PrimaPagina dic. 2010

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mensile per Teramo e provincia www.primapaginaweb.it

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Caro direttore,sfogliando il magazine Prima Pagina sono attratto dall’articolo “Vino al Vino”, titolo che evoca quello del bellissimo libro di Mario Soldati (cro-naca di un viaggio tra i vigneti d’Italia). Ad inizio lettura penso che voglia essere un omaggio al nostro bellissimo territorio delle colline teramane e ai suoi magnifi ci vigneti che producono vini conosciuti e apprezzati in tutta Italia e all’estero. Occasione perduta perché mi sbaglio di grosso! Chi scrive, al contrario, non trova altro di meglio che demonizzare il vino, parlare di alcolismo e mettere i lettori in guardia dai tanti som-melier che nelle trasmissioni televisive “assaporando una qualunque bottiglia sentono sapori di fruttato e lamponi”!!!; una stucchevole de-scrizione di una generica e approssimativa degustazione che nessun sommelier farebbe mai. Quello che non ho capito è se l’autore dell’ar-ticolo volesse parlare di alcolismo con i suoi relativi e gravissimi danni alla salute, oppure di vino come lascia intendere l’incipit e il titolo. Due temi diversi per trattazioni diverse: l’alcolismo trae origine dall’abuso reiterato di qualsiasi bevanda alcolica (birra compresa!) mentre il vino è parte della storia dell’uomo fi n dall’antichità, è cultura e ricchezza del territorio perché ogni vino bevuto ha il suo racconto, è bevanda che accompagna e valorizza l’abbinamento con il cibo e tante altre cose anche immaginifi che che tralascio di descrivere. Questo per chi AMA

il vino, per chi ne è AMICO e, quindi, per chi ne fa un uso moderato e consapevole, cogliendone anche piccoli van-taggi salutistici (il vino contiene quantità di resvaratrolo, una sorta di antibiotico delle coronarie).Francamente avrei letto con piacere un attento e compe-tente articolo centrato sulla valorizzazione del territorio delle Colline Teramane e della sua docg Montepulciano d’Abruzzo, corredato da indirizzi e notizie utili su vignaioli certamente disposti con piacere a ricevere visite alle loro cantine in questi giorni profumate di mosto.Il tema e altri legati alla cultura materiale del nostro ter-ritorio possono certamente interessare i vostri lettori oltre che offrire un contributo alla valorizzazione economica e sociale del nostro Abruzzo Teramano. Una precisazio-ne: Controguerra non si è “autodefi nita” Citta’ del vino, ma è un ambito riconoscimento (sono tanti i Comuni che vorrebbero averlo !) ricevuto dall’Associazione Nazionale “Citta’ del Vino “ che riunisce tutte quelle località partico-

larmente vocate al turismo del vino e alla sua valorizzazione, perché oggi sono in tanti a intraprendere viaggi ed esperienze attraverso i territori rurali dell’Italia. Per ultimo Le invio il testo, ma è solo una boutade, di una frase che ho avuto modo di leggere sulla parete di una cantina piemontese: “Costruitevi una cantina ampia, spaziosa, ben areata e rallegratela di belle bottiglie, queste ritte, quelle coricate, da considerare con occhio amico nelle sere di primavera, estate, autunno e inverno, sogghignando al pensiero di quell’uomo senza canti e senza suoni, senza donne e senza vino, che dovrebbe vivere qualche anno più di voi”! Non male, vero? Voglia scusarmi per questa mia intrusione e gradire i miei migliori auguri.

Ruggero Gorgoglione

Gentile (e competente) lettore, la sua lunga e appassionata difesa del vino e delle sue “profumate” qualità conquistano. Il nostro Di Nino (autore dell’articolo al quale fa riferimento) ha inteso considerare “l’altra parte” della vite, quella che tanti danni crea. .Purtroppo. E ironizzare su certe “esibizioni” televisive di esperti dell’acino, che talvolta hanno poco a che fare con la “cultura” del bere. Importante anch’essa e vanto del nostro Paese. Plauso, dun-que, a tutti coloro che, come Soldati, hanno raccontato la parte più succulenta dell’Italia. E “prosit” a lei. Ma con moderazione.

Sono trascorsi 11 anni da quando mi sono trasferito a Teramo. L’ho fat-to per motivi universitari. La scelta è stata dettata, all’epoca, dall’unico punto a favore che questa cittadina veramente possiede: la tranquillità. Una bella addormentata a misura d’uomo. Tuttavia, dopo un decennio, la mia visione è – leggermente – cambiata. Ritengo Teramo un mi-crocosmo autoreferenziale contraddistinto da una immobilità cronica. Quella che credevo una bella addormentata, col passare degli anni, si è rivelata una zitella dal sonno molto pesante. Se escludiamo tiepidi barlumi di vita universitaria, la tranquillità si trasforma in uno sconfor-tante tracciato piatto. Prendiamo ad esempio il corso di Teramo dopo le 10 di sera. Le città fantasma del vecchio west hanno molta più vita. Se non altro perché, ogni tanto, rotolano delle balle di sterpi. Quando ho chiesto il motivo di cotanta sterilità da parte dei teramani verso la vita notturna, mi è stato detto che la gente ha paura delle streghe e che, dopo una certa ora, si rintana in casa. Pare che ci sia pure una leggenda a riguardo. Sarà, ma più delle streghe tendo a credere di più della meno esoterica ipotesi chiamata Giulianova o, più recentemente, Gran Sasso (purtroppo non la montagna). Sia chiaro: ho sentito tanti teramani lamentarsi della Zitella Ronfante. Pare che sia una delle disci-pline sportive più in voga durante le passeggiate per il corso, chiamate vasche. Nella classifi ca delle sentenze, al primo posto: “Teramo vive solo nei giorni della Coppa Interamnia”. Oppure (se il livello culturale è più alto), nella variante “Maggio Festeggiante”. Una soluzione? Tutte le belle sentenze da “vasca” potrebbero essere indirizzate a dovere verso le istituzioni locali. Comune e Provincia potrebbero fi nalmente decidere un piano d’azione effi cace per risollevare l’economia, in collaborazio-ne con gli esercenti del centro. In soldoni, invogliare tramite incentivi i teramani a scegliere il centro cittadino piuttosto che la costa oppure il salotto di casa. Non mi sembra una cosa diffi cile. Sempre se, non è una ipotesi da scartare, la storia delle streghe non sia stata messa in giro dai residenti del centro...

Stefano Orlando Puracchio

Dopo undici anni, credo che si possa considerare “teramano” a tutti gli effetti. Le osservazioni sulla “zitella ronfante” sono “inaci-dite” come la medesima. Nel senso che i teramani, compreso gli “adottati” come lei, le sentono e ripetono a loro volta da sempre. Come darle torto, dunque? Tuttavia, non credo che gli abitanti del centro amino streghe e dintorni, o scaccino con l’aglio gli insonni del divertimento. Semmai, i maleducati e gli schiamazzatori isterici, che, purtroppo, non si estinguono, anzi… C’è soluzione? Lei dice che è “cosa facile”. Allora partecipi attivamente alla risoluzione dell’annoso problema, da giovane brillante quale, immagino, sia. O già è stato contagiato (senza saperlo) dal virus del “microcosmo autoreferenziale contraddistinto da un’ immobilità cronica” tutto teramano?

Per scrivere aPrimaPaginaPer una risposta privata inviare alla redazione specifi cando il titolo dell’articolo o della rubricaVia Costantini n.6 64100 TeramoIndirizzi mail:[email protected] [email protected]/fax 0861. 412240

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TIZIANA MATTIA

n. 605 del 14/07/09 n. 20081

E.C.S. Editori srlVia Costantini, 6 TeT. e F. [email protected]. Roc. 20081

Francesca AlciniiMira CarpinetaVincenzo CastaldoManolo CipriettiMirko De BerardinisPaolo De CristofaroEmanuela Di GaetanoG. Di GiacomantonioL. Di GiambattistaValter Di MattiaSara Di MattiaIvan Di NinoValentina Di SimoneV. Lisciani PetriniAntonella LorenziMatteo LupiDaniela MantiniFederica MazzoniGiuseppina MichiniBarbara MonacoDaniela PalantraniMariagrazia PetrinoGianfranco PucaRaul RicciFabio RocciRopelRoberto SantoroValerio V. SilveriiOscar StranieroEmanuela TorbidoneN. Viandi

Nicola Arletti

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01 Dicembre 2010

DIRETTORE RESPONSABILE

Reg. Trib. di TEIscr. Roc

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Edito da E.C.S. Editori srlVia Costantini, 6 TERAMOT. e F. 0861.412240 [email protected]@libero.it

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non verranno restituiti. Il contenuto della pubblicazione è coperto dalle norme sul diritto d’autore.

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Si ringraziano gli inserzionisti per il loro sensibile contributo che consente

la pubblicazione e la divulgazion del periodico.

In copertina: Terrra di Badanti

(foto free royalty from internet)

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Focus on

Dal territorio le risposte alla crsidi Mira Carpineta

“Spazio a chi lo merita”di Daniela Palantrani

ATR di Colonnella, un pò di respirodi N. Viandi

Stalking: la molestia non ha sessodi Lorena Di Giambattista

Astrofi sica: domande imbarazzantidi Oscar Straniero

Per farcela solo talentodi Vicenzo Lisciani Petrini

Aquilotti in braccio al gigantedi Matteo Lupi

Edu Alimentare: la familglia non và lasciata soladi Paolo De Cristofaro

La Terra di Badanti

“Siamo il Paesedelle badanti”

Francesco Vietti, antropologo

Inquadra e scatta con il tuo cellulare:

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“E’ bello essere poveri anche perché, quando ti avvici-ni ai settant’anni, i tuoi fi gli non cercano di dichiararti demente per prendere il controllo delle tue proprietà”. Il cinico umorismo di Woody Allen è utile per aff rontare l’approfondimento di questo mese. Parliamo di badanti, infatti, e di un fenomeno che “pesa” sul bilancio delle famiglie italiane per oltre nove miliardi. Cifre enormi che fanno rifl ettere. Allo stesso modo, e con le dovute pro-porzioni, tutto ciò che riguarda la “buona tavola”. Come non pensare ai manicaretti di casa nostra, alla vigilia delle feste natalizie? Lo facciamo con un grande gior-nalista, che inizia una collaborazione con Prima Pagina rispondendo, ogni mese, a domande su temi di varia at-tualità, ai quali i lettori possono replicare puntualmente. E buone feste a tutti.

Tiziana Mattia

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Natale è alle porte. Tralasciamo argomenti poco commestibili e occupiamoci di temi piacevoli. Non tutti sanno che fra le tue competenze di giornalista e scrittore c’è la enogastronomia. Non a caso sei uno dei capi della Fondazione De Victoriis Medori de Leone, che si occupa di ricerca e cultura dell’alimentazione.“In eff etti, ho coltivato sempre interesse per il settore. E guardo con molto sospetto chi non apprezza la buona tavola e la convivialità”.

Hai certamente da raccontare… C’è un personaggio che più ti ha coinvolto?“Molti gl’incontri e le esperienze. In particolare, ho un ricordo nitido di Luigi Carnacina, mitico gastronomo di fama internazionale, del quale sono stato più d’una volta privilegiato commensale. Una sera, ad Amatrice, organizzarono una manifestazione celebrativa in onore del grande maestro. Naturalmente, al posto d’onore di un menu all’altezza di tanto ospite, c’erano i celebrati “maccheroni all’amatriciana”.E come andò?“Carnacina ad un certo punto…andò su tutte le furie e, prendendo il microfono, riproverò senza mezzi termini i cuochi impegnati in cucina. ‘Ho portato questo piatto in tutto il mondo. Non sapevo -riproverò il maestro- di dover scoprire proprio ad Amatrice come non si cucinano i maccheroni all’amatriciana’.Dal che si deduce che la cucina è un’arte, con regole da rispettare…“Di più. Si può dire che da qui comincia il problema e da qui urge ricominciare. Vale a dire, dalla riscoperta e valorizzazione della vera cucina tradizionale. In tempi di globalizzazione, potrebbe apparire un’idea di incalliti conservatori, che rifi utano la modernità. Invece, no. Il localismo è indispensabile. Specie a tavola. Guai a

‘globalizzare’ persino i gusti. Sarebbe un disastro”.Pensi davvero che un piatto in regola con la tradizione possa essere decisivo per il turismo e l’economia in generale?“Importantissimo, sicuramente. La cucina tipica locale, con l’arte e il paesaggio, è determinante per il fatturato turistico di un paesello o di una grande nazione. Pensa: i McDonald’s stanno adeguando i propri menu, inserendovi piatti tradizionali del territorio. Persino sulle grandi navi da crociera, la tavola delle prossime feste sarà all’insegna del gusto italiano e dei piatti della nostra cultura regionale.”Eppure, certi ristoratori di casa nostra fi ngono di non capire e insistono con proposte culinarie che ignorano i prodotti locali. “E’ così. Ed è un limite culturale. Noi italiani siamo bravissimi nel rifi utare o rinnegare il meglio del nostro patrimonio di arte e cultura, piccole o grandi cose che siano. E, per capirlo, basterebbe un giretto in America, dove stanno crollando i colossi del fast-food, mentre avanzano catene di nuovi locali alla moda, che off rono panini all’italiana, sani e di qualità, al posto degli hamburger dolciastri e ipocalorici. Semplice, no? Prima, non c’era chi, negli Stati Uniti, vendesse pane vero e non di plastica”.A pensarci bene, sembra davvero incredibile. E per Natale, come regolarci?“Come sempre, rispettando la tradizione. Altrimenti, che Natale sarebbe? Il ‘globalismo culinario’, se proprio non possiamo farne a meno, rimandiamolo a dopo le feste. Con tanti auguri a tutti”.

No al “globalismo”, specialmente per il pranzo di NataleNo al “globalismo”, specialmente per il pranzo di NataleCon lo scrittore-giornalista, specialista in enogastronomia, parliamo Con lo scrittore-giornalista, specialista in enogastronomia, parliamo delle nuove tendenze del gusto e del ruolo della cucina tipica locale. delle nuove tendenze del gusto e del ruolo della cucina tipica locale. Anche per rilanciare il turismo e risollevare l’economia.Anche per rilanciare il turismo e risollevare l’economia.

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l decreto Gelmini sulla riforma dell’Università ha aperto un ampio dibattito sul futuro assetto del mondo accademico e

della ricerca in Italia e in una recente conferenza, tenutasi presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, sono emersi numerosi spunti di confronto. Con il prof. Luciano D’Amico abbiamo cercato di fare un’analisi della situazione, partendo dalle cosiddette criticità del decreto.“Le criticità emerse dalla conferenza - spiega il preside - sono essenzialmente le stesse rilevate a livello nazionale e consistono principalmente in questo: indipendentemente dai risultati conse-guiti, negli ultimi due, tre anni, sono stati apportati tagli alle risor-se fi nanziarie di importi notevolissimi. Questi tagli si traducono immediatamente in criticità, perché fi siologicamente tutte le uni-versità, non solo Teramo, se ben gestite, investono parte rilevante delle risorse fi nanziarie che ricevono in spese per il personale. Compito dell’università è sviluppare ricer-ca e promuovere la didattica. In entrambi i casi sono necessarie le persone. Non produ-ciamo automobili, non abbiamo costi indu-striali. Le strutture universitarie presentano quindi costi assolutamente rigidi, la cui parte principale è rappresentata dagli oneri per il personale. Questo signifi ca che tagli di tale rilevanza e percentuale mandano in crisi l’in-tero sistema, perché nessuna università è in grado di licenziare il personale, né sarebbe auspicabile tale situazione.”In cosa consiste la “meritocrazia” nell’am-bito della distribuzione delle risorse?“Dal ‘97, in Italia, le università sono fi nanziate esclusivamente in base ai risultati. La merito-crazia in realtà non deve essere introdotta oggi, perché è stato fatto tredici anni fa, ed è stata introdotta con meccanismi che ancora oggi utilizziamo. Ovviamente con integrazio-ni e modifi che degli indicatori provocate dal raggiungimento di determinati obiettivi,

quindi con un’evoluzione assolutamente positiva. Dal ‘97 le uni-versità ricevono fi nanziamenti sulla base dei risultati che inizial-mente erano focalizzati sulla didattica, progressivamente c’è stato uno spostamento sulla ricerca. Attualmente, sul totale dei fi nan-ziamenti dell’anno precedente, viene defalcata una quota pari al 7% dell’importo annuo complessivo, e questa quota viene riasse-gnata, sulla base dei risultati ottenuti per il 66% dalla ricerca e per il 34% dalla didattica. Quindi la meritocrazia in questo senso non è una novità. Nel decreto legge in discussione, in un certo senso tutto questo viene confermato. Ciò che invece impone rifl essione sono i nuovi modelli di governance del sistema, in cui si vuole rafforzare una componente anche esterna degli organi di governo, il che non è necessariamente un bene, perché qualsiasi universi-tà è un organismo assolutamente ed enormemente complesso. E perché funzioni non è pensabile che il reclutamento degli organi

di governo sia fatto banalmente all’esterno.Può approfondire?“Cosa succederebbe se aprissimo il consiglio di amministrazione della Fiat a rappresen-tanti del territorio, semplicemente prelevan-doli e immettendoli nel cda? Probabilmen-te i risultati non sarebbero utili in quanto, sebbene autorevoli, potrebbero non avere suffi cienti strumenti di comprensione del processo. Il funzionamento dell’università è un processo altrettanto complesso e senza le necessarie conoscenze, è molto diffi cile programmare un’attività didattica o indivi-duare i settori della ricerca che vanno po-tenziati, soprattutto quelli in cui va creata la vocazione dell’ateneo. Non possiamo più permetterci di avere un impegno nella ricer-ca indiscriminato, come non possiamo più permetterci un’offerta didattica indiscrimi-nata. Dobbiamo decidere come concentrare le risorse e in questo disegno strategico è molto importante che i decisori siamo a co-

DI MIRA CARPINETA

Dal territorioDal territoriole risposte alla crisi

Intervista a Luciano D’AmicoIntervista a Luciano D’Amico, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione, ma anche economista economista con idee ben precise sul futuro dell’Abruzzocon idee ben precise sul futuro dell’Abruzzo

Durnate uno dei suoi interventi all’Università di Teramo

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noscenza di tutto il sistema delle variabili che infl uiscono sulle decisioni e abbiano anche l’abilità tecnica nell’assumere tutte le decisioni giuste. Quindi questa apertu-ra semplicistica all’esterno potrebbe non dare i migliori risultati.Parliamo dei “famigerati” tagli.“La formazione del personale docente è un processo impegnativo e lunghissimo. E’ necessario il completamento di un percor-so universitario, il conseguimento di un dottorato di ricerca, un ulteriore periodo di sviluppo post dottorato, fi no al giorno prima in cui il docente o ricercatore va in pensione. Sarebbe quindi uno spreco di risorse un investimento così impegnativo per poi dire semplicemente ai ricercatori che non c’è più posto. Chi si è formato nella ricerca e vi ha trascorso gran parte della sua vita non può riuscire a restitui-re tutte le risorse che la sua formazione ha assorbito in un contesto diverso dalla ricerca. Quale potrebbe essere la proposta più adeguata?“Sicuramente una crescente specializza-zione degli atenei consentirebbe, molto più di troppo spesso citate politiche di ag-gregazione, fusione o assorbimento, di rea-lizzare una politica di sistema. Su questo mi fa piacere citare l’esempio di Teramo che ha basato sull’individuazione di proprie vo-cazioni tutta la sua programmazione. Infatti nella didattica, e conseguentemente nella ricerca, copre delle aree che non sono co-perte né dall’ateneo di Pescara, né da quel-lo de L’Aquila. Sicuramente sarebbe utile un raccordo per aree vocazionali. Un au-togoverno che privilegi lo sviluppo di aree vocazionali non può che giovare all’ateneo e al sistema più di una mera razionalizza-zione amministrativa.Abbandoniamo l’argomento universi-tà. Lei è un economista, possiamo fare un’analisi della situazione, dal più am-pio contesto nazionale al locale tera-mano? Che ruolo hanno nella gestione della crisi?“Le banche fanno il loro mestiere. Valutano le operazioni d’investimento e le fi nanzia-no sulla base del merito creditizio. Il vero problema, ragionando in termini aggre-gati, è che in Italia, come dato nazionale, in Abruzzo come dato locale, si stanno manifestando in modo repentino alcuni cambiamenti che comunque da qualche decennio erano nell’aria. Per un sistema

industriale come quello italiano, ancora fortemente manifatturiero ( il secondo dopo la Germania), e per rimanere nel lo-cale, come quello abruzzese, che rappre-senta per il Mezzogiorno uno degli esempi a maggiore concentrazione manifatturiera, i tassi di crescita iperbolici di paesi come la Cina, l’India o paesi in rapidissimo svi-luppo, si traducono nella perdita di volumi che anno dopo anno conducono a una minore incidenza sul pil europeo e mon-

diale. Questa crisi probabilmente ha anche l’effetto di costringere a prendere atto quasi all’improvviso di un deterioramento, un travaso della struttura produttiva da paesi manifatturieri a economia consoli-data come l’Italia (e di rifl esso l’Abruzzo) a paesi emergenti come la Cina. Pensare di rispondere a questa crisi insistendo sul manifatturiero classico è fuorviante. Il di-vario in termini di costo del lavoro è tale che non può essere colmato nemmeno nella migliore delle ipotesi. Il costo del la-voro nei paesi emergenti è nell’ordine di grandezza di un decimo, un ventesimo del costo del lavoro in Italia.Qual è la situazione reale?“Ogni volta che c’è stato un cambiamento

epocale, come quello che stiamo vivendo, in cui paesi come la Cina o l’India stanno tornando ad essere quello che erano fi no al Settecento, e cioè la grande manifattura del mondo, e nel momento in cui questo processo si sposta di nuovo in quei paesi, non possiamo che cercare di ridefi nire una vocazione produttiva, che quando è stata condivisa, ha sempre prodotto ottimi risultati. Il Teramano ha avuto un’econo-mia meravigliosa nel tessile-abbigliamento come nel calzaturiero-pellettiero. Questo successo si è avuto perché era la strate-gia migliore in quel momento storico, ed è stata condivisa. Anche le strutture erano create in coerenza con quella politica. Oggi ciò che appare sempre più evidente è la mancanza di una politica industriale condi-visa. Bisognerebbe riuscire a ridefi nire una vocazione nel Teramano, ma in senso più ampio in Abruzzo e in Italia, sapendo che non possiamo più fare affi damento sugli strumenti che hanno sempre premiato il recupero di produttività e competitività in termini di svalutazione del tasso di cambio, di minor costo del lavoro e fi nanza agevo-lata. E’ diffi cile invertire strutturalmente il declino produttivo a cui ci stiamo lenta-mente abituando, ma non è un caso che la Germania cresca al 3,4 % e l’Italia solo al’1%. Mentre il nostro settore produtti-vo sconta ancora l’abitudine maturata in decenni di storia economica di recupero di competitività con svalutazioni, in Ger-mania accadeva l’opposto, cioè un sistema produttivo abituato a convivere per de-cenni con continue rivalutazioni del marco. Sono cambiati i termini e la prospettiva del problema”.Quale potrebbe essere la soluzione?“Provare a ridisegnare la vocazione produttiva della Provincia di Teramo, della Regione e concorrere in questo a ridise-gnare anche quella del Paese e magari farlo insieme alle aziende. Per funziona-re occorre un sistema di alta formazione, rappresentato dalle università, così come avveniva negli anni passati in cui percor-si formativi istituzionali consentivano di rispondere effi cacemente alle richieste di professionalità. Per ridefi nire la vocazione bisognerebbe rafforzare questo rapporto, puntare an-cora di più su ricerca e alta formazione, anche non universitaria, per ricercare in questo valore aggiunto il recupero di com-petitività”.

