riflettere sul si-

La Corte Costituzionale,scardina la regola dei tre embrioni (da prelevare e da impiantare insieme) e impone di tener conto della salute della donna. È una correzione della Legge 40,ma c’è anche un’avvertenza per i lavori in corso sul testamento biologico.

di Domenico Rosati

attualitàattualitàFecondazione assistita:la Corte e la vita

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gnificato della pronuncia della Corte, nel-l’orizzonte del più vasto confronto in attosui temi eticamente sensibili. Ci si interro-ga se, e in quale misura, sulle parti demo-lite si debba o si possa ulteriormente inter-venire per via legislativa e/o amministrati-va, beninteso evitando sopraelevazioni chestravolgerebbero il senso della decisioneadottata. Ma prima delle indicazioni ope-rative andrebbe compreso il senso dellasentenza nei suoi aspetti pratici e nelle im-plicazioni di più vasto respiro. Il dato più evidente è che salta il vincolodei tre embrioni da produrre e da impian-tare contemporaneamente. A decidere, diconseguenza sarà il medico in base alleconsiderazioni suggerite dalla situazionespecifica; e avrà, come parametro di riferi-mento, le condizioni di salute della donnacon la quale è chiamato a cooperare.Se si ricorda la fase di gestazione dellaLegge 40 furono molti, anche tra quelliche la sostennero, a considerare illogica laregola dei tre embrioni: perché tre e nondue e non quattro? E perché impiantarlinello stesso momento quando una mag-giore flessibilità avrebbe consentito miglio-ri risultati con minori rischi? Prevalse, co-me è noto, la preoccupazione per la difesadell’embrione in una visione che lo equi-

para in tutto a una vita umana completa,con ciò precludendo un ragionevole bilan-ciamento con altre esigenze pur meritevolidi tutela.

Qualche avviso ai navigantiÈ con riferimento a questo richiamo chela Corte sembra voler trasmettere un “av-viso ai naviganti” valido anche per altrerotte. Balza agli occhi lo stop a una ver-sione limitativa dell’intervento sanitariomodulata su parametri desunti da opzionietico-politiche del tutto plausibili ma nondirettamente riconducibili all’arte medica;quindi si osserva una rivalutazione dellapeculiarità e irripetibilità del caso singolo,non riassorbibile in parametri generalisolo apparentemente oggettivi; e infinec’è la piena riabilitazione dell’alleanzaterapeutica tra medico e paziente nellavalutazione delle situazioni e delle sceltedi intervento più appropriate rispetto al fi-ne da perseguire. Il pensiero corre, ovviamente, al testa-

mento biologico ora passato all’esame deideputati. C’è tempo e modo di far tesorodelle istruzioni della Corte percorrendoanche alcune delle piste non esplorate alSenato. Ma c’è soprattutto, se si vuole, ilmodo di sviluppare nella società quelgrande dibattito che finora è mancato sul-le grandi sfide della scienza e della vita.L’esigenza è particolarmente attuale nellecomunità ecclesiali il cui discorso internosui temi etici di rilievo pubblico resta di fat-to e da tempo avocato dalla gerarchia, laquale per questa sua scelta viene a trovar-si sempre più esposta in prima personanel “traffico” parlamentare. Finora le richieste di correzione sono venu-te prevalentemente da quei movimenti in-tegralisti che vedono nell’identificazionecon i dispositivi di una legge di compro-messo (l’“apologetica della provetta lega-le”) un restringimento del respiro dell’eticacristiana. Ed è paradossale che proprio datali sponde emerga con più chiarezza unadomanda di distinzione di ruoli e di re-sponsabilità che, in sé, non può non esse-re apprezzata quando si tratti di realizzare,prima delle leggi e dopo le leggi, una pe-dagogia della vita umana a tutto campo.

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Voto in Sardegna: la trappoladel riformismo senza popolo

Non è tantoil voto dei ceti più colti ma la sconfittanelle altre fascesociali che deveinterrogare il Pd di fronte alla necessità di una nuovasintesi culturale e politica.

di Silvio Lai Sarebbe sufficiente il fatto che la sconfittadel Pd in Sardegna ha portato alle dimis-

sioni di Walter Veltroni da segretario naziona-le del Partito Democratico per dire che le ele-zioni regionali sarde sono state molto di più diun test locale.Basterebbe poi la dimensione internazionaledell’azionista di riferimento di Tiscali o quellanazionale di editore dell’Unità del presidenteuscente della Regione Sardegna Renato Soru,un vero e proprio caso di studio della neweconomy e della comunicazione politica perrafforzare la tesi precedente di un caso me-diatico e politico di valore più incisivo dellepositive elezioni trentine o di quelle negativeabruzzesi e friulane. Ma queste due premessenon giustificano assolutamente l’affermazionedel presidente del Consiglio che si attribuisceil merito della vittoria con il suo “Ci ho messola faccia”, perché attribuire la sconfitta delcentrosinistra allo strapotere mediatico delBerlusconi editore di Mediaset e Mondadori, eazionista di riferimento della Rai con il mini-stero del Tesoro non da ragione alla comples-sità reale.

Scontro tra due lineeSe c’è un motivo per cui le elezioni sarde nonsono state un test locale questo va ricercatoassolutamente nella politica, e nel fatto che sisono confrontati in Sardegna gran parte deglisnodi del prossimo congresso nazionale delPartito Democratico. Viene prima la leadership o prima l’alleanza?È meglio un Pd a vocazione maggioritaria etendente alla autosufficienza o un Pd che siaggrega con tutte le forze disponibili in unaalleanza preordinata? Il rapporto a sinistra econ l’Italia dei Valori come confini invalicabilio un alleanza per il governo con l’Udc? InSardegna si sono scontrate due linee politicheprecise e definite, che non si differenziavanoin ordine alla ricandidatura del presidente

uscente a nome del Partito Democratico, masulla natura dell’alleanza e sul modello di go-verno rispetto alla complessità istituzionale. Amonte la precedente divaricazione nelle pri-marie dell’ottobre 2007 che già erano porta-trici di una visione differente sul Pd e sulla di-stinzione tra partito ed esecutivo. Una lineapolitica ha prevalso e ha definito e realizzatole condizioni volute: elezioni anticipate per co-gliere impreparato il centrodestra che nonaveva ancora individuato la leadership dacontrapporre, coalizione ridimensionata ri-spetto al 2004, commissariamento del parti-to, liste rinnovate con lo sbarramento senzaeccezioni alle due legislature e principioesteso a tutta l’alleanza, campagna elettora-le tutta concentrata sulla leadership del pre-sidente che si presenta in sole due occasioniregionali con il Pd.C’era l’idea di fondo, con le fondamentanella leadership evocativa e forte di RenatoSoru, di una chiamata popolare che avreb-be superato la rigida legge delle apparte-nenze alle forze politiche, di elettori che nonavrebbero seguito le scelte dei partiti di rife-rimento (il partito socialista o il partito sardod’azione ad esempio), individuando nel pre-sidente candidato dal centrosinistra il ga-rante del riformismo necessario per un futu-ro migliore per tutti. Il finale conosciuto è la sconfitta più pesantemai patita dal centrosinistra nell’isola e una li-nea politica sconfitta che ricade anche, impre-vedibilmente, sul livello nazionale. Che nonsia una sconfitta dovuta solo alla banalità del-le divisioni interne al Pd piuttosto che ad unamolteplcità di fattori in gran parte prevedibili,lo dice con chiarezza la dimensione dellasconfitta, la perdita di voti rispetto alle politi-che e, soprattutto, alle precedente elezioni re-gionali (anche queste con la destra al governonazionale). Ma nella molteplicità di ragioni cene sono alcune che possono diventare lezioni

attualitàattualità

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per il futuro. La coraggiosa azione riformatri-ce del centrosinistra sardo è caduta nellatrappola del riformismo senza popolo, quelloche poi fa vincere il populismo. Due esempiper comprendere cosa è successo.

Riforme, coraggio e paureIl piano paesistico regionale è certamente ilpiù avanzato e coraggioso sotto il profilo am-bientale e sociale di tutto il Mediterraneo manon è stato accompagnato da misure e azionipolitiche che consentissero di rispondere alledinamiche economiche e occupazionali gene-rate nell’immediato, in territori che sulla edili-zia e sull’indotto turistico basavano la granparte della loro economia.Il sistema sanitario sardo è passato dal poten-ziale addebito di regione canaglia da com-missariare, priva di piano sanitario e di pro-grammazione da quasi un ventennio, ad unaprofonda riforma con buona condivisione daparte degli operatori e delle associazioni dipazienti, ma non ha inciso quanto si speravasul voto degli elettori. Riforme necessarie,equilibrate ma che hanno generato paure, onon le hanno diminuite, per il presente o peril futuro o non hanno cambiato la vita quoti-diana dei cittadini.L’indagine post voto della IPR Marketing hadimostrato che la campagna elettorale nonha cambiato le intenzioni di voto che già daun anno gli elettori avevano anticipato. La stessa indagine ha poi segnalato un datointeressante: il centrosinistra ha vinto solo tra i20-40enni di scolarità alta. Alcuni pensanoche sia dovuto al fatto che si sottraggono oaffrontano i messaggi dei media e del consu-mo con maggiori strumenti. Personalmente ri-tengo che il voto cosciente di questo raggrup-pamento sociale derivi dal fatto che la societàche disegna il nostro riformismo è quella nel-la quale quelle figure competono meglio,mentre spesso tralasciamo o semplicementeassimiliamo a politiche sociali, più dignitosema sempre sociali, la nostra offerta politicaverso chi non ha competenze o risorse cultu-rali, o gli anziani e le casalinghe.Dunque non è tanto il voto dei giovani adulticolti ma la sconfitta nelle altre fasce socialiche deve interrogare il Pd (o comunque chi èalternativa al partito dei conservatori) di frontealla necessità di una nuova sintesi culturale epolitica. La seconda osservazione è che nell’e-

sperienza di governo sardo si è disegnata neifatti un modello di relazioni, sia con gli entilocali, che con le forze sociali portatrici di inte-ressi collettivi, e estensivamente anche con ipartiti, fortemente depressivo delle responsa-bilità e delle funzioni reciproche. Per timore dicadere nella cogestione si è delegittimata laconcertazione. Per paura di lasciare al consi-glio o all’alleanza scelte programmatiche, sisono accentrate decisioni e azioni di governoche potevano essere più collettive e partecipa-te, per questo più condivise e, dunque, piùcomunicate. Una leadership forte ed evocativa, capace dirichiamare e di entusiasmare, ancorchè spi-golosa e granitica nelle scelte, che durante ilpercorso di governo ha lanciato un fortissimomessaggio di riforme radicali non è sufficientese entra in contrasto con le caratteristiche ge-netiche della società a cui guardano gli eletto-ri del centrosinistra, perchè richiede una par-tecipazione che non è sostituibile dall’elezionediretta del presidente.Un cittadino vota, infatti, per il suo presidentee insieme per il suo partito, per il suo sindacoe per il suo consigliere, partecipa al sindacatoa cui delega una specifica rappresentanza osceglie di aderire ad una associazione di vo-lontariato perché attraverso essa privilegia unaspetto della sua vita che non vede sufficien-temente affrontato dalle istituzioni.Allora possiamo pensare che il Pd non affrontiil nodo della relazione tra istituzioni e parteci-pazione, in maniera da tenere conto di questacomplessità senza pensare che alla società li-quida debba per forza corrispondere un parti-to liquido o addirittura gassoso?Anche perché sia i gas e che i liquidi richiedo-no in natura qualcosa che li contenga e li ten-ga insieme, e il contenitore non può che esse-re solido, per citare il recente libro di ColinCrouch. Il congresso del Pd di ottobre dovràsciogliere anche questi nodi, se non vorrà se-guire soltanto la strada che appassiona gliaddetti ai lavori e meno i cittadini, di una dis-puta sulla geografia delle alleanze o sulla sto-ria dei partiti del 900, perché le elezioni dovevotano gli elettori, si vincono sulla economia,cioè sulla speranza di un futuro di tutti, nonsolo del Pd. Chiunque nel Pd ci creda ancorao resti perché il nodo è comunque di tutto ilfronte che vuole proporre come alternativa al-la destra che oggi ha le vele spiegate.