CHI ÈDocente di Comunicazione Economico-fi nanziaria, Preside della facoltà di Scienze della Comunicazione. Professore ordinario dell’università di Teramo dal 2000 e nello stesso ateneo già direttore della Fondazione universitaria.Membro dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale e segretario della Società Italiana di Storia della Ragioneria, ha svolto attività di ricerca prevalentemente su temi istituzionali, di Accounting e di Accounting History. Autore di numerose monografi e e articoli pubblicati con prestigiosi editori e reviewer di autorevoli riviste scientifi che.Già presidente di corsi di laurea, ha assunto incarichi istituzionali anche presso altre università. Membro di numerose commissioni di studio del consiglio nazionale dottori commercialisti.

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DI MIRA CARPINETA

edico per vocazione, dopo 27 anni di lavoro ospedaliero a Londra, dove ha ricoperto l’incarico di primario di Chirur-

gia Estetica, da qualche tempo e per sua scelta, il dr Paolo Cajano esercita la libera professione.Dice di sé: “Sono nato a Teramo. La mia famiglia è qui da qualche centinaio di anni e così anche la mia anima, anche se molti miei parenti ora non ci sono più. Mio padre era un generale dell’eser-cito e abbiamo girato l’Italia da Udine a Messina, passando per Roma, ma il mio punto fi sso è sempre rimasto Teramo. Si dice che tutto il mondo è paese, ma io mi sento sempre molto più sereno quando sono a Teramo piuttosto che a New York, o a Manila la prossima settimana o a Londra la settimana scorsa. Come spesso capita, quando si arriva ad una certa età le rondini tornano al nido.”Cosa le piace di Teramo?Alla fi ne dei conti siamo fatti di emozio-ni. Io sono molto emotivo e questo aspetto è molto importante per me. Le mie radici, i miei affetti sono qui e mi legano molto a Teramo. Anche gli aspetti pratici mi piac-ciono. Quando mi dicono che Teramo è no-iosa, io rispondo che invece qui si vive bene. La sicurezza, la possibilità di godere di una passeggiata senza le paure delle grandi città. Nei paesi anglosassoni, le persone lavorano, lavorano, lavorano e quando tornano a casa sono soli. Direi proprio isolati. Ma non si può essere felici in solitudine, anche se si è ricchi. L’uomo è un essere sociale, sta bene in compagnia. Quando torno a Teramo, inve-ce, posso ancora telefonare al vecchio ami-co, con cui giocavo a pallone da ragazzino, e trascorrere una serata insieme. Questi sono aspetti umani che a Teramo, grazie al cielo ancora ci sono.

Cosa manca invece a Teramo?Secondo me non manca proprio niente. Io vengo da un mondo altamente tecnicizzato, ricco, ma ne riconosco i difetti, e mi sento più attratto da questa realtà più semplice, fatta di cose essenziali. Quali sono i difetti del vivere all’estero?L’ultima volta che sono stato al cinema è stato 27 anni fa. Nel mio campo, se si vuole sopravvivere prima, e affermarsi poi, l’impegno lavorativo è talmente totalizzante che tutto passa in secondo piano. Questo soprattutto nel mondo anglosassone. Nella mia vita c’è stata solo la chirurgia. C’è stato un periodo in cui lavoravo 106 ore a settimana. Così, molti aspetti della vita si perdono. Per que-sto motivo, per me lo “struscio” per il corso di Teramo è ogni volta un enorme divertimento, un grosso svago.

Perché proprio la chirurgia estetica?La vita a volte è veramente curiosa. A quat-tro anni ebbi un incidente con una Lambret-ta. Finii in coma e una mia zia mi portò una reliquia di Padre Pio. Quando mi risvegliai, la mia famiglia (e anch’io nel tempo) lo consi-derò un miracolo. Dell’incidente subìto rima-se solo la deformazione del naso, che negli anni successivi divenne per me un enorme problema. Mi rendeva insicuro. Poco socie-vole. Quando ero all’università decisi di “ri-farmelo” e il cambiamento che si verifi cò mi portò a considerare la scelta sul mio futuro. Chi è il paziente del chirurgo estetico?La società impone dei canoni molto rigidi. Inutile negare che l’aspetto non conti. È qua-si proibito invecchiare. In Inghilterra, questa è soprattutto una strategia di sopravvivenza tra i managers sulla sessantina, che temono di perdere il lavoro a favore di colleghi più giovani e allora ricorrono al lifting. Ma quello Paolo Cajano

“Lo psichiatraLo psichiatracol bisturicol bisturi”

Intervista a Paolo CajanoPaolo Cajanochirurgo estetico di fama internazionalechirurgo estetico di fama internazionalema teramanoma teramano per radici ed aff etti.

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che la società vede sono gli aspetti più su-perfi ciali della chirurgia estetica. A parte le attrici e i vip, ci sono persone con problemi reali, con disagi che infl uiscono sulla qualità della loro vita, sulle relazioni interpersona-li. A volte, dopo un intervento, la loro vita cambia radicalmente. Il chirurgo estetico, in realtà, è “uno psichiatra col bisturi”.

La società impone La società impone dei canoni molto dei canoni molto rigidi. Inutile negare rigidi. Inutile negare che l’aspetto non che l’aspetto non conti. È quasi proibito conti. È quasi proibito invecchiareinvecchiareCHI È

Nato a Teramo e laureato a Roma, Paolo Cajano esercita da 27 anni all’estero. Primario in Chirurgia Plastica a Liverpool, perfezionatosi in Chirurgia Plastica Estetica dal 1995 al 1998 alla scuola del prof. Pitanguy a Rio de Janeiro, dove ha conseguito anche la Specializzazione della Societa’ Brasiliana di Chirurgia Plastica.Nel 1999 Primo Aiuto del Professor Jackson all’Istituto di Chirurgia Plastica Craniofacciale ed Estetica di Detroit. Consulente delle maggiori Società nel settore della Chirurgia Estetica. Membro di numerose associazioni internazionali, fra le quali: Associazione britannica di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, Accademia americana di chirurgia cosmetica e del seno, Accademia americana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica facciale.E’ membro del consiglio di esperti in Sanità del gruppo industriale Gerson-Lehrman di New York.

Nel mio campo, se si Nel mio campo, se si vuole sopravvivere vuole sopravvivere prima, e aff ermarsi poi, prima, e aff ermarsi poi, l’impegno lavorativo è l’impegno lavorativo è talmente totalizzante talmente totalizzante che tutto passa in che tutto passa in secondo pianosecondo piano

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DI DANIELA PALANTRANI

i parla spesso del comune di Teramo, spaziando anche oltre il centro storico,

ma Giusi Casolani, segretaria del circolo Pd Villa Vomano/Forcella/Caprafi co/Miano, fa subito notare come la zona in cui vive e di cui si fa portavoce, sia dimenticata da tutti. “Da noi vengono i candidati in campagna elettorale, poi non li vediamo più. Tutti a chiedere voti, spesso con logiche cliente-lari.” I problemi di Villa Vomano sono diversi, la “storia della scuola“ si protrae ormai da anni. “ E’ un edifi cio fatiscente. Riassumen-do la situazione: si tratta di un fi nanziamen-to della giunta Sperandio, ‘smarritosi’ con la giunta Chiodi. Incredibile, ma non si capi-va dove fossero fi niti i fondi stanziati. Gra-zie ad una lunga battaglia, siamo riusciti ad ottenere ampie rassicurazioni dall’attuale sindaco Brucchi, che la scuola verrà ulti-mata. Allo stato attuale però, ci sono solo i pilastri.” E’ un progetto che risale ad oltre dieci anni or sono, e ormai anacronistico rispetto alle esigenze scolastiche attuali, ma non ancora realizzato. “I lavori sono fermi, ed il cantiere è esposto agli agenti atmosferici. Mi chiedo se un giorno l’edifi -cio che verrà realizzato potrà essere sicu-ro, o se la struttura è stata compromessa dall’essere stato trascurato per così lungo tempo. Abbiamo visto nella nostra zona la giunta comunale solo per l’inaugurazione dei marciapiedi. Ci sentiamo dimentica-ti dalle istituzioni, e dire che paghiamo le tasse come ogni altro cittadino”. La segre-

taria racconta che la mattina, quando esce di casa, prova tanta tristezza, vive in una zona con potenzialità enormi ma che non viene aiutata nello sviluppo. “Non c’è nulla, il piano regolatore non permette nessun tipo di evoluzione. Per la semplice pulizia dei canali di scolo delle acque bianche ai lati delle strade, un paio di anni sono stata costretta a decine di protocolli in comune, per chiedere ciò che in realtà è dovuto”. La Casolani prosegue dicendo di venire da un’esperienza aquilana nei Ds e sini-stra giovanile, di amare la politica, di sapere che non ci si arricchisce se la si fa come si dovrebbe: per altruismo e non per puro egoismo. “ A L’Aquila appunto, ho vissuto un’esperienza bellissima dove non esisteva il centro e la periferia – non sono ironica, parlo di un periodo antecedente il terre-moto - le zone vengono trattate tutte alla stessa maniera. Parlo proprio del contatto delle amministrazioni con le persone, sen-za distinzioni di colore politico. Si tratta di saper fare politica. Il sindaco è il sindaco di tutti non solo di Teramo centro. Vorrei che Brucchi una mattina venisse da noi, anzi-ché passeggiare per il corso, magari a dirci di non avere le risorse per fronteggiare, a breve, una determinata questione piutto-sto che un’altra. Sarebbe un forte segno di rispetto per i cittadini.” L’illuminazione annunciata a Sardinara in campagna eletto-rale, ancora non c’è. Non si possono fare promesse che non si è in grado di mantenere.

“Teramo non fi niscenon fi niscenel centronel centro storico”

AppelloAppello all’amministrazione comunaledi Giusi Casolanidi Giusi Casolani, segretaria del circolo Pd segretaria del circolo Pd Villa Vomano/Forcella/Caprafi co/Miano

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Teramo è iniziato già da tempo un percorso di svecchiamento della po-

litica, con giunte precedenti nelle quali fu-rono nominati giovani consiglieri, all’inizio della loro carriera politica, che oggi rico-prono cariche importanti, a livello regiona-le. Questo il concetto di esordio di Valeria Misticoni, consigliere comunale eletta con il Pdl. “Personalmente credo che i giovani, così come le donne, non debbano avere prece-denze o quote privilegiate. Penso che ognuno debba guadagnarsi il proprio spazio, dimostrando ciò che vale.

Sostengo che prima di ottenere qualcosa bisogna dimostrare cosa si sa fare. Spesso, accade il contrario. Molti giovani pensano prima di dover ottenere l’opportunità, poi di dimostrare cosa valgono. E’ giusto dare

spazio, ma a chi lo merita”. Quando nasce la passione per la poli-tica?“E’ una cosa che parte da molto lontano, da quando ero bambina, e chiaramente non sapevo scindere tra un’ideologia e l’altra, ma avevo grande rispetto per le istituzioni. Rispetto e amore per le istituzioni e per la storia che ancora mi accompagna, e mi spinge a fare qualcosa per gli altri. A vent’anni mi sono iscritta ad An.” La sua posizione in merito alla scissio-ne interna del partito?“Penso che la scelta di Fini sia individua-

lista. Resto nel Pdl, che è il partito in cui Fini ci ha por-tato, che ha contribuito a creare, e in cui ci ha chiesto di crescere. A Teramo stia-mo tuttora costruendo nel Pdl. Per Alleanza Nazionale il Pdl era uno sfogo neces-sario in risposta anche al Pd che si era formato nell’altro schieramento. Inoltre, cre-do che la coerenza paghi sempre, anche se in certi momenti è dura perseguire certe strade, alla fi ne il tem-po è galantuomo.”

Non si percepisce più una netta diffe-renza tra destra e sinistra. “E’ vero, anni fa abbiamo cercato di abbat-tere e smussare le ideologie. E’ vero che le ideologie esasperate nel 900 hanno por-

tato anche tanto male: fascismo, nazismo, comunismo. Dagli errori della storia si deve impara-re, non sono neanche d’accordo però ad appiattirci totalmente tutti su posizioni uguali.Una differenza deve esserci altrimenti chi ‘guarda’ la politica non ci capisce più nien-te. Ogni contradditorio, ogni delibera in fondo nasce da un’idea che si ha e che si porta avanti.” Il rapporto con i cittadini?“Io mi rapporto bene con tutti. Cerco di essere presente dove mi chiamano, cer-cando di farmi portavoce per un consenso più ampio. Ho un pregio: sono sincera, se non posso risolvere lo dico subito. Non appartengo a quella categoria di persone che dice sem-pre di sì, per ottenere consensi spiccioli”. Di cosa ha bisogno Teramo? “La città negli ultimi anni ha avuto un ri-sveglio, è innegabile che sono stati portati avanti dei progetti, realizzate delle opere, che poi possono essere apprezzate o con-testate, ma si è fatto molto. Non tutte le opere possono essere vissu-te positivamente dalla popolazione, ma un politico se vuol essere lungimirante, anche rischiare. A Teramo io vorrei tantissima cultura, soprattutto per i giovani. Sogno una città che possa permettere loro di re-stare o di tornare a lavorare se hanno stu-diato fuori, formare qui la propria famiglia e non di spostarsi”.

DI DANIELA PALANTRANI

Personalmente credo Personalmente credo che i giovani, così come che i giovani, così come le donne, non debbano le donne, non debbano avere precedenze o avere precedenze o quote privilegiate. quote privilegiate. Penso che ognuno Penso che ognuno debba guadagnarsi debba guadagnarsi il proprio spazioil proprio spazio

“Spazio a chi Spazio a chi lo meritalo merita”

Intervista a Valeria MisticoniIntervista a Valeria Misticoniconsigliere comunale del Pdlconsigliere comunale del Pdl

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anti anni fa un signore, che adesso porta un codino un po’ demodé, si incatenò alle ruspe che avrebbero dovuto co-

minciare alcuni lavori di sbancamento per l’inizio della famigerata strada del “Lotto zero” in città.Le colpe le prese tutte lui perché, si disse all’epoca, non andavano tagliati alcuni alberi vicino al fi ume. L’attuale tracciato ha invece fatto tentennare in maniera agghiacciante quasi tutta Porta Ro-mana.Inchieste giornalistiche in Irlanda ed Inghilterra, nonché alcune interrogazioni al Parlamento europeo, hanno portato questa tela di Penelope più che ventennale all’attenzione dell’Europa intera.Secondo l’associazione Teramo ViviCittà ci furono anche altri re-sponsabili, ma i pesantissimi ritardi di più di quattro lustri sarebbe-ro dovuti anche a “interessi privati di piccoli comitati”.Questo è un altro italico mistero. Basta un ricorso al Tar, che non nega “quasi” mai una sospensiva, per trascinare stancamente per anni il lavoro di rimozione di un palo, uno svincolo, pochi metri che devono passare a destra o a sinistra di quel tale cespuglio.E’ chiaro che se, e quando, il Lotto zero dovesse aprire i battenti, la strada sarà quella pensata quasi trent’anni fa, mentre il traffi co è quello attuale. E’ prevedibile che sarà facile trovarsi in ingorghi

a mo’ di collo di bottiglia tanto più se, uscendo per andare al centro, si dovranno riattraversare i cosiddetti “Tigli” per arrivare a piazza Garibaldi. Allora è tutto inutile!Tutte le città degne di tale nome si sono dotate di nuove vie di comunicazione, mentre Teramo è rimasta la stessa da più di qua-rant’anni.Il sindaco ha comunicato in questi giorni che ci siamo quasi, che forse la prima parte sarà aperta fra poco. Quintino Stanchieri, direttore dell’impresa che sta lavorando all’opera, ha già messo le mani avanti: “Non fatemi promettere cose che poi non posso mantenere”.Per quanto riguarda la seconda parte del tracciato, stanno arrivan-do cinque milioni di euro dall’Anas per la sua conclusione.Questa città ed i suoi cittadini attendono con pazienza il lotto zero, sì, ma anche una decente strada verso Ascoli Piceno - con cui siamo collegati grazie ad una lingua d’asfalto del 15° seco-lo- nonché la famosa Val Vomano-Val Fino, interrotta all’altezza di Capsano.Come dice il vecchio proverbio, “Chi vive di speranza, di speranza muore”.

Lotto… speroLotto… spero

N. VIANDI

Il sindaco ha Il sindaco ha comunicato in questi comunicato in questi giorni che ci siamo giorni che ci siamo quasi, che forse la quasi, che forse la prima parte sarà prima parte sarà aperta fra pocoaperta fra poco

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li uffi ci dell’acquedotto del Ruzzo sono in via Dati, vicino la Villa Comunale “prigioniera dentro la sua rete”, come can-

tava Ivan Graziani.La storia di questo ente che gestisce “il petrolio del duemila” cioè l’acqua, affonda le radici nel secolo scorso: erano infatti gli anni ’20 quando venne costituita l’Acar-Azienda consorziale acquedotto del Ruzzo.Poi la legge n.36/1994 (cd. legge Galli) ha avviato un processo di riorganizzazione del settore, reso ineffi ciente dalla frammentazio-ne degli operatori, all’epoca più di 13.000 in Italia.La normativa ha assegnato alle autorità regionali e locali la mo-dernizzazione dei servizi acquedottistici. I principi della regola-mentazione sono: l’introduzione degli Ato (ambiti territoriali ottimali) con funzioni di indirizzo e controllo; separazione tra proprietà delle infrastrutture e servizio idrico; obblighi di effi -cienza e produttività; copertura dei costi ed investimenti. Come nella migliore italianità, molti di questi assunti sono stati clamoro-samente non rispettati.Il 16 giugno 2003, l’Acar fu dunque scissa in Ruzzo Servizi s.p.a. – avente per oggetto la gestione del servizio idrico- e Ruzzo Reti s.p.a.- con oggetto sociale l’amministrazione delle reti, degli im-

pianti e delle altre dotazioni patrimoniali destinate alla gestione del servizio idrico.Ci si accorse ben presto che la spesa aveva di gran lunga superato l’impresa. I due consigli d’amministrazione, doppia gestione delle scadenze che la legge impone ad ogni azienda, per non parlare di una lunga teoria di assunzioni a volte senza concorso, consulenze esterne non necessarie quando tecnici e professionisti sarebbero stati reperibili già all’interno dell’azienda, sprechi, assenza di colle-gamento tra centro e periferia, la sempre crescente diminuzione dei contributi dall’alto per ripianare i debiti, la mancanza di liqui-dità, corresponsabilità di altri enti, bilanci ovviamente defi citari.Tutto questo si rifl etteva e si rifl ette ancora sui cittadini: tem-pi chilometrici per un allaccio alla rete- 150 impiegati e solo 25 fontanieri-, invio di bollette con avviso di mora a distanza di anni, scarsa manutenzione dei depuratori e delle fogne, riparazioni spesso compiute fuori tempo massimo.C’ è però da dire che il grande malato sta un po’ meglio ed atten-de di essere trasferito dalla rianimazione ad un normale reparto. Tutte queste cose saranno oggetto di analisi nei prossimi numeri del nostro giornale.

IVAN DI NINO

Ruzzoniente di nuovoniente di nuovo

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eno servizi, più costi. E’ passato ormai qualche tempo da quando i

teramani hanno imparato a fare la raccolta differenziata dei rifi uti. Il problema, però, non è diversifi care i vari tipi di sporcizia prodotta, ma quello di te-nerli giorni in casa. I nuovi “immondezzai” sono diventati gli appartamenti: buste e recipienti in ogni an-golo del nostro focolare. Oggi non ci sono più nemmeno le immen-se cucine di una volta, anzi spesso non sono nemmeno previste, perché tanto si mangia sempre fuori. Così non tutti hanno la possibilità di mettere il sudiciume in un retrocucina o in un balcone coperto, e ci si deve, quindi, attrezzare alla bisogna. Si va da traballanti trespoli a due o tre “vasconi” a recipienti più ampi e stabili, ma mai sotto una ventina di euro.Altro problema è l’impossibilità di buttare i rifi uti organici dal giovedì sera fi no alla

fi ne della settimana. Forse non tutti lo sanno, ma un tempo il pesce si cucinava il venerdì. Ora, o si cambia minestra, oppure bisogna tenersi la “puzza” per tre giorni.Certo, una volta messo il sacchetto nel cassonetto marrone grande non ‘olezza’ più di tanto, ma quando si apre…Stesso discorso per l’indifferenziato, che spesso al suo interno contiene impurità liquide e solide di poppanti e persone an-ziane e che viene raccolto solo due volte a settimana.Chi abita nel centro storico e non sem-pre gode di spazio per mettere in strada l’immondizia, ha spesso la disavventura di ritrovare vetri triturati da qualche veloce suv di passaggio.Per quanto riguarda l’olio esausto, Teramo non si è ancora dotata di quei bidoni di raccolta già presenti sulla costa per il loro smaltimento.

Se i responsabili non sembrano ascolta-re le richieste dei cittadini, nemmeno gli utenti fanno il massimo. Sono così sorte piccole discariche dinanzi ai palazzi, per non dire di quei “previdenti” che, sbaglian-do clamorosamente giorno, depositano in strada gli scarti tre-quattro giorni prima della raccolta.Certo, anche il Comune ha dovuto sop-portare costi per la fornitura di buste e pattumiere per il porta a porta, ma do-vrebbe recuperare presto, perché riciclan-do ogni tipo di scarto…Così siamo alle solite. Se da una parte i cittadini affermano che fanno tutto loro e vogliono un abbassamento delle tariffe, gli amministratori rispondono che “non abbiamo diminuito i tributi, ma nemmeno li abbiamo aumentati”. Ci mancherebbe pure…

IVAN DI NINOI

Diff erenziataridateci i cassonetti…ridateci i cassonetti…

Se i responsabili non Se i responsabili non sembrano ascoltare le sembrano ascoltare le richieste dei cittadini, richieste dei cittadini, nemmeno gli utenti fanno nemmeno gli utenti fanno il massimo. Sono così sorte il massimo. Sono così sorte piccole discariche dinanzi ai piccole discariche dinanzi ai palazzipalazzi

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è stato un tempo in cui la Bonifi ca del Tronto non era nota soltan-

to per l’imperante meretricio, ma anche come trait d’union tra le più avanzate ed industrializzate Marche e il nostro Abruz-zo, che fi no a qualche anno fa era ancora parte della Cassa del Mezzogiorno.Il periodo risale ai vituperati decenni ’70 –’80, ma la spinta propulsiva dell’epoca è andata esaurendosi. Un po’ sotto i colpi di continue crisi, un po’ per l’infelice idea di eliminare tale istituto.Bandiera del rinascimento economico è stata per molto l’Atr di Colonnella, che lavorava il carbonio quando molti non sa-

pevano neanche cosa fosse.Poi l’ennesimo declino di mercato in sca-la occidentale, e anche una certa miopia di prevedere il futuro, hanno fatto sì che quell’impresa eccezionale, che riforniva di tubi la Colnago per le sue costosissime bici da professionista e diverse scuderie di Formula 1, dovesse pian piano ridursi fi no

a chiudere i battenti.Il sito è attualmente gestito da un com-missario che ha inoltrato la richiesta di proroga di amministrazione straordinaria.Davvero un gran peccato, ma ogni tanto si riaccende la fi ammella della speranza. E’ notizia recente che l’Atr ha siglato un accordo biennale con la Lexus, il marchio di lusso della Toyota per la fornitura esclu-siva delle componenti di carbonio per la prossima supercar Lfa, che dovrebbe far concorrenza a Porsche, Ferrari e Lambor-ghini. Meglio di niente.Spesso si sente parlare anche di “concreto interesse” per l’affi tto di rami d’azienda

o l’acquisto dell’impresa intera da parte di non meglio specifi cate ‘cor-date’, stavolta conferma-te anche dalla direzione.Si spera sia la volta buo-na dopo innumerevoli falsi allarmi.Non sarebbe davvero male se l’Atr diventas-se il primo stabilimento produttivo della provin-cia rilevato da un con-

sorzio d’imprenditori nostrani di buona volontà, dacché la ditta è già proiettata nel futuro e produce qualcosa di unico nel mi-sero panorama industriale abruzzese che attualmente sembra un castello di sabbia abbattuto da un calcio prevedibile –la cri-si-, ma per molti inatteso.