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Recentemente Vito Mancuso, uno tra gliesponenti d’avanguardia della teologia

italiana, impegnato nella definizione diuna “teologia laica”, ha avanzato una pro-vocazione, a mio avviso salutare, sugge-rendo la proposta di un Concilio VaticanoIII volto ad elaborare una teologia dellanatura, della vita e della morte. Al di làdella contingenza politica – la discussioneparlamentare sul testamento biologico,resta il significato pregnante di un’intuizio-ne che è insieme giudizio e prospettiva.Giudizio su di un’intera stagione dellaChiesa, per quel che riguarda l’Italia,caratterizzata dal ruolo preminente svoltodal Cardinale Camillo Ruini, e prospettivaper quanto concerne orientamenti, indiriz-zi, ormai riconoscibili, del pontificato diBenedetto XVI. Sullo sfondo, ineludibilepietra di paragone, il Concilio Vaticano IIcome punto di svolta nel rapporto traChiesa e mondo, tra cattolici e storia. Ed ineffetti solo un bilan-cio rigoroso, ormaimaturo, di quell’e-vento straordinariopuò consentire unavalutazione criticadel cammino suc-cessivo, degliapprodi cui si ègiunti, della com-plessa, persinodrammatica, con-gerie di problemiche ci si trova oggiad affrontare.Queste, in rapidasintesi, le principaliacquisizioni dell’e-vento conciliare:nel quadro piùgenerale di un

atteggiamento fatto di ascolto e di una dis-posizione dialogica verso il mondo moder-no - l’impegno a “scrutare i segni deitempi” -, nonché di una piena accettazio-ne del metodo storico critico, il riconosci-mento della libertà di coscienza, la sottoli-neatura della laicità come condizione diautonomia delle sfere dello Stato, dellasocietà civile, della politica, della ricercascientifica. Parallelamente la raffigurazio-ne della Chiesa non più come “istituzionegiuridicamente perfetta”, ma come comu-nità di gerarchia e di fedeli, l’accento sul“popolo di Dio” e sul ruolo del laicato, ilrinnovamento liturgico, l’ecumenismocome incontro con i “fratelli separati”, unrinnovato rapporto con l’ebraismo ed ilriguardo attribuito alle altre religioni inquanto espressione di un avvicinamento al“divino”, nell’ottica di un inveramento del“mistero della salvezza”. Questi i fonda-menti dai quali ripartire in una stagione in

cui sempre piùvanno evidenzian-dosi preoccupantisegni di restaura-zione preconciliare,di estraneità, senon addirittura diconflittualità conl’evoluzione delmoderno. Sembra,infatti, manifestarsiun atteggiamentoaltalenante: da unlato una vigile, pro-fetica criticità, evan-gelicamente ispira-ta, verso le contrad-dizioni di un mondolacerato da stridentidisparità ed ingiu-stizie, dall’altro un

Tra “religione forte” e “scisma sommerso”

di Paolo Corsini

ConcilioConcilio

Le tensioni e le difficoltà piùacute implodononel luogo criticoin cui convergonodiritti e norme,scelte personali e responsabilitàcomunitarie, rischi di entropiaspirituale e diaddomesticamentodella fede ridotta a codice di divieti, quasi a rubrica di vincoli. QQuuaallee ssiiggnniiffiiccaattoo aassssuummee

ppeerr llaa CChhiieessaa ccaattttoolliiccaa ffaarreeii ccoonnttii ccoonn uunnaa ssoocciieettàà ccoommee qquueellllaa iittaalliiaannaa iinn ccuuii,, oollttrree

aall mmuullttiiccuullttuurraalliissmmoo rreelliiggiioossoo,,ccoonnvviivvoonnoo vviissiioonnii ddeell mmoonnddoo,,

ssttiillii ddii vviittaa,, oorriieennttaammeennttii ffiilloossooffiicciiddiivveerrssii ee nneellllaa qquuaallee ssii aaffffeerrmmaa

uunn ddiirroommppeennttee pplluurraalliissmmoo eettiiccoo oorrmmaaii ppiieennaammeennttee ddiiffffuussoo?? ÈÈ iill tteemmaa ddeellll’’uullttiimmoo ““vviiaaggggiioo””

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supino e corrivo tradizionalismo eticoincapace di misurarsi adeguatamente conle dinamiche proprie della soggettività,con un costume in cui sempre più si affer-mano gusti, abitudini, pulsioni a vivere lapropria esistenza secondo convinzioniradicate nella singola coscienza, nella pro-pensione a realizzare il gusto della propriavita. Ed è qui, nel luogo critico in cui con-vergono diritti e norme, scelte personali eresponsabilità comunitarie, rischi di entro-pia spirituale e di addomesticamento dellafede ridotta a codice di divieti, quasi arubrica di vincoli, che implodono le tensio-ni le difficoltà più acute. Ne è probantetestimonianza il nuovo reportage di MarcoPoliti, il “noto” editorialista e vaticanista de“la Repubblica”, dal titolo La Chiesa delno. Indagine sugli italiani e la libertà dicoscienza, pubblicato da Mondatori. E’ lostesso Papa Ratzinger, in un’intervista rila-sciata a Politi cinque anni fa, a sottolinea-

re come “il Cristianesimo ha difficoltà afarsi capire nel mondo odierno (…) Sulpiano intellettuale, il sistema concettualedel Cristianesimo appare molto lontanodal linguaggio e dal modo di vedere”attuale. “Basterebbe solo pensare allaparola “natura”: come ha cambiatosenso!” Proprio da queste battute, da que-ste pagine conclusive del volume, si puòrisalire all’interrogativo di fondo che ispirala ricerca dell’autore ed al quale egli cercadi dare una risposta. Quale significatoassume per la Chiesa cattolica fare i conticon una società come quella italiana incui, oltre al multiculturalismo religioso,convivono visioni del mondo, stili di vita,orientamenti filosofici diversi e nella qualesi afferma un dirompente pluralismo eticoormai pienamente diffuso? Il paragone èpresto detto ed è costituito dai temi piùincandescenti del rapporto fra Chiesa,Stato, società: dichiarazione anticipata ditrattamento, coppie di fatto ed unioniomosessuali, moratoria sull’aborto, ripro-posizione della Legge 194, campagnasulla pillola RU-486, divorzio breve, tuteladell’embrione, fecondazione assistita, temirispetto ai quali si assiste ad un interventi-smo ecclesiastico impensabile in altri Paesioccidentali. Una presenza che non puòcerto porre in discussione la libertà dellaparola, quanto piuttosto le modalità dirapporto con la politica, la stessa visionedello Stato - laico proprio perché demo-cratico e pluralista -, l’idea che il magiste-ro cattolico non ispiri più - almeno sino adieri -, come una carta ricalcante, la produ-zione legislativa. La replica della Chiesa aquesti problemi può essere sintetizzatanella dottrina dei “principi non negoziabi-li”, nella sistematizzazione del “relativismoetico”, nella riproposizione di un’antropo-logia fondata sul diritto naturale, refratta-ria ad ogni evoluzione. Sino alle estremeconseguenze, tanto sul piano del giudizioetico, quanto su quello delle prese di posi-zione politica. Basti pensare, in una sta-gione di progressiva marginalità ed afasiadel cattolicesimo democratico - non cisono più gli Scoppola, gli Ardigò, gliAlberigo, - agli attacchi al cattolico “adul-to” Romano Prodi imputato di aver propo-sto con i Dico nuovi “format sociali” o alla

GIANCARLO ZIZOLA”Santità e potere.

Dal Concilio a Benedetto XVI:il Vaticano visto dall’interno”

Sperling&Kupfer, pp. 700, € 25

Attingendo a una mole im-pressionante di documentid’archivio,diari privati,fon-ti inedite e dialoghi confi-denziali,l’Autore,giornali-sta vaticanista dal 1961,ciaccompagna – attraversoil filtro della sua biografiaprofessionale – lungo glisnodi cruciali della storiarecente della SantaSede,svelando retroscenae dando voce a testimonid’eccezione, Dalla “rivo-luzione” del Concilio Vati-cano II fino alla restaura-zione dei papati di Wojtylae di Ratzinger,passandoper lo scandalo Ior,le ten-sioni sul divorzio,le lettere

tra Moro e Paolo VI,igrandi passaggi istituzio-nali della Chiesa cattolicavengono illuminati danuove luce e i suoi prota-gonisti ritratti nella lorograndezza così come nel-la loro umana fragilità.“Santità e potere” raccon-ta anche un’altra storia,aquesta strettamente con-nessa,quella della lottaappassionata di una co-munità di giornalisti innome della verità e dellatrasparenza contro l’opa-cità e il silenzio vaticani ei tentativi di ridurre anchel’informazione religiosa afunzione di regime.

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simpatia con cui si guarda alle battagliedegli “atei devoti”, dei laici bigotti, diquanti “appartengono” senza credere esono spesso ancor più clericali di taluniesponenti ecclesiastici. In realtà dal viag-gio di Politi emergono un Paese e un cat-tolicesimo italiano assai variegati ed arti-colati: prendono la parola uomini e donneche chiedono testimonianze e non coman-di dal pulpito, pietas, comprensione e noncondanne od esecrazione, ascolto di sof-ferenze che faticano ad incontrare la cari-tà di gesti oblativi ed una qualche attitudi-ne al dono; raccontano i propri drammifamiliari di malati in stato vegetativo,genitori afflitti da malattie genetiche, con-viventi impossibilitati a sostenersi; espon-gono le proprie riflessioni medici, giuristi,filosofi, uomini di spettacolo, teologi,vescovi, sacerdoti che si misurano con

scelte esistenziali drammatiche, che si rap-portano alle idee altrui, che, nel caso deicredenti, si sforzano di coniugare fede elaicità, di rapportare l’inestinguibile pri-mato della vita alle condizioni del vivere edel morire, manifestando disagio versoquanti pretendono – così annota Politi – di“dire l’ultima parola su tutto”, arrogando-si una triplice corona: “di rappresentantidi Dio, di interpreti della Ragione e altempo stesso della Natura”. Con l’esito diun progressivo, ragguardevole calo difiducia nella Chiesa, quasi uno “scismasommerso”, e – sono parole di EnzoBianchi, priore della comunità di Bose –con il “miraggio di una religione forte (…),una religione civile priva della linfa dellafede, in cui non si sente la differenza cri-stiana” e viene meno il riconoscimentoevangelico della prossimità all’umano.

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Signor Presidente, nel mio intervento miconcentrerò anch’io in particolare sull’arti-

colo 6 anche se, in realtà, avrei voluto parla-re del complesso di questo provvedimento,ma ricordo che l’Aula ha già affrontato il te-ma delle molestie sessuali e dello stalking.Quest’Aula ha già dimostrato di essere ingrado di legiferare sul tema delle molestiesessuali e non aveva bisogno dell’aiutino delMinistro e del Governo che ci dicessero qualinorme occorrevano, perché le avevamo giàesaminate ed approvate, ma forse è vero ilcontrario, ossia che noi abbiamo aiutato unMinistro in cerca di visibilità ad occuparsi diuna materia altamente sensibile.Parlo allora delle ronde perché mi sento chia-mata in campo in quanto provengo da unacittà dove questa esperienza non c’è, ma cen’è un’altra che si chiama “Volontari civici” edesiste dal 1820: sto parlando di Bologna.Vengo da una regione che ha legiferato sullamateria con la Legge n. 24 del 2003, non del2004 come ha detto il Ministro Maroni prima– lo ripeto: si tratta della Legge n. 24 del2003, quindi è facile che la si possa ricordarein modo non esatto – applicando il Titolo Vdella Costituzione, cioè in modo federalistaperché bisogna che ci mettiamo d’accordo:non si può essere federalisti un giorno e cen-tralisti un altro, ma federalisti lo si deve esseresempre, quotidianamente. Le Regioni su que-sta materia, in base al Titolo V, già oggi pos-sono intervenire e la mia l’ha fatto. Nel 1820un gruppo di cittadini si preoccupò della sicu-rezza sotto i portici perché essendo un luogobuio era quello dove più facilmente si verifi-cavano agguati. Il Cardinal legato, perché al-lora eravamo parte dello Stato pontificio, ri-conobbe questo corpo di cittadini che recavacome sottodenominazione “in urbe pro urbe”ossia “nella città e a favore della città” a sot-tolineare che era nato veramente in modospontaneo e volontario. Questo corpo proce-

de nella sua attività civile fino al 1935 quan-do il fascismo lo scioglie dopo anni di conflit-ti, di minacce e di pressioni da parte delle mi-lizie fasciste che, lo ricordo, nacquero an-ch’esse in modo spontaneo e, si diceva, comeassociazioni. Rinascono negli anni Cinquan-ta, con funzione di ausiliario di pubblica sicu-rezza in stretto collegamento con le centralioperative e ritornano all’attività di volontaria-to tra gli anni Settanta e Novanta quando,cioè, si presentano altre organizzazioni, quel-le che venivano chiamate “servizio d’ordine”,fortemente politicizzate, e il loro ambito e laloro espressione civica vengono un’altra voltamesse in difficoltà dall’intervento pesante del-la politica.Dal 1990 ad oggi, progressivamente, si assi-ste a un loro riconoscimento e adesso vi sonouna pluralità di associazioni e realtà che inbase alle convenzioni con il Comune e allalegge regionale operano, controllano, sonopresenti durante la notte nella nostra città. Al-lora non c’era bisogno di una legge, perchébasta il Titolo V; non c’era bisogno di unalegge che è una deregulation rispetto a quellache noi abbiamo varato.La nostra legge regionale è più restrittiva,quindi è vero esattamente il contrario diquanto detto prima e per utilità vorrei legger-vela. L’articolo 8 prevede che l’utilizzazione informe di volontariato è ammessa solo nel ri-spetto dei principi e delle finalità fissate dagliarticoli 1 e 2 della Legge n. 266 del 1991,legge sul volontariato e non del Ministero de-gli Interni. L’articolo, inoltre, prevede che taleutilizzazione è volta a realizzare una presenzaattiva sul territorio, aggiuntiva e non sostituti-va rispetto a quella garantita dalla polizia lo-cale con il fine di promuovere l’educazionealla convivenza e il rispetto della legalità, lamediazione dei conflitti, il dialogo tra le per-sone, l’integrazione e l’inclusione sociale.Queste non sono le ronde! I volontari indivi-