N. VIANDI

AtrAtr di Colonnellaun po’ di respiroun po’ di respiro

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Siamo veramente “il paese delle badan-ti”, come scrive l’antropologo Francesco Vietti? Sembrerebbe di sì se guardiamo i numeri. Uno studio della Caritas, portato a termine in collaborazione con il ministe-ro dell’Interno, evidenzia che le badanti in Italia sono 700mila. Quelle “uffi ciali”, na-turalmente. Oltre il doppio, se si conside-ra la metà che pare lavori in nero. L’Inps registra che quattro donne straniere su dieci è inserita in questo tipo di impiego familiare. Ma se ci si allarga al mondo delle collaboratrici domestiche, in genere, ci si rende conto che il numero lievita prepo-tentemente. Quasi irrilevante il numero delle badanti “nostrane”, che comunque costano alle fa-miglie italiane oltre 9 miliardi (per l’inden-nità di accompagnamento, lo Stato spende “solo” 6,3 miliardi). Per restringere il cam-po al nostro territorio, utile collegarsi al

sito www.badantiabruzzo.it e al progetto Equal “I Mestieri Invisibili” (soggetto refe-rente nella regione è il Comune di San Sal-vo, in provincia di Chieti), che “ha l’obietti-vo di offrire formazione ed opportunità di impiego stabile e regolare alle/agli assisten-ti familiari (badanti), italiane/i e immigrate/i, che prestano, o intendono prestare, la loro attività nei servizi privati di cura alla per-sona in Abruzzo. Ad oggi, la crescente richiesta di badanti, pur avendo creato opportunità occupazio-nali nel settore dei servizi alla persona, ha prodotto la moltiplicazione delle profes-sioni invisibili operanti nel sommerso, con rapporti di lavoro precari e mal retribuiti ed il cui rovescio della medaglia è l’offer-ta di prestazioni lavorative ‘approssimate’. I partners del progetto stanno lavorando per favorire l’emersione del lavoro nero, per rendere ‘dignitoso’ ed ‘universalmente

apprezzato’ il lavoro delle/dei badanti, per qualifi care i servizi di cura privati a domi-cilio”. Uno di essi è l’ Osservatorio permanen-te della Regione Abruzzo (costituito tre anni fa) che ha il compito di “monitorare l’evoluzione nel tempo del fenomeno del badantato nel territorio provinciale (Chie-ti) e regionale (Abruzzo), di analizzare i fattori che ne determinano l’evoluzione e di osservare l’impatto che i cambiamenti del fenomeno producono sulle collettività locali”. Insomma, “il paese delle badanti” ci coinvolge in pieno. Tanto da stravolge-re, per certi aspetti, la famiglia italiana da qualche tempo. Per questo ne parliamo. Pensando ai nostri genitori e ai nostri nonni. E ai sentimenti. Che non invecchiano, se sono profondi, al contrario di tutto il resto.

T. M.

TerraTerradi badantidi badanti

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Terra di Badanti

C’era una volta la famiglia allargata, polinu-cleare, nella quale convivevano generazioni diverse, esperienze e risorse differenti. La famiglia era, allora, una vera e propria so-cietà nella società, un frammento autosuf-fi ciente, capace di proteggere e tutelare la dimensione privata dell’individuo, promuo-vendone le facoltà e le aspirazioni esogene. La famiglia, in tale contesto, esplicava cer-tamente il ruolo di ammortizzatore sociale primario, di clearing house affettivo, rela-zionale ed economico. Prima l’industrializ-zazione, poi la globalizzazione hanno ridi-segnato i tratti sistemici delle famiglie, oggi intese come sistemi nucleari, il cui numero di componenti medi raramente supera le tre unità. Una famiglia diversa, più fl essibile, sia nel tempo, sia nello spazio che, se da una parte ha incrementato le sue poten-zialità di penetrazione del tessuto sociale, dall’altra ha indebolito la sua capacità di risposta ai bisogni primari e propri: l’assi-stenza di persone anziane o diversamente abili, l’educazione e l’accudimento degli in-fanti, la stabilità generale quale agenzia di socializzazione primaria. Il fenomeno del badantato è paradigma-tico degli avvenuti cambiamenti sociali e culturali. Fino ad alcuni decenni fa, era im-pensabile che un familiare delegasse a terzi l’assistenza di un proprio caro, tanto più di un anziano, un genitore, un padre, una madre. Tale possibilità avrebbe pure potu-to suscitare la disapprovazione del grup-po famiglia, delle reti amicali, del gruppo di vicinato. Perché ? Perché dedicarsi ad una familiare in stato di disagio e bisogno, rappresentava – nell’ambito di un’ipotetica scala di utilità ed etica individuale - una priorità indifferibile. La famiglia e gli indi-vidui, nel corso degli anni, hanno sempre più somatizzato le mete extrarelazionali, appannaggio dei condivisi obiettivi di si-stema (lavoro, denaro, carriera, realizzazio-ne, ecc), il cui costo sociale si è spostato dall’asse familiare a quello collettivo. Forse,

è proprio per questo, seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi, che l’Italia ha con-cretizzato una legge quadro sull’assistenza solo nel 2000, con la legge 328. Da quella data, in tutto il territorio nazionale, anche nei comprensori più angusti, è attiva una rete di welfare, nel cui contesto i servizi di assistenza domiciliare a soggetti anziani e disabili rappresentano livelli essenziali di assistenza sociale. Il badantato, nell’acce-zione più tecnica del termine, in realtà è un complemento dei servizi di welfare. La sua diffusione è certamente legata ai muta-menti di composizione demografi ca delle famiglie, ma anche indotta dalla crescente disponibilità di soggetti disponibili al suo assolvimento. La crescente domanda pro-veniente dalle badanti è in buona parte riconducibile al fenomeno migratorio, in piccola parte anche alla profonda crisi del tessuto produttivo nazionale, i cui espul-si – non di rado – provano a riallocarsi nel settore dell’assistenza. E’ necessario, comunque, asserire che né i processi di ridimensionamento del welfare, né l’incre-mentale disponibilità di badantato potran-no soppiantare le funzioni primitive delle unità familiari. Così come è opportuno ricordare che dal fenomeno del badanta-to – talvolta – possono scaturire effetti rebound , che producono ulteriori carichi sociali per la collettività. Non a caso, le isti-tuzioni territoriali sovraordinate (regioni e province), di recente hanno avviato una serie di percorsi progettuali volti ad offri-re una qualifi cazione professionale minima, ma necessaria a chi si appresta a svolgere un lavoro così delicato, oltre che fi nalizzati a far emergere le numerose condizioni di lavoro sommerso.

C’eraC’erauna volta…una volta…

Vittime di Vittime di questo mondoChissà se è vero quello che diceva Fabrizio De Andrè su chi compie reati eff erati: “Se tu penserai, se giudicherai/da buon borghese/li condannerai a cinquemila anni più le spese/ ma se ca-pirai, se li cercherai fi no in fondo/se non sono gigli son pur sempre fi gli/vittime di questo mondo.”In un’altra composizione, con una certa dose di cinismo ed ironia, il compianto genovese cantava: “Non tutti nella capitale/ sbocciano i fi ori del male/ qual-che omicidio senza pretese/ abbiamo anche noi qui in paese”.Succede ovunque: crimini e misfatti di ogni tipo sono all’ordine del giorno nella cronaca nera.Anche la nostra provincia ha contato, a partire dal giugno del 2006, ben undici omicidi, non tutti –come avviene nei fi lms gialli- risolti con l’individuazione del colpevole.L’ultimo è avvenuto a fi ne ottobre: Gabriella Baire, eritrea di 62 anni, a Teramo dal 1975, è stata barbaramente uccisa con almeno dodici sprangate in testa, in un condominio di via Pannella.La donna è stata defi nita come “più ita-liana di tanti italiani” vista la sua lunga permanenza nella nostra città.La sospettata è una sua connazionale, A.L. Tereke, 56 anni, attualmente in

GIANNI DI GIACOMANTONIO(SOCIOLOGO)

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focus on

Vittime di Vittime di questo mondocarcere.Quest’ultima avrebbe ucciso per motivi economico-lavorativi, temendo di esse-re licenziata dal suo incarico di badante e sostituita da Gabriella. Sembra che l’intenzione di togliere la vita alla Baire fosse stata confi data ad alcuni conoscenti.La Tereke avrebbe – anche se le prove a suo carico sembrano schiaccianti, il condizionale è sempre d’obbligo prima di una sentenza- cercato di nascondere il cadavere in una soffi tta e provocato un incendio per eliminare, un po’ malde-stramente, le prove.Fra i criminologi gira una sorta di favo-la, secondo la quale quando si commet-te un delitto si fanno almeno trentasei errori, ed è già tanto se si riesce a ricordarne almeno cinque.La possibile colpevole, dopo il delitto, è stata ritrovata a Giulianova, dove aveva shakespearianamente tentato il suicidio ingerendo della candeggina.Quello che più rende perplessi, in questi casi, è che non ci sia quasi mai una pa-rola di conforto o d’amore nei confronti della vittima. Se lo si fa, è sempre un tentativo strappalacrime per alzare l’audience in maniera un po’ banale. Non a caso, nel gergo giornalistico, quando muore una persona famosa il suo ricordo si chiama “coccodrillo”.Allora, senza falsi moralismi, la spe-ranza è che Gabriella possa riposare in pace e chi ha ucciso abbia tempo e modo di scontare la sua pena e pentirsi amaramente di ciò che ha fatto.

IVAN DI NINO

A proposito del fenomeno badanti, Giam-paolo Di Odoardo, segretario generale della Camera del lavoro di Teramo (Cgil) spiega la relazione tra la grave situazio-ne del lavoro precario nel teramano e il fenomeno dell’immigrazione dai paesi dell’est che caratterizza principalmente il mercato dell’assistenza domiciliare. Un settore questo, che dopo anni di continua crescita, con assunzioni regolari, comincia a registrare una signifi cativa fl essione a causa della crisi e allo stesso tempo ri-schia di alimentare la presenza clandestina, nel nostro paese, di queste pur preziose la-voratrici. Per questo motivo, già da qualche tempo Giampaolo Di Odoardo aveva pro-posto una regolamentazione del settore con l’istituzione di un’anagrafe, o una sorta di albo professionale, in cui censire, anche in base alle competenze e professionalità, le badanti extra comunitarie.“L’idea è stata poi ripresa e parzialmente realizzata - spiega Di Odoardo- in altre forme e da altre istituzioni, anche se non proprio come noi l’avevamo pensata, ma in questo particolare momento di crisi, men-tre prima erano le persone a venire da noi per informarsi su come fare per avere una badante, adesso sono le badanti che ven-gono a chiederci lavoro. In termini econo-mici siamo al massacro sociale, se si pensa che il 77,4% di pensionati vive con meno di 750 euro mensili, a fronte del costo di una badante che di aggira oltre i 1000 euro più vitto e alloggio”.Fino a quando la fami-glia ha funzionato come ammortizzatore sociale, quindi con più di un occupato in

casa, la spesa per l’assistenza dell’anziano o del disabile poteva essere meglio gestita, ma con la precarietà della maggior parte dei lavori, la cassa integrazione, per non parlare dei licenziamenti a seguito della chiusura di molte aziende, questa spesa si è fortemente contratta e a rimanere senza lavoro adesso sono anche loro, le badanti.“L’istituzione di un’anagrafe strutturata come utile database in cui attingere a spe-cifi che competenze- continua il segretario generale della Cgil teramana – porterebbe alla compilazione di un apposito libret-to identifi cativo e personale, in cui sono registrate le loro conoscenze e le loro specifi che professionalità. Ciò consenti-rebbe alle famiglie di poter fare scelte ac-curate in base alle esigenze delle persone da assistere, di poter organizzare corsi di formazione in base alla tipologia di profes-sionalità richieste. Ci sono situazioni in cui è suffi ciente fare un po’ di compagnia al badato, ma in molti altri casi ci sono da gestire gravi patologie o handicap. Con le regole che ci sono oggi è molto probabi-le che la badante che perde il lavoro, non è detto che torni nel suo paese, ma po-trebbe rimanere come clandestina. Allora avere un’anagrafe consentirebbe di avere una precisa cognizione dei fl ussi. D’altra parte anche se si hanno lavori precari, pur di non perderli o di maturare i tempi di occupazione necessari, molti sono costret-ti a ricorrere all’assunzione regolare della badante, spendendo praticamente quasi tutto il loro stipendio pur di assicurare l’assistenza al familiare disabile”.

Un’anagrafeUn’anagrafeper cominciareper cominciare

DI MIRA CARPINETA

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Terra di Badanti

Le storie delle bandanti, sono di integra-zione, speranze, sacrifi ci, tanta dignità. Certo non sempre è così. Molte sono le cronache di rapporti lavorativi fi niti male, a causa della loro imperizia. Ma altre volte, sono gli italiani stessi a non essere corretti con queste lavoratrici. Spesso non vi è un contratto che regolarizzi l’assunzione, e ne specifi chi mansioni e orari. Quindi, non di rado, alcune di loro sono dovute sot-tostare all’arbitraggio dei propri datori di lavoro. Ci sono stati anche casi eclatanti di avances e molestie nei loro confronti. Una signora rumena, ad esempio, qui nella no-stra città, a seguito delle ripetute e sempre più insistenti “attenzioni” del proprio da-tore di lavoro, fi glio dell’assistita, ha avuto un forte esaurimento ed è dovuta tornare in patria, per riprendersi dalla brutta espe-rienza.Però, quelle che vogliamo riportare qui sono esperienze positive di due donne, anch’esse rumene. Giovani e molto de-terminate. La prima è la storia di Doina. Nel 2002, conosce un operaio teramano, e si sposa. Il marito la ha aiutata a inserirsi. Le diffi coltà iniziali, date dalla scarsa cono-scenza della lingua, non le hanno impedito di starsene con le mani in mano. Anche

perché lei, dice, proprio non ci riesce. Al-lora subito a impegnarsi con piccoli lavori, prima in cucina in un ristorante, poi anche pulizie e infi ne l’assistenza, come badante, appunto. Il lavoro è duro, ma sente che non le manca niente. Ha un marito che le vuole bene e le dà sostegno. L’altra storia è quella di Anna, anche lei arrivata giovane madre, in Italia, nel 2004. La sua famiglia, però, rimane in Romania. Forte è il dolore per il distacco, specie dal fi glio. Ma qui è venuta per lavorare e of-frirgli un futuro. La sua determinazione la porta sin da subito ad avere i primi ingaggi, anche impegnativi. Racconta della diffi cile assistenza presso un’anziana signora, anco-ra abbastanza autosuffi ciente, alla quale ha voluto anche bene. L’esperienza lavorativa presso di lei, per tutta la giornata, era a dir poco spartana, per l’atteggiamento au-toritario dell’anziana. Da lei però ha avu-to modo di imparare molto e questo, poi, l’ha aiutata per i lavori che ha ottenuto in seguito. Ora, dopo tanti altri sacrifi ci, è ri-uscita a far arrivare la sua famiglia qui, e il suo caro fi glio è studente presso la nostra università.

VALERIO VINÒD SILVERII

Integrazione Integrazione e sacrifi cie sacrifi ci

Come l’anziano vive il presente?L’anziano è la persona che è abituata e vuole fare le stesse cose ogni giorno. Il fatto di vivere e di ripetere gli stessi gesti non è altro che un meccanismo di difesa. Il suo stile di vita metodico diventa uno schema tranquillizzante che lo protegge dall’ansia. Mancando la progettualità del futuro egli si vede al termine della vita e si sente limitato. La sensazione di solitudine che ne scaturisce è data dalle modifi che a livello biologico miscelata ad una paura di quello che sta per arrivare.L’anziano, oggi.L’anziano si sente solo, non riveste più il ruolo del saggio e punto di riferimento della famiglia come poteva essere trent’an-ni fa. Oggi, cambiando lo stile di vita, cambia anche il modo di approcciarsi alla famiglia con differenze per quanto riguarda diritti e doveri. Questo tipo di società tende ad allontanare l’anziano che non riesce ad in-serirsi nei nuovi meccanismi sociali.Chi, all’interno della famiglia, propone per primo l’aiuto di una badante?Spontaneamente un anziano non dirà mai “voglio una badante”, è chiaro che preferi-rebbe avere l’affetto e l’amore di un fi glio che si prende cura di lui. Perché questa scelta?Perché è il minore dei mali. Far sentire un anziano genitore isolato ed allontanato, come in una casa di riposo, dove non svi-luppa relazioni affettive e si trova a vivere in una stanza anonima, non è l’interesse di un fi glio. Il discorso delle badanti è miglio-re perché fa rimanere l’anziano con quelle che sono le sue abitudini, spazi ed esigenze di vita. Chiaramente una badante rappre-senta per l’anziano una persona che non riguarda il suo passato e di conseguenza

La vita si assapora La vita si assapora lentamentelentamente

Parla la Parla la psicoterapeuta psicoterapeuta Valeria ValianteValeria Valiante

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della vecchiaia è semplicemente insanabile e a cui non può bastare una semplice Dora, la quale allora diventa solo una donna che per denaro si prenderà cura di lui. Basta fare due domande in giro e di storie di badanti se ne troveranno a non fi nire. Non mancherà la storia della rumena poco seria, della russa che riceve amici in casa dell’assistito o dell’ucraina che in fondo tra stipendio e contributi non se la passa poi tanto male (se è così comodo perché non siamo noi a fare questo lavoro?). In questi aneddoti, a ben vedere, c’è un particolare che tra disabilità e retribuzioni viene sem-pre dimenticato: “ma sai, anche per non farlo sentire solo…”. Come se fosse poco.

focus on

non rappresenta un legame affettivo, que-sto all’inizio può risultare traumatizzante. Se poi la badante viene anche da un paese straniero le diffi coltà aumentano perché l’anziano ha bisogno di una persona che sta ad ascoltarlo nei suoi racconti del passato, in quanto conserva una memoria a lungo termine molto più sviluppata rispetto ad un giovane. Trovarsi davanti una persona che non sa ascoltarlo e non lo capisce, an-che a livello culturale, contribuisce ad uno stato di isolamento.L’aspetto psicologico di una badante straniera?Si hanno delle diffi coltà se una persona emigra dal proprio paese sentendosi co-stretta ad allontanarsi dalla propria fami-glia per poi ritrovarsi ad avere come unica possibilità, per vivere, quella di dover fare come lavoro la badante. Questo tipo di lavoro è molto pesante, perché l’individuo si ritrova a dover organizzare e gestire un’altra persona sconosciuta e per di più in un ambiente che non conosce affatto. Possono venire fuori tutta una serie di dif-fi coltà che portano una persona ad agire male, ma questo accade spesso anche in determinate situazioni familiari.Credo che le diffi coltà possano essere maggiori, ma credo anche che dipenda tutto dal fattore personale e dalla relazio-ne che si riesce ad instaurare tra gli inte-ressati. Personalmente ho avuto modo di vedere delle relazioni che si sono instaura-re nonostante la badante non conoscesse bene la lingua, l’importante è avere voglia di comunicare e non sentire questo lavoro come un peso.Un giusto approccio al “tempo che cor-re”?Dovremmo fermarci un attimo tutti quanti per goderci i piccoli momenti che abbia-mo. Anche un anziano che ha alle spalle un lungo trascorso, se si ferma a pensare non a quello che ha fatto di male ma a quello che ha costruito, credo che la qualità della vita possa essere migliore.Oggi siamo sempre troppo alla ricerca fre-netica di qualcosa, di un desiderio, non ci fermiamo a pensare a quello che abbiamo di bello davanti. Poi, ti ritrovi ad ottant’an-ni che ti domandi :“che ho fatto?”. Io la vita la assaporerei lentamente.

FABIO ROCCI

A volte ad incontrarsi possono essere sto-rie lontanissime, ed è diffi cile da credere. Cinquant’anni fa il vostro vicino di casa partì da Teramo per raggiungere la Germa-nia con la famosa valigia di cartone. Abban-donò la famiglia per calarsi nelle miniere e lì, fi nì per lasciarci i suoi anni migliori; gior-nate fatte di picconate, di martellate, buo-ne solo per sfogare la rabbia per una vita di stenti. Negli stessi anni Dora è appena una bambina e anche per lei, in Romania, la vita non è tenera. Forse è questo il se-greto di certi incontri. Forse due individui così lontani possono incontrarsi e capirsi perché entrambi induriti dagli eventi. Non solo, quindi, problemi di deambulazione da un lato e soldi da spedire a casa dall’altro. Che poi si fi nisce sempre per ridurre tutto a una questione di denaro: beato lui che ha i soldi per pagare la badante; beata lei che con vitto e alloggio assicurati può manda-re quasi tutto a casa. Ma andate a vedere cos’è non aver più una moglie, avere dei fi gli che se ne infi schiano, o vivere lontani da casa, lontani da un ragazzo che sta cre-scendo, lontani da amici e famigliari. Forse saranno proprio loro, i protagonisti di que-sta storia, i primi a dirvi che non è proprio il massimo farsi assistere da una scono-sciuta o vivere con un anziano che non sa più badare a se stesso. Ma il vostro vicino di casa, ora che c’è Dora, può permet-tersi una passeggiata al parco e respirare quell’aria che gli è mancata nelle miniere e può farlo anche se i fi gli preferiscono lo shopping del centro commerciale; e Dora, emigrata, perché per costruire una casa c’è bisogno semplicemente di soldi, può alle-viare la sua nostalgia raccontando al vostro vicino di casa che il proprio fi glio è il più bravo e da grande vuol fare il medico. Cer-to, potrebbe essere una storia verosimile, ma senza dubbio, perché è così che va il mondo, ci sarà anche un altro vicino, quello che avete dimenticato perché da tanto vive rintanato in casa, per il quale la solitudine DANIELA MANTINI

Non solo Non solo assistenzaassistenza L’assistente sociale è il professionista che

può svolgere la propria attività in forma autonoma e/o nell’ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, secondo principi, conoscenze e metodi specifi ci della professione. Massimiliano Ettorre, responsabile in ambito della tutela mino-rile ci aiuta a rispondere alle domande più comuni su un lavoro talvolta poco chiaro a molti. “Ogni residente del Comune di Teramo può rivolgersi ai servizi sociali dell’ente situati in via d’Annunzio, 120. Il territorio è operativamente diviso per ‘aree di inter-vento’. Attualmente, nel comune di Teramo siamo in cinque. Lavoriamo in équipe, an-che se ognuno ha operativamente alcune specifi che aree di intervento. Attualmente, l’apertura al pubblico dei nostri uffi ci è ga-rantito tutte le mattine dalle 11 alle 13 e nei pomeriggi di martedì e giovedì dalle 16 alle 17 (per info: tel. 08613241 Centralino dell’Ente; www.comune.teramo.it; Uffi cio URP). Negli orari di apertura al pubblico viene ricevuto ed ascoltato chiunque chie-da informazioni: tecnicamente tale tipolo-gia di servizio viene chiamato segretariato sociale professionale.” E se si tratta di un

AssistentiAssistentimano tesamano tesa

DI DANIELA PALANTRANI

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Terra di Badanti

residente di un altro comune? “Lo ascoltia-mo comunque e poi lo indirizziamo ai ser-vizi di competenza territoriale. Le situa-zioni problematiche possono essere le più disparate: da un problema economico ad abuso di sostanze, da un anziano non auto-suffi ciente ad una situazione di disabilità, da minori stranieri non accompagnati a don-ne vittime della tratta, da problematiche relazionali a situazioni di maltrattamento infantile, dall’affi do familiare all’adozione. Le tematiche trattate sono vastissime, ed a ognuno cerchiamo di dare risposte indivi-dualizzate”. Nell’ambito dei servizi domici-liari, attualmente si offrono diverse tipolo-gie di servizi, ma solo in forma totalmente gratuita. Il problema di questo sistema è che, come da normativa, sono stati stabili-ti dei limiti di reddito di accesso (misurati tramite il modello del parametro ISEE). In pratica, alcuni servizi (domiciliari ed inte-grazione rette) possono essere erogati, previa valutazione sociale, solo sotto una determinata soglia ISEE, stabilita in base al tipo di servizio richiesto”. Esistono altri Comuni che invece hanno deliberato un sistema diverso, prevedendo la propor-zionale compartecipazione dei cittadini ai costi, con la conseguente possibilità di estendere l’offerta del servizio anche a chi non rientra nelle fasce di reddito più bas-se. “Quello che noi facciamo è la presa in carico di singoli, coppie e famiglie trami-te la predisposizione di progetti di aiuto socio-assistenziali e psico-sociali, specifi ci per ogni singolo utente.In particolare, per anziani e disabili offriamo diversi servizi di sostegno domiciliare a spettro molto am-pio, che spaziano da interventi puramente socio-assistenziali (microambiente, accom-pagnamento quotidiano, socializzazione), ad interventi più ampi, anche in collabo-razione con la Asl (servizi socio-sanitari

intergrati). Anche per i disabili esistono diverse tipologie di intervento: ad esem-pio, se il disabile è in età scolare è prevista l’assistenza di una fi gura specialistica (l’as-sistente educativo scolastico) che affi anca gli insegnanti e l’insegnante di sostegno (le cui ore di intervento vengono dramma-ticamente ridotte ogni anno), fi no ad un massimo di 21 ore settimanali. Tale tipologia di servizio pesa in modo im-portante sul bilancio del Comune, ma vie-ne garantito da molti anni. Anche in questo ambito sociale abbiamo proposto, ormai da anni, il passaggio alla compartecipazione, per ampliare l’offerta dei servizi domiciliari anche ad altre fasce reddituali. La fi gura dell’assistente sociale è presente anche negli ospedali, nei servizi speciali-stici e/o territoriali (Sert; centro di salute mentale; servizio psichiatrico di diagnosi e cura.), in Provincia ed in prefettura. Quo-tidianamente noi assistenti sociali del co-mune ci interfacciamo con i nostri colleghi e/o con altri professionisti per un lavoro congiunto”. La popolazione si rivolge a voi? “Abbiamo un’utenza vastissima. Inoltre, l’attuale congiuntura economica ha de-terminato un aumento delle richieste di sostegno economico, contestualmente alla riduzione dei nostri interventi: in regime di carenza di fondi l’amministrazione comu-nale è obbligata a stabilire delle priorità”. Importantissimo il piano di zona dei ser-vizi sociali che è l’atto di programmazio-ne triennale dei servizi offerti, e che viene predisposto in base alle linee-guida conte-nute nel piano sociale regionale. Ai tavoli di preparazione dei piani di zona partecipano anche i cittadini del territorio tramite associazioni di volontariato e/o di rappresentanza sociale.