Volontari civici e bande forzutedi Donata Lenzi

societàsocietà

Riportiamol’interventoalla Cameradi Donata Lenzidel 7 aprilesul temadelle ronde.Si mette in luce la differenzaconcettuale trale iniziative di organizzazionidi volontariatogià in atto, in base allanormativa,vigente e l’avventurosacostituzionedi gruppidi “cacciatoridel diverso”.

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duati dalle amministrazioni locali, sulla basedelle indicazioni provenienti dall’associazio-ne, possono essere impiegati a condizioneche: operino sulla base delle indicazioni e inmaniera subordinata al comandante respon-sabile della polizia locale; non abbiano con-danna a pena detentiva per delitto non col-poso; non siano sottoposti a misure di pre-venzione; non siano stati esclusi dalle Forzearmate e dalle Forze di polizia nazionale;non siano stati destituiti o licenziati per giustacausa o giustificato motivo dai pubblici uffici;abbiano frequentato con profitto uno specifi-co corso di formazione professionale discipli-nato dalla giunta regionale; siano assicurati;i Comuni e le Province possono stipulare conessi convenzioni con le sole finalità di sup-porto ai soci che svolgano le attività a condi-zione che dette associazioni non prevedanonell’accesso e nelle proprie forme alcuna for-ma di discriminazione per sesso, razza, lin-gua, religione, opinione politica, condizionipersonali o sociali.Per questo motivo dico che la nostra leggeregionale è più restrittiva di quello che voi ciproponete oggi. Tuttavia, la pratica ci dice

che ciò nonostante i problemi ci sono stati,che il rischio di mandare all’aria operazioni eindagini è reale anche quando semplicemen-te si pattuglia una strada e gli episodi ormaisono molti. Se noi non vogliamo ridurre ilruolo della nostra polizia a quello di badantedei militari prima e delle componenti delleassociazioni che fanno le ronde dopo, è ne-cessario delimitare con estrema rigidità echiarezza l’ambito di attività di queste asso-ciazioni. Le parole non sono indifferenti. Direronde fa pensare all’opinione pubblica, e atutti noi, a un gruppo di uomini giovani con ipollici infilati nei pantaloni, con l’atteggia-mento arrogante, a caccia di chi è diverso: dichi ha il codino, l’orecchino, un altro coloredella pelle o di chi si sta divertendo sul terri-torio senza dar fastidio a nessuno. A caccia,quindi, di chi è diverso in base a un principioper cui la città può essere abitata solo da chirientra in certi canoni. La parola volontariato,invece, fa pensare a uomini e donne di tuttele età, giovani e vecchi, che sono lì e dicono:«ti do una mano a fare questo pezzo di stra-da». Questa è un’idea diversa non solo dipolizia, ma di società.

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scuola, una fabbrica, un monumento, una chie-sa, ecc. Inoltre, l’Art.3 della Costituzione affermache «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale esono eguali davanti alla legge, senza distinzionedi sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi-nioni politiche, di condizioni personali e sociali».Tale principio, non attuato pienamente nella pri-ma fase di emergenza (si pensi ad esempio aitardivi interventi di soccorso presso alcuni comu-ni montani), rischia di essere disatteso nella fasesuccessiva qualora venissero accentuate condi-zioni di particolare disagio o discriminazioni ver-so alcune fasce di popolazione più vulnerabili:anziani, malati ricoverati in ospedali lontani dal-le proprie abitazioni, portatori di handicap, abi-tanti di paesi poco collegati e difficilmente rag-giungibili, studenti fuori sede, immigrati. Tra que-sti ultimi non vanno dimenticati gli irregolari, dicui non parla pressoché nessuno; ma è bene ga-rantire loro aiuti come per i cittadini italiani e lasospensione della legge Bossi-Fini per ciò che ri-guarda il rientro forzato nei Paesi di origine.Accanto all’individuazione delle responsabilità edelle relative sanzioni, civili e penali, nei confron-ti di chi poteva e doveva prevenire e ridurre l’en-tità dei danni del terremoto (soprattutto sullepersone), una ricostruzione efficace deve poi ga-rantire maggiore sicurezza e serenità alla popo-lazione, imponendo e verificando il rigoroso ri-spetto delle norme antisismiche. Oltre a ricostruire le case, gli edifici pubblici e iluoghi significativi della memoria collettiva, nelrispetto della storia e della cultura delle zone col-pite, ricostruire una comunità dopo un evento si-smico significa però soprattutto “ricostruire” lepersone che ne fanno parte. Il terremoto si verifi-ca anche “dentro” chi si è salvato dalla morte:paura, perdita di sicurezza, timori per il futuro.Molte volte, dopo i primi mesi, quando le perso-ne si rendono pienamente conto di quello chehanno perduto, aumentano i suicidi. Perciò, in-sieme all’assistenza materiale (tende, mense,ecc.), è indispensabile un’assistenza psicologicanecessariamente personalizzata. Dal terremotodel Friuli in poi, questa funzione è stata in parteesercitata dai gemellaggi che, diversamente dal-la convinzione comune, consistono non solo enon tanto nella ricostruzione delle cose, quantonel sostegno alle persone (soprattutto quelle piùdeboli e quelle in situazioni di solitudine) attra-verso una presenza continuativa di volontari im-pegnati nella ri-creazione di condizioni per unavita comunitaria accettabile e – per quanto pos-sibile – serena. Per diminuire il senso di disorien-tamento e insicurezza è importante prevederenel più breve tempo possibile luoghi dove le per-sone possano riunirsi e incontrarsi per affrontarei problemi (sociali, culturali, religiosi, ecc.) che ri-guardano la comunità. In questo senso, un tipodi intervento particolarmente efficace è quello

normalmente sostenuto dalla Caritas Italiana at-traverso i “centri della comunità” che vengonoallestiti nelle fasi successive a un terremoto. Lepersone assumono un ruolo fondamentale nellaricostruzione del proprio ambiente. È evidenteche il soggetto principale dell’opera di ricostru-zione debba essere lo Stato, ai suoi diversi livelli(Regioni, Province, Comuni, ecc.), nel rigoroso ri-spetto della trasparenza, della legalità e della si-curezza. Ma per realizzare una buona ricostru-zione non è possibile prescindere dalla parteci-pazione delle persone – in forma singola o asso-ciata – alle decisioni che interessano direttamen-te le rispettive comunità, con la valorizzazionedelle risorse umane di vario tipo presenti (profes-sionali, culturali, morali, spirituali, ecc.). Condi-zione indispensabile affinché la partecipazionesia autentica è tenere conto il più possibile dellescelte della popolazione, spiegandone i motiviquando ciò non è praticabile.Per questo motivo, ma anche per diminuire latensione e dare speranza, va assicurato alle per-sone il diritto all’informazione sulla ricostruzione:un’informazione esatta, onesta, disinteressata,trasparente, costante e capillare. È necessario,ad esempio, dire con chiarezza che la ricostru-zione dopo questo terremoto non può non svol-gersi in tempi lunghi; affermare qualcosa di di-verso, anche in buona fede, significa solo illude-re chi è stato così duramente provato. Il passag-gio dalle tende ai prefabbricati (le cosiddette“casette”), per poi arrivare alle case, è inevitabi-le e per molte persone richiede tempi sicuramen-te non brevi.Inoltre, una buona ricostruzione implica la realiz-zazione di una comunità rigenerata nei suoi va-lori fondamentali e con maggiore coesione tra isuoi membri. A questo scopo è strategica la scel-ta di partire dai bisogni delle persone più de-boli e svantaggiate; una prospettiva diversarende una comunità più diseguale, più disgre-gata e meno solidale al proprio interno, conmaggiori problemi e rischi per la convivenzaquotidiana di tutti.«La tragedia più grande è la distruzione dell’u-mano nella gente. La solidarietà più grande stanell’aiutare a ricostruirlo. La maggiore speranzasta nel continuare a camminare, praticando lagiustizia e amando con la tenerezza. Magari lasolidarietà aiuti a ricostruire anche le case, maprima di tutto le persone; aiuti a riparare le stra-de, ma soprattutto le maniere di camminare nel-la vita; aiuti a costruire templi, ma soprattutto ilpopolo di Dio. Che la solidarietà dia speranza aquesto popolo. Con essa, la gente troverà il mo-do per risollevarsi da sola. E questa gente resti-tuirà, accresciuta, in forma di luce e coraggio,ciò che ha ricevuto» (Jon Sobrino, gesuita e teo-logo, sopravvissuto al disastroso terremoto del2001 a El Salvador).

segue da Pag. 2

Terremoto: ricostruireuna comunità

Ricreare lecondizioni di vita.L’esperienzadella Caritas.

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nessun individuo possa vedersi imporre untrattamento sanitario se non per legge, atutela dell’interesse della collettività, e co-munque senza mai violare “i limiti impostidal rispetto della persona umana”. La nostra Carta garantisce il diritto del sin-golo ad una scelta libera, ricomprendendo-vi la facoltà opposta di rifiutare le cure chesi ritengano insostenibili, intollerabili, inutilio lesive della propria dignità. Una normaalla cui stesura contribuì in modo significati-vo in Assemblea Costituente un cattolico co-me Aldo Moro e che oggi trova attuazionequotidiana nella subordinazione al consen-so informato di ogni prestazione terapeuticao diagnostica. Un principio ribadito dallanormativa comunitaria con la Carta di Niz-za e dalla nostra giurisprudenza, che, inte-so nella sua pienezza, implica anche lapossibilità di rifiutare la terapia o decidereconsapevolmente di abbandonarla e chenon può essere ridotto o limitato neanchedi fronte alla più grave delle malattie. Maipossono essere ammessi il dovere o l’obbli-go di curarsi. Il testo Calabrò contraddice invece palese-mente i principi della nostra Carta Costitu-zionale laddove prevede che il consenso delpaziente non abbia rilievo quando possaincidere sulla sua sopravvivenza. In quel te-sto, il diritto alla libera autodeterminazionedel paziente non è più pieno e inviolabilema “condizionato”. Viene riconosciuto, sì,ma solo finché non è in gioco la vita delpaziente stesso. Nelle fasi estreme della vi-ta, nelle patologie più gravi, alla libertà didecisione del singolo si sostituisce l’obbliga-torietà del trattamento sanitario, o degli in-terventi di idratazione e nutrizione. (Sullanatura assistenziale o sanitaria di questi si èa lungo discusso ed ha prevalso l’orienta-mento della maggioranza di centrodestra,che li considera cosa diversa dai trattamentisanitari, nonostante l’orientamento di largaparte della comunità scientifica, fondatoanche sul fatto che sono somministrati dapersonale medico e su prescrizione). Al malato terminale ed irrecuperabile que-sta legge, se approvata, impedisce di direno alle terapie, di fermare un accanimentoterapeutico insostenibile, di accettare sere-namente che la malattia prosegua il suocorso naturale fino al termine dell’esistenza.

L’alimentazione, l’idratazione, la ventilazio-ne artificiale od ogni altro intervento, po-tranno essere imposti al paziente “per il suobene” e contro la sua volontà (anche semanifestata in maniera univoca, magari at-traverso un testamento biologico redatto inprecedenza). Si legittimerebbero così pratiche coercitiveche negano il rispetto della persona previ-sto dalla Costituzione secondo la quale il ri-fiuto delle cure è invece un diritto incompri-mibile anche nel momento finale dell’esi-stenza. Una rinuncia che non ha nulla ache vedere con l’eutanasia, che attivamenteprovoca o accelera l’interruzione della vita,ma al contrario può derivare dal legittimodesiderio di non opporsi alla naturale evo-luzione della malattia. Per effetto di una legge così concepita tantimedici si troverebbero domani nella sciagu-rata condizione di dover trasgredire alle suedisposizioni o vedersi costretti a infliggereostinatamente prestazioni mediche di nes-suna efficacia. Una ”inutile tortura”, comescrisse già nel 1970 il Papa Paolo VI in unalettera ai medici cattolici riferendosi all’ipo-tesi di “imporre la rianimazione vegetativanella fase terminale di una malattia incura-bile”. E proseguiva chiedendosi se nei casipiù gravi non fosse “dovere del medico im-pegnarsi ad alleviare la sofferenza” piutto-sto che “voler prolungare il più a lungopossibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasicondizione, una vita che non è più piena-mente umana e che va naturalmente versoil suo epilogo”. Quella domanda, che po-trebbe essere fatta propria anche da un lai-co, può essere ancora oggi il punto da cuipartire per elaborare una legge differenteda quella che ci troviamo a discutere in Par-lamento: giusta, equilibrata, in linea con iprincipi della nostra Costituzione . Una legge diversa che tuteli allo stesso mo-do chi rifiuta l’accanimento terapeutico echi sceglie di ricorrere ad ogni risorsa dis-ponibile, che ribadisca il diritto all’assisten-za e alla cura anche nell’ultima stagionedella vita, che concretamente favorisca ladiffusione delle cure palliative. Nulla deverestare intentato per consentire ad ognunodi condurre fino all’ultimo la propria vita inpace e dignità.