SocialiSocialia tuttia tutti Alcuni giorni fa mi sono recato alla casa di

riposo “G. De Benedictis” di Teramo, per salutare alcuni amici ospiti, conosciuti du-rante il servizio civile all’interno dell’Ipab, circa tre anni fa. Varcato il cancello d’en-trata, sembra quasi di entrare in contatto con un microcosmo dove i ritmi quoti-diani di vita differiscono dai nostri sotto molteplici aspetti: negli spazi, che per una persona con problemi motori hanno una valenza soggettiva e non oggettiva, nel tempo, che sembra scorrere molto più lentamente e in altre tantissime piccole differenze che rendono questi luoghi unici nel loro genere. Enrica mi scorge da lon-tano, il suo posto preferito è vicino la fi -nestra, e la sento che mi chiama a gran voce, chiedendomi se mi sono ricordato di portarle la pizza con le alici. Le dico che stavolta ho davvero dimenticato di pren-derla, ma lei mi saluta ugualmente nel suo gesto affettuoso di cingermi il collo con le braccia, seduta sulla sua carrozzina. La saluto ed entro nell’ampio salone del re-sidence, ripensando al periodo in cui lo facevo ogni giorno e agli sguardi teneri che ci scambiavamo io e Francesca, la volon-taria, che riempiva di cotone le bambole di pezza, poi diventata la mia ragazza. La vita nella casa di riposo purtroppo può cam-biare velocemente, e ad ogni visita è facile conoscere visi nuovi e non incontrare gli ospiti di sempre … Prendo l’ascensore e salgo da Dora, una simpatica signora che passa tutto il giorno a creare lavori di découpage. La sua ca-mera si può ritrovare facilmente, perché la musica di Elvis è una costante che non manca mai. Sulle pareti e sulle mensole ci sono poster, audiocassette e videocasset-te che testimoniano la smodata passione per questo cantante. Mi regala i suoi ultimi disegni e poi, dispiaciuta, mi saluta quando devo andare via. Questi attimi portano a rifl ettere tanto, quindi ho pensato alla mia vecchiaia, a come sarà … In una residenza per anziani o a casa mia, magari con una assistente accanto? Quest’estate ho avuto modo di visitare un paese nel bel mezzo

Casa o Casa o istituto?istituto?

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focus on

di una sagra, e in questo stesso centro abita un’amica di famiglia che, da diverso tempo, è costretta a vivere in condizione di infermità. In questa occasione ho cono-sciuto una signora, la sua badante. Non so dire se sia meglio avere al proprio fi anco la squadra specializzata di una struttura o un’assistente privata, tutto è relativo e bisogna analizzare il caso specifi co. Tante volte si sentono cose poco piacevoli sul trattamento riservato ai nostri nonni, ma come sempre, non si può generalizzare, ed è la persona in sé a fare la differenza. Maria si prende cura della sua “amica” da anni, e quando mi ha raccontato del giorno in cui l’ha conosciuta, sono rimasto scosso. Aveva piaghe da decubito molto profon-de, non mangiava e non parlava. Ora è diverso e con soddisfazione mi fa vedere come l’anziana sia rifi orita, come un fi orel-lino, sempre lavata e profumata, cosparsa di creme e ben nutrita. E non posso non darle ragione. L’anziana donna sta davvero meglio. Maria ha fatto suo un fondamento importante della nostra società, quello di rispettarsi sempre e soprattutto, di non offendere mai la dignità del proprio pros-simo. Tante volte la strada più facile e ve-loce non risulta poi essere quella migliore, sicuramente è diffi cile stare vicino a una persona malata. Ma la forza … quella arri-va solo da cuore, e Maria ne ha dato una dimostrazione più che concreta.

VINCENZO CASTALDO

Tutta la vita spesa a dare, dare, dare, lavo-rare senza sosta, fare sacrifi ci. Poi un gior-no suona inesorabile la campanella della pensione e per i più attivi comincia qui un lento declino, l’ultimo prima della defi nitiva dipartita. I fi gli, per cui si è dato tanto, non riescono a stare dietro ai loro vecchi geni-tori. La vista cala, gli acciacchi aumentano. Tutte quelle medicine sul comodino “che mamma non vuole prendere perché dice che sono troppe”. Sempre più persone in avanti con l’età, lo Stato non è in grado di far fronte alle richieste di assistenza.La soluzione si chiama “badante”.In Abruzzo ce ne sono moltissime, spesso dell’est europeo, ma anche cinesi, fi lippine, africane. Maria è polacca e vive quasi sta-bilmente a Teramo da dieci anni: “Mi trovo bene, contrariamente ad altre colleghe – dice in un italiano neanche troppo stenta-

to- non ho mai avuto problemi nella fami-glia in cui presto servizio. Certo il lavoro che facciamo noi le italiane non vogliono farlo. Ci vuole stomaco! Non tutti sono disposti a cambiare i pannoloni sporchi… Qui in Italia parlate sempre dei cani e dei gatti, ma dei vecchi ce ne occupiamo solo noi. I fi gli vengono cinque minuti, fanno qualche carezza, poi se ne vanno. Con gli anziani ci vuole grande pazienza, non sem-pre sanno bene cosa vogliono”. Quest’ulti-ma affermazione ha del vero se riferita non soltanto a persone malate, ma anche agli ultra ottantacinquenni. E’normale, secon-do studi medici accettati dalla comunità internazionale, che dopo questa soglia di età il cervello cominci a funzionare male; demenza senile ed arteriosclerosi non sono parolacce. E’ come un motore mol-to usato che comincia a carburare male.

Il mercato di queste novelle collaboratrici domestiche, senza le quali moltissime fa-miglie avrebbero serissimi contrasti al loro interno, ha un’elevatissima percentuale di lavoro nero –si stima che la metà di que-ste lavori irregolarmente. Sarebbe quindi necessario semplifi care le procedure per l’assunzione, aumentare le detrazioni per i datori di lavoro. Di solito la ricerca della badante è affi data al passaparola tra co-noscenti. Pochi i comuni che tengono una sorta di albo a loro dedicato, pochissime le inserzioni on-line. Un mercato tanto ampio quanto strano, un sottobosco che andrebbe meglio regolamentato. Secondo un vecchio proverbio “quando muore una persona anziana è come se bruciasse una biblioteca intera”. Qualcuno, che ‘non ha tempo’, ci pensi.

IVAN DI NINO

Una biblioteca Una biblioteca che bruciache brucia

Nella nostra società aumenta il numero di persone che hanno bisogno di assistenza, di compagnia, di piccoli gesti quotidiani. Frequentemente si ricorre a importanti risorse umane: le badanti.Adalgisa Marsilii è una donna dinamica e socievole che svolge questa attività in ospedale e domiciliare diurna e notturna. Attualmente lavora presso l’ospedale “G. Mazzini” di Teramo. Sin da ragazzina, Adal-gisa ha puntato sulle sue doti: l’ottimismo, la forza di volontà, lo spirito di sacrifi cio.Prodigandosi per accudire i familiari (non-na e zii), ha continuato a dedicare il pro-prio tempo per aiutare tanti, giovani e anziani. Il suo spiccato senso di responsa-bilità, l’essere ordinata e attenta, la voglia di dare, di comunicare e di coinvolgere, da sempre si sono bene coniugate con la professione di badante, per la quale si sen-te portata. Forte di tutto questo, puntual-mente si aggiorna e frequenta corsi regio-nali professionalizzanti. Adalgisa spiega che

è dando che si riceve quel piacevole senso di gratifi cazione per “rimettere in circolo la grinta ed essere un valido sostegno”. Di rifl esso la vita acquisisce bellezza. La sua fi gura è a contatto con persone che sof-frono per malattia, solitudine o per altri disagi. Così ogni giorno entra in relazione con la condizione sociale, psichica e cultu-rale delle persone che assiste, e a seconda delle esigenze, si occupa di garantire loro l’igiene personale, sprone alla riabilitazio-ne, compagnia durante i pasti, provando a moderare le preoccupazioni e le angosce.Adalgisa è una persona amata nel suo la-voro, ma sa mettere a disposizione tutte le sue attitudini: dalla passione per l’uncinet-to e per la musica, al piacere di raccontare barzellette e fi lastrocche, offrendo il me-glio di sé. Per stabilire uno scambio d’in-teressi con il proprio assistito, mentre il tempo viene trascorso con più leggerezza e con meno diffi coltà.

Piacere nel darePiacere nel dare

GIUSEPPINA MICHINI

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Terra di Badanti

Una ‘fi gura’ che nel tempo ha avuto un inso-stituibile ruolo sociale è quella del nonno/a, di cui sociologi, psicologi,economisti ecc. si sono impegnati a scrivere o affermare l’importanza. Non voglio unirmi al coro. Desidero fare solo alcune rifl essioni da….parte in causa. Essere nonni è l’altra fac-cia della medaglia, rispetto a chi ‘usufrui-sce’ di tali fi gure nell’economia domestica quotidiana, per una corretta auxologia dei bambini, per risolvere spesso i problemi che affl iggono le giovani coppie o creano disagi organizzativi a tanti genitori. Certo. E’ bella anche l’altra faccia della ‘medaglia’. Ed è raro che accada. Entrambe le facce della medaglia sono belle. E mentre tanti sono consapevoli del benefi cio di avere dei nonni disponibili ed affettuosi, pazienti e ‘pronti all’uso’, solo i nonni sanno quanto è bello esserlo. Ci si sente più giovani (…è un modo valido per non avvertire su se stessi che il tempo sta passando), si rin-nova l’affetto per i piccoli verso cui si è più dolci e comprensivi, forse, e, spesso, in maggior misura di quanto manifestato ver-so i propri fi gli. Ma lasciatemi confessare o meglio, sottolineare, il privilegio di essere nonni oggigiorno.Questa è la generazione di nonni nati a ca-vallo o subito dopo la 2^ guerra mondiale. Provate ad immaginare che ‘fi lm’ sareb-be quello che mettesse – in rigorosa se-quenza – gli avvenimenti ma, ancor di più, le scoperte, le innovazioni tecnologiche che hanno modifi cato la vita di ciascuno dei nonni che hanno potuto assistere ‘in diretta’ a tanti cambiamenti!Ricordiamo e pensiamo, per un attimo, all’evoluzione della scrittura e della co-municazione. Oggi le mail e ieri le lettere scritte a mano o con la vecchia macchina da scrivere. Addirittura a fronte degli sms –che i ragazzi oggi sanno inviare da quan-do nascono- alle pagine di aste e letterine che i bambini di ieri dovevano riempire. Dalla radio alla TV, al digitale terrestre, dai primi frigoriferi all’attuale ‘linea del fred-do’, dai medicamenti di una volta alla mo-derna farmacologia ed ai progressi della sanità (per un esempio, dalla radiografi a di una volta alla Tac o alla risonanza magneti-ca), dall’uso delle mappe o carte stradali al ‘navigatore satellitare’, e così via. Ritengo

Sos nonniSos nonniDI ROPEL

Non avrei potuto realizzare la mia prima intervista, senza la disponibilità e l’aiuto di una donna per me davvero speciale, che ha sempre tanto tempo da dedicarmi: la mia nonna. Non è stata solo una lunga e piace-vole chiacchierata. In un’atmosfera intrisa di tenera intimità, mi ha svelato le paure più profonde, le sensazioni e le preoccu-pazioni con cui convive da qualche anno. Commossa, non solo ha risposto alle mie domande, ma mi ha donato i suoi occhi per capire ciò che ora non posso neppu-re immaginare. Occhi che magari saranno un po’ appannati, ma la visione rimane ni-tida e fresca. I nonni sanno interpretare i sogni, possiedono un patrimonio che non si trova nei libri, mantengono vive le tra-dizioni, forniscono un terreno sicuro per noi giovani, ingenui e inesperti.Ancora una volta, dalle sue parole ho tratto un grande insegnamento: trascurando ciò che è “vec-chio” impediamo l’evoluzione della specie umana. “Verso la fi ne della vita avviene come verso le fi ne di un ballo mascherato, quando tutti si tolgono la maschera. Allora si vede chi erano veramente coloro i quali si è venuti a contatto durante la vita”. ( A. Schopenhauer ). Ma diceva anche Pasolini: “Invecchiando si diventa più allegri, perché si ha meno futuro e quindi meno speranze. E questo per me è un grande sollievo.” Nonna, tu che idea hai della vecchiaia? La nonna scuote il capo e accenna un sorriso malinconico...“Forse Pasolini aveva ragione. Ma per quan-to mi riguarda non è così. La vecchiaia non è allegra, la defi nirei piuttosto l’età dei con-fl itti, tra gli istinti e i desideri, e la possibilità sempre più ridotta di soddisfarli. E’ non potersi più allacciare le scarpe da soli, è confondere i nomi dei propri nipoti, parlare e non essere capiti, è temere di non esserci il giorno in cui vi poseranno sul capo una corona d’alloro. La vecchiaia è quando fa fatica anche una lacri-ma a scendere giù, perché le emozioni sono sempre più rare. Una volta eravamo giù dalle scale e fuori dalla porta prima ancora delle nostre gambe. Adesso, chi lo sa quando quel ginocchio matto potrà cedere o il piede man-care il gradino?” Negli ultimi cinque decenni la vita me-dia è più lunga in virtù delle migliori condizioni di vita e dello sviluppo tec-nologico. Come è avvertita oggi la ter-za età rispetto a prima?“Indubbiamente il progresso ha reso la vita più lunga e meno usurante; oggi c’è maggiore disponibilità di denaro, il cibo non manca mai in tavola e il bucato non si lava a mano nel-

Quando cade Quando cade la mascherala mascherale gelide acque delle fontane del paese. Per alcuni aspetti però, come recita un proverbio, ‘si stava meglio quando si stava peggio’! Sono madre, nonna e bisnonna; penso sempre al futuro dei miei cari, in un mondo che mi fa paura, constatando la continua violenza tra gli uomini e la ribellione della natura (terremoti, vulcani, straripamenti). Gli uomini sono sem-pre più vittime di un’insaziabile frenesia”.Ti senti esclusa da una società narcisi-stica come la nostra?“Non mi sento esclusa, ormai è un proble-ma che interesserà le nuove generazioni. Per quanto mi riguarda, dopo aver cresciuto i miei fi gli, quando avevo 48 anni, ho ricominciato a lavorare. Purtroppo credo che una donna nel 2010 non potrebbe più farlo; oggi superata una certa età, si rischia di essere relegati ai margini della società...ma perché poi? Rughe e capelli bianchi non son mica una malattia! E pensare che ai miei tempi l’età era fonte di autorità, un binomio indissolubile. C’era un co-dice familiare da rispettare, dettato dal com-ponente più anziano, e infrangerlo signifi cava trasgredire le regole, o ancor meglio, violare una saggia e intoccabile morale”.Hai paura di essere di essere indicata come inadeguata?“No, non mi sento inadeguata. Il sopraggiun-gere degli anni lo vedo solo allo specchio, ma non lo sento: lavoro in casa, cucino, bado ai miei nipotini quando i genitori sono impegnati al lavoro. Leggo molto, mi diletto con le pa-role crociate, per non parlare dell’uncinetto! Il tempo scorre senza che io me ne accorga. Si ha un’idea sbagliata dell’aggettivo ‘vecchio’, che implica il processo di invecchiamento e l’approssimarsi della morte. L’essere ‘vecchio’, in realtà, è solo una condizione visibile che non dipende dall’età. Se alla categoria ‘vecchio’, si contrappongono, per indicarne il contrario, ag-gettivi come ‘nuovo’, ‘fresco’, ‘giovane’, è diffi ci-le immaginare la vecchiaia come qualcosa di semprevivo, una fase in cui si ha il massimo delle energie creative. Basti pensare a molti artisti, che nell’ultimo periodo della loro car-riera, hanno avuto picchi di originalità, eccel-lenza e fama”. Percorrendo le strade della città è or-mai consuetudine incontrare anziani, spesso ammalati, che passeggiano ac-compagnati dalle rispettive badanti. Credi che sia un cambiamento positi-

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vo nel costume sociale? E come vedi la possibilità, in futuro, di essere accudita e seguita da una badante?“Non trovo che sia un cambiamento positivo. Nella mia famiglia abbiamo sempre assistito fi no all’ultimo giorno gli anziani di casa: zie, prozie, nonni. Non si è mai pensato di affi darli a gente estranea. E’ vero che le esigenze di oggi non permettono più ai nostri familiari di assisterci e di prendersi cura di noi, ma essere messi completamente nelle mani di un’altra persona signifi cherebbe adattarsi al tratta-mento di estraneo, magari onesto e magna-nime, ma pur sempre un estraneo. Qualche anno fa, ho fatto da badante ad una persona squisita, cercando sempre di fare del mio me-glio. Mi sentivo parte della famiglia, lavoravo con sentimento e devozione, non solo per soldi. Ho sofferto molto quando la persona che accudivo è venuta a mancare, e per qual-che mese ho mantenuto anche rapporti con i parenti più stretti. Personalmente, non vorrei una badante ad assistermi, ma se un giorno ne avrò bisogno, sono consapevole del fatto che in quel momento non sarò più in grado di capire o decidere per la mia vita. E’ molto diffi cile accettare cambiamenti alla nostra età, abituarsi ad una nuova voce, a un odore diver-so, a occhi che non ti leggeranno nel pensiero e non trasmetteranno mai fi ducia e dolcezza come lo sguardo di un fi glio. Inoltre, credo che si crei nei familiari un’ indifferenza verso il ma-lato: ‘tanto c’è la badante!’, come se l’anziano fosse già spacciato”. Sulla tua risposta infl uisce il fatto che spesso a praticare questo mestiere sia-no cittadine immigrate in Italia, biso-gnose di procurare un sostentamento

economico per sé e per le proprie fa-miglie?“In parte infl uisce, perché credo che ogni po-polo abbia la propria cultura e usanze diffe-renti. Ho lavorato con una badante straniera e più volte abbiamo discusso. Non perché agisse in male fede, anzi era una donna onesta, in maniera quasi esagerata, proprio perché con-sapevole che, il fatto di essere un’immigrata, potesse rappresentare un pregiudizio per i nostri datori di lavoro. Avevamo diversi modi di pensare, ma anche di agire...a volte addirit-tura opposti. Spesso, inoltre, ci sono stati frain-tendimenti per la poca comprensione,dovuta al fatto di parlare due lingue differenti”.”Non v’è giornata senza il crepuscolo della sera”... Hai paura della morte? “Domanda da un milione di dollari! Che cos’è la morte? E’ un’incognita e l’incognito spaven-ta. Ora, anche se spesso sono sola, le mie gior-nate sono piene di vita: ho una cagnetta che è la mia ombra, due gattini che mi divertono tanto e il mio uncinetto. Cerco di non pensare alla morte e accettare quel che verrà. Le pau-re maggiori sono altre. Ho paura di soffrire. Ho paura di non essere in grado di sopportare il dolore, quello fi sico, per intenderci. Ho paura di rassegnarmi all’inaridimento della vita in-teriore. Al mattino quando mi alzo e sento di essere ancora autosuffi ciente ringrazio sem-pre il Signore”.Per i giovani spesso la senilità è un ar-gomento lontano e diffi cile da affron-tare, forse perché ne hanno paura. Ep-pure la vecchiaia è una nuova infanzia, un’infanzia piena di ricordi, di errori già commessi,di esperienze. Una fase della

vita consapevole, ricca di gioie e di do-lori. Te la senti di dare qualche consi-glio, da anziana saggia, ai tuoi numerosi nipoti e ma anche ai giovani che hanno ancora tutto da vivere?“I giovani vedono la vecchiaia con timore, pro-prio, secondo me, per i motivi sopraesposti, ossia perché oggi il termine ‘vecchio’ richiama altrettante parole, come emarginazione, ras-segnazione, intolleranza, perdita di identità, abbandono. Certo che mi sento di dare consi-gli! Ma chissà se li ascolterete?! Proverò a non essere troppo ‘bacchettona!Oggi i giovani sono bombardati da ogni fonte di informazione. Stampa, televisione e internet, condizionano in maniera esagerata la loro vita, infl uenzandone scelte e pensieri. Non condanno il progresso, ma l’uso che se ne fa. Ragazzi non adagiate-vi troppo nel benessere e divertitevi in modo sano! Non mancate mai alle tante responsa-bilità che vi si presenteranno nelle vita. Non date troppa importanza ai beni materiali. Io non ero ricca, ricordo che avevo solo un vestito adatto alle occasioni speciali e a Natale, sotto l’albero per me, solo frutta secca e caramelle. Ma era bello cosi, non desideravo altro. Erano cose ben più importanti a fare la felicità. Oggi invece contano le apparenze, il denaro, la visi-bilità. Non lasciatevi plagiare da falsi modelli, accettatevi per quello che siete.É priva di senso una vita vissuta calpestando la propria identità”.

Terra di Badanti

– con scarse possibilità di essere smentito – che essere nonni ( o nipoti ) oggi sia una vera fortuna. Quanta esperienza ha un non-no, quali evoluzioni sociali ha registrato – e può quindi raccontare per esperienza vis-suta –, ma ha anche la memoria di ciò che si era, di come si viveva, cioè, e può ammo-nire, istruire o semplicemente informare i nipotini che hanno il bene di apprendere tante cose senza dover trovare su internet.Allora è forse giusto festeggiare i nonni, apprezzare bene non solo il loro affetto o l’essereimpagabili ‘babysitter’, ma anche una prezio-sa fonte del sapere. Nonni si diventa, ovvia-mente, ma non tutti sanno farlo benissimo

anche se, con l’affetto che si nutre per i propri nipotini, si può riuscire abbastanza bene. Mi viene in mente allora, più che chie-dere di innalzare un monumento ai nonni (a chi lo è stato, a chi lo è ma anche a chi lo sarà), di auspicare un servizio televisivo analogo a quello, ben noto, intitolato “Sos Tata”. C’è tanto da apprendere, tante te-stimonianze da raccogliere e, quindi, spero che si arrivi a vedere presto in TV una sorta di “Sos Nonni”.In conclusione. L’essere nonni fa bene al proprio spirito ed al proprio corpo, oltre che alla propria famiglia. Quindi è un vero benefi cio per la società!

focus on

FEDERICA MAZZONI

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info: [email protected]

Esistono settori di mercato che mostrano di avere nella pro-pria essenza gli “anticorpi” necessari per aff rontare una crisi economica come quella attuale. Piazze di nicchia, che pun-tano su prodotti necessari in assoluto. Isabella Merlini, tito-lare del negozio di calzature per bambini Catysa, defi nisce il proprio un “mercato fortunato”. Una fortuna costruita con le armi della professionalità e della qualità dei prodotti su cui puntare. “E’ vero, in una famiglia il bambino viene prima di tutto, le scarpe indossate cambiano in continuazione a causa del-lo sviluppo, ma non ci si può cimentare in questa attività improvvisando”. La signora Merlini parla con orgoglio dei trent’anni di presenza nel campo, della discendenza da nonno calzolaio e da padre direttore di fabbrica di calzatu-re all’estero. “Vivevo in negozio, come tutti i bambini fi gli di commercianti, e ho imparato il rapporto coi clienti e quello con gli articoli da vendere”. C’è uno strumento presente nel-lo store, un ‘trucco del mestiere’ che sembra ereditato dagli esperti del passato. “Le famiglie che si presentano con ri-chieste per bimbi ai loro primi passi cercano dei consigli. Noi utilizziamo quindi il “misurapiedi”, un barra in plastica su cui si posa il piede, e sul quale si studia la corporatura, in base a lunghezza e larghezza della pianta e altre accortezze”. Il risultato è un prodotto fi nale diverso da quelle che presen-terebbe una macchina distributrice di scarpe, posta lungo i marciapiedi. Dando preferenza alle aziende che hanno inve-stito nella produzione in territorio nazionale. E’ questa la risposta pratica alla crisi economica e allo spo-polamento che la città di Teramo ha subito in seugito alla scossa del 6 aprile dell’anno passato, grazie anche al lavoro combinato di manager e distributori. “Noi partecipiamo ogni anno a una riunione di una settimana con una azienda no-

stra associata, durante la quale andiamo in vacanza in un bel posto e facciamo i precampionari, insieme a loro. Di ogni prototipo ci viene chiesto cosa piace e cosa invece si vorrebbe cambiare” . Il lavoro sulle materie prime, dai tipi di coloranti utilizzati alla chimica presente nei pellami, è una dichiara-zione d’intenti. La valorizzazione del territorio avviene anche mediante il corretto uso dell’informazione, riguardante ad esempio il Paese di origine del prodotto, e una possibilità di scelta il più possibile ampia. “Dovrebbe essere così per tutti i negozi. Solo in questo modo si ha modo di portare tutto a Te-ramo, senza la necessità che il cittadino debba andare fuori a trovare quello che cerca. Teramo ha tutto”

La giusta informazioneLa giusta informazione : comincia anche dai piedi comincia anche dai piediIsabella MerliniIsabella Merlini e le calzature per bambinie le calzature per bambini

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entre dalla tv impazzano gol e risse calcistiche, in una fredda serata te-

ramana con Alberto Melarangelo si appro-fondisce un problema annoso di Teramo: il teatro romano. “Si tratta di una vicenda che parte già dai primi del 1900 quando comin-ciarono ad affi orarne i resti. Ovviamente era attorniato da palazzi e occorrevano interventi. Cominciarono, infatti, i primi progetti di messa in luce. Si capiva che era un’opportunità da non perdere, allora come oggi!” Una piccola pausa, riprendiamo: “Come puoi immagina-re, avere un teatro romano è un vanto che non capita a tutte le città e può innescare tutta una strategia di rilancio culturale. An-che il grande Francesco Savini (archeologo teramano, ndr) se n’era occupato. Nell’era fascista, cultrice della romanità, ci fu la demo-lizione di molti abitati di quella zona proprio per mettere tutto in luce. Negli anni ’60, Gam-bacorta sindaco, il quartiere del teatro subì ulteriori modifi che. Furono scoperte le pietre delle arcate, inglobate dai caseggiati. Quelle pietre furono smontate e catalogate dalla So-vrintendenza ai Beni Culturali.” Alberto addi-ta: “Tieni bene a mente queste pietre ché tra poco torneranno protagoniste della vicenda… Comunque, dicevamo, negli anni ’90 il pro-blema torna di attualità e qui Teramo Nostra ha giocato un ruolo importante per la sensi-bilizzazione della cittadinanza e delle parti politiche. Come sai, erano due i palazzi sorti

sull’area: Palazzo Adamoli e Palazzo Salvoni. L’allora centro-sinistra, sindaco Sperandio, fece malauguratamente scadere i termini della pre-lazione, ovvero il diritto di acquisto degli stabili a prezzo anche ribassato. Una cosa indecente: ecco i primi risvolti inquietanti della vicenda. Stiamo parlando del 1998. La giustifi cazione fu l’aver consegnato la domanda con un’ora di ritardo: roba da non credere… il teatro roma-no è la storia delle occasioni mancate. Nean-che a dirlo quei palazzi furono acquistati da privati e di lì rivenduti alla Regione per tre vol-te il prezzo precedente. Acquisirli fu, tuttavia, un bene non da poco: merito alla Regione.” Quindi, era di nuovo tecnicamente possi-bile recuperare il teatro? “A questo punto -risponde il consigliere -torna a farsi sentire la Sovrintendenza, autrice di scempi nella nostra città, si veda la copertura di piazza Sant’Anna che ha letteralmente umiliato l’antica catte-drale teramana. Tra l’altro alla Sovrintenden-za lavorano persone del tutto incompetenti e senza i necessari titoli di studio. Le assunzioni sono bloccate ormai da anni e professionisti meritevoli non possono assolutamente entrar-vi. Davvero in Italia ci vorrebbe una rivoluzione liberale. Ma non perdiamoci: la Sovrintenden-za torna alla carica, il progetto è proprio quello di smontare i palazzi (e non demolirli brutal-mente) proprio per non recare danno alcuno alla struttura romana. Ebbene che cosa fanno? Smontano metà palazzo Adamoli, restaurano

DI VINCENZO LISCIANI PETRINI

Teatro romanoTeatro romano occasioni mancateoccasioni mancateCon Alberto Melarangelo ripercorriamo le vicende di un’ arearipercorriamo le vicende di un’ area, scoperta ai primi del 1900, in baliain balia, secondo l’esponente del Pd, “dei capricci della “dei capricci della Sovrintendenza e delle cattive scelte della politica locale”Sovrintendenza e delle cattive scelte della politica locale”

Il Sindaco Brucchi con i rappresentanti di “Teramo Nostra”

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l’altro palazzo e bloccano i lavori. Si può crede-re? Deviano completamente dal progetto con un’arroganza che rasenta l’assurdo! Nessuno sa dare risposte e la Sovrintendenza addirit-tura rifi uta di darne. Cioè, hanno usato soldi pubblici per fare una cosa estranea al proget-to e oltretutto estranea alla volontà popolare espressa dal sindaco. Un’altra occasione man-cata. E siamo a due.” Oggi com’è la situa-zione? “Negli ultimi tempi Brucchi aveva riba-dito più volte la volontà di recuperare l’area per rimetterla in funzione. Si era addirittura creato un tavolo tecnico che coinvolgeva tutte le parti in causa. A disposizione da parte della Sovrintendenza c’erano circa 1.600.000 euro. Questa volta esige di visionare il progetto e si scopre che la demolizione dei palazzi non è più una priorità e 500.000 euro sono desti-nati unicamente al trasferimento delle antiche pietre (quelle di prima) dal sito del teatro fi no al sito archeologico della Cona, che tra l’altro è abbandonato. A questo punto è evidente che qualcosa non va, tanto più che l’appalto viene dato con il 50% di ribasso… sicura premessa all’interruzione dei lavori e quindi non è asso-lutamente certo (anzi!) che quel luogo torni ad essere usato come teatro. Le premesse dicono chiaramente il contrario. È chiaro che quelle pietre una volta spostate non torneranno più.

Per questo con Teramo Nostra si è chiesto di poter fare una variante del progetto ed evitare lo spreco di quei soldi pubblici. Quelle pietre devono essere lasciate lì e anzi occorre riuti-lizzarle per il restauro, come si fa in qualsiasi altra parte d’Italia. Sembrava che fosse stata accolta positivamente questa richiesta, appog-giata e caldeggiata dallo stesso Sindaco alla Sovrintendenza. Ma all’inizio dei lavori, iniziati guarda caso di notte, la prima mossa è sta-ta proprio lo spostamento delle pietre. A quel punto alcuni si sono messi di fronte ai camion, in protesta.” “Ah dimenticavo -soggiunge Melarangelo - La fi ne dei lavori sarà giugno 2012… tu ci credi? Io credo che dovremo te-nerci quello scempio di barricate ben oltre due anni…” Concludiamo con le parole del grande Ma-rio Monicelli che ha appena scelto di chiu-dere la sua partita con l’esistenza. Sono rivolte ai giovani: “La cultura è l’unica attività della nostra penisola che ha ancora una sua validità all’estero. I giovani non devono ras-segnarsi, non devono limitarsi a protestare. Protestare sì, ma scendere, muoversi, spingere e anche usare la nostra forza giovanile e la vostra, perché io non ce l’ho, per sovvertire le cose come stanno andando a casa nostra e in tutto il nostro occidente.”

La protesta di bloccare i mezzi che asportano le pietre del Teatro

La miccia della protesta dell’associazione “Teramo Nostra”

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l termine stalking (dal verbo to stalk) deriva dalla terminologia inglese della

caccia e signifi ca “fare la posta, braccare la preda”. Viene utilizzato per indicare il reato di “atti persecutori”, in vigore dal 23.02.2009. Si tratta di un reato abituale, che si concretizza solo con la reiterazione nel tempo della condotta di minaccia o di molestia.La minaccia consiste nella prospettazio-ne di un male futuro e ingiusto, come la minaccia di morte o di atti lesivi dell’in-columità personale. La molestia si realizza attraverso comportamenti che determi-nano un’insistente e fastidiosa intromis-sione nella vita privata della vittima, come pedinamenti, appostamenti sotto casa o al luogo di lavoro, ripetute telefonate mute o minacciose, invio di numerosi sms, e-mail o messaggi sui social network.Lo stalking si confi gura quando la condotta di minaccia o molestia provoca nella vitti-ma, alternativamente: - grave stato di ansia o di paura; - fondato timore per l’incolumità fi sica propria, di un prossimo congiunto o di ter-zi soggetti legati da un rapporto affettivo; - alterazione delle proprie abitudini di vita, come il mutamento del percorso che con-duce al luogo di lavoro o alla casa familiare, la modifi ca delle utenze telefoniche, l’esse-re costretto a non uscire nelle ore serali, il farsi accompagnare sul luogo di lavoro. Quando la condotta supera i limiti del-la minaccia o della molestia, e presenta i caratteri della violenza, lo stalking si con-sidera assorbito nel reato più grave (mal-trattamenti in famiglia, percosse, lesioni, omicidio tentato o consumato).

A tutela della vittima di atti persecutori sono previste, quale misura di prevenzione, l’istanza al questore di procedere all’am-monimento verbale dell’interessato, e, quale misura cautelare, il divieto di avvici-namento ai luoghi frequentati dalla vittima.Lo stalker è punito a querela della persona offesa, da proporre nel termine di 6 mesi dalla commissione del fatto, con la reclu-sione da 6 mesi a 4 anni. La pena è aumen-tata se lo stalker è il coniuge legalmente separato o divorziato o una persona legata alla vittima da una relazione affettiva.Sia nella prevenzione che nella repressione del reato di stalking, un ruolo decisivo è svolto dallo psicologo. Nella prevenzione lo psicologo può attuare misure terapeu-tiche o di supporto psicologico rivolte al persecutore con la possibilità di preveni-re l’escalation di violenza verso episodi drammaticamente irrimediabili. Per quanto riguarda la repressione, lo psicologo può fornire, ai fi ni dell’accertamento del reato, una valutazione psicologico-giuridica dello stato patologico di ansia o di paura da cui risulta affetta la vittima degli atti persecu-tori. Inoltre, qualora la vittima chieda il ri-sarcimento del “danno da stalking”, assume importanza fondamentale la collaborazio-ne tra la fi gura dell’avvocato e quella dello psicologo: infatti, nella prova della sussi-stenza degli elementi costitutivi del reato, toccherà allo psicologo dimostrare che proprio quel fatto ha determinato nella persona i pregiudizi esistenziali ed il danno psichico lamentati.

LORENA DI GIAMBATTISTA (AVVOCATO)WWW.DIGIAMBATTISTASTUDIOLEGALE.IT

Stalking: la molestia non ha sessola molestia non ha sessoIl profi loIl profi lodello stalkerLa ricerca criminologica e psicopatologica analizzando la componente motivazionale ha individuato cinque tipologie di stalkers:-il risentito: generalmente sono ex-partner che desiderano vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale. Pieni di risentimento, poiché ritengono di aver subito un torto, si sentono autorizzati a contraccambiare l’off esa tentando di ledere sia l’immagine della persona (pubblicazioni sul web di foto osé, ecc.) sia la persona stessa che le cose di sua proprietà (rigando l’auto, ecc.). -il bisognoso di aff etto: si tratta di molestatori il cui comportamento è innescato dal desiderio di instaurare una relazione d’amore o di amicizia di cui son convinti di aver un gran bisogno. Il rifi uto della vittima di stabilire una relazione viene reinterpretato come momentanea diffi coltà della stessa a lasciarsi andare a ciò che veramente desidera (ovvero la relazione con lo stalker), questo tipo di molestatori sono frequenti nell’ambito dei rapporti professionali centrati sulla relazione di aiuto come quello tra paziente-psicoterapeuta, paziente-medico, allievo-maestro, paziente-educatore. In questi casi il paziente

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Il profi loIl profi lodello stalkeron è possibile studiare il fenomeno

“stalking” senza analizzare le dinami-che relazionali fra il molestatore e la vitti-ma. Eccetto i casi in cui è presente una psi-copatologia conclamata del persecutore, lo stalking può essere considerato come una patologia della relazione e della comu-nicazione sotto due aspetti:– è presente un malinteso sul signifi cato della relazione;

– è presente un malinteso sui limiti della relazione.Nelle relazioni di stalking inizialmente è presente un elemento ambiguo che può far nascere un malinteso, ad esempio gli at-tuali mezzi di comunicazione (e-mail, chat, network) creano un falso senso di intimità che può essere equivocato dal molestato-re. All’equivoco originario segue, di solito, il

malinteso sui limiti della relazione, poiché il molestatore invade, in modo intrusivo ed assillante, la sfera privata della vittima. Le vittime di stalking non sono certamente responsabili delle vessazioni persecutorie, ma certi comportamenti inappropriati possono moltiplicare la pericolosità di cer-te situazioni innescando una spirale dalle tonalità sempre più violente. Per contra-stare in modo effi cace questo fenomeno è necessario tener sempre presenti gli elementi relazionali che caratterizzano tali dinamiche e la natura graduale della loro evoluzione, in cui vanno colti e valorizzati tutti quei segnali di pericolo utili ad iden-tifi care tempestivamente le distorsioni co-municative e talora a scongiurare possibili degenerazioni nei diversi contesti inter-personali.Prima di concludere apro una piccola pa-rentesi riguardante le ricadute dello stal-king sulla vittima: chi è oggetto di molestie assillanti vive un’esperienza fortemente lesiva della propria sfera intima e privata. Il fatto di sentirsi continuamente sotto as-sedio e sotto il controllo del molestatore produce un forte stress psicologico che può avere ripercussioni importanti anche nell’ambito professionale con calo della concentrazione e riduzioni delle perfor-mances lavorative. In diverse vittime viene diagnosticato un Disturbo dell’adattamen-to e, nei casi più severi un disturbo acuto da stress o un disturbo post-traumatico da stress. E’ importante, specialmente nei casi più gravi, non trascurare il proprio disagio e cercare un valido sostegno psicotera-peutico.

Il pareredello psicologopsicologo

Il cellulare diventa un arma di pressione psicologica

EMANUELA TORBIDONE(PSICOLOGA – PSICOTERAPEUTA)

[email protected]

Nelle relazioni di Nelle relazioni di stalking inizialmente è stalking inizialmente è presente un elemento presente un elemento ambiguo che può far ambiguo che può far nascere un malinteso, nascere un malinteso, [...] che può essere [...] che può essere equivocato dal equivocato dal molestatoremolestatore

fraintende l’empatia e l’off erta di aiuto come segno di un interesse sentimentale..-il corteggiatore incompetente: si tratta di corteggiatori che hanno una scarsa abilità relazionale e corteggiano in modo rozzo, ripetitivo, insistente e fastidioso. La condotta persecutoria di solito è di breve durata. -il respinto: si tratta di solitamente di ex-partner che sono stati lasciati ed oscillano tra il desiderio di ricongiungimento e quello di vendetta per la ferita narcisistica. Solitamente presentano comportamenti insistenti e di lunga durata poiché il controllo sulla vittima garantisce, anche se in forma patologica, di tenere in vita la relazione. La perdita della persona amata è considerata da queste persone una condizione insopportabile che li costringe a mettere in atto qualsiasi comportamento, anche criminale, pur di non rischiare di perderla.-predatore: si tratta di stalker che desiderano avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La logica di questo comportamento è perversa poiché è la paura della vittima che lo eccita e lo fa sentire potente.

EMANUELA TORBIDONE

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uando si parla di stalking, in genere si immagina una vittima al femminile.

Scopriamo, ascoltando il racconto di Mario, teramano, che le donne possono essere soggetti perseguitati ma anche molestatori. L’esperienza del nostro protagonista è or-mai relativamente lontana nel tempo, ma il c’è ancora tanta emozione, nel parlarne. “La mia esperienza di ‘persecuzione’ inizia con l’ingresso nel mio ambiente di lavoro di una nuova collega. Sembrava, dico sembrava, perché poi ho scoperto non essere così, competente, volenterosa e pie-na di idee per attivare nuove sinergie lavorative.” E’ proprio questo il ta-sto dolente, Mario voleva lavorare, e gli avvicinamenti a questa donna erano sempre professionali. Ma lei fraintende ed inizia ad aspettarsi di più. Mario, felicemente sposato da diversi anni, con un fi glio, profes-sionista quotato, non ha interesse ad una relazione extra coniugale e respinge chiaramente le avan-ces della donna, quando questa si dichia-ra apertamente. “Credevo di aver chiuso la questione, invece è iniziato l’incubo”. All’inizio, telefonate ‘pretestuose’ anche in orari che nulla avevano a che fare con la sfera lavo-rativa. Il passo successivo, telefonate ano-nime, anche in piena notte, e passo passo, sms, decine di messaggi, nei momenti più impensati e con le argomentazioni più as-surde. “Debbo dire - prosegue Mario - che gli ultimi, deliranti, raggiungevano limiti offen-sivi e violenze psicologiche da fi lm dell’orrore”. La donna vuole attirare l’attenzione e non si ferma. “La mattina, recarmi al lavoro era diventato un incubo. Ogni pretesto era lecito per litigare e tormentarmi. La mia concentra-zione e il mio rendimento lavorativo ne risen-

tirono pesantemente”. Mario, tuttavia, pensa-va sarebbe passata. L’orgoglio della donna era stato ferito dall’essere stata respinta, si era tutti grandi e ragionevoli, si sareb-be ristabilito l’equilibrio. Non è così: “Può sembrare ridicolo, ma avevo paura a recarmi in uffi cio. Non vivevo più serenamente, anche il mio atteggiamento in famiglia era peggio-rato. Avevo il terrore di essere sempre spiato e controllato. Senza trascurare che l’attività di (marcamento) sfociava nella denigrazione

della mia persona verso altri colleghi”. Come si è risolta la situazione? Come è tornato a vivere normalmente e ad essere la persona che è oggi? “Riassumo: denuncia, consulenza legale ed allontanamento dal posto di lavoro. E non meno importante avere sempre intorno persone. Sì, un forte (inconsapevole) aiuto è arrivato dal ritrovarmi (dopo aver intensifi ca-to le relazioni sociali) sempre circondato da persone”. Cosa le è rimasto di questa espe-rienza? “Adesso sono più’ attento a valutare il prossimo, mantengo un forte distacco con col-laboratori, colleghi e subalterni. Direi che sono tornato all’utilizzo del ‘lei’. Non so se sarà suffi ciente, spero solo non si ripeta mai più.”.

Storia di MarioQuando il persecutore il persecutore ha la gonna… ha la gonna…

Non vivevo più Non vivevo più serenamente, anche serenamente, anche il mio atteggiamento il mio atteggiamento in famiglia era in famiglia era peggioratopeggiorato

ANTONELLA LORENZI

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Aidp di Teramo è una realtà che continua ad operare nel nostro territorio e che continua a contraddistinguersi

con le sue molteplici e stimolanti attività. Chi non ricorda i sim-paticissimi calendari, in cui gli associati hanno dato un’ eccellente prova di fotogenia e professionalità? O dei clamorosi spettacoli che puntualmente hanno incantato il pubblico e hanno fatto sì che emergessero le potenzialità artistiche di questi ragazzi?La passeggiata all’interno del centro molto piacevole. Annamaria Ponziani mostra le diverse sale ricreative e, in particolar modo, il laboratorio di cuoio, dove un gruppo di ragazzi si sono organizzati come in una vera e propria catena di montaggio, per dar vita a unici e preziosi manufatti. Nutrito il programma settimanale e l’in-tensa vita sociale che gira intorno a questa vivace famiglia: oltre alla lavorazione del cuoio, i soci si cimentano nel laboratorio di ceramica e di découpage e il giovedì pomeriggio ci si può scatena-re in fantasiose coreografi e di ballo latino americano. C’è anche una vincente squadra di nuoto che ha saputo distinguersi a livello nazionale, con i suoi esaltanti risultati. Insomma, non esiste il tem-po per annoiarsi con i professionisti e i volontari che aiutano in

modo encomiabile i ragazzi, che sono gioiosamente stimolati a far emergere le proprie potenzialità.La dott.ssa Ponziani parla del lodevole progetto volto a svilup-pare l’autonomia delle persone affette dalla sindrome di Down e spiega che bisogna assicurare ai ragazzi un buon livello di indi-pendenza, stimolandoli anche nelle azioni quotidiane di carattere strettamente pratico, come fare la spesa, dare il giusto valore al denaro, mettere in ordine la propria camera e aiutare in cucina, preparando un pasto. L’ambiente intimo e gioviale e la voglia di divertirsi e crescere insieme sono i fattori che fanno dell’Aidp di Teramo un’ asso-ciazione di volontariato longeva e dalle basi solide. E da questa realtà non è diffi cile imparare, traendo grandi benefi ci per l’ anima. Lo scambio d’amore può essere defi nito simbiotico, è diffi cile da spiegare a parole, ma un pomeriggio nel centro regala davvero una grande carica vitale, capace di aiutare tutti noi ad abbattere quell’inutile e stupido muro invisibile che spesso si erge di fronte alle minime diversità.