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Testamentobiologico:“L’inutile tortura”

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Violando ogni vincolo politico, il turbocapi-talismo è divenuto insostenibile su tutti iversanti: lo sviluppo umano, l’ambiente, lapace, la democrazia. Di più: deregulatione pretese di egemonia unipolare hanno di-strutto le condizioni costitutive di un’econo-mia di mercato: i vecchi squilibri si sonoaggravati e ne sono sorti dei nuovi anchepiù acuti. Gli assetti geopolitici ne sono ri-sultati sconvolti. Governi e organismi internazionali sem-brano intenti a favorire – con qualche cor-rettivo sul terreno delle regole – il rilanciodei meccanismi di crescita che sono all’ori-gine della crisi. Se accadrà, il futuro saràun susseguirsi di turbolenze economiche,sociali e politiche con cadenze sempre piùravvicinate. E i costi umani e civili divente-ranno sempre più intollerabili. Quel che serve è una nuova regolazionesociale e politica che riconduca l’economiadi mercato entro precisi vincoli di sostenibi-lità. La crisi dimostra in modo clamorosoche quando perde il senso del proprio li-mite l’economia distrugge anche se stessa. Obama sembra muoversi nella direzionegiusta. Da solo però non può farcela. Anziè bene comunque che l’America non fac-cia da sola. L’Europa, però, non sa essereper ora un partner adeguato. Serve ben al-tro slancio nell’investire sulle politiche am-bientali e sulle nuove fonti di energia, sullegrandi infrastrutture e sull’innovazione tec-

nologica, sulla ricerca e sulla formazione. E il nodo decisivo è ben lontano dall’esseresciolto: cosa sostituiamo al grande com-promesso tra economia, società e demo-crazia che è stato alla base degli anni mi-gliori delle nazioni del Nord-Ovest? Il“modello sociale europeo”, nelle sue diver-se versioni, ha avuto il suo punto di forzain un sistema di cittadinanza che ha saputoessere inclusivo, redistributivo, capace dipromuovere coesione sociale, consapevo-lezza politica, convivenza civile. Per decen-ni la forza sociale del movimento del lavo-ro e la forza politica dello Stato sono ri-uscite a regolare sia l’economia, sia le for-me della redistribuzione sociale. Urge tornare a pensare con un respiro al-l’altezza del compito. Cominciando dallafrontiera decisiva dei rapporti tra econo-mia, lavoro e cittadinanza. Il welfare va ri-formato, ma non potrà compensare l’in-giustizia e la sofferenza sociale prodotte daun’economia irresponsabile. C’è dunqueda ripensare l’equilibrio complessivo delsistema: elaborando un nuovo mix tra so-cietà, economia e democrazia; un mix me-no sbilanciato verso la competitività suimercati globali e più attento alla sostenibi-lità sociale. Un mix che investa su fattori –locali e non, tradizionali e innovativi – ingrado di creare lavoro e ricchezza diffusi esviluppo sostenibile. Ripensare questo mix vuol dire anche mo-

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Una coalizione socialeper un mercatosostenibile

Le politiche sociali fattoredi sviluppo.

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dificare in profondità la cultura e lestrategie di politica sociale. Il welfareitaliano non è in affanno solo perchécosta troppo ed è sbilanciato su previ-denza e sanità. Lo è soprattutto perchédeve fronteggiare, restando ancoratoa una logica che non li contempla, ri-levanti e molteplici fattori critici: invec-chiamento della popolazione, rivatiz-zazione mercantile, disuguaglianzecrescenti, impoverimento e marginalitàsociale... Va nella direzione giusta ma non ba-sta, il dibattito su una riforma degli“ammortizzatori sociali” che estenda atutte le forme di lavoro e di impresa laprotezione contro le diverse situazioniin cui viene meno il reddito da lavoro.Affronta solo uno dei versanti critici delnostro welfare. Servirebbe, come mini-mo, rilanciare il tema del reddito mini-mo di inserimento, ridare slancio allariforma introdotta con la Legge 328oggi impantanata. Troppo timida, soprattutto, è la ricercasull’innovazione necessaria per dare aisistemi di welfare, dentro e oltre la crisi,efficacia redistributiva e rassicurativa,nuova legittimazione sociale e sostenibi-lità economica. Le politiche sociali van-no ripensate come decisive politiche disviluppo e di regolazione dell’economiadi mercato. Va valorizzata e promossa,anzitutto, la loro funzione di rigeneratri-ci di capitale sociale e di coesione so-ciale. E va potenziata la loro capacità diprodurre lavoro e ricchezza, spingendo-le ad assumere sempre più la forma ela consistenza di un’economia sociale ecivile. Le diverse forme che agiscono inquesta dimensione – e soprattutto il Ter-zo settore – possono contribuire a rego-lare il mercato e a promuovere la suaresponsabilità sociale, ben al di là diquel che oggi riescono a fare. Procedere in questa direzione vuol direriconsiderare la logica welfarista tradi-zionale, fondata sul lavorismo e sulla“politica dell’emancipazione”. È venutoil tempo di affiancare al welfare dei di-ritti di cittadinanza e delle opportunità il“welfare delle capacità” (A. Sen, M.Nussbaum). E quindi di innervare la po-