Dove corre la fantasiaDove corre la fantasiaIncontroIncontro, nella sede di via Diaz, a Teramo, con Annamaria Ponzianicon Annamaria Ponziani, presidente dell’ associazione italiana persone downpresidente dell’ associazione italiana persone down

VINCENZO CASTALDO

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Disabilitànon siamo piu’ solinon siamo piu’ soli

Per iniziativa di Federconsumatori provinciale al via osservatorio e sportello per osservatorio e sportello per aiutare a superare le numerose aiutare a superare le numerose diffi coltà delle famigliediffi coltà delle famiglie.Una mamma racconta…

n osservatorio provinciale e uno sportello per i disabili. Dopo aver

ascoltato la protesta e l’indignazione di al-cuni genitori, il presidente di Federconsu-matori, Pasquale Di Ferdinando, interviene in loro soccorso. La diversabilità cavalca le cronache anche in situazioni normali. De-cine i casi di blocco in ascensore che si ve-rifi cano, e che fanno notizia per la sola pre-senza del disabile.. Le famiglie che vivono quotidianamente questa realtà ne hanno la giusta misura e sensibilità. L’associazione alla quale si sono rivolti i genitori non ha potuto che mettersi a disposizione, con le proprie capacità, alla richiesta di uno spa-zio per dare compiutezza all’essere cittadi-no. L’umiliazione di andare in gita scolastica e non poter entrare nel sito archeologico insieme ai compagni per via delle barriere architettoniche, le diffi coltà nel poter usu-fruire del trasporto scolastico per assenza di mezzi adeguati e di risorse, l’isolamento sociale nel quale vivono le persone affette da disabilità, la scarsa integrazione sociale, la carenza di strutture sanitarie specialisti-che, la solitudine delle famiglie dove spes-so uno dei due genitori deve rinunciare a lavorare per seguire il fi glio disabile costi-tuiscono un piccolo spaccato delle tante

diffi coltà che si trovano ad incontrare le famiglie che vivono le problematiche legate alla diversabilità. “Per questo abbiamo deci-so di dare vita ad un osservatorio che ope-ri un monitoraggio della situazione su base provinciale – sottolinea Di Ferdinando-. Sono responsabile dell’iniziativa, in prima persona, insieme a Federconsumatori, che sarà affi ancata da altri genitori – per aprire uno sportello che garantisca un’assistenza per la tutela dei diritti dei ragazzi disabili e delle loro famiglie”. Ho deciso di rivolger-mi alla Federconsumatori nel momento in cui è stato negato a mio fi glio il trasporto scolastico e c’è stata la riduzione delle ore di sostegno in classe a causa dei tagli previ-sti dalla riforma Gelmini.E’ arrivato il momento di fare qualcosa. Anche noi siamo consumatori, di una vita però degna di essere vissuta, non vogliamo più mendicare diritti perché siamo uguali agli altri cittadini, solo con caratteristiche e problematiche diverse. Siamo stanchi di vivere in questo mondo “parallelo”, stanchi di entrare dalla porta posteriore. Questi problemi li ho vissuti e li vivo ogni giorno, so come ci si sente. So che il geni-tore di un bambino con problemi di disa-bilità, fi sica o mentale che sia, non può am-

malarsi perché altrimenti il fi glio non può andare alle terapie o a scuola, so che dovrà fare viaggi nella speranza di veder curare il fi glio, ma so anche che un genitore non può e non deve arrendersi. Il nostro obiet-tivo è quello di mettere nero su bianco le diffi coltà che ci sono sul territorio, dando voce alle famiglie sperando che qualcosa possa cambiare, soprattutto l’idea e il pre-concetto comune sulla diversabilità.L’osservatorio attuerà un monitoraggio sulla legge 104 e le sue applicazioni, sulle barriere architettoniche, sul sostegno sco-lastico, il trasporto, l’integrazione sociale e l’inserimento nel mondo del lavoro. Lo sportello si propone di essere una presen-za attiva sul territorio, a disposizione per segnalare le ingiustizie a danno dei disabili. Nella fase di avvio lo sportello sarà aper-to ogni mercoledì dalle ore 9,30 alle 12,30, presso la sede della Federconsumatori in via Flajani 6 a Teramo. Per informazioni contattare i numeri di te-lefono 0861.213920 oppure 0861.282488. E-mail [email protected].

BARBARA MONACO

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ra la sempre crescente domanda di energia e le alternative a cui attingere per la sua produzione, molte sono le variabili da

considerare. Il fabbisogno di un paese industriale e la necessaria (e ormai non più ignorabile) attenzione all’ambiente devono neces-sariamente condurre a rifl essioni ponderate sulle scelte da com-piere. Abbiamo chiesto all’ing. Maurizio Paolini, esperto nel campo dell’energia, qualche importante considerazione sull’argomento.Il dibattito sulle energie pulite è sempre molto vivace, ma se-condo alcuni il fotovoltaico potreb-be rivelarsi una bufala.“In generale direi proprio di no. Ovvia-mente tutto dipende dalle aspettative che ognuno di noi, per il proprio ruolo, ha verso questa tecnologia. Di sicuro il fotovoltaico è oggi una tecnologia consolidata e referenziata, in continua evoluzione, che nei confronti delle pro-blematiche ambientali ed energetiche si pone come una soluzione e che, nel suo complesso, è in grado di mitigare l’impatto verso l’ambiente se confrontata con produzione con-venzionale di energia”.Quali i limiti e le false informazioni a riguardo?“Ci sono diverse forme di limitazione che contrastano e rallenta-no uno sviluppo strutturato di impianti fotovoltaici. Provo a citare quelle che più di frequente vengono oggi prese in considerazione:

Un percorso autorizzativo mediamente più lungo rispetto ai benchmark dei paesi europei, tale da far saltare l’intero progetto alla luce del fatto che il meccanismo di incentivazione nazionale prevede riduzioni sostanziali degli incentivi su scaglioni quadri-mestrali.Una estesa informazione di base, quasi fosse una moda, accompa-gnata però da una carenza di conoscenze specifi che di settore tali da non permettere di cogliere opportunità di impiego del fotovol-

taico come soluzione integrata in molti settori dove ad oggi c’è scarso impiego.Un mercato dei principali componenti (moduli ed inverter) che risente anco-ra troppo delle fl uttuazioni di prezzo speculative legate ai picchi di domanda e ai tempi di consegna di questi com-ponenti Basse performance delle tecnologie mediamente usate e tempi di ritorno degli investimenti insostenibili se pen-sati senza l’incentivo del conto energia

(vale in prima approssimazione il 70% della redditività che un im-pianto genera, fi guriamoci se non ci fosse)”.E’ vero che sono tecnologie a impatto zero oppure inquinano anche gli impianti cosiddetti ecologici?“Parlare di tecnologie a impatto zero nel senso generale del ter-mine non è così scontato, di sicuro producono energia sfruttando

Fotovoltaico Fotovoltaico luci e ombre

DI MIRA CARPINETA

Un traguardo Un traguardo notevole sarebbe già notevole sarebbe già incontrare i target incontrare i target dettati dai protocolli dettati dai protocolli InternazionaliInternazionali

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CHI ÈDi origine teramana, lavora per multinazionali americane nell’ambito della produzione di energia per grandi industrie.1999 – 2000 Energy Manager (ENEA). Dal 2001 iscritto all’Elenco Nazionale Energy Manager F.I.RA. (Federazione Italiana Responsabili per l’Energia)2004 – 2005 Master in “Ingegneria e Gestione della ManutenzioneResponsabile Manutenzione e Gestione Impianti ed Infrastrutture Responsabile Ingegnerizzazione e realizzazione Impianti ed Infrastrutture Responsabile Area Ambiente (suolo, aria, acqua), Sicurezza, Prevenzione e Protezione Responsabile dell’effi cienza globale di centrale cogenerativaCoordinatore di gruppi di lavoro Internazionali (Energy Conservation Team) il cui obiettivo e’ la razionalizzazione dei fl ussi energetici nei principali impianti di produzione.

alcune proprietà di certi materiali di gene-rare corrente come l’irraggiamento solare. Ovviamente questi moduli vanno prodotti e assemblati, questo implica che ci sia un processo industriale dietro che impatta potenzialmente l’ambiente per produrli. Infi ne la dismissione: questi impianti prima o poi cessano il loro ciclo di vita. Su que-sto non mi allarmerei più di tanto, sono dispositivi elettronici e vanno trattati in quanto tali, nulla di nuovo di fatto rispetto a quanto già facciamo per apparecchiature simili. Diversi discorsi possono nascere su tecnologie innovative (ex. Thin fi lm) dove

ci sono elementi aggiuntivi al silicio (ex. Telluro di Cadmio) che vanno trattati e gestiti opportunament”e.L’energia prodotta da queste tecnolo-gie è suffi ciente al fabbisogno del pa-ese?“Assolutamente no! Questa tecnologia (ed altre come ad esempio l’energia eolica, le biomasse, ect) sono integrative e pos-sono coprire una percentuale molto bassa dei fabbisogni di un paese. Un traguardo notevole sarebbe già incontrare i target dettati dai protocolli Internazionali e re-cepiti dai vari paesi (Protocollo di Kyoto)”.

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i trovo spesso a raccontare l’astrofi si-ca ai “i non addetti ai lavori” e posso

assicurarvi che queste sono le domande più ricorrenti: “esistono gli extraterrestri? Hai mai visto un ufo? Cosa c’entra Dio con tutto questo? Sei credente? Credi all’astrologia? Mi fai l’oroscopo?” Non senza imbarazzo e con molta pazienza, cerco sempre di dare risposte sensate. Ma c’è una domanda, in particolare, alla quale fatico ancora a trovare risposte convincenti. E’ la stessa che mi fece mio padre quando gli dissi che avevo vinto una borsa di studio della Scuola Normale di Pisa per fare l’astro-fi sico. E’ la stessa domanda che ci rivolgono coloro che devono decidere se fi nanziare le nostre ricerche. Una domanda semplice, ap-parentemente banale, ma proprio per questo disarmante: “A cosa serve l’Astrofi sica?”. Per inciso, non ho alcun dubbio sulla risposta. Il mio problema è convincere coloro che sen-tono il bisogno di farti questa domanda, quel-li a cui non è ovvio quale sia lo scopo della scienza pura, quella che non necessariamente ha come obiettivo (primario) l’invenzione di qualcosa che abbia una qualche utilità pratica. Il problema può essere affrontato in modi molto diversi. Ci sono, ad esempio, le co-siddette “risposte profetiche”, come quella che diede Michael Faraday al vittoriano mi-nistro del Tesoro in visita ai suoi laboratori. Alla fatidica domanda, il fi sico inglese, padre dell’elettromagnetismo, rispose che non sa-peva a cosa sarebbe servito tutto quello che aveva scoperto, ma di una cosa era certo: il governo, primo o poi, ci avrebbe sicuramen-te riscosso una tassa.Chiunque può certifi care quanto vera fos-se tale profezia, ogni volta che ricevete la bolletta della luce. Personalmente, non sono altrettanto bravo con le profezie. Forse è per questo che il tipo di risposta che pre-ferisco, anche se devo ammettere non sem-pre apprezzata dal malcapitato interlocuto-re, è quella che defi nirei “del girare intorno all’ostacolo”. Perché dobbiamo chiederci a cosa serva studiare l’universo, le galassie o le stelle? Non ce lo chiediamo dopo aver

ascoltato una sinfonia di Beethoven e ne-anche davanti ad un’opera d’arte, come la Gioconda di Leonardo o una tauromachia di Picasso. Che senso avrebbe chiedersi a cosa sia servita la Divina Commedia o un poema dannunziano. La verità è che la ricerca pura della cono-scenza, sia essa arte o scienza, ci aiuta a guar-dare il mondo da prospettive nuove, differen-ti, e ci stimola ad essere creativi. La creatività è una caratteristica unica della specie uma-na, ma deve essere coltivata, se ne vogliamo sfruttare l’enorme potenziale, altrimenti si

Astrofi sicaAstrofi sicadomande imbarazzantidomande imbarazzanti

Il Sole

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avvizzisce. La creatività è la base di ogni inno-vazione, sia essa culturale, sociale o tecnolo-gica. L’umanità è progredita grazie agli uomini che hanno saputo sfruttare la loro creatività, come Dante, Picasso o Faraday. Chiedersi a cosa sia servito quello che hanno scritto, dipinto o descritto è come chiedere ad un costruttore di automobili perché le macchine hanno le ruote. O ad uno zoologo perché gli asini non vola-no. Ricordo una conversazione che ho avu-to qualche tempo fa con il mio amico Claus Rolf, fi sico di fama mondiale, già collabora-tore e successore del premio Nobel William Fowler, da me invitato a Teramo in occasione del congresso della Società Astronomica. Si discuteva del sole e delle fusioni nucleari che lo hanno fatto brillare per miliardi di anni. Si ragionava su come riprodurle in laborato-

rio, per studiarle e carpire il segreto di tanta potenza naturale. Siamo fi niti ad immaginare di imbrigliare le scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari. Claus e i suoi collaboratori avevano scoper-to che anche nel loro laboratorio, come nel sole, si possono accelerare o ritardare le interazioni tra i nuclei. Il “segreto” consiste nel riempire l’ambiente con un opportuno materiale, conduttore oppure isolante. Non so se mai si arriverà a sviluppare una tale tecnologia, ma questo aneddoto dimostra di come, ragionando di stelle, si sia intravista la possibilità di risolvere uno dei più grandi pro-blemi della nostra era.

OSCAR STRANIERODIRETTORE OSSERVATORIOASTRONOMICO DI TERAMO

Faraay Cochran Pickersgill L’uomo e lo spazio

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arco Cassini, giovane attore dal multiforme talento, diviso tra pic-

colo e grande schermo, si racconta per la prima volta alla città. Ha passato un lungo periodo a Torino per girare una nuova fi c-tion con Luciana Littizzetto. Di passaggio a Teramo per qualche giorno, ecco l’occasio-ne di poter scambiare qualche battuta su quanto sta vivendo al livello professionale e artistico. Come te la stai cavando nel mondo dello spettacolo? Viene spesso rappre-sentato come un mondo spietato. “È vero. Ma prima o poi, se non demor-

di, nel business ci entri. Il problema è che spesso la raccomandazione ti scaval-ca, arriva dove non crede-vi potesse arrivare. Sono stato otto mesi a Torino a girare la fi ction Fuoriclasse con Luciana Littizzetto e Neri Marcorè: è tutto acca-duto così, in modo naturale e non essendo un racco-mandato la cosa mi riempie di gioia. Io conto, per forza di cose, solo su quello che ho studiato e che so.” Ecco, all’improvviso ti ri-trovi a dare la battuta a un’attrice come la Littiz-zetto. Come hai affronta-to questo salto di livello? “Naturalmente bisogna

studiare ancora di più. Luciana è di un ta-lento straordinario, come Neri, che è un folle. Per poter ‘reggere’ mi sono chiuso ore ed ore nella camera d’albergo a prova-re accenti, pronunce, pose, gesti, etc., poi ti butti e cerchi di concentrarci sul momento in cui metti a frutto il lavoro fatto. Come sempre, insomma, ma in modo più profondo.” Cristian De Mattheis, regista con cui tra l’altro hai lavorato, in una recente intervista ha detto di sentirsi a disagio con quegli attori italiani che sono in

scena come nella vita reale, senza mo-difi carsi e interpretando poco. Faceva invece l’esempio positivo degli ameri-cani che interpretano molto… tu che ne pensi? “Sono d’accordo: l’interpretazione è im-portantissima, spesso ce ne dimentichiamo e i personaggi diventano poco defi niti. La giusta dimensione è comunque sul proprio vissuto: poi l’originalità.” Qual è stato uno dei momenti più signi-fi cativi del tuo studiare? “L’Actor Studios. Ho dovuto interpreta-re un giovane Ayrton Senna, da ragazzino, quando guidava i kart. In una gara impor-tante venne sconfi tto: ho dovuto interpre-tare questo fallimento. Mi sono spogliato e poi cosparso di borotalco – immaginavo il borotalco come un simbolo dell’infanzia – e poi ogni movimento, ogni convulsione era come dirsi di non essere mai cresciuti. È stato un vortice di emozioni, culminato con un pianto bellissimo e puro.” Hai lavorato anche con Terence Hill in Don Matteo. Come è fuori e dentro la scena? Gli hai mai chiesto qualcosa dei suoi spaghetti-western? “Terence è un attore straordinario: a volte io mi spremevo tanto per riuscire a dare qualcosa in scena. A lui bastava un semplice sguardo. Ha un’espressività estremamente intensa. Dei suoi western abbiamo certa-mente parlato: me ne ha raccontato spes-so e farebbe di tutto per farne ancora un altro… solo che l’età è l’età.”

DI VINCENZO LISCIANI PETRINI

Per farcela solo talentosolo talento

Intervista al giovanissimo giovanissimo attore teramano Marco attore teramano Marco CassiniCassini, tra lavoro, passionee temperamento artistico

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Succede sempre. Le gambe ti tremano, l’adre-nalina cresce. Ripassi la parte, un sussurro appena per non deconcentrare gli altri tuoi colleghi che aspettano, come te, di essere chiamati dal regista per l’ultima scena della

giornata, la più diffi cile. Luciana si avvicina e mi fa: “Che dici, ce la proviamo un secondo in-sieme?” “Certo!” dico io. Era una scena molto diffi cile, avevo una paura matta di non riuscire a farcela. La paura. Succede sempre. Come quella volta, a 14 anni, al teatro comunale di Teramo. La mia prima volta. La platea era piena zeppa di amici che erano venuti a vedermi. A due minu-ti dall’inizio ebbi una crisi. “Non ce la faccio...se sbaglio è la fi ne...” Stefania era accanto a me, mi sentì dire quelle parole, mi prese per il braccio, mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “Se tu credi in quello che dici, ci crederà anche il pubblico. In prova lo hai sempre fatto. Coraggio!” Fu il mio primo premio. Fuori dal teatro vidi i miei amici emozionantissimi: - O Marc, brav’, vi’ furt!- Sono passati 10 anni. Ho vissuto a Roma, Torino, Milano e addirittura a Los Angeles. Teramo, però, era nel cuore. Qui ho imparato che il vanto è un difetto e gli arro-sticini sono buoni. A Roma, al centro sperimen-tale di cinema, conobbi molti concorrenti che pensavo potessero diventare miei grandi ami-ci. Un bel giorno una mia compagna di clas-se mi disse: “Tu non sei nessuno, e non sarai mai nessuno. Io sono qualcuno perché ho una

laurea in psicologia!” Un altro mio compagno diceva in giro che io, per piangere in scena, usavo la cipolla. Gli dimostrai il contrario. A Los Angeles ho conosciuto importanti personalità del mondo della televisione, ma lì nessuno si vantava mai di niente. Un giorno Mark Cherry, creatore di ‘Desperate Housewives’, mi disse: “E’ l’impegno che ci metti, la passione e la pre-parazione, che ti rendono speciale. Non preoc-cuparti del percorso degli altri, pensa al tuo.” Quando tornai in Italia decisi di perfezionarmi sempre di più, studiando dizione, i dialetti ita-liani, i monologhi, e i grandi fi lm di sempre. Se non mi fossi impegnato tanto non avrei mai preso un ruolo in ‘Fuoriclasse’ (fi ction in uscita a gennaio), perché cercavano un ragazzo che non avesse infl essioni di nessun tipo. Ora ho Luciana Littizzetto davanti a me, sta aspettando che gli dia la battuta, per provare la scena insieme. Chi lo avrebbe mai immaginato? Le gambe mi tremano come la prima volta, l’adrenalina cresce... “Marco ci sei? Hai paura?” “No. Stavo solo pensando che gli arrosticini sono buoni, Lucia’… dovresti venire a Teramo a provarli.”

Marco

Pensieri in libertà…

CHI ÈDATA DI NASCITA :17/05/1986CITTÀ: Teramo!!! Forz combà!STUDI: MESSNER ACTING CLASS Los AngelesCENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA RomaSPAZIO TRE TeramoCOLLABORAZIONI con Luciana Littizzetto, Giancarlo Giannini, Mark Cherry, Terence Hill, Marco Bellocchio, PROSSIMI PROGETTI: Un medico in famiglia 7, Fuoriclasse, Provaci ancora prof.UN SOGNO NEL CASSETTO: viaggiare nel tempo, un giorno.UN AGGETTIVO PER DESCRIVERSI: mmm...

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PinacotecaCivica PinacotecaCivica Gente d’Abruzzo.Gente d’Abruzzo. Verismo sociale nella pittura Verismo sociale nella pittura abruzzese del XIX secoloabruzzese del XIX secoloin Pinacoteca CIvica dal 30 ottobre 2010 al 10 gennaio 2011

La mostra intende focalizzare l’attenzione sui beni culturali danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009 invitando, nel contempo, a non spegnere i rifl ettori su quello che è stato il dramma di una comunità e del suo patrimonio artistico. Realizzata con l’obiettivo di consolidare il progetto culturale legato alla valorizzazione del patrimonio storico artistico locale, è stata curata da Luciana Arbace, Soprintendente ai Beni Storici, Artistici e Demoetnoantropologici dell’Abruzzo e dal Direttore dei Civici Musei, Paola Di Felice.info:

www.www.teramomusei.it.it

un anno e mezzo dal terribile sisma del 6 aprile 2009 si riparte anche

con l’arte, e per mezzo dell’arte, che si pone come antidoto contro la morte per riaffermare la vita. Nelle sale della Pinaco-teca Civica di Teramo è stata allestita una magnifi ca mostra: “Gente d’Abruzzo. Ve-

rismo sociale nella Pittura abruzzese del XIX secolo”, fruibile da tutti con ingresso gratuito. E’ un’occasione che risveglia nella coscien-za del popolo l’identità nella terra d’Abruz-zo. I capolavori presentati provengono dal-la Fortezza spagnola de L’Aquila, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo, e dalle prin-cipali raccolte pubbliche e private della re-gione. Si possono ammirare oltre 50 opere dei principali artisti abruzzesi dell’Otto-cento, protagonisti del verismo impegnati

a trasmettere scorci e raccontare immagi-ni della realtà sociale dell’Abruzzo di quell’ epoca. Sono presenti opere pittoriche di Teofi lo Patini, Francesco Paolo Michetti, Filippo e Nicola Palizzi, Valerio Laccetti, Gennaro della Monica, Carlo Patrigna-ni, Pasquale Celommi, Basilio e Tommaso

Cascella, e anche le sculture di Costantino Barbella e di Raffaello Pagliaccetti.Una rassegna artistica importante carat-terizzata dalla sinergia delle arti per far riscoprire e rivivere il panorama storico dell’Ottocento abruzzese, che si coglie ra-refatto e allo stesso tempo eloquente nella pittura, scultura, poesia, letteratura. A tale scopo, nell’aula didattica della pinacoteca vengono proiettati gli audiovisivi “Arte sal-vata” e “Poesia e colori dell’Abruzzo”. Un percorso nel quale si descrive una società

Teofi lo Patini, Vanga e latte 1884, olio su tela.

Gente d’AbruzzoGente d’Abruzzoalla Pinacoteca Civica

mostra

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segnata dal faticoso lavoro nei campi, dagli stenti, dalla sofferenza, ma anche da una fervida forza d’animo e da un’intima co-noscenza della terra. Di quei sassi, di quel mare, di quegli ulivi che ci appartengono. La drammaticità e la crudezza del “vero” traspaiono pure dai colori vividi e assolati dei musicanti, dei cori e dagli occhi diafani delle bestie e delle carni delle donne.Attraverso questa iniziativa si fa forte il messaggio di solidarietà per la ricostru-zione, il recupero e la valorizzazione del

patrimonio storico-artistico abruzzese. L’arte è conservazione dell’umanità e du-rante la mostra, che si terrà fi no al 10 gen-naio 2011, è possibile partecipare a que-sta missione contribuendo liberamente alla realizzazione del restauro del dipinto “Madonna col bambino” di Andrea Delitio appartenente alla chiesa madre di Castel-li. Con molta probabilità questi barlumi di speranza racchiudono il valore della vita.

Pasquale Celommi, Uno sposalizio abruzzese, 1884/1886 olio su tela.

GIUSEPPINA MICHINI

Lo spazio espositivo della mostra alla Pinacoteca

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l teatro dialettale ‘di commedia’ è una realtà molto fl orida nella nostra regione, perché a tutti, in fondo, piace ridere alla vecchia

maniera, attingendo a persone e personaggi del nostro quotidiano. Eppure non sarei così superfi ciale, specie con un genere che se ben usato può affrontare con disincanto e leggerezza qualsiasi tipo di argomento. “Giuliesi in scena” è una rodata compagnia di teatro dialettale che propone qualcosa di innovativo nel genere. Abbiamo così incontrato Marco Luciani, regista e autore dei testi, insieme ad una delle attrici, Maria Teresa Di Giovanni. Marco, regista e scrittore. Come mai la scelta della comme-dia dialettale? “Commedia dialettale brillante, tengo a precisare. La scelta è nata dalla mia grande passione per la lingua viva, il dialetto appunto, che si mostra come più densa di signifi cato anche se per un’unità territoriale più ristretta, in questo caso di Giulianova. Ormai sono dieci anni che andiamo in scena con regolarità. Ti faccio qualche nome dei nostri spettacoli: Contro TV, Scuolanti, Giustizia e Sa-nità…” Ho l’impressione che i temi delle tue commedie ricalchino problematiche molto profonde della nostra società. Ma la commedia dialettale quindi non è solo quella orientata alla

ruralità e al passato della nostra terra. Sembra, dai titoli, che tu parli del nostro quotidiano e dei nostri problemi. “Esattamente. La commedia dialettale ha, secondo me, delle po-tenzialità incredibili. Ti permette di affrontare temi anche scabrosi e che risultano dei tabù della nostra società. No, ci tengo a dirlo: le mie commedie (pensate prima in italiano e poi tradotte in dia-letto) sono orientate alle problematiche del presente. Nell’ultima mia commedia, ad esempio, parlo di un ragazzo che muore di overdose…”Come si fa a fare di un argomento così tragico spunto per una commedia? Si può ridere di questo? “È diffi cile, ma si può se l’obiettivo è calarsi nel paradosso della vita. Qui sta il bello: la risata può modulare attraverso le vicissitu-dini, diventare grassa, malinconica, amara… sono certo però che aiuti a comprendere il problema nel profondo e a farlo proprio”. Ma che cos’è per te allora la risata? “Bella domanda. La risata, credo, sia vivere in pienezza un momen-to di verità”. Maria Teresa, a te invece chiedo il rapporto della compa-gnia con il regista e con il pubblico…“Un ottimo rapporto direi! Marco è un vero dittatore, ma alla fi ne

Oltre la risata

La compagniaLa compagnia di teatro dialettale “Giuliesi in scena” “Giuliesi in scena” taglia il traguardo del decimo anno di attivitàdecimo anno di attività

DI VINCENZO LISCIANI PETRINI

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riusciamo sempre a trovare una bella inte-sa. Con il pubblico ormai c’è un rapporto costruito nel tempo: alla gente vedo che piace molto il nostro lavoro”. Parlatemi della compagnia. Note tec-niche!“ Allora: la compagnia teatrale “Giuliesi in scena” si compone di dodici membri, che per passione hanno scelto questo meravi-glioso hobby. Le prove durano quattro o cinque mesi e sono prove ‘serie’, nel senso: memoria, gesto, espressione… nulla è la-sciato al caso. per gli allestimenti abbiamo

anche il nostro scenografo, il parrucchiere, il service… a un passo dal professionismo, insomma”. È molto bello vedere una realtà così interessante e variegata, di controten-denza rispetto a molte compagnie di teatro dialettali. A proposito di contro-tendenza… Verrete mai a Teramo? “Credo che niente come la rivalità calcisti-ca abbia peggiorato i rapporti tra le nostre due cittadine.Ci piacerebbe tantissimo venire a Teramo. Chissà, magari al Comunale!”

Gli attori all’operain uno dei loro spettacoli

La compagniaRegista: Marco Luciani. Scenografo: Stefano Minelli.Fotografi a: Dario Di Giampaolo. Service: New Italia Music.Parrucchiere: Pino. Costumi: auto-prodotti.info:

www.www.giuliesinscena.it

Gli incassi degli spettacoli sono devoluti in benifi cenza

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l 13 dicembre 2010 ricorre il 67° an-niversario della scomparsa di Ercole

Vincenzo Orsini, eroe della Resistenza teramana, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Nella motivazione è scritto: “... in uno scontro con gli oppressori della Patria e della libertà, li attaccava di sor-presa, pur essendo superiori in numero e mezzi, riuscendo ad infl iggere dure e gravi perdite…”.Orsini nacque a Teramo nel 1901. Il padre, falegname, lo avviò all’arte del disegno, dell’intaglio e della scultura. Un appren-distato di qualità che gli consentì di affer-marsi come esperto ebanista liutaio. Erano gli anni in Abruzzo degli scioperi agrari nel Fucino e delle proteste sociali contro i caroviveri, che vedeva la nascita del movi-mento cooperativistico e lo sviluppo delle organizzazioni sindacali. In quel contesto il diciottenne Orsini scelse di entrare nella Federazione Giovanile Socialista. Dimo-strò entusiasmo e buone capacità politi-che, guadagnando così la stima dei compa-gni più anziani. Si oppose in maniera attiva al fascismo, partecipando al gruppo degli “Arditi del popolo” maturando l’adesione al Partito Comunista. Una militanza con-vinta come organizzatore tra gli antifascisti cittadini e propagandista tenace nel clima di repressione e violenza del Ventennio.

Una volontà concreta di riconquistare la libertà che il fascismo aveva annullato. Or-sini fu arrestato nel 1932 per riorganizza-zione del Partito Comunista e deferito al Tribunale Speciale. Negli anni a seguire fu diffi dato e tenuto sotto stretta vigilanza, sottoposto a limitazioni temporali negli orari di uscita e nelle frequentazioni. Ciò nonostante riuscì a trasformare la sua bot-tega di ebanista in via Vittorio Veneto in un luogo d’incontro dei democratici teramani. Dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 Orsini partecipò alla riunione dei maggiori esponenti dell’antifascismo locale presso lo studio medico di Mario Capuani. Pochi giorni dopo, partecipò attivamente alla bat-taglia di Bosco Martese, ritrovandosi poi nella clandestinità a Montorio al Vomano, dopo l’uccisione di Capuani e l’eccidio di Pascellata. Il pomeriggio del 13 dicembre 1943 fu riconosciuto da militi del Batta-glione M di Teramo mentre si trovava nella piazza centrale di Montorio, che oggi porta il suo nome. Inseguito ed accerchiato, si di-fese con gli ultimi colpi rimasti. Esalò l’ul-timo respiro sotto una scarica di fucileria. Ercole Vincenzo Orsini, con il suo pensiero e le sue gesta è l’espressione della libertà, simbolo della Resistenza.

MIRKO DE BERARDINIS

Tributo alla libertàlibertà

Nel 67° 67° anniversariodella scomparsadi Ercole Vincenzo OrsiniErcole Vincenzo Orsinimartire della resistenza teramanamartire della resistenza teramana

Targa commemorativadi Orsini

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aro teramano, il Natale 2010 è ormai alle porte e come di consueto arriva il momento più “caloroso” dell’anno e

più ricco di aspettative. Dicembre: tempo di regali e di febbrili code alle casse dei supermercati, fi le chilometriche in auto per raggiungere negozi, corse e lotte estenuanti per accaparrarsi le offerte migliori. “Signora, c’ero prima io!”.“Ma cosa dice? Sono qui da mezz’ora prima di lei!”. “Ma mi faccia il piacere!”. “Si sposti, per cortesia!”. “Neanche per sogno!”…, e giù con zuffe ed insulti.Chiusi nella nostra solitudine siamo divorati dall’ansia, risucchiati nel vortice del consumismo, attanagliati dalla stretta ed implaca-bile morsa dello stress. E poi il solito dilemma: avere del tempo libero e come trascorrerlo. Allora, prendi subito carta e penna e segnati gli appuntamenti della Riccitelli che in questo intenso mese di dicembre non sono davvero pochi. L’1 e il 2 dicembre al Teatro Comunale, via all’incanto delle notti arabe: c’è “Aladin”, il musical che ti farà volare con un inedito Roberto Ciufoli nei pan-ni del Genio della Lampada, e Manuel Frattini, fantastico Aladin, sulle strade della magica Baghdad. Tutto siglato dalle inconfondibili musiche dei Pooh! La danza è la tua passione ed esulti alla vista di corpi libranti che volteggiano nell’aria? C’è “La bella addormenta-ta”, il balletto in programma il 10 dicembre al Comunale, proprio

quello che fa al tuo caso. Sarà la compagnia Moscow Ballet “La classique”, nella sua prima rappresentazione teramana, a portarti al centro del Giardino incantato per farti trascorrere una serata “da favola”. Sei un amante della buona musica? Qui c’è da sce-gliere tra l’Orchestra fi larmonica di Sofi a, il 13 dicembre, diretta da Alexei Kornienko, e momenti di intensa spiritualità e grande condivisione mistica con il New York State Gospel Choir. Il grup-po, 33 elementi tra cantanti e musicisti professionisti, sarà diretto da David Bratton, il 20 dicembre sempre al Comunale. Adori la commedia, con quella sua irresistibile vena comica e quasi farsesca e quel fi lo sottile di malinconia e realtà? Il 15, 16 e 17 dicembre andrà in scena Luca De Filippo, protagonista de “Le bugie con le gambe lunghe”, con una storia di reciproci intrighi all’insegna dell’allegria e della saggezza. Infi ne, se ami lasciarti trascinare nel tripudio di emozioni che il dramma della lirica suscita, non puoi assolutamente perdere “La Bohème” di Giacomo Puccini, per il ciclo “Fondazioni all’opera 2010”. Dopo i successi di Teramo, Pe-scara e Fermo, ancora due occasioni per vivere la storia di Mimì e Rodolfo il 4 dicembre al Teatro Comunale di Atri e l’8 dicembre al Teatro “F.P.Tosti” di Ortona. Insomma, caro teramano, ce n’è per tutti i gusti, c’è solo l’imbarazzo della scelta. È tempo di emozio-narsi! Con gli auguri di tutto lo staff.

EMANUELA DI GAETANO

Consigli anti-stress “natalizio”anti-stress “natalizio”Lettera ai teramani per un dicembre ricco di “rilassanti” appuntamenti

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iberato Coccagna, usciere del convitto Melchiorre Delfi co a Teramo, è l’appassionato antiquario che apre a Prima Pagina

le porte del “Museo Etnografi co” da lui presieduto, in zona Villa Pavone. All’interno di un’ abitazione secolare ha accumulato ogni sorta di ‘antichità’ che il territorio abruzzese ha lasciato. Mostra entusiasta una serie di utensili, ‘lu strascine’, ad esempio, sorta di slitta per la trebbiatura, ma anche rudimentali pentole a pressione, biciclette con tanto di bollo per la circolazione, scaldacollo da passeggio e quaderni a righe per le classi elementari del Venten-nio, con l’effi ge del duce in copertina. Una passione cominciata all’incirca vent’anni fa, che ha avuto il benefi cio di una cura te-rapeutica. “Ero incappato in uno di quei periodi di depressione dove nulla girava bene, il lavoro come la famiglia, e andavo avanti a forza di medicine. Un giorno, parlando col mio medico, ho sco-perto questa sua passione per l’antiquariato, e da quel momento ho lasciato i medicinali”. Il risultato di maggior evidenza di tanti anni di impegni economici e di lavoro è la serie di riconoscimenti uffi ciali e non, avvenuti su più livelli. Del gennaio 2004, infatti, è il “riconoscimento di interesse locale” a fi rma dell’allora sindaco Angelo Sperandio, e di poco successivo l’assegnazione ministeriale

del titolo di “museo di quarta categoria” . Come spesso succede, anche in questo caso non tutto è sempre andato per il meglio, e il signor Coccagna ha dovuto anche attraversare momenti di inattività forzata dovuta alla chiusura del museo. Nei periodi dif-fi cili, sono state le soddisfazioni personali ad aver mandato avanti la battaglia per la partecipazione alla conoscenza della vita degli ‘antenati’. La ricollocazione dell’ensemble in zona più edifi cante è l’obiettivo futuro della nostra guida. “Il mio intento principale è quello di spostare il tutto, entro il prossimo anno, a Piano D’Accio, presso l’Istituto Agrario. Sono necessari custodi e segretari. Ora come ora, ad esempio, mancano ancora le porte anti-panico e la zona non è immediatamente raggiungibile”. La presenza di ripidi scalini che collegano i due piani dell’archivio sembra complicare le cose. “Sono arrivate classi di scolaresche da Roma, Firenze e altre città non della nostra regione” ricorda infi ne Coccagna, intento ad appellarsi alle autorità, per proteggere un simile centro di cultura: “Ho ascoltato molte promesse, specialmente nei periodi di cam-pagna elettorale. Mai nessuna è stata mantenuta”

MATTEO LUPI

Una raccolta anti-depressioneUna raccolta anti-depressioneLiberato Coccagna apre le porte del suo Museo Etnografi coLiberato Coccagna apre le porte del suo Museo Etnografi coe racconta quando, andando dal medico…

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a cura di Ivan di Nino

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uio completo. Niente. Un bastone o un cane che fa le veci di occhi che

rifi utano il loro lavoro.Questo è il mondo dei ciechi, da qualche anno chiamati non vedenti, come se il cambio di denominazione portasse qual-che benefi cio. Fra queste persone in molte non si perdono d’animo e si danno da fare in ogni modo, nella politica, nella cultura, nell’associazionismo e nello sport.A Teramo esiste una realtà consolidata del Torball, attività agonistica a metà fra calcio e pallamano, che prevede l’impiego di un pallone sferico di 500 grammi al cui inter-no vi sono dei campanelli in modo che la traiettoria sia sentita e intuita dai giocatori.Il campo di gioco è diviso in due metà da tre

cordicelle dotate anch’esse di campanelli.I giocatori ipovedenti devono portare una benda che impedisca completamente la vi-sta. Punto di riferimento un tappetino in terra che ne guida l’orientamento.Dietro i giocatori di ogni squadra vi è una porta. Scopo è tirare con le mani la palla verso la rete avversaria per fare goal.Ovviamente vince chi ne fa di più. La par-tita dura dieci minuti ed è divisa in due tempi. La nostra città ha ospitato da poco il mondiale e l’europeo di questo sport. Teatro della bella iniziativa il Palacquavi-va del centro sportivo comunale e il Pa-lazzetto di S.Nicolò. Tra le 17 squadre di clubs partecipanti, ha vinto il Tirol Austria in campo maschile, battendo 4-3 i belgi del

Waasland; tra le donne il successo è anda-to al Vorarlberg che ha vinto per 5-1 sui francesi del Paris. I padroni di casa si sono fermati soltanto al settimo posto.Peccato davvero, perché la compagine aprutina è una sorta di Real Madrid del Torball. Ha infatti già vinto quattro scudetti nel cam-pionato della massima serie, quattro coppe Italia e due supercoppe, oltre a vari tor-nei nazionali ed internazionali. Sandro Di Girolamo, giocatore, presidente e coordi-natore dell’organizzazione, è soddisfatto a metà: «E’ andata benissimo a livello orga-nizzativo e logistico. Peccato per il Teramo e per il mio problema alla cervicale che mi ha fatto uscire di scena nel momento decisivo». IVAN DI NINO

Torball Torball mondiali a TeramoTeramo

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PartiteTeramo calcio

mese di dicembre

stagione 2010/2011

Teramo-Martina 3-1Teramo-Martina 3-1

[email protected]

pproda in biancorosso il “bom-ber” Giancarlo Pulitelli.

Il campionato non si rileverà però cosi agevole,per la presenza dell’ostico Nardò e per buona parte della stagio-ne del Termoli.Così si arriva alla vigilia dell’ultima gara di campionato,la classifi ca vede capeg-giare il Teramo con 46 punti tallonato dal Nardò con 44.Per l’ultimo e decisivo impegno di campionato al Teramo tocca affrontare il Martina.Potrebbe bastare il pari,ma la città per l’intera settimana si era preparata per l’evento decisivo.Drappi e bandiere Biancorosse a pieno vento sventolavano sui balconi di tutta la città che sentiva vicino l’obbiettivo.Nulla può il Martina contro un motiva-to undici biancorosso.3-1 il risultato fi nale ed apoteosi.Dopo tanti anni il Teramo torna in se-rie C,la sua ultima apparizione nella

terza serie nazionale risaliva al cam-pionato 1959/60Gioiosa invasione di campo e carosel-li di auto imbandierate,la festa è solo all’inizio ...

I Protagonisti in campo:TERAMO: Di Mascio,De Berardinis,Iuso,Diodati (51°Pica),Palantrani,Camaioni,Zuppa,Poggiali,Vecchi,Capuazno,Pulitelli.Allenatore: Orazi.

MARTINA FRANCA:Vannucci,Iuso II°,Fedi,Paulon,Bernardi,Zezzi,Ferri,Fumarola,Somma,Ruini,Stampe (46Servi-dio).Allenatore: Carapellese.

Arbitro:D’Elia di Salerno.Reti:15°Poggiali,35°Pulitelli,48°Somma,63°Pica.

stagione 1973-1974

Questa mail è disponibile per info e richieste specifi che di alcuni match passati

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bbiamo scambiato due parole con Paolo De Laurentis, gio-vane teramano, guida alpina dal 2008. Tra le varie attività che

la montagna concede di svolgere agli amanti del contatto con la natura, è l’arrampicata (praticata sia dentro che fuori dal territo-rio nazionale) la vera passione di Paolo, da alcuni anni componen-te dello storico gruppo alpinistico di Pietracamela “Aquilotti del Gran Sasso”. De Laurentis ha anche sposato il progetto Mountain Evolution, che chiama a sé tutti i praticanti e i simpatizzanti del genere in città, per condividere le proprie emozioni.“La guida alpina – spiega De Laurentis - è una fi gura professio-nale riconosciuta a livello nazionale e internazionale come unica competente e in grado di garantire una corretta frequentazione della montagna in tutte le sue attività: dall’ arrampicata sportiva all’ alpinismo, allo sci alpinismo, al trekking, al canyoning, ai lavori in forte esposizione, alla formazione nell’ambito sicurezza nei lavori a rischio caduta, fi no al soccorso alpino come tecnico di elisoc-corso 118. Per diventare guida alpina ho affrontato, nel 2002, una selezione che mi ha permesso di accedere al corso di formazione a livello nazionale; dopo due anni ho iniziato l’attività da aspirante guida alpina e infi ne, nel 2008, dopo un lungo iter formativo dura-to circa 5 anni, ho conseguito il titolo fi nale di guida alpina”.Come ci si avvicina a questo tipo di attività sportiva, così lontana dai classici “amati” da televisioni e giornali, come calcio o basket? “Sin da quando avevo dieci anni ho iniziato ad andare in monta-gna con mio padre che, dopo le prime facili escursioni, mi ha ini-ziato alla roccia percorrendo itinerari piuttosto semplici, ma che hanno stimolato in me una grande curiosità verso questo sport. Successivamente, a circa sedici anni, ho frequentato un corso di alpinismo con il Cai”.In realtà ho un po’ di diffi coltà a considerare l’alpinismo un vero e proprio sport: sebbene io viva la montagna in tutte le sue forme

(dall’arrampicata allo sci alpinismo fi no al trekking), quello che essenzialmente più mi stimola è il contatto con l’ambiente, spesso la prestazione sportiva è puramente secondaria.Quali sono le diffi coltà che un ragazzo potrebbe incontrare? “Teoricamente alcun problema. Viviamo ai piedi della montagna più dolomitica dell’Appennino che non ha nulla da invidiare alle sorelle alpine ed in meno di un’ora ci si può immergere in questo ambiente unico. La nostra attività è considerata da molti estrema e pericolosa. In realtà, se si rispettano alcune semplici regole, ogni rischio può essere ridimensionato. Naturalmente per apprendere le nozioni basilari bisogna essere avviati alle diverse attività legate alla montagna da professionisti che periodicamente propongono corsi per principianti ed esperti. È questo il lavoro che svolgo assieme ai miei colleghi della scuola di montagna Mountain Evo-lution”.In Abruzzo e, più in generale, nel nostro Paese come siamo messi a fi nanziamenti e infrastrutture? “La Regione Abruzzo, fi no a qualche anno fa, ha dato la possibilità di partecipare ai corsi di formazione per guida alpina in maniera quasi del tutto gratuita. Peccato che l’Abruzzo, terra meravigliosa e ad alta densità montuosa, dopo uno sforzo economico così no-tevole (la formazione di una guida alpina alla regione costa circa 20.000 euro) non spinga di più su un certo tipo di turismo, per far conoscere meglio le fi gure legate alla montagna e puntare sulle risorse turistiche della nostra terra. Nelle Dolomiti e sulle Alpi in genere, la guida alpina non ha bisogno di presentazioni, è ben radicata nella cultura popolare e il turismo montano ne è il fi ore all’occhiello. Inoltre, gettando uno sguardo sulla situazione d’ol-tralpe, in Francia, nelle ore di educazione fi sica viene regolarmente praticata la disciplina dell’arrampicata, alla stregua di una partita di calcio, basket o altro”.