litica dell’emancipazione e della redi-stribuzione su una politica della promo-zione dello sviluppo umano. Su una“politica della vita” che recuperi queicontenuti di promozione umana, solida-rietà sociale e convivenza civile che l’ir-ruzione delle biotecnologie e l’asproconfronto ideologico che ne è seguitohanno rischiato di appannare. Si può fare? Dobbiamo prendere attoche la democrazia politica, oggi, è qua-si colonizzata dal mercato. Soprattuttoin casa nostra, dove al governo non c’èun Barak Obama ma Silvio Berlusconi edove l’opposizione è piuttosto malcon-cia. È quindi necessario tentare di rico-struire, anzitutto, le condizioni sociali diuna nuova regolazione dell’economia. I diversi soggetti di cui per fortuna è an-cora affollato l’articolato campo del so-ciale e del civile (sindacato, associazio-nismo, cooperazione, volontariato, Ter-zo settore, economia solidale) possono– se lo decidono – cominciare a costrui-re una vera coalizione per la giustiziasociale e la sostenibilità. Possono cioèripensarsi come rete di reti in grado diagire con strategie comuni nelle comu-nità locali e nelle diverse dimensioni einterlocuzioni istituzionali. Servirebbe un’alleanza strategica, capa-ce di realizzare un continuum di societàsolidale e di cittadinanza attiva in gradodi tradurre concretamente le politichepubbliche e le loro prestazioni moneta-rie e di servizi in una reale capacitazio-ne delle persone, delle famiglie, dellecomunità. Capacitazione intesa anzitut-to come riconoscimento delle compe-tenze ad agire che traducono il diritto el’opportunità in fruizione concreta e re-sponsabile. Può diventare un grandecontributo a liberare dalla precarietà edalla paura del futuro, a mettere incampo una risorsa e una spinta verso losviluppo umano e civile delle comunità. La distanza dalla situazione attuale ègrande, ne sono consapevole. Tra que-ste forze, oggi, prevalgono derive iden-titarie e competitive. Non per questo sipuò rinunciare a proporre un’inversionedi tendenza. E, intanto, si può almenocominciare a pensarci insieme.

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Editore: Il Bianco e Il Rosso scarl editoreRedazione: Lungotevere dei Mellini, 7RomaDirettore Responsabile:Vittorio SammarcoDirettore Editoriale: Domenico LucàAutorizzazione: Tribunale di Roma, n. 00424-97 del 4/7/97Progetto grafico: Aesse ComunicazioneImpaginazione: Alessandra SpagnuoloStampa: Spedalgraf Stampa - Roma

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CRISTIANO SOCIALI NEWS QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO SOCIALI

Sede Nazionale del MovimentoLungotevere Mellini, 7Tel. 06/3210694

Il corsivoIl corsivo

Pareva che bastasse «il mio regno per una prima serata», come aveva iro-nizzato Le Monde dopo la performance di Emanuele Filiberto di Savoia,

principe di Piemonte e Venezia, alla competizione televisiva di ballo dove, peraltro, aveva leggia-dramente primeggiato. Ma non poteva bastare perché il nipote dell’ultimo re d’Italia aveva ripetu-tamente affermato che in lui la ricerca della visibilità corrispondeva al desiderio di farsi conoscere“per quello che era”. (E non, sottinteso intuibile, come il rampollo di una stirpe ultimamente alquan-to scaduta, fino alle soglie di traffici non gratificanti). Dunque quale occasione per continuare a farsi conoscere più propizia di un sisma con morti, feriti edispersi, come quello che ha acceso su L’Aquila e dintorni le luci di tutto il mondo? E quale miglioreopportunità per ripercorrere le orme regali dell’avo che non mancò l’appuntamento con le maceriee i lutti di Messina? Non è forse dovere di un re (per quanto virtuale) immergersi nel dolore dei sud-diti, meglio se le telecamere riprendono adeguatamente il tuffo? E poco male che qualcuno abbiacollocato quella presenza nel girone degli “intrusi del dolore”, maniera tutto sommato elegante perdescrivere il profilo di uno che non ha niente da dire e niente da fare nella sciagura se non, appun-to, soddisfare il desiderio di “farsi vedere”, cioè di autopromuversi anche a costo di apparire cinico.Della serie «il mio regno (virtuale) per un terremoto (reale)».

IL PRINCIPE SENZA BALLERINAQuale che sia il giudizio sul gesto aquilano del principe, bisogna tuttavia riconoscere che in vesteregale egli non ha potuto farsi valere come nei vortici delle danze televisive. E non tanto per un’evi-dente e comprensibile mancanza di esercizio (la dinastia è stata espiantata dall’Italia nel remoto1946) ma anche e soprattutto per lo straripare di un concorrente inarrivabile nelle competizionipresenzialiste. In questo campo a Silvio Berlusconi tutto riesce naturale: imporre ai leader di Usa eRussia una foto a tre con lui, chiamare a gran voce il presidente “abbronzato” davanti a Sua Gra-zia la Regina, oppure tenere l’intera governance mondiale in mezz’ora di attesa per una foto ricor-do. E, per favore, chi si lamenta ricordi quella ballata popolare che dice: «Quando mio nonno/ ca-poral di fanteria/ stette quattro giorni in posa/ per mandare a Rosa la fotografia». Il Presidente del Consiglio sa di poter contare ormai su una stabile assuefazione del pubblico inmateria: è universalmente riconosciuta la sua capacità di stare sul posto, sempre in favore di tele-camera, per mostrare di seguire di persona non importa quale evento: dall’arredamento urbano ola messinscena per un summit internazionale (Genova e Pratica di Mare e ora La Maddalena, datraslocare a L’Aquila) alla “battaglia della monnezza” in Campania, dalla dichiarazione di guerrafino alla (pen)ultima ecoballa. Nessuno d’altra parte può rimproverare un Premier che paga di per-sona, si informa sulle situazioni, parla con la gente, assume informazioni e impartisce direttive. È ilsuo compito: e, se lo svolge così, fa bene.

L’ANTIFONA DEL CULTOIl problema però non è nel primo attore, ma nel coro. Cioè nel lessico e nel tono di alcuni serviziabruzzesi di qualche inviato al quale, per così dire, l’ammirazione ha preso la mano. Che questocapo del Governo inceda tra lutti e macerie «col fare dell’uomo del fare» non desta meraviglia: èla sua identità preferita. Meno persuasiva è francamente l’evocazione di quel «fare dello statistacompassionevole che mette le istituzioni a servizio della comunità». Dove di troppo non è né il sog-getto, lo statista, né il suo essere compassionevole, che è semmai una qualità positiva, ma precisa-mente l’idea che egli possa in qualche modo disporre delle istituzioni sia pure a servizio della co-munità. A servizio di chi sono le istituzioni se non della comunità? E non è compito dello statista ga-rantire che tale servizio sia reso al meglio? Delle due l’una: o si suppone che il suddetto statista po-trebbe disporre delle istituzioni in modo diverso dal fine istituzionale, oppure ci si trova di fronte auna ridondanza retorica, da elogio del capo più che da illustrazione del compimento di un doverecivico. Perdura, intanto, l’eco delle parole inneggianti all’“eroe”, lette dai giovani nel prologo con-gressuale del Pdl. La lode del principe come antifona del culto? Si accettano rettifiche.

di Avieno

“Principi” in posa