MATTEO LUPI

Incontro con Paolo De LaurentisPaolo De Laurentisgiovane guida alpina teramanagiovane guida alpina teramana

Aquilotti in braccio al gigantein braccio al gigante

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la famiglia che trasmette la cultura alimentare e il processo che condu-

ce all’acquisizione di un modello alimenta-re è simile all’apprendimento del linguag-gio.Esso è fatto di tante piccole acquisizioni sensoriali, che creano rassicurazione ri-spetto all’inserimento di nuovi alimenti che pian pianino entrano a far parte del back ground alimentare di ogni bambino.Ogni nuovo alimento acquisito è un vo-cabolo in più che arricchisce il lessico ali-mentare del piccolo, dandogli la possibilità di esercitare una più ampia opportunità di gestione delle scelte alimentari. La scuola e l’educazione alimentare pos-sono sinergizzare e direzionare verso la consapevolezza e l’equilibrio. In altre paro-le possono infl uire sulla grammatica e sulla sintassi dell’alimentazione, contribuendo a defi nire l’appropriatezza e la qualità delle scelte, ma poco effetto sortiscono rela-tivamente alla capacità di modifi care abi-tudini acquisite e rinforzate dai rispettivi contesti familiari.La diffi coltà odierna nei confronti del cibo e la conseguente patologia del comporta-mento alimentare fanno da specchio alle problematiche relazionali intrafamiliari e alla crescente complessità del nostro vi-

vere sociale, che non ha ancora acquisito validi modelli di riferimento.E’ notorio che ognuno di noi per avventu-rarsi nella vita ha bisogno di passare attra-verso stadi rassicuranti.Il luogo più sicuro e rassicurante è stato certamente il grembo materno nel quale l’energia vitale fl uiva direttamente dal san-gue materno, ma questa purtroppo rappre-senta quella fase di passività verso la quale regrediamo ogni volta che ci troviamo ad affrontare importanti diffi coltà.Già da lattanti, abbiamo iniziato a sforzarci un po’ succhiando l’energia vitale dal seno materno. Ma che fatica alimentarsi senza una madre garante della trasmissione di una scala di valori e di un sistema alimen-tare all’interno di una cornice stabile e co-nosciuta mediata da un sistema familiare effi ciente!Ancora più faticoso prendere fi ducia nel cibo, quando intorno a noi, invece di una comunità promuovente ed egosintonica, ci si vede circondati da gente rassegnata all’obesità che ne fa un uso tossico o, al contrario, da gente che sta sempre a dieta o che rifi uta il cibo come se fosse un nemi-co da combattere. Occorre, dunque, avere la fortuna di impa-rare a mangiare in un contesto armonioso

per avere un rapporto equilibrato e pon-derato con il cibo. Altrimenti ci si perde e si ha bisogno di lunghi percorsi riabilitativi per riacquistare una relazione armonica con il cibo e con il proprio corpo.La riabilitazione psiconutrizionale attuata presso il centro di riferimento regionale di fi siopatologia della nutrizione di Giuliano-va interviene proprio per ristabilire il giu-sto equilibrio relazionale con il cibo, con il corpo, con gli altri, e per ripartire rispetto al percorso di crescita che si è bloccato e che si esprime in un corpo che attraverso obesità o deperimento ha perso la sintonia e l’armonia con l’ambiente sociale circostante. Spesso non rifl ettiamo sul fatto che, nella nostra troppo rapida evoluzione socio-culturale, abbiamo stravol-to molte usanze e abbiamo perso molti strumenti che prima avevamo per poter conoscere e costruire re-lazioni stabili e costruttive.La proverbiale ospitalità del nostro popolo aveva un fi ne ben preciso che era quello di analizzare e di vagliare, prima di entrare

A CURA DI PAOLO DE CRISTOFARO*

Educazione alimentare: Educazione alimentare: la famigliala famiglia non va lasciata sola non va lasciata sola

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in confi denza con chicchessia, punti di vista, sentimenti, pensieri, ideali, intenzioni e azioni. In questo contesto relazionale il cibo costi-tuiva una parte molto importante perché di-ventava il fulcro della relazione e consentiva un osservatorio privilegiato che offriva par-ticolare attenzione all’ospite, verifi candone tutti gli aspetti della sua identità e autenticità. Inoltre il cibo “buono” non era sempre di-sponibile, ma era anche atteso in occasioni importanti e suscitava l’attivismo e la parte-cipazione di madri, nonne, zie e vicine di casa. La cucina che rappresentava il grande labora-torio della manipolazione dei cibi diventava il luogo in cui avvenivano scambi di esperienze e riproduceva uno scenario quasi teatrale in cui le donne si esprimevano con gesti ampi, rassicuranti e generosi e evocavano baliati-che nostalgie.I bambini stessi partecipavano divertiti al teatrino e non erano scacciati né distratti e impegnati dalla televisione, ma giocando sot-to i tavoli delle odorose cucine, aspettavano magari di poter rubare con gesti fulminei qualche leccornia.Qui avveniva magicamente la trasmissione dell’energia vitale del sapere e della cono-scenza che è il motore che spinge ad avven-turarci nella nostra personale ricerca: il cibo attraverso questa via entrava nella memoria perché rimaneva legato alla mente dall’espe-rienza olfattoria che incide molto più profon-damente di qualsiasi altra esperienza senso-riale. Oggi, la disponibilità quotidiana di ogni cosa e di qualsiasi alimento, la mancanza del tempo da dedicare alla conoscenza dell’al-tro e alla elaborazione del cibo “buono”, la mancanza dell’apprezzamento olfattorio del cibo e delle sue complesse elaborazioni, ali-mentano superfi cialità, diffi denza, squilibrio e disgusto, così frequenti tra i ragazzi. L’oc-casione, l’attesa, la curiosità, animano il gusto, mentre l’eccesso del cibo e la mortifi cazione della sensorialità producono disgusto. Il cibo, inoltre, non ha più connotazioni affettive perché non è più identifi cato come l’anima e il collante delle relazioni. La mancanza di gusto, scriveva Guy De Maupassant, “signi-fi ca possedere una bocca stupida, così come si può avere una mente sciocca”. Ne deriva che, a causa dell’invadenza e dello strapotere dell’informazione e della tecnologia, rischia-mo di diventare idioti e saccenti, senza esser-ne coscienti, perché tutto appare indispensa-bile e inevitabile. Tuttavia nulla passa al vaglio attento della no-stra sensorialità, per cui ci troviamo costretti

ad ingurgitare senza assaporare, a sentirci spiacevolmente sazi senza aver apprezzato il piacere di mangiare. Si sa tutto, si è informa-ti di tutto, ma al tempo stesso, per effetto della sovraesposizione a dati e immagini, non si è più in grado di assimilare e di rifl ette-re su nulla. Tutto scorre, ma in cervelli saturi di informazioni e vuoti di pensiero, in corpi grassi, ma ancora affamati. Tutti hanno tutto o aspirano ad avere tutto, ma il consumo ha consumato il consumatore.Si scivola insensibilmente in una condizione in cui non c’è più tempo per desiderare, de-gustare, conoscere, integrare, ma possiamo solo ingurgitare, rifi utare, emarginare, vomi-tare. Questa nuova condizione sta producen-do una generazione di ragazzi che tendono ad una semplifi cazione gustativa e olfattiva e che sono maggiormente infl uenzati dall’im-magine dell’alimento, in opposizione alle lungaggini della preparazione del cibo e in opposizione alle regole della sana alimenta-zione che richiedono l’uso indispensabile ed appropriato della cucina “laboratorio” .Oggi la cucina è arricchita di nuove tecnolo-gie che rendono molto più facile l’elabora-zione del cibo, ma questa possibilità è prati-cata solo da chi da il giusto valore a questo aspetto. All’alimento cucinato, di cui i ragazzi non sono più abituati a condividere i processi di produzione, si preferisce l’alimento assem-blato, di cui i giovani riescono più facilmente ad infl uenzarne la composizione, attraverso la scelta dei vari alimenti che possono essere inseriti in un panino o in una pizza, come in un puzzle; in fondo la società stessa spinge verso soluzioni alimentari semplifi cate.Poco può l’educazione alimentare, intesa come ragionamento scientifi co o dimostra-zione pratica per convincere il bambino a mangiare il giusto; i ragazzi hanno maggior fi ducia di ciò che vedono e vivono (e quindi di ciò che artatamente gli vien dato di vede-re e vivere) che non di ciò che sentono. Per concludere l’educazione alimentare non può essere effi cace ove non si lavori, in modo co-erente ed unanime, al risveglio di un orgoglio identitario e di modalità tipicamente abruz-zesi, non solo gastronomiche, di saper vivere come spazio emotivo e di memoria il nostro territorio, pur nel suo complesso percorso di trasformazione e di modernizzazione. Per far ciò è necessaria la famiglia, ma è indispen-sabile anche la presenza e la coerenza della società civile.

* DIRETTORE CENTRO REGIONALE DI FISIOPATOLOGIA DELLA NUTRIZIONE ASL TERAMO

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A CURA DEL PROF. VALTER DI MATTIA E SARA DI MATTIA

l Pilates è un sistema di allenamento molto effi cace che fa bene sia al corpo che alla mente. Non richiede un grande dispendio

di energie e consente di raggiungere una maggiore consapevolez-za del proprio corpo: aiuta a migliorare il proprio fi sico, ad avere movimenti più fl uidi e rilassati e di conseguenza a migliorare la qualità della vita.Grazie al metodo Pilates si potrà:

• Tonifi care muscoli dorsali e addominali effi cacemente• Attivare la muscolatura profonda• Assumere una postura corretta• Modellare tutto il corpo• Prevenire e contrastare dolori e contrazioni muscolari alla schiena

Come nasce?Joseph Pilates iniziò a sviluppare il suo metodo nella prima metà del XX secolo. Scontento ed insoddisfatto degli esistenti approcci di allenamento fi sico, studiò sia i metodi utilizzati in Oriente che enfatizzano il rilassamento mentale, la respirazione e la scioltezza del corpo, sia i metodi dell’Occidente, che generalmente tendono

a far prevalere la forza competitiva a discapito della resistenza. Egli inventò un sistema originale creando più di 500 esercizi ed attrezzature uniche nel loro genere.Con il suo metodo, Pilates ha unito le qualità migliori di entram-be le discipline per formare un programma di allenamento fi sico ideale. Questo metodo inizialmente ha attratto ballerini ed atleti, restando per molti anni un allenamento riservato solo a questa ristretta categoria di persone. Ora questo programma di allena-mento sta vivendo una rinascita come alternativa o complemento di altri regimi di esercizi ed attività atletiche. Esso si fonda sul con-trollo cosciente di tutti i movimenti fi nalizzato alla tonifi cazione muscolare, al miglioramento della forma fi sica e alla correzione della postura.Tutto ciò rafforza la consapevolezza del proprio corpo e rinfranca la mente. Il Pilates può essere considerato come un percorso per raggiungere il benessere psicofi sico e si fonda su sei principi basilari.I sei princìpi1. Respirazione: il Pilates allena anche i polmoni, oltre che i mu-scoli; la respirazione profonda tipica del Pilates ossigena il sangue, aiuta a rilassarsi e attiva la muscolatura profonda (la muscola-

PilatesPilates per tornare in formain forma

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tura profonda comprende una serie di muscoli che svolgono un’azione costante di sostegno dello schele-tro, permettendoci di mantenere la stazione eretta e l’equilibrio. Ma se questi muscoli si trovano in uno stato di “malessere”, il corpo rime-dia chiedendo aiuto alla muscolatura superfi ciale che, però, non essendo fatta per un lavoro costante e di so-stegno, genera con il tempo contrat-ture e dolori).2.Baricentro- Powerhouse: ogni mo-vimento deve partire dal centro del corpo, la zona intorno all’ombelico, che è vista come centro di forza e di controllo di tutto il corpo.3. Precisione: un unico movimento accurato è meglio di dieci mo-vimenti imprecisi: la qualità viene prima della quantità!4.Concentrazione: eseguire ogni esercizio in modo corretto, con-centrandosi su se stessi e dimenticando il mondo esterno, è un ottimo modo per rilassarsi.5.Controllo: tutti i movimenti devono essere eseguiti con un con-trollo assoluto di tutto il corpo. In questo modo si allena il fi sico in maniera intensiva proteggendolo dalle lesioni.6. Fluidità: tutti gli esercizi vanno eseguiti con una precisa fl uidità e musicalità!Cos’è?Il Pilates è un metodo di esercizio che esalta l’equilibrio e la forza,

l’allungamento ed il controllo di tutto il corpo. Non è terapia fi sica, non è un massaggio, non è yoga, non è me-ditazione: è sudore, è duro esercizio! Joe Pilates capì che il corpo ripara se stesso e si rafforza attraverso il movi-mento. Il Pilates è un allenamento che mantiene il corpo giovane e funziona come un anti-età. Permette di fare quello che più piace nella vita risco-prendo tutta la propria energia vitale. Perché c’è così tanta enfasi ed atten-zione sulla zona centrale dell’addome “ Il Powerhouse”? I più forti muscoli del corpo (i posturali profondi) sono come una cintura attorno allo stoma-

co e all’addome. Tutta la forza e il movimento ha origine qui! Un allenamento equilibrato Pilates utilizza tutti i muscoli ma, con una maggiore attenzione sulla fascia degli addominali e dei paraverte-brali. La forza cresce in maniera bilanciata e la fl essibilità migliora notevolmente , così da avere un nuovo senso di libertà motoria ed un benessere generale.Per chi è indicato?E’ un bene per chiunque sia interessato a migliorare la sua forma fi sica, postura, coordinazione, equilibrio, libertà di movimento e benessere generale. Il metodo Pilates può essere adatto a qualsia-si livello di forma fi sica; tuttavia chi è affl itto da specifi ci problemi di salute, lesioni o dolore cronico deve consultare il proprio me-dico prima di iniziare qualsiasi nuovo programma di allenamento.

un possibile esercizio sotto la guida dell’istruttore

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l freddo inizia ad essere pungente, la notte anticipa le ore, le luci della città si accendono e le vetrine si addobbano. Tutto

ci parla del Natale. Festa diventata più consumistica che religiosa, il pensiero che tutti hanno in mente è: “Cosa regalo?”. Il mercato offre infi nite idee, l’offerta è tra le più vaste e c’è chi si orienta sugli animali. Donare un essere vivente: giusto o sbagliato?Dipende. È una scelta che non può e non deve essere presa con leggerezza. Di una vita non ci si può disfare come di un regalo

poco gradito, non è un maglione che tra qualche anno si butterà perché la moda sarà cambiata. Signifi ca affi dare una re-sponsabilità, regalare un impegno, una relazione e, alla fi ne della vita, un dolore. Siamo sicuri che la persona alla quale vor-remmo donare l’animale sia disposta e prepara-ta nel riceverlo? Siamo sicuri che preferisca quella specie piuttosto di un’altra? Quali risvol-ti psicologici e biologici ci possono essere per l’animale? E per il pro-prietario? Tante doman-de devono pervadere la mente di chi pensa di donare un essere viven-

te.La scelta migliore da fare è quella di informare la persona alla quale pensiamo di donare un animale delle nostre intenzioni ed andare insieme a scegliere il nuovo compagno per la vita. Spesso è un feeling, un’alchimia, una relazione che si instaura a prima vista

tra proprietario ed animale, per questo è sconsigliato far scegliere a terzi una creatura che dovrà dividere la vita con un’altra per-sona. Chi ha serie intenzioni di prendere un animale deve sapere moltissime cose, tra le quali che è un essere dipendente da lui, da educare, da non farlo trattare come un peluche dai fi gli, che ne ha responsabilità civile, che dovrà im-pegnarsi ad affi darlo quando lui non ci sarà, da cu-rare quando starà male, da accompagnare nel suo ultimo respiro e molte altre cose ancora. Queste sono solo alcune delle responsabilità da assumere in seguito all’acquisto dell’animale. E prima? Dove trovare la creatura? Quali informazioni possedere? Quali certifi cati richiedere? Quali nozioni mediche di base della sua salute bisogna avere? Scelta saggia è quella di affi darsi e lasciarsi con-sigliare da un esperto della specie che si intende prendere ed ad un esperto in leggi e diritti degli animali. Evitare di comprare gli animali e di seguire le mode, soprattutto se i soggetti interessati sono cani e gatti, ed indirizzarsi nei canili e nei gattili è uno dei più grandi gesti d’amore che potremmo fare. L’animale ci donerà sempre il suo amore ed il suo affetto, per tutta la vita ed anche oltre. Così non sarà più qualcuno a regalare una vita a noi, ma noi a regalare una vita a qualcuno. Il Natale tornerà almeno in parte al suo spirito originale: la gioia di donare incondizionatamente senza la pretesa o l’aspettativa di essere ricambiati. La magia del Na-tale stupirà ancora una volta quando i proprieta-ri si accorgeranno con il passare del tempo che, in cambio dal loro nuovo membro della famiglia, staranno ricevendo un dono inestimabile: l’amore incondizionato e la fedeltà eterna.

A CURA DI FRANCESCA ALCINII*

*DOTT.SSA IN TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE

CuoreCuore sotto l’albero

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a capacità di agire si acquisisce con la maggiore età, e rappresenta la

possibilità di compiere atti giuridici validi (l’acquisto di un bene, la fi rma di un con-tratto, l’apertura di un conto corrente...); vi sono tre istituti che incidono sulla capa-cità di agire: l’interdizione, la inabilitazione,

e la nomina di un ammini-stratore di sostegno. Con l’interdizione la capacità di agire viene limitata in modo totale; il Giudice nomina il tutore che, in sostanza, so-stituisce la persona inabili-tata in tutti gli atti giuridici. La inabilitazione è prevista per condizioni di parziale infermità, come la dipen-denza da droghe o alcol; il curatore di nomina giudizia-le non sostituisce il sogget-to tutelato, ma lo assiste in tutti quegli atti eccedenti la ordinaria amministrazione. L’amministrazione di soste-

gno è una fi gura introdotta con la legge 6/2009, ed ha lo scopo di tutelare chi, pur avendo delle oggettive diffi coltà nel prov-vedere ai propri interessi, non necessita comunque di ricorrere all’interdizione o all’inabilitazione. L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone dichiarate non autonome, anziane o disabili, e viene scelto dal giu-dice tutelare spesso, ove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito. Pos-sono diventare quindi amministratori di sostegno il coniuge, purché non separato legalmente, la persona stabilmente convi-vente, il padre, la madre, il fi glio o il fratello o la sorella, e comunque il parente entro il quarto grado. Un aspetto importante è la possibilità di proporre il ricorso conces-sa anche al convivente stabile, in tal modo conferendo rilievo anche alle cd coppie di fatto. Il decreto di nomina dell’amministra-tore di sostegno deve contenere precise indicazioni sull’oggetto dell’incarico, sugli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto

del benefi ciario, sugli atti che il benefi cia-rio può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Potenziali fruitori dell’istituto sono gli anziani o i di-sabili, gli alcolisti, i tossicodipendenti, i ma-lati terminali, i ciechi; tali soggetti potran-no ottenere la nomina di un tutore che si prenda cura del loro patrimonio e della loro persona. Altra nota rilevante: l’ammi-nistratore di sostegno può essere designa-to anche dallo stesso interessato, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, in previsione della propria eventuale futura incapacità. L’amministratore di sostegno non può percepire alcun compenso per la sua atti-vità, e deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del benefi ciario nell’adottare le proprie decisioni; deve presentare perio-dicamente al giudice tutelare una relazio-ne sulla attività svolta e sulle condizioni di vita del benefi ciario; può essere revocato, come la stessa amministrazione di soste-gno, in caso di sopravvenuta carenza dei motivi che l’hanno determinata.

on sentenza n. 10981 del 13 maggio 2009, la sezione tributaria della Cor-

te di Cassazione ha defi nitivamente affer-mato l’orientamento antielusivo secondo cui è precluso al contribuente il consegui-mento di vantaggi fi scali mediante l’utilizzo distorto – pur se non contrastante con al-cuna specifi ca disposizione – di strumenti giuridici idonei ad ottenere una mera age-volazione fi scale o un risparmio d’imposta, in assenza di ragioni economicamente ap-prezzabili che giustifi chino l’operazione.Si tratta del c.d. abuso del diritto tributa-rio - che trova il proprio fondamento nei princìpi costituzionali di capacità contribu-tiva e di progressività dell’imposta (art. 53 Cost.) – e determina l’inopponibilità (ossia, l’ineffi cacia) dell’operazione nei confronti dell’Amministrazione fi nanziaria, per ogni profi lo di illegittimo vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discen-dere dal comportamento elusivo.L’aggiramento della norma fi scale, preci-samente, può riguardare tutti “… gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra di loro, privi di valide ragioni economiche, diret-ti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimen-

ti indebiti …” (art.37 bis, 1°comma, D.P.R. 600/’73). La teoria dell’abuso del diritto tributario è tutt’oggi consolidata non solo nella giurisprudenza, ma anche nelle riso-luzioni adottate dall’Agenzie delle Entrate, secondo cui l’obiettivo principale del fi sco è quello di raggiungere il massimo possi-bile di tax compliance, e cioè il più alto livello di adesione spontanea agli obblighi tributari, anche mediante la repressione di pratiche fraudolente. A livello comunitario, inoltre, si registra l’adozione di provvedi-menti normativi che, sempre più spesso, presentano norme di chiusura di caratte-

re antielusivo e, d’altro canto, è la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea a censurare tutte quelle operazioni, poste in essere da intermediari o operatori econo-mici, dirette a conseguire, in via principale, un mero vantaggio tributario, in contra-sto con l’obiettivo fi scale perseguito dal legislatore. Occorre, tuttavia, sottolineare come il concetto di abuso non s’identifi chi automaticamente con l’ottenimento di un vantaggio fi scale, dal momento che è asso-lutamente legittimo scegliere, tra diverse operazioni lecite, quella meno onerosa per il contribuente. Ed infatti, è la stessa Corte di Cassazione ad avere recentemente pre-cisato – nella sentenza n.20030 dello scor-so 22 settembre – come l’esistenza di vali-de ragioni economiche, anche illecite, non consentono, per ciò solo, la confi gurazione di un abuso del diritto in materia tributa-ria: l’abuso sussiste, segnatamente, solo in presenza di un vantaggio predominante in riferimento all’operazione oggetto di ve-rifi ca, con la conseguenza che sarà onere dell’amministrazione fi nanziaria provare e documentare il raggiungimento di tale be-nefi cio economico.

AbusoAbuso del diritto tributario del diritto tributario

* MAGISTRATO

A CURA DI ROBERTO SANTORO *

A tutela dei piùA tutela dei più deboli deboli A CURA DI AVV. GIANFRANCO PUCA [email protected]

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Dal volume “Una ricca...cucina povera” di Roberto Pelillo

INGREDIENTI: (per 6-7 persone): Kg 1,5 di tacchino (femmina), 1 carota, 1 costa di sedano, 1 “crosta” di parmigiano, Kg 1,5 cardone + 1 limone, 200 gr. di parmigiano grattugiato, 4 uova intere.

PREPARAZIONE: Mettere il tacchino (pu-lito) in una pentola (molto capace e alta) con tutti gli odori e riempire di acqua (fredda). Mettere sul fuoco (lento) per tre ore circa, schiumando di tanto in tanto. Mentre si forma il brodo, bisogna pulire bene il cardone (eliminando in particolare tutti i fi lamenti) e tagliando a tocchetti pic-coli che si metteranno in un contenitore con acqua e il limone tagliato in 3-4 parti. Mettere a bollire il cardone in nuova ac-qua fredda per almeno 20-25 minuti (senza

sale). Scolare il cardone e “strizzarlo” pri-ma di versarlo nel brodo. Intanto, termina-ta la cottura del brodo, togliere il tacchino e fi ltrare il brodo e versarlo in una pentola capace, ove verseremo il cardone a pez-zetti con l’aggiunta delle uova sbattute a parte con un po di parmigiano grattugia-to (o secondo la tradizione, con pecorino dolce e polpettine di carne da preparare a parte). Tenere sul fuoco per 5-6 minuti. Servire caldo.N.B. Al posto del cardone si utilizzano mol-to le “scrippelle ‘mbusse”, preparate come per il timballo, ma con l’accortezza di rea-lizzarle molto sottili. Quindi si arrotolano “farcendole” un pò con polpettine di carne e rigaglie di pollo (cotte solo con il vino bianco, a parte). Aggiungere una spruzzata di parmigiano.

Brodo di natale con cardo e scrippelle “’mbusse”scrippelle “’mbusse”

INGREDIENTI: Per impasto: 2 bicchieri di olio di oliva, 2 bicchieri di acqua, 2 bicchieri di vino bian-co, 700 gr. di farina. Per ripieno: 500 gr. di ceci (ammollati e lessati a parte), 600 gr. di castagne (lessate a parte e “passate” con lo schiacciapatate), 4 bicchieri di rhum, 300 gr. di cioccolato fondente (grattugiato), 150gr. di cedro candito (spezzato fi nemente), 1 bustina scarsa di cannella (tritata fi nemen-te), 2 bicchierini di liquore dolce (tipo Au-rum), buccia grattugiata di 2 limoni, 1/2 bic-chiere di olio di oliva, 1/2 bicchiere di vino bianco, 200gr di mandorle (tostate a parte e tritate fi nemente), 1 tazzina piena di caffè,

zucchero a velo q.b. (per “tocco” fi nale).

PREPARAZIONE: A parte realizzare un impasto omogeneo da ridurre poi a sfoglia molto sottile. Amalgamare, con dolcezza, tutti gli ingredienti del ripieno fi no a ren-dere il composto morbido. Se necessario aggiungere del liquore. A pari distanza l’una dall’altra, mettere sulla sfoglia delle “pol-pette” di ripieno. Ricoprire sempre con la sfoglia e friggere i “ravioli” in abbondate olio caldo senza farli dorare. Scolarli su carta assorbente da cucina. Di-sporli su piatti, coprirli con zucchero a velo.

“Li caggiunitte”“Li caggiunitte”

